L'Emilia Romagna secondo Slow Wine 2018

Una media annua di quasi 9 milioni di ettolitri di vino prodotti da oltre 22.000 aziende viticole (dati Coldiretti): sono questi i numeri di una regione decisamente “generosa”, che ci piace pensare suddivisa in quattro aree vitivinicole: i colli piacentini, le terre dei Lambruschi, i colli bolognesi e la Romagna. Ogni zona è caratterizzata dalla prevalenza di vitigni autoctoni diversi, che danno origine a differenti tipologie di vino.

L’ingente produzione di vini frizzanti è un’antica tradizione emiliana, nata probabilmente per compensare una cucina consistente e grassa. Il dato che ci pare interessante rilevare riguarda il costante aumento di produttori che abbandonano la presa di spuma in autoclave (metodo Charmat) per privilegiare la rifermentazione in bottiglia, metodo artigianale del passato: questa tendenza ha portato a un progressivo incremento di vini con un buon timbro territoriale, molto differenziati tra loro a seconda della zona di produzione.
Sui colli piacentini annotiamo con piacere la comparsa di tanti buoni Gutturnio, freschi e croccanti, che rendono piacevolissima la beva, accompagnati da straordinarie interpretazioni della Malvasia di Candia, ritrovabili anche nelle vicine provincie di Parma e Reggio Emilia.
Il Lambrusco si fa chiamare non solo indistintamente per nome ma sempre più spesso obbligatoriamente associando il cognome, facendo conoscere al plurale la sua vera identità: il (Lambrusco di) Sorbara, il Salamino, il Grasparossa, il Maestri… Dopo la decisiva affermazione, iniziata più di 10 anni fa, delle grandi cantine private, oggi sono sempre di più i piccoli produttori a stupire, mostrandosi capaci di compiere vinificazioni meno legate ad abitudini o personalismi ma rispecchiando alti canoni qualitativi.
La Romagna persegue con sempre maggiore determinazione la valorizzazione delle specificità delle singole sottozone del Sangiovese: la drastica riduzione delle concentrazioni e degli eccessivi affinamenti in barrique ci riporta finalmente sulle tavole dei Romagna Sangiovese – Superiori o Riserve – da bere e non da contemplare, ricchi di piacevolezza e di quella schietta immediatezza che rispecchia il carattere dei romagnoli.
Dopo 31 anni dall’istituzione della Docg Albana di Romagna – primo vino bianco in Italia ad avvalersene – la Romagna ha finalmente smesso di mascherare le singolari caratteristiche del vitigno, anche grazie a tecniche inusuali di vinificazione (macerazione con le bucce, vinificazioni in anfore di terracotta, ecc.): è cresciuto così imperiosamente, di anno in anno, il numero di vini veramente buoni che ricevono i nostri riconoscimenti.
Il prossimo