La grandezza del Barolo Bussia 2016 di Giacomo Fenocchio

di Roberto Giuliani

Chi conosce Claudio Fenocchio sa bene che la sua azienda di Monforte d’Alba è sempre stata annoverata fra quelle fortemente legate alla tradizione. Questo fatto, però, non significa staticità, mancanza di visione, resistenza a qualsiasi cambiamento, che certamente non riguardano il noto produttore langhetto, che ha sempre cercato di migliorarsi e ha trovato un eccellente “consigliere” nell’enologo Emiliano Falsini, con il quale ha portato avanti un lavoro profondo di ricerca e sperimentazione, che ha portato ad esempio al fantastico Barolo Bussia 90 Dì, il cui numero rappresenta i giorni in cui il nebbiolo è rimasto a macerare con le bucce, frutto di anni di prove con lo scopo di ottenere la migliore estrazione possibile, senza componenti indesiderate, per un grande vino che ha rimpiazzato il Barolo Riserva. L’arrivo di questo cavallo di razza non deve farci però dimenticare l’importanza dei quattro cru aziendali Bussia, Villero, Cannubi e Castellero. 

Giacomo Fenocchio . Foto: James Magazine

Oggi ho scelto di raccontarvi del Barolo Bussia 2016, figlio di un’annata che è già stata considerata fra le migliori del terzo millennio, di quelle che saresti disposto a pagare oro per averne almeno una così ogni 4-5 anni. È andata alla grande un po’ in tutta la Langa, regalando un clima quasi sempre equilibrato, senza picchi caldi o freddi, piogge giuste nei momenti giusti, vendemmie perfette, con un’unica interruzione piovosa il 14 e 15 ottobre, ma senza conseguenze per la raccolta, che è ripresa subito nei giorni seguenti. 


Bussia è sicuramente la Menzione Geografica Aggiuntiva (MGA) più nota e desiderata, ma anche la più ampia ed eterogenea, i vigneti di proprietà di Fenocchio sono distribuiti nelle sottozone Munie e Sottana per un totale di circa 5 ettari. Il vino subisce una macerazione di 40 giorni e sosta per 30 mesi in botti di rovere di Slavonia da 35 a 50 ettolitri. 


Il colore granata caldo è già un chiaro segnale dello stile rispettoso di Claudio; quando si ha a che fare con un Barolo, una volta versato nel calice, la fretta va accantonata, non ha alcun senso guardare l’orologio, tanto più il vino è grande, tanto più si aprirà con il passare dei minuti. 
Non si fatica comunque a percepire nei primi istanti un netto profumo di rosa e liquirizia, seguito da ciliegia matura, emergono spezie dolci e la sensazione generale è di una bella maturità, si coglie anche una curiosa sfumatura di lavanda, poi mentolo, terra umida e sottobosco. 


Al palato mostra tutto il suo carattere, tannino ben presente ma di grana finissima che si integra subito nella trama fruttata e speziata, si arricchisce poi di riflessi pepati; colpisce per l’ottima freschezza e per una notevole profondità nonostante la sua giovane età. Bevetene almeno una bottiglia ora, poi mettetelo in cantina senza paura di possibili cedimenti per un decennio, se avete tutta sta pazienza di aspettare… 

Il coraggio di cambiare per affrontare la crisi Covid - Intervista a Chiara Soldati per Delivery IGP

Per la rubrica Delivery IGP questa settimana intervistiamo Chiara Soldati, signora del Gavi alla guida de La Scolca, azienda piemontese che lo scorso anno ha festeggiato le 100 vendemmie.

Chiara Soldati

Buongiorno Chiara, pensando al tuo mestiere di imprenditrice, la prima domanda che ti faccio è come sono cambiati, causa crisi pandemica, i mercati sia nazionali che internazionali del vino. 

Il mercato italiano ed estero sono cambiati tantissimo: non si viaggia più sui mercati, sono cambiate le modalità di contatto con i buyers ed i mercati sono presidiati prevalentemente con digital marketing. Le tecnologie digitali durante il periodo di lockdown sono diventate fondamentali per mantenere i rapporti con clienti e operatori del settore attraverso le degustazioni online ed i webinar abbiamo avuto la possibilità di collegarsi e parlare in contemporanea con molte più persone rispetto agli eventi del passato in presenza, ma questa modalità non sostituirà mai il rapporto umano che è meno allargato, ma più efficace sul singolo. Il mercato del vino italiano è molto concentrato su USA, UK, Germania, Svizzera e Canada i paesi dove c’è un retail sviluppato il quale porta a molte soddisfazioni. 
Occorre fermare subito la guerra dei dazi tra Unione Europea e Stati Uniti d’America che ha già colpito le esportazioni di cibo e bevande Made in Italy e ha messo a rischio prodotti simbolo del Made in Italy come il vino.
L'elezione del nuovo presidente Usa arriva a poco più di un anno dall’entrata in vigore, il 18 ottobre 2019, in Usa di una tariffa aggiuntiva del 25% su una lunga lista di prodotti importati dall’Italia e dall’unione Europea, per iniziativa di Donald Trump nell’ambito della disputa nel settore aeronautico che coinvolge l’americana Boeing e l’europea Airbus. 
Ora l’elezione di Joe Biden apre nuove prospettive che l’Unione Europea deve essere in grado di cogliere per avviare un dialogo costruttivo ed evitare uno scontro dagli scenari inediti e preoccupanti che rischia di determinare un pericoloso effetto valanga sull’economia e sulle relazioni tra Paesi alleati in un momento drammatico per gli effetti della pandemia. 
Il settore agroalimentare non può continuare ad essere merce di scambio nei contenziosi politici ed economici anche in considerazione del pesante impatto che ciò comporta, soprattutto alla luce delle tensioni legate all’emergenza Covid. 

A livello internazionale il vino italiano dovrà affrontare anche il problema Brexit? 

Sul fronte UK e Brexit, per quanto riguarda la nuova normativa, la questione chiave è se tutto il vino importato nel Regno Unito dal 1° gennaio 2021 debba essere accompagnato dal “tristemente famoso” modulo VI-1, che richiede la obbliga alla divulgazione di una serie di informazioni relative al prodotto, inclusa la prova del contenuto confermato da test di laboratorio. Questo requisito è in vigore per il 45% del vino attualmente importato nel Regno Unito da paesi extracomunitari e l'attuale politica del governo prevede l'estensione di tale obbligo alle importazioni di origine comunitaria dopo la fine del periodo di transizione di Brexit. 
Il risultato sarà il raddoppio delle pratiche burocratiche per gli importatori con sede nel Regno Unito e nuovi oneri burocratici per chiunque cerchi di esportare nel Regno Unito da qualsiasi paese dell'UE. 
L'attuale politica del governo è quella di applicare ai vini dell'UE la stessa aliquota che l'UE applica attualmente al vino proveniente da paesi terzi. Ciò significa 10 sterline per ettolitro per il vino fermo (10 centesimi di sterlina per litro) che salgono a 26 sterline per ettolitro per i vini spumanti. Al momento non sembra esserci alcuna prospettiva di riduzione per questi dazi ma nulla è ancora definitivo. Dovrà essere messa in atto un’efficace politica europea e da parte dei singoli stati. 
Le vicende che hanno generato nel recente passato le tensioni politiche sul commercio internazionale vanno valutate con estrema attenzione, due partner commerciali fondamentali per l’Italia, come gli Usa e la Gran Bretagna, potrebbero introdurre nuovi dazi sui vini italiani, anche e soprattutto se le condizioni economiche interne dovessero risultare particolarmente deboli a causa della Covid-19. 

