Terraforte 2011 Castello di Lispida - Il VINerdì di Garantito IGP

di Stefano Tesi


Nulla ne sapevo e quando a sorpresa me l’hanno servito in un locale dove mi sarei aspettato tutt’altro, ho trasecolato: made in Monselice(PD), “naturale” del gruppo Viniveri, sangiovese e merlot, colore bello scarico,naso penetrante, frutto gentile e fragrante,bocca croccante. In azienda a 12 euro. Comprare!




La baguette? Una francesina a Roma - Garantito IGP


Lasciate ogni speranza o voi che, avvezzi a certe sedicenti baguette da autogrill, entrate a Le Carré Français di Vittoria Colonna a Roma, fra il Tevere e piazza Cavour, quartiere Prati. Perché è solo qui che in Italia si trova, almeno a modesta conoscenza di chi scrive, la baguette come la fanno le migliori boulangerie di Parigi. E cioè con la stessa tecnica, gli stessi protocolli, la stessa farina, gli stessi segreti e la stessa durata di uno dei prodotti-simbolo della panetteria d’Oltralpe.
Eh sì perché – lo ammetto, non lo sapevo! – la vera baguette è così fragrante che deve, anzi può necessariamente durare poco: quattro ore al massimo. Ed ecco quindi anche il reale motivo per il quale i nostri cugini la mangiano subito, già per strada, e se la fanno consegnare sporgente dal cartoccio o addirittura avvolta in un semplice fazzoletto. Prêt-à-manger insomma, se ci passate la parafrasi.


“E’ una cultura, volendo, diametralmente opposta alla nostra, in cui il pane si compra la mattina per tutto il giorno e deve mantenersi a lungo. Da loro, che in un certo senso sono più frivoli e più esteti, è invece il contrario: la baguette è un’arte, una cosa preziosa”, mi spiega agitando le mani infarinate il capo-fornaio Raffaele, che ha passato mesi nella capitale francese ad apprendere i segreti della materia prima di cimentarsi nei sotterranei del locale romano, dove dalle 4 di notte alle 13 del giorno sforna almeno quattro “generazioni” di baguette (praticamente 700 al giorno) per rifornire il bistrot soprastante. Mentre nel sotterraneo di fianco i pasticceri venuti direttamente dalla Francia producono a ciclo continuo e in modo strettamente artigianale dolci e pasticcini.

“I trucchi per produrre una baguette degna di questo nome sono infiniti – aggiunge – e vanno dalla materia prima ai tempi e ai modi della lavorazione, dalla lentezza e dai ritmi dell’autolisi a quelli di riposo dell’impasto. Anche se, alla fine, la vera differenza la fa l’abilità del fornaio, che deve imporre un taglio fatto con il rasoio a mano libera sul pane prima di infornarlo: lunghezza standard, profondità standard, intervallo standard. Senza sbagliare di un millimetro. Un colpo di bisturi che richiede anni di esperienza: da esso dipende l’uscita e la durata della giusta quantità di azoto dall’impasto e, quindi, la qualità finale del prodotto”, spiega. “La mia baguette? E’ quasi uguale a quella del mio maestro. Le uniche differenze sono un calibro ancora non corrispondente al centesimo con il protocollo stabilito per i concorsi e una lucentezza della crosta appena inferiore al dovuto. Ma questo dipende dalla composizione molto calcarea dell’acqua romana, non da me”, conclude.

Lievito fresco per baguette

Dalla prova d’assaggio, che alla fine almeno per noi italiani è quella che conta, il prodotto esce a testa altissima: gran profumo, croccantezza perfetta senza dispersione alcuna di crosta, fragranza oronasale che in bocca si riverbera in una sapidità, una consistenza e una alveolatura cedevole a cui è oggettivamente difficile resistere. Se poi ci si spalma il burro sopra (francese, ça va sans dire), il peccato mortale di gola è compiuto.
Per guadagnarsi definitivamente l’inferno morale, ma il godimento terreno, basta poi salire le scale ed esplorare per intero Le Carré Français.

Le Carré Français, baguette in attesa di taglio
Le Carré Français, taglio della baguette
Le Carré Français, baguette con taglio

Che non è certo una semplice panetteria né una pasticceria specializzata in prodotti transalpini, ma un interessante format commerciale costruito intorno alla gastronomia francese e ideato da Jill Mahè, ex editore bretone messosi a capo di una cordata di artigiani del cibo suoi connazionali: i panettieri Michel Galloyer (fondatore de Le Grenier à Pain, con 29 boulangerie in tutta la Francia) e Jean-Noël Julien (per tre volte primo classificato, guarda caso, al concorso per la migliore baguette di Parigi), l’allevatore e macellaio Alexandre Polmard (fornitore di ristoranti stellati e titolare di un processo d’ibernazione delle carni che le rende quasi prive di data di scadenza), l’esperto di vini e champagne Axel Rondouin e il mugnaio Alexandre Viron del Moulin Lecomte (un mulino ad acqua nell’Eure), creatore della farina senza additivi Rétrodor, pensata ad hoc per la baguette). Formaggi (fromagerie Beillevaire) a cura di Michel Fouchereau, salsamenteria affidata ad Anne-Marie Guillard. Insomma una squadra agguerrita.

Michel Galloyer
Il locale è suddiviso in negozio, laboratorio, cucina e salone d’esposizione: “Un concept totalmente inedito”, sottolinea Mahé, parlantina facile e sahariana da esploratore, “con personale francese chiamato in ogni reparto per addestrare i colleghi italiani, in modo tale da creare coppie di pasticceri, di panettieri e chef di entrambe le nazionalità».


Dettaglio importantissimo che forse ho dimenticato di sottolineare sopra: Le Carré Français è anche bistrot, quindi un locale dove si mangia (interessante il brunch domenicale). Ovviamente propone solo specialità della cucina francese. E il menu è solo in italiano e in francese. “L’inglese da qui è rigorosamente bandito”, sorride Jill. “Ma solo in senso di lingua, è ovvio naturalmente.

Le Carré Français
Via vittoria Colonna 30, Roma
Tel 06/64760625
Aperto dalle 8 alle 24

Ricetta e processo di lavorazione della baguette francese

10 kg. Farina tradition
6,8 lt. Acqua a 3° (68% Acqua)
100 gr. Lievito fresco (1% Lievito fresco)
190 gr. Sale (1,9% Sale)

Autolisi (processo biologico) gira per 6 minuti a velocità 1. Riposa da un minimo di 30 minuti a 10 ore; ma dipende dalla stagione: in estate minimo 30 minuti; in inverno 10 ore. Impasto gira 10 minuti alla velocità 1. Riposa per 20 minuti in macchina, poi fa un giro alla velocità 1. Riposa altri 20 minuti, poi fa un giro alla velocità 1. Riposa altri 20 minuti, poi fa un giro alla velocità 1. In totale riposa 1 ora e ogni 20 minuti fa un giro alla velocità 1: in totale quindi 3 giri alla velocità 1. Mastelli da 8 kg. Rimangono in frigo coperti per un giorno. Toglierli dal frigo e portarli alla temperatura ambiente, spezzatrice e riposo per 30 minuti, filonatrice. Le baguette riposano altri 20 minuti. Incidere le baguette con il famoso taglio del rasoio (con una lametta). La cottura a 260° costante, valvole chiuse, vapore, poi start per circa 19 minuti.


Il Sabrage ovvero come sciabolare uno Champagne cercando di evitare figure di merda!

La tradizione di aprire una bottiglia di Champagne o di Spumante con un colpo di sciabola (in francese sabre) è molto antica, risale a quando gli ufficiali della Guardia Reale francese festeggiavano le vittorie o la loro promozione aprendo le bottiglie di champagne con un colpo netto. La sciabola sfilata dal fodero, scivolava dolcemente sul collo della bottiglia (dalla parte della costa, non della lama) e liberava il tappo con il vetro che lo attornia.

Questo tipo di apertura è spettacolare e molto gradevole da vedere e può essere eseguita solo con bottiglie contenente spumanti, perchè é grazie alla pressione che questi vini esercitano all'interno della bottiglia che il vetro del collo si allontana facilmente dal tappo.
Per perpetuare questa tradizione è stata creata da Jean Claude Jalloux, un ristoratore francese, la confraternita detta du sabre d'or .