Come stai affrontando questa seconda, e speriamo ultima, ondata di epidemia? 

La pandemia e la seconda ondata sono stati un evento di portata mondiale che ha cambiato e cambierà gli equilibri economici, sociali e commerciali, compariranno più disuguaglianze sociali e la globalizzazione ridurrà la sua portata Il Covid-19 è alle spalle ma gli effetti che ha provocato li vedremo nei prossimi mesi. 
Questo evento straordinario che ha fermato il mondo ha permesso di fare una profonda analisi delle nostre abitudini sia professionali sia personali. Abbiamo rivalutato i piccoli lussi quotidiani, tra cui il cibo di qualità, il vino, l’autenticità non solo dei beni che acquistiamo, ma anche dei rapporti personali. Abbiamo compreso quanto sia importante comunicare con valore e contenuto, quanto i rapporti siano fondamentali e quali fossero veramente solidi. 
Per molti di noi vignaioli la prima fase di lockdown, seppure dolorosa da un punto di vista economico, ha rappresentato un momento utile per fermarci a riflettere sul nostro sistema di produzione. Abbiamo avuto il tempo di riappropriarci del nostro rapporto quotidiano con il lato più propriamente agricolo del nostro lavoro ma anche di riesaminare il nostro sistema impresa per capire quali cose si potevano cambiare. Nello stesso tempo abbiamo dovuto approntare delle strategie utili alla gestione degli stati di crisi, strategie che elaborano solitamente solo le grandi aziende strutturate ma che le PMI devono avere il coraggio di mettere in atto: apertura a modelli diversi di commercializzazione con ricerca ed esplorazione di nuovi segmenti, rapporto con la clientela con un’analisi più pronta e puntuale dei punti di forza e debolezza di ciascun cliente, rielaborazione di rapporti con i nostri dipendenti con la ricerca comune di una flessibilità nelle mansioni, attivando anche una serie di corsi legati alla conoscenza di strumenti informatici e di comunicazione. Detto questo, ci aspettavamo una risposta istituzionale più pronta ed efficace in questo secondo lockdown del settore. Chiudere indiscriminatamente tutti i locali senza il coraggio di dire che chi applicava i protocolli con criterio avrebbe potuto rimanere aperto, ha portato il settore della ristorazione in una situazione insostenibile economicamente e il vino italiano ne sta seguendo le sorti. Ma in futuro dovremo creare strategie sinergiche tra ristoratori e produttori, oltre all’intera filiera dell’indotto agroalimentare, per rinascere più forti di prima. Molti ora sono spaventati da una possibile terza ondata annunciata dai media e dai comitati scientifici. Questo è un dato di fatto ed un importante freno allo stato attuale dello sviluppo dell’economia, ma siamo chiamati a reagire con forza e determinazione per utilizzare questo momento per migliorare le nostre aziende, bisogna guardare la strada davanti a noi e non il dirupo in cui questa pandemia mondiale ha portato ciascun Paese.

Hai parlato in precedenza di risposte istituzionali. Secondo te il nostro Governo sta facendo tutto il possibile per contrastare, almeno nel mondo del vino, questa crisi? 

C’è ancora tanto da fare. A mio giudizio è necessario un piano di rilancio del nostro settore attraverso misure efficaci e tempestive. Le Aziende hanno bisogno di avere un sostegno efficace per poter continuare ad essere competitive nello scenario mondiale. Oggi più che mai deve essere tracciato un progetto concreto per il futuro del vino italiano, un futuro che preveda tutte le realtà in gioco dai piccoli produttori alle realtà industriali, le PMI rappresentano per il nostro sistema vitivinicolo una grande risorsa anche sul fronte del presidio territoriale e dell’indotto economico che determinano. 
Pertanto, è il momento che le piccole e medie imprese del vino italiano vengano ascoltate e soprattutto riconosciute nel loro valore. Sono consapevole di quanto sia difficile mettere insieme una realtà così eterogenea come quella del sistema delle PMI del vino italiane, ma questa diversità è anche un nostro grande punto di forza come già Mario Soldati presentava negli anni ’70 nel volume “Vino al Vino”. Bisogna puntare a fare una politica di brand efficace, non solo all’interno delle singole aziende, ma è necessario rilanciare il brand MADE IN ITALY nel suo complesso come garanzia di eccellenza, come testimonianza del nostro background culturale e storico, il modello del lifestyle che tutto il mondo per anni ha invidiato. E’ necessario creare un sistema Paese che possa sostenere non solo il comparto vitivinicolo, ma l’intero comparto manifatturiero di eccellenza. Necessario immaginare sostegni alle imprese per permettere investimenti mirati all’innovazione, alla promozione e comunicazione. Necessario creare incentivi per assunzioni di giovani. Questo è il momento per stimolare un confronto tra le diverse parti della filiera per far compiere al nostro sistema vitivinicolo quelle indispensabili trasformazioni. E sì, perché a mio parere, come ho spesso sottolineato in questi difficili mesi, non si può considerare Covid-19 la causa di tutti i mali del nostro settore. In tempi di crisi come questi ritenere i “nemici” delle nostre imprese, dei mercati, solo i fattori “esterni” sarebbe un errore imperdonabile. La pandemia ha messo in luce non solo le singole fragilità, ma anche le fragilità del mondo vino, portando ad un necessario cambiamento. Abbiamo assistito ad un’accelerazione di nuovi marketplace che sono diventati in poco tempo strategici come l’e-commerce oppure nuove modalità di consumo come il delivery. Dato il clima attuale, molti brand stanno facendo fronte a budget limitati in questo momento e la spesa in attività di comunicazione e innovazione ne risente ed in questo momento l’investimento dovrebbe essere più strategico che mai. Per questo sono necessari interventi tempestivi da parte del Governo al fine di assicurare che lo standard qualitativo non ne risenta e molte aziende altrimenti rischino di abbassare per necessità gli investimenti rischiando di ritrovarsi all’indomani della crisi pandemica poco competitivi ed aggravare la loro situazione. 

La Pandemia come ha cambiato o cambierà nel mondo del vino?