Cercando sul web ho trovato questo tre video che fanno capire come sciabolare o meno una bottiglia di Metodo Classico. Da vedere il terzo video per...l'epic fail!




Fonte: D'Araprì e Youtube

Trentodoc Abate Nero Brut - Il VINerdì di Garantito IGP

Di Luciano Pignataro

Ci sono vini che ti porti dietro da decenni, cambia il gusto, cambiano le mode, ma loro restano importanti. Come questo semplice ma efficace Brut Abate Nero, fresco e sapido come da oltre trent’anni a questa parte, ricordo di affetti, di amicizie, di viaggi lontani. Per ricordare i sogni non realizzati e festeggiare quelli divenuti realtà.




Cà del Re a Verduno: un classico della cucina di Langa - Garantito IGP

di Luciano Pignataro

Il successo turistico delle Langhe ha rilanciato questo piccolo paese che ha poco più di 500 residenti, che noi amiamo non solo per il Barolo, ma anche per il Verduno Pelaverga, un rosso fresco e bevibile.


Cà del Re è un’altra alternativa che offre il Castello di Verduno: piccolo agriturismo con cinque camere con una accogliente trattoria affrescata da Berruti. I Giovani Igp sono finiti qui la prima sera del loro mitico tour langhetto ed è stato davvero un buon inizio.
Il bello di questa locanda è l’atmosfera che si respira, ai tavoli non ci sono solo turisti ma anche frequentatori abituali, ed è questo sempre un segnale positivo quando per capire come gira un locale.


Bella carta dei vini con la quale ci si può divertire a prezzi giusti. E via con gli antipasti classici di Langa.
A parte i tomini, i piatti sono tutti decisamente centrati e in equilibrio. Buonissima, ad esempio, la lingua.

Si procede secondo uno schema collaudato e goloso: antipasti, un primo di pasta fresca con ottimo sugo. Ottima anche la carne, noi abbiamo optato per la quaglia e la chiusura con i formaggi.


Il conto alla fine è di circa 35 euro, vini esclusi ed è un ottimo rapporto tra qualità e prezzo.
I Giovani IGP non amano molto il dolce:-)

Cà del Re
Via Umberto I 14, 12060 Verduno (CN)
Tel. +39 0172 470 281
www.castellodiverduno.com 


I venti anni di Luce della Vite festeggiati al Pagliaccio di Roma

La storia di Luce inizia con un incontro, quello tra Vittorio Frescobaldi e Robert Mondavi che agli inizi degli anni '90, complice la loro amicizia, decisero di dare vita ad una collaborazione inedita tra due grandi famiglie del vino mondiali. Lo scopo? Semplice, quella di produrre a Montalcino un vino unico, espressione di due mondi e di due culture, a base di sangiovese e merlot (il cui rapporto all'interno del vino cambia in base all'annata e alla qualità delle uve) a cui venne dato il nome di Luce: fu proprio Margareth Mondavi a ideare questo nome, in omaggio ad una giornata in cui un raggio di luce illuminava Montalcino dopo un forte temporale, ma soprattutto in omaggio al fiorire di una nuova vita.

A fianco di Vittorio e Robert, furono coinvolti anche i rispettivi figli Lamberto e Tim, allora giovani enologi, entusiasti di far parte di questo progetto condiviso (dal vigneto fino alle pratiche di cantina) che portò alla produzione della prima annata di Luce nel 1993 suscitando, ovviamente, grande interesse e curiosità tra addetti ai lavori e semplici wine lovers.

Tim Mondavi e Lamberto Frescobaldi. Fodo: Decanter.com

Dalla vendemmia 2004, con la fine della partnership con Mondavi, è Lamberto Frescobaldi a seguire personalmente il progetto e oggi la Tenuta Luce della Vite è una realtà più che consolidata a Montalcino estendendosi per 192 ettari di terreno di cui 77 vitati. I vigneti sono stati piantati tra il 1977 e il 2007 con una densità media di 6.150 ceppi per ettaro. 