Le ripercussioni vedranno una selezione degli operatori sui mercati ed una revisione profonda dell’offerta. Saranno necessarie politiche nazionali forti mirate allo sviluppo, alla promozione e all’innovazione delle aziende. Dovremo affrontare nuove sfide economiche, ambientali, sociali, dovremo riconcettualizzare l’offerta ed i canali di vendita in base alle mutate abitudini di consumo dei consumatori. Il vino durante il lockdown da prodotto di consumo tipicamente conviviale è tornato ad essere un protagonista del consumo domestico durante il pasto. Le parole chiave per la ripartenza saranno: autenticità, identità, innovazione, ecosostenibilità, 
Il mondo del vino lavorerà sempre più in uno scenario binario con le cantine sociali e le cooperative da un lato e le aziende con produzioni premium dall’altro. Le prime lavoreranno su livelli di vino commodities e sostegno della loro mission sociale le seconde lavoreranno per continuare il lavoro fondamentale di branding dei territori, rivalutazione culturale delle denominazioni, innovazione qualitativa. Dovremmo difendere le nostre origini, tradizioni guardando al futuro con scelte coraggiose senza snaturare la nostra identità produttiva e culturale e fare squadra. 
Il lockdown ha colpito maggiormente le grandi città ed i mercati più importanti per il consumo del vino come Europa e Stati Uniti oltre ovviamente la Cina.
Il cambio di abitudini di consumo ha creato un profondo danno del settore Horeca e di tutto il comparto legato al turismo “leisure e business”.
L’Asia sarà il mercato di riferimento più importante per il futuro, in occasione dell’Esposizione Universale 2025, di scena ad Osaka e contiamo in una ripresa negli USA più veloce che in Europa. Al momento ci sono più domande che risposte sul futuro post-pandemico del mercato globale del vino. I dati dimostrano come la maggior parte dei consumatori ha acquistato ed acquisterà ciò che conosce, ciò che trova rassicurante. I consumatori in questo momento, pariteticamente al 2000 o al 2008, non vogliono sperimentare, ma piuttosto bere qualcosa che li fa sentire a proprio agio e a cui sono legati da ricordi positivi, dai viaggi fatti in Italia o semplicemente i prodotti che da lungo tempo godono di una buona fama o reputazione sul mercato. Anche da parte dei buyers si assiste ad una razionalizzazione delle carte vini e delle scelte di ciò che viene acquistato. Molti buyers e retailers si stanno concentrando su un assortimento principalmente indirizzato a brand storici o particolarmente conosciuti. 
Il segmento on-premise è stato quello principalmente colpito dal lockdown, prima, e dalle rigide misure di distanziamento. I costi di gestione sono molto elevati soprattutto nelle grandi città e necessitano di coprire almeno l’80/85% della capienza massima solo per raggiungere il pareggio. Anche i grandi nomi della ristorazione sono stati colpiti e stanno riprendendo posizione i ristoranti indipendenti. Durante i mesi di chiusura abbiamo assistito ad una percentuale importante di vendite di vini premium da parte di collezionisti ed appassionati. Si immagina che questa nicchia possa mantenere questa percentuale e possa aumentare la domanda di vini di valore che porterebbe ad una maggiore domanda di prodotti d’alta gamma in futuro. La volatilità che assistiamo sui mercati finanziari si riscontrerà anche sul mercato reale, vino incluso. Saranno mesi impegnativi, di ricostruzione e rinascita, mesi di nuovi progetti e nuove strategie, ma saranno mesi di opportunità sia di crescita sia di miglioramento. 

Che consigli daresti ai tuoi colleghi per affrontare al meglio il prossimo futuro? 

Il consiglio che mi sento di dare è quello di perseverare con determinazione e non abbandonare gli obbiettivi. La tempesta finirà e noi dovremo farci trovare preparati e competitivi. 
Nei momenti di difficoltà bisogna fare strategie comuni efficaci, lasciare da parte le sterili divisioni e fare lavoro di squadra tra produttori, operatori di settore, istituzioni, dovremo essere vicini al canale Horeca, sostenere il team degli agenti, creare nuove sinergie con le enoteche ed i distributori, creando un nuovo modello di commercializzazione complementare e non conflittuale. La comunicazione sarà fondamentale. Una comunicazione di valore e contenuti. Avremo bisogno di proseguire l’attività di diffusione di cultura enogastronomica per creare maggiore consapevolezza nel consumatore. Bisognerà far crescere la professionalità a tutti i livelli. 
Dovremo ascoltare il mercato, dare le risposte adeguate alle esigenze che si presenteranno. Ormai a tutti è chiaro che è in atto una vera e propria rivoluzione delle nostre abitudini sociali e lavorative. La più importante conseguenza è la necessità di modificare il proprio modo di comunicare, di adeguarlo ai nuovi canali da usare per creare, mantenere e aumentare i propri rapporti commerciali. 
Sempre più, infatti, si ricorre e si dovrà ricorrere anche ai "canali Web". Di per sé tanti di questi esistono da tempo, ma sono stati finora inesplorati, o comunque non visti come indispensabili, in particolare nel mondo del vino. 
La necessità di riprendere la promozione e la presentazione dei vini è indubbiamente una necessità nel rispetto delle linee guida di sicurezza per la prevenzione. Indubbio che le nuove forme di comunicazione digitale sono e rimarranno fondamentali, ma gradualmente si dovrà tornare anche al rapporto “one to one”.

Usciamo un attimo dal discorso pandemia e veniamo a cose più piacevoli. La Scolca ha compiuto 100 anni ed è ormai una delle imprese vinicole più importanti di Italia. Che obiettivi ti dai per il 2021? 

Le linee messe in atto all’indomani del lockdown prevedono una mirata politica di impresa dal punto di vista finanziario senza interrompere i progetti di investimento mirati al rinnovamento aziendale sia in termini di innovazione tecnologica, ambientale e di risorse umane. Fondamentale la formazione, l’attenzione per le nuove sfide ecosostenibili, la digitalizzazione. Lavorare per crescere, per migliorare il livello produttivo per guardare al futuro con scelte solide. Non è nel dna de La Scolca e della famiglia Soldati l’immobilismo e la paura del cambiamento, quello che da 100 anni contraddistingue la storia aziendale è il coraggio, l’innovazione ed il dinamismo. Si continua ad investire e rafforzare la propria identità, autenticità in un importante impegno a mantenere una forte riconoscibilità in un mercato sempre più grande e sempre più affollato da molteplici proposte enologiche. Fondamentale l’impegno volto a comunicare avvalendosi di figure altamente qualificate professionalmente. Nulla viene lasciato al caso, convinti che in ogni dettaglio dalla cura dei vigneti alla scelta delle politiche commerciali o semplicemente il wording scelto per comunicare siano parte di un mosaico che deve rappresentare un’identità valoriale cominciata 100 anni fa e che ora guarda al futuro con una quinta generazione, mio figlio Ferdinando, che proprio quest’anno ha cominciato il primo stage di avvicinamento all’Azienda. Ogni percorso comincia con un primo passo, ma ogni passo deve rappresentare un punto fondamentale del percorso ed ogni percorso deve avere ben preciso l’obbiettivo da raggiungere, senza dimenticare il passato per costruire un nuovo futuro. 
In estate abbiamo cominciato ad accogliere i nostri winelovers in cantina con nuovi programmi. Vediamo un futuro positivo rappresentato dal turismo di prossimità, un turismo che auspichiamo possa abbracciare anche il patrimonio culturale dei nostri territori, i luoghi d’arte, un turismo che possa apprezzare i paesaggi e le attività sportive che ciascun territorio può offrire con grande varietà. In questo momento il turismo enogastronomico rappresenta una fuga dalla città, esercita un’offerta ricca di fascino, rappresentano un’attrattiva le cantine immerse nella natura, dove anche lo spazio è un dono, le distanze sono naturali e garantite. L’emergenza sanitaria ha insegnato quanto siano importanti il benessere, il lusso delle esperienze di momenti semplici, l’importanza delle piccole cose, il valore delle esperienze. 

Ultima domanda: il Gavi ha un grande passato ma sembra uscito leggermente dai radar della comunicazione del vino italiana anche se, a mio parere, è un bianco che nella massima espressione non è secondo a nessuno. Sei d’accordo e quali sono i motivi di questa poca comunicazione?

Sicuramente il Gavi come denominazione ha meno visibilità rispetto ad altre realtà di produzione di vini bianchi, penso ad esempio al Soave oppure alla Lugana o al Prosecco, ma non aderendo da anni al Consorzio, preferisco non dare giudizi sul lavoro altrui non conoscendone nel merito le attività di promozione svolte.

Casavyc – Toscana Sangiovese IGT “Lo Cavalcone” 2013


Casavyc è la Maremma che non ti aspetti, una piccola perla a due passi da Scansano che produce vini dai lunghi affinamenti. 


Questo sangiovese in purezza, da vigne a 500 metri s.l.m, ha grazia e leggerezza e pura lussuria gustativa senza ricorrere ad inutili orpelli. Sei anni di affinamento in botte. Una chicca da trovare.

www.casavyc.com

Riecine ha cinquanta anni e noi a Roma li festeggiamo così! - Garantito IGP


Quando il tuo amico Carlo Macchi ti chiama per festeggiare a Roma i (quasi) 50 anni di Riecine, azienda storica del Chianti Classico, posso solo esclamare una parola: obbedisco.

Tavolata prima della degustazione

L’appuntamento, con un’altra piccola schiera di amici giornalisti e comunicatori del vino, è stato fissato il 15 ottobre all’interno del bellissimo Hotel de Russie dove oltre al Macchi, in prima linea anche perché incaricato di scrivere un libro sull’azienda, erano presenti anche Alessandro Campatelli, enologo e direttore generale dal 2015, e Carlo Ferrini che è stato consulente dell’azienda negli anni ’80 e all’inizio dell’ultimo decennio dello scorso secolo 

Il team Riecine oggi!

In realtà i festeggiamenti andranno avanti anche per tutto il prossimo anno (spero migliore di questo funesto 2020) perché in realtà oggi Riecine ha ancora 49 anni in quanto il fondatore della Riecine contemporanea, l’inglese John Dunkley assieme a suo moglie Palmina Abbagnano, acquisirono gli originali 1,5 ettari di terra nel dicembre del 1971. Insieme iniziarono a ristrutturare l’antica villa in pietra, per poi ridare vita alle vecchie piante e ad impiantare nuove viti. La prima annata di Chianti Classico, il 1972, messa in commercio qualche anno dopo. Da quel momento Riecine, anno dopo anno, si è fatta apprezzare per la qualità dei suoi vini e, come facile immaginare in quasi 50 anni di attività, molti sono stati i cambiamenti che sono avvenuti all’interno dell’azienda sia a livello tecnico-produttivo, sia a livello di gestione. 

Carlo Ferrini

Ferrini, infatti, è rimasto in veste di consulente fino al 1996 affiancando, già a partire dal 1991 quando era stato assunto Sean O’Callaghan, che iniziò a far parte del team di Riecine come enologo interno, per poi diventare successivamente il vero simbolo dello stile Riecine. 

Sean O’Callaghan

Come sappiamo dal 2016 Sean ha lasciato l’azienda lasciando il testimone al bravissimo Alessandro Campatelli, che ancora oggi si occupa di tenere vivo il sogno di John e Palmina, assieme ai nuovi proprietari russi. Questo ha permesso a Riecine di mantenere intatto lo status di “faro enologico” del Chianti Classico. 

Carlo Macchi presenta la degustazione

Alessandro Campatelli

Tornado alla degustazione organizzata, il duo Macchi-Campatelli ha deciso di dividere i festeggiamenti in tre eventi, il primo già tenuto in cantina ad Agosto, in ciascuno dei quali si affronta la storia di Riecine dividendo i vini in tre fasce temporali: dal 1971 al 1985, dal 1986 al 2000 e, la terza, dal 2001 fino ad oggi. 


A noi “Romani de Roma” è toccato la seconda degustazione che vado a raccontarvi con le mie note di degustazione che, spero, riescano a farvi vivere anche in parte l’emozione di alcuni assaggi superlativi. 


Riecine – VDT La Gioia 1986: il Supertuscan di casa Riecine, fortemente voluto da Palmina e che ha visto il suo esordio nel mercato dal 1982, è un sangiovese in purezza che in questa annata, che possiamo definire abbastanza regolare, regala solamente emozioni. Chi pensava di trovarsi davanti ad un vino ad un passo dal cimitero ha dovuto ricredersi fortemente causa impianto olfattivo che, alla cieca, può ricordare un grande e. soprattutto, giovane rosso di latitudini decisamente più a nord della Toscana. Il naso è un susseguirsi di sensazioni intensissime di arancia sanguinella, fragolina di bosco, spezie rosse, erbe di campo fino a virare su aromi più virili di ghisa e ruggine. Il sorso, spogliato di ogni orpello, rappresenta un’esplosione verticale di freschezza e sapidità la cui leggerezza e soavità sono l’imprinting assoluto di questo vino arioso che dopo 34 anni sembra ancora danzare sulle punte. 


Riecine – VDT La Gioia 1987: l’annata, decisamente calda anche se “rovinata” in vendemmia da piogge persistenti, regala un vino rispetto al precedente più avvolgente e fruttato con questa nota di ciliegia, succosissima, che subito rapisce e nasconde, per un attimo, un caleidoscopio di profumi intensi che vanno dalla viola appassita alle spezie nere fino ad arrivare alle erbe aromatiche e alla già nota sensazione di ghisa che troveremo, ve lo anticipo, anche in altre annate. All’assaggio è capace di una accelerazione gustativa potentissima fino a metà sviluppo quando poi, con nonchalance, sembra quasi fermarsi per foderare il cavo orale di mille deliziosi sapori per interi minuti. Finale intenso e sapidissimo. 