Le vigne. Foto:www.vinitalyclub.com
La cantina. Foto:http://www.wine.com/

Il sangiovese, in particolare, è stato piantato nella fascia superiore della collina in quanto i terreni, ricchi di galestro, ben drenati e poveri di sostanze organiche, sono particolarmente favorevoli a questa tipologia di uva mentre il merlot è piantato nelle zone più basse che presentano un substrato più adatto essendo ricco di argilla.

Luce è il vino top della Tenuta che produce altri prodotti come Lucente, il secondo vino frutto sempre di una selezione di sangiovese e merlot, e Luce Brunello di Montalcino, il vino della tradizione, il cui sangiovese proviene da 5 ettari di vigneto.


Pochi giorni fa l'azienda ha voluto festeggiare le venti vendemmie di Luce con un evento presso Il Pagliaccio di Roma (due stelle Michelin) dove ha presentato l'etichetta del ventennale firmata sia da Lamberto Frescobaldi che da Tim Mondavi a suggello di un rapporto di stima e amicizia che dura incondizionatamente da due decenni.


Durante il pranzo, i cui piatti sono stati abilmente descritti da Giulia in Scatti di Gusto, Tiziana Frescobaldi e Sergio Di Loreto (Responsabile vendite Italia Alta Gamma presso Marchesi de Frescobaldi) hanno proposto anche una mini verticale del Luce iniziando, ovviamente, dalla 2012 che rappresenta l'ultima annata in commercio.


L'annata, dopo le abbondanti piogge primaverili, si è caratterizzata per un clima estivo particolarmente favorevole anche grazie alle escursione termiche tra giorno e notte che hanno favorito lo sviluppo armonioso degli aromi e la concentrazione delle uve, 
Il Luce 2012 è ricco e profondo ed esprime tutta la sua gioventù attraverso forti richiami di frutta di bosco, amarena, mirto e spezie nere. Al sorso è di compatta struttura con una morbidezza già evidente grazie ad un vellutato tannino. Finale persistente su soffi di spezie orientali e bacche.


Il Luce 2006, da jeroboam, proviene da una bellissima annata dove il clima temperato primaverile, le leggere piogge estive e le giornate fresche ed asciutte di ottobre hanno dato vita durante la vendemmia ad uve sane e di grande livello qualitativo.
Rispetto alla precedente annata, questo Luce si caratterizza per una maggiore complessità olfattiva: accanto alle sensazioni di prugna, amarena in confettura e gelso cominciano a delinearsi coinvolgenti profumi di pepe nero, macis, tabacco, cioccolato, mallo di noce, rabarbaro e erbe aromatiche. Al sorso è corposo ma al tempo stesso carezzevole e sensuale e la bella spalla acida e il patrimonio tannico di qualità  ne assicurano una longevità da primo della classe.




Il Luce 2001, sempre in formato jeroboam, deriva da un millesimo iniziato non benissimo grazie ad una gelata primaverile che danneggiando i germogli ha ridotto notevolmente il raccolto il quale, grazie ad una estate particolarmente assolata, alla fine non ha subito ulteriori problemi generando poca uva ma di ottima qualità.
Rispetto alla 2006 ritrovo nel Luce 2001 una maggiore carica minerale e floreale che mette in secondo piano la vena fruttata e speziata del vino. Al gusto è  il solito archetipo di eleganza e morbidezza a tutto tondo. Finale succoso e durevole su note di incenso.


In ultimo, col dolce, abbiamo degustato il Vinsanto 2007 di Castello di Pomino, una chiusura tradizionale e raffinata degna di un grande pranzo orchestrato magistralmente da Anthony Genovese che in sala può vantare uno staff di assoluto livello composto da Matteo Zappile (chef sommelier), Valentina Dellepiane (assistente sommelier), Gianni Trani (chef de rang) e Gennaro Buono (restaurant manager).


Alla prossima e...grazie Tiziana Frescobaldi e Sergio Di Loreto per il graditissimo invito!

Recioto della Valpolicella Classico Recioto del Rosario 2008 - Contràmalini

Di Carlo Macchi

Sera tardi, termine visita in cantina: "Ora vi faccio assaggiare il Recioto".