Riecine – VDT La Gioia 1988
: l’annata, decisamente equilibrata e che per qualcuno è superiore alle 1985 in Toscana, non può che sfoderare un vino carismatico caratterizzato da un naso rintronante di erbe officinali, marasca, mora di rovo, agrume, chiodi di garofano e l’immancabile nota ferrosa che rimanda alla ghisa. Assaggio altrettanto autorevole dove la fine eleganza e una armonica integrità gustativa fanno da degni apripista ad un finale che è assolutamente una girandola di sapori di sbalorditiva bellezza. Un vino assolutamente strepitoso. 


Riecine – Chianti Classico Riserva 1990: questo sangiovese in purezza, sicuramente il vino “bandiera” per l’azienda, in questa annata, decisamente buona in Toscana, rilascia all’olfatto luminose note territoriali che virano verso un affascinante mix che si compone di agrumi, violette, toni di sottobosco, spezie nere e ferro fuso. Al sorso ha coesione e sostanza, sfodera a metà sviluppo una bella acidità anche se il tannino, leggermente polveroso, spezza leggermente una progressione gustativa che rimane, comunque, di assoluto valore considerando l’età del vino. 



Riecine – VDT La Gioia 1991: un’annata senza infamia e senza lode ed un vino, il primo degli anni ‘90 degustati, che rimane con un approccio gustativo abbastanza timido che regala sensazioni olfattive fresche ma poco complesse, a mio giudizio, dove ritrovo l’agrume i frutti di bosco. Il sorso è esile, verticale, ma si perde leggermente dal centro bocca in bocca regalando un finale sì sapido e fruttato ma poco dinamico nella chiusura. 


Riecine – VDT La Gioia 1993: amo le annate regolari e fresche come questa perché, almeno a Gaiole in Chianti e, in generale, in Chianti Classico, regalano vini leggiadri, armonici, quasi primaverili negli accenni floreali di violetta e peonia a cui si aggiungono respiri intensi di mora di gelso, arancia amara, ferro sciolto. Sorso pieno, modulato da una verticalità di beva davvero entusiasmante che mi ha ricordato la ‘86. Bellissima la persistenza finale capace di rilanci aromatici continui. Gran vino! 


Riecine – Chianti Classico Riserva 1995: non so se è colpa di questa annata irregolare, prima fresca e piovosa e poi, in vendemmia, decisamente calda, ma ho trovato questo vino molto stanco, soprattutto se confrontato col La Gioia 1993. Il naso, infatti, è un continuo richiamo alla frutta nera matura, all’humus ed ad una fosca mineralità. Con tempo, poi, esce anche una sensazione poco gradevole di dado da brodo. Al gusto è contratto, poco dinamico, caratterizzato da un tannino ancora vivo e graffiante che però pare giocare un ruolo solitario all’interno di una struttura complessiva del vino che appare traballante e leggermente scissa. Finale sapido, poco persistente.


Riecine – VDT La Gioia 1996: una buona annata questa ‘96 e, come spesso è capitato in degustazione, questo vino riesce ad interpretarla nel migliore dei modi. Il naso, inizialmente anarchico e dotato di aromi selvatici, via via si è pulito regalando un bouquet fresco e pungente dotato di nettissime sensazioni di ciliegia nera, chiodi di garofano, tabacco da pipa, erbe officinali e sbuffi salmastri. Bocca didattica, schiettamente chiantigiana grazie ad una carnosità e ad un sorso fresco ed equilibrato da tannini vivi ma ben integrati. La bistecca alla fiorentina sarebbe la morte sua! 



Riecine – Chianti Classico 1997: non ce la fa, questa annata, tanto decantata in passato da schiere di giornalisti italiani e non, anche in questo caso mostra i limiti di un millesimo, sostanzialmente caldo, che a distanza di ventitré anni mostra tutti i suoi limiti. L’olfatto è stanco, sa di frutta matura, quasi marmellatoso, a cui seguono sensazioni di erbe amare, scura mineralità e glutammato. Al sorso è leggermente meglio, mostra una certa personalità e una struttura solida caratterizzata da tannini compatti e fervida sapidità. Chiusura austera e tutt’altro che dinamica. 


Riecine – Chianti Classico Riserva 1999: altra annata calda e altro sangiovese in purezza che, rispetto agli anni ‘80, sembra segnare il passo soprattutto nel contesto delle sue fragranze odorose che rimandano alla confettura di more ed amarene, al tabacco Kentucky, alle spezie rose, alle erbe medicinali e al sottobosco autunnale. In bocca è congruente, con notevole nota sapida che addomestica la verve alcolica del vino donando agilità ed equilibrio. Finale salmastro con una persistenza però non da numeri uno. 


Riecine – IGT Toscana La Gioia 1999: rispetto al precedente vino, pari annata, La Gioia regala una maggiore vivacità all’olfattiva grazie ad una componente floreale ed agrumata sicuramente maggiore del Chianti Classico Riserva. Anche al sorso il vino rispetta le previsioni: è agile è misurato, ampio e dal tannino vivace ma ben fuso nel contesto strutturale del vino. Finale speziato che, come il precedente, tende però a rimanere contratto a non ingranare la marcia giusta per correre. 


Riecine – Chianti Classico Riserva 2000: l’ultimo vino in degustazione ci fa entrare negli anni duemila con un sangiovese che sembra avere un carattere più moderno ed estroverso. Ha un naso intenso ed espressivo di confettura di frutti di bosco e pot-pourri, prugna matura, chiodi di garofano, corteccia, sottobosco avvolte tutte da una sensazione di mineralità delicatamente scura. Al sorso è ricco, succoso, grintoso grazie ad una marcata acidità e tannini maturi. Lungo e vigoroso il finale su note fruttate e vagamente floreali. 

La Fine....


Parmoleto - Montecucco Sangiovese Riserva 2015

Nel mio viaggio di approfondimento dell'areale del Montecucco, bellissimo territorio situato in Toscana, nell'Alta Maremma, a due passi dal Monte Amiata e dalla sua influenza, mi sono imbattuto in un sangiovese di una realtà poca nota all'interno della comunicazione enologica italiana: Parmoleto


Andando a cercare un po' di informazioni ho scoperto che l'azienda agricola, gestita dalla famiglia Sodi da oltre un secolo, produce principalmente cereali, coltivando circa 75 ettari di grano duro, orzo e avena, e solo dal 1990 ha deciso di avventurarsi nella produzione di vino ed olio. 
Dal 2002 la famiglia ha ulteriormente arricchito l’azienda con l’attività di Agriturismo ed è in grado di ospitare la propria clientela in una casa colonica a pochi passi dal centro aziendale.


All'interno dei sette ettari vitati, gestiti tutti in maniera sostenibile, sono coltivati sangiovese, il vitigno più importante, poi montepulciano, cabernet sauvignon, syrah, trebbiano toscano, malvasia bianca e chardonnay (spero che almeno queste info sia aggiornate sul loro sito..)


Tornando al vino in questione, questo sangiovese in purezza, il top della gamma di Parmoleto, è una Riserva estremamente intensa e profonda a partire dal naso che sprigiona suadenti aromi di mora di gelso, amarena, mirto, cassis, violetta e toni di legni pregiati. 


In bocca è compatto, strutturato, sorretto da vigorosa verve acida e da tannini raffinati. Lunga la scia sapida del vino che chiude con un leggera sensazione amaricante sintomo che il legno dove ha affinato il vino non è ancora stato completamente digerito. E forse non lo sarà mai, chissà.
Nota tecnica: il vino è vinificato in acciaio e riposa due anni in barrique di rovere prima di essere messo in commercio.

Il Gruppo Pellegrini S.p.A. e il ruolo della distribuzione nell'era del Covid-19 - Delivery IGP

di Lorenzo Colombo

Dopo aver intervistato – per il Delivery IGP- produttori di vino, ristoratori, direttori di consorzi e uffici stampa, diamo ora la parola a coloro che si collocano a metà strada tra quelli che il vino lo producono e coloro che lo vendono al consumatore finale, ovvero ai distributori. Abbiamo quindi fatto una lunga chiacchierata con Pietro Pellegrini, presidente e direttore commerciale della Pellegrini SpA di Cisano Bergamasco, azienda distributrice su tutto il territorio nazionale ed importatrice di vini e distillati da tutto il mondo. 

Pietro Pellegrini

Ciao Pietro, iniziamo subito con una domanda un poco provocatoria, ormai il 2020 s’è concluso, com’è andato rispetto agli anni precedenti? 

Venivamo da un periodo di diversi anni consecutivi d’incremento e l’obbiettivo, che sarebbe poi stato non così difficile da raggiungere, era di proseguire la crescita anche quest'anno. Comunque, tirando le somme e vista l’annata a dir poco particolare, posso dire che ci possiamo ritenere abbastanza soddisfatti, avendo contenuto le perdite ad un 18,8%. Che significa però essere tornati indietro di tre anni! In qualsiasi caso possiamo dire che l'anno l'abbiamo "salvato".
Bisogna considerare che la nostra clientela è unicamente quella del canale Ho.Re.Ca. e che vendiamo esclusivamente in Italia. Certamente ci saranno altre realtà che avranno ottenuto risultati migliori, parlo ad esempio di coloro che trattano con la GDO o che vendono anche all’estero, ma non possiamo davvero lamentarci. 

Quante aziende hai in catalogo? 

Poco più di un centinaio tra Italia ed estero, per circa 1.800 referenze tra vini e distillati. 

Com’è composta la tua clientela? 

Per oltre il 65% si tratta, come detto prima, del canale Ho.Re.Ca., mentre la parte rimanente è data dagli specialisti delle vendite on-line e dal retail, in particolare enoteche che mediamente sono andate piuttosto bene. 

Durante questo periodo c’è stato un notevole incremento delle vendite on-line, che sino all’anno prima rappresentavano una parte minima del mercato, in Italia. Quale è stata la Vostra esperienza in merito? 

Sino allo scorso anno le vendite di vino on line s’attestavano attorno al 3% del totale ed il loro incremento era quindi abbastanza scontato. Quello che è successo quest'anno ha poi più che amplificato la cosa. 
Per quanto ci riguarda, le enoteche virtuali rappresentano una categoria a se stante di clienti, le cui richieste sono cresciute molto durante questo periodo, con un incremento rispetto all’anno precedente di circa il 200%. Riteniamo sia doveroso dedicare maggior attenzione a questo settore, la cui notevole crescita ha contribuito in parte a salvare l’annata. 

Raccontami in breve come hai vissuto questo periodo così particolare, dovuto all’emergenza Coronavirus. 

All’inizio del primo lockdown c’è stata molta preoccupazione, con bar e ristoranti -che come già detto costituiscono la maggioranza dei nostri clienti- chiusi. 

Come vi siete quindi comportati nel confronto dei Vostri dipendenti? 

Durante il primo lockdown abbiamo potuto mettere in ferie i dipendenti che avevano arretrati e successivamente ci siamo avvalsi della cassa integrazione, anticipando loro gli stipendi.
Dalla ripartenza estiva abbiamo mantenuto la piena occupazione e così anche in previsione del periodo natalizio. 

E per quanto riguarda i vostri agenti, come avete proceduto? 

Abbiamo cercato di stimolarli e mantenerli attivi, effettuando una serie di offerte di breve durata su alcuni nostri prodotti. Inoltre abbiamo concesso a tutti la possibilità di avere anticipi provvigionali su base mensile ( in pochi per la verità ne hanno usufruito) per tutto il periodo di fermo. Durante la seconda chiusura invece abbiamo cercato di focalizzare gli agenti sulla forza di un catalogo della distribuzione. Avvalendoci dei dati relativi alla prima parte dell'anno abbiamo dimostrato loro che quanti si sono concentrati sul nostro catalogo, senza disperdere le forze su mandati minori, hanno ottenuto ottimi risultati. 

E nel confronto dei clienti? 

Di comune accordo con tutti i soci della Società Excellence* (ex Club Excellence) abbiamo deciso di sospendere gli incassi delle fatture emesse nei primi due mesi del 2020 per un periodo della medesima durata del lockdown oltre la scadenza, per dar loro un poco di respiro e per condividere di conseguenza le problematiche finanziarie dovute al particolare momento. Abbiamo inoltre ridotto il porto franco a 250 euro in tutta Italia e dato la possibilità a tutti i clienti di acquistare ogni prodotto anche per una sola bottiglia. 

(*Nota: La Società Excellence raggruppa 18 tra i più importanti distributori di vini e distillati sul territorio nazionale, nel loro insieme distribuiscono oltre 2.000 aziende e con i loro 1.400 agenti hanno venduto nell’ultimo anno oltre 17 milioni di bottiglie.) 

Hai avuto richieste particolari da parte dei tuoi fornitori? 

La maggior parte dei nostri fornitori, circa il 90%, sono aziende con progetti agricoli, con mentalità abituata ad andare incontro a periodi non sempre favorevoli, di conseguenza non abbiamo avuto nessun problema in particolare, solamente qualcuno ci ha chiesto se potevamo effettuare qualche anticipo sulle future forniture. 

Cosa pensi del fatto che molti produttori si sono attrezzati con la vendita diretta on-line, tramite l’apertura di e-shop? 