La stanchezza e un po' la fretta mi fanno dire "Non importa, non sono appassionato di vini dolci".


Importava eccome! Un recioto sontuoso: naso esplosivo, bocca dolce ma equilibrata, lunghissima e concentrata: veramente grande.

Non amo i vini dolci e quindi ne ho comprate solo 6 bottiglie.


www.contramalini.it

Trattoria Caprini: vale il viaggio, nebbia e tornanti compresi - Garantito IGP

Di Carlo Macchi

Mangiare bene di lunedì in Valpolicella non è facile: quasi tutti i locali buoni (anche quelli meno buoni) sono chiusi per turno.
Ma ho scritto "quasi" e nel quasi si trova per fortuna l'eccezione, la Trattoria Caprini a Torbe.
C'ero già stato un anno fa e mi ricordo che mentre salivo a Torbe mi chiedevo se tutti quei tornanti sarebbero stati ripagati da una bella cena: venni ripagato abbondantemente e pensai che, quando fossi tornato in zona, anche tutti i tornanti dello Stelvio non sarebbero riusciti a tenermi lontano da questa Trattoria Storica con la T e S maiuscola.
Infatti non solo di trattoria, quindi di cucina familiare veneta si parla, ma di una tradizione di quasi un secolo, passata attraverso quattro generazioni di Bonaldi.


Oggi il ristorante è gestito dai figli della mitica signora Pierina: Davide in cucina, Nicola specializzato nel fare la sfoglia e Sergio che cura sala e cantina.
Ma anche se mitizzata, la signora Pierina è viva e vegeta, sopraintende alla cucina e soprattutto alla sfoglia, perché dovete sapere che uno dei piatti forti del locale è la "cofana" di lasagnette della Pierina, tagliatelle un po' più larghe del normale, finissime, di solito accompagnate con ragù di carne o, in stagione autunnale, sugo ai funghi. 

Ma torniamo a me che sto salendo i tornanti che portano a Torbe assieme alla nebbia che si infittisce di fronte alla porta del locale. Entro pensando che non solo tutti i tornanti dello Stelvio ma anche tutta la nebbia della Val Padana non sarebbe riuscita a tenermi lontano da qui.
Il locale è una vera trattoria: sale ampie e spaziose con sedie robuste e apparecchiatura corretta ma essenziale. C'è anche una saletta con caminetto, ma forse Caprini va vissuto solo e soltanto nella grande sala principale, che nel tempo ha visto passare migliaia di avventori soddisfatti.
Per iniziare ad essere soddisfatto anch'io ordino la carne cruda di puledro, scandalizzando chi è con me, anche se una volta assaggiata non può non dire che è morbidissima e saporitissima. C'è chi ordina invece la Polenta Brustolà (abbrustolita) con salumi locali e giardiniera e anche qui siamo nella concretezza estremamente saporita. 


Dopo qualche altro calice ( sì, che c'è di male????) mi metto a girare un po' per il locale a fare delle foto, in particolare a quello che io definisco “il polittico della pasta”, cioè una grandissima cornice appesa al muro, al cui interno ci sono i vari attrezzi usati per fare, tirare, tagliare la sfoglia.
Da vedere anche la cantina, una vera e propria fucina di bottiglia locali, dalle più semplici alle più importanti, da quelle recenti alle vecchissime. Li dentro si corre veramente il rischio di farsi del bene!


Naturalmente la carte dei vini è incentrata sui vini della Valpolicella e del Veneto in generale, con prezzi veramente molto interessanti. A proposito di prezzi: per la cena, vino escluso, abbiamo speso circa 30 euro a testa.
Sarà perché la tiriamo in lungo ma quando usciamo la nebbia si è rotta le tasche di aspettarci e la discesa a valle è tranquilla e beata. Caprini aspettami, nebbia o non nebbia tornerò sicuramente!

Trattoria Caprini
Via Zanotti 9, loc. Torbe, Negrar di Valpolicella, (VR)
Tel: 045 7500511
mail: info@trattoriacaprini.it
sito web: www.trattoriacaprini.it
Giorno di chiusura: mercoledì