Per quanto riguarda la vendita diretta al consumatore finale tramite e-shop aziendali penso che molti abbiano effettuato un auto-gol, non preoccupandosi di rispettare tanto i tradizionali canali di vendita quanto quello proprio specializzato nelle vendite on-line.
Non abbiamo nulla contro il fatto che possano vendere direttamente al consumatore finale, purché nel rispetto della filiera e delle regole del mercato. Durante il primo periodo di lockdown abbiamo scritto a tutti, rassicurandoli che avremmo trovato di comune accordo con ognuno di loro le modalità per uscirne nel miglior modo possibile. 

Avete usufruito di “ristori” forniti dallo stato? 

La nostra categoria non rientra tra quelle che potevano beneficiare di ristori. Le uniche cose hanno riguardato rinvii in merito a scadenze fiscali, di cui comunque abbiamo deciso di non approfittare. 

Com’è stata la ripartenza di inizio estate? 

Dopo la ripartenza di giugno abbiamo avuto un notevole recupero. L’estate è andata molto bene, addirittura meglio rispetto a quella del 2019 ed insieme ad un buon dicembre ha contribuito a ridurre le perdite. 

All’interno del tuo vasto catalogo c’è stata una categoria di prodotto che ha sofferto maggiormente? 

C’è stato un calo sulla vendita dei prodotti di prima fascia, quelli utilizzati principalmente nei bar, nei catering e per il banqueting, tutte attività che in questo periodo erano e sono ferme. 

Entrando più nello specifico?

Le contrazioni maggiori si sono avute sui prodotti nazionali. Vini anche molto conosciuti, come ad esempio Prosecco e Chianti, sono tra quelli che hanno avuto il calo maggiore, anche superiore al 40%. I vini di fascia più alta sono invece rimasti in genere stabili, mentre su alcuni prodotti esteri di zone meno conosciute, zone minori francesi e nuovo mondo ad esempio, ci sono stati anche degli incrementi, direi dovuti esclusivamente agli acquisti sui portali di vendita on-line da parte di consumatori molto appassionati. Sono anche leggermente aumentate le richieste di formati più piccoli, come le mezze bottiglie. 

Quale pensi sia il ruolo di un distributore? 

Penso innanzitutto che il futuro del mercato del vino, anche in Italia, sia la distribuzione. Il produttore deve potersi concentrare sui lavori di vigna e cantina e il distributore sulla vendita, comportandosi come vero e proprio partner commerciale e figura di marketing. Deve essere inoltre un garante nei confronti dei produttori e questo significa che una volta preso un impegno relativo alla commercializzazione di un certo quantitativo di prodotto, quel vino deve poi venderlo davvero. L'unica alternativa non può che essere un atto di onestà, non iniziando nemmeno il rapporto di distribuzione, ammettendo chiaramente di non essere in grado in grado di far fronte ad un simile progetto. 

Progetti particolari e strategie per il futuro?

Avevamo in programma un ampliamento ed un ammodernamento della sede storica che ormai comincia a diventare stretta per le nostre esigenze, questo progetto è stato ovviamente rimandato a tempi migliori ma rimane comunque una priorità. C’erano e sono tuttora in progetto anche inserimenti a catalogo di nuove aziende, ma fino a che la situazione non si sarà un poco normalizzata teniamo tutto in sospeso. Inoltre, questo brutto periodo ci ha fatto capire l'importanza di allargare la fascia di clientela dedicandoci maggiormente a quelle strutture di libero servizio sinora un poco trascurate dai nostri agenti e che crediamo possano in futuro, se ben assistite e consigliate, diventare interessanti per la vendita di specifiche tipologie di prodotto. Pensiamo ad esempio alle gastronomie, pasticcerie e tutti quei negozi di alimentari che pur non facendo singolarmente grandi numeri, nel loro insieme possano costituire un interessante canale di vendita.
Comunque, ottimisticamente ti dico che, se è andata bene in un anno come questo, in futuro non potrà che andar meglio.  Il futuro è solo rosa!

ʻA VITA – Cirò Doc Rosso Classico Superiore 2014


di Lorenzo Colombo

Gaglioppo in purezza proveniente da vigneti di quasi cinquant’anni d’età, situati su suoli argillosi-marnosi a 50-100 metri d’altitudine.


Il vino si presenta con note terrose e di sottobosco, un poco timido all’inizio, con tannini ben presenti ma ben fusi nell’insieme, che al palato si presenta con sentori di radici, rabarbaro e bastoncino di liquirizia.

André Simon e il Montello-Colli Asolani Venegazzù “Della Casa” 2016 di Loredan Gasparini

di Lorenzo Colombo

Venegazzù è una frazione del comune di Volpago del Montello dal quale dista poco meno di un paio di chilometri. E’ inoltre una sottozona ed una tipologia di vino della Doc Montello-Colli Asolani (che sarà in futuro ridenominata Montello Asolo - Asolo Montello) che, rispetto alla suddetta denominazione s’avvale di un disciplinare nel disciplinare".


Cerchiamo di spiegarci meglio: il disciplinare di produzione del Montello – Colli Asolani permette la produzione di 17 tipologie di vino, bianchi e rossi, anche monovitigno ed anche spumanti sia da Pinot bianco che da Chardonnay. 
Nel caso del Venegazzù, che può avvalersi anche della menzione Superiore, il vino può essere unicamente rosso ed il vitigno principale è il Cabernet Sauvignon che dev’essere presente per almeno il 50%, con un massimo del 70%. Gli altri vitigni utilizzati sono: Cabernet Franc, Carmenère e Merlot per un minimo del 30% ed un massimo del 50%, questo sia singolarmente che congiuntamente, è inoltre permesso utilizzare sino al 15% di altri vitigni a bacca rossa. In pratica siamo di fronte ad un tipico “taglio bordolese”. Inoltre c’è una maggior rigidità rispetto al disciplinare del Montello-Colli Asolani, questo vale sia per quanto riguarda il numero minimo di ceppi per ettaro, come pure per la resa massima per ettaro e per la gradazione alcolica minima, inoltre, per la chiusura delle bottiglie è permesso unicamente il tappo in sughero. 


Nel 1967 André Louis Simon, alla tenera età di novant’anni, pubblicò Wines of the World. Simon, definito da Hugh Johnson "il leader carismatico del commercio del vino inglese per quasi tutta la prima metà del 20° secolo”, aveva passato in pratica tutta la sua vita nel mondo del vino, sin da quando nel 1902 era diventato agente della Maison di champagne Pommery in Inghilterra. Pochi anni dopo, nel 1906, si scoprì pure scrittore di vino, pubblicando a puntate “La storia dello Champagne commerciale in Inghilterra”, da allora non s’è più fermato e, nel corso della sua lunga vita ha pubblicato qualcosa come 104 libri. Nel 1908 fondò con alcuni amici il Club del Vino, organizzando degustazioni e lezioni, da cui nacque, 45 anni dopo l’Istituto di Master of Wine, nel 1934 fondò a New York una filiale di quella che sarebbe diventata l’International Wine & Food Society.


André Simon amava dire che "un uomo muore troppo giovane se lascia del vino nella sua cantina", cosa verissima visto che alla sua morte nella sua cantina personale erano rimaste unicamente due Magnum, una delle quali Chateau Latour 1945 era stata lasciata per festeggiare il suo 100° compleanno, che non ebbe occasione di festeggiare essendo morto a 93 anni. Wines of the World ebbe altre due edizioni, rivedute ed aggiornate nel 1972 e nel 1981, quest’ultima è stata tradotta in italiano e pubblicata nell’aprile 1985 dalla Vallardi. Vi si trova una corposa parte dedicata ai vini italiani -curata da Philip Dallas - ed alle sue denominazioni, che allora erano poco più di 200, dedicando loro oltre 70 pagine s’un totale di 576. Cosa ben rara a quei tempi, soprattutto in libri scritti da stranieri. 

Ma veniamo all’argomento dell’articolo. 

Nella parte dedicata ai vini veneti, nello specifico a quelli della provincia di Treviso, oltre ai Prosecco vengono menzionati solamente due altri vini con queste parole: “In questa zona è stato prodotto per decenni uno dei più fini vini d’Italia, il Venegazzù, del Conte Piero Loredan, fatto con Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Merlot, Malbec e Petit Verdot che viene invecchiato per tre anni in fusti”.

André Louis Simon

Un’altra citazione dei vini di Venegazzù la troviamo nella Guida ai Vini d’Italia, edita nel 1980 da Mondadori a cura di Lamberto Paronetto, il vino si trova nella categoria Vini da tavola con Indicazione Geografica così descritto: Venegazzù Rosso - Cabernet sauvignon, Cabernet Franc, Malbec e Merlot. 

L’azienda e il vino 

L’azienda Loredan Gasparini dal 1973 è di proprietà di Giancarlo Palla. Il vino più famoso che vi si produce è il “Capo di Stato” Doc Montello-Colli Asolani Venegazzù Superiore. Il singolare nome parrebbe derivare dal fatto che il vino sia stato molto apprezzato da De Gaulle –credendolo un vino di Bordeaux- che lo aveva assaggiato all’Hotel Gritti, a Venezia. L’allora produttore, Piero Loredan, fece quindi appositamente realizzare due etichette dal pittore Tono Zancarano riportanti le frasi “des roses pour madame” e “…et pour Monsieur la Bombe” ed inviò le due bottiglie a De Gaulle e signora. Così nacque il Capo di Stato.Ora però stiamo parlando di un altro vino, meno famoso del Capo di Stato, ma non per questo meno interessante, si tratta del “Della Casa”. Solitamente s’intende per Vino della Casa quel vino che viene solitamente proposto sfuso in alcune trattorie, dalla qualità a volte improbabile e del quale ben poco si sa. 


Non è certo il caso di questo Montello-Colli Asolani Venegazzù “Della Casa” 2016, vino storico dell’azienda Loredan Gasparini, prodotto sin dagli anni ‘50 da una selezione delle migliori uve di Cabernet sauvignon, Merlot, Cabernet Franc e Malbec dei vigneti aziendali. 
La sua attuale composizione prevede 70% Cabernet Sauvignon, 15% Merlot, 10% Cabernet Franc e 5% Malbec, la fermentazione si svolge in vasche d’acciaio e l’affinamento in botti di grandi dimensioni per 36 mesi ai quali ne seguono ulteriori 10 di sosta in bottiglia. 


Il colore è granato compatto, di buona intensità. Intenso al naso, balsamico ed elegante, dove un bel frutto rosso che rimanda alla ciliegia ed ai mirtilli è venato da note vegetali di sedano e peperone. Molto fresco alla bocca, succoso, con spiccata vena acida, il frutto rosso è nuovamente pervaso da piacevoli note vegetali, con trama tannica che ricorda a tratti la pellicina di castagne, lungo ed elegante il suo fin di bocca. 


Un vino che esprime appieno l’assoluta particolarità e specificità dei cosiddetti “bordolesi veneti”, sempre caratterizzati da quella vena vegetale che se ben gestita li rende complessi ed eleganti.

Montenero - Montecucco Sangiovese DOCG 2016

Ho conosciuto Stefano Brunetto, di origine venete, a Montalcino quando con alcuni soci aveva preso in gestione una delle aziende più importanti di Montalcino: Le Macioche. Per vari motivi, terminata quella esperienza, Stefano non ha lasciato la sua amata Toscana, la sua seconda casa, e ha cercato di portare avanti il suo sogno di poter gestire una sua azienda agricola rispettando i canoni della tradizione e della sostenibilità ambientale. 


Per perseguire i suoi obiettivi Stefano si è spostato solo di qualche chilometro a sud di Montalcino e ha trovato la sua seconda casa a Montenero d'Orciadove ha acquistato un bellissimo podere chiamato Montenero Winery. Come scrive lui stesso sul sito web aziendale, l'azienda 
è la realizzazione di un sogno: quello di fare vino secondo il suo sentire ovvero lavorare esclusivamente in regime biologico, seguendo le fasi lunari e facendo tesoro di tecniche antiche come il sovescio. 


I vigneti di Montenero crescono nella denominazione
Montecucco, ai piedi dell’Amiata, un vulcano inattivo, che grazie a questa sua natura concede un terreno calcareo, galestroso e ricco di scheletro. All'interno di questo areale, spesso sottovalutato anche dalle stessa stampa di settore, Stefano coltiva sangiovese, il vitigno principe della denominazione, ciliegiolo e merlot con l'intento, grazie alla produzione di soli vini monovarietali, di riportare all'interno della bottiglia le caratteristiche uniche di ciascun vitigno in relazione al territorio di origine.


Ultimamente ho avuto la fortuna di degustare il 
Montecucco Sangiovese DOCG 2016, prodotto in circa 10 mila bottiglie, proveniente da viti coltivate a circa 400 metri s.l.m. su terreni di prevalentemente calcarei. 
Il vino, per alcuni aspetti, è piacevolmente spiazzante già dal colore, un rosso rubino scarico, di grande eleganza, caratteristica questa che viene ribadita prepotentemente anche all'olfattiva dove il vino, affatto gridato nell'intensità, sviluppa aromi di violetta, muschio, felce ed una letterale macedonia di piccoli frutti rossi di bosco. Il tutto incorniciato da una sensazione di cenere che richiama l'Amiata e le sue terre vulcaniche. 


Una vera delizia, così come lo è la bocca, elegante, setosa, coinvolgente e perfettamente in equilibrio. Coerente e succosissima la persistenza sapida del vino con ritorni di viola mammola e ribes. 
Un vino davvero che sento di consigliarvi se lo trovate!

Nota tecnica: il vino fa 18 mesi di affinamento in botte grande e altri 6 mesi di bottiglia prima della commercializzazione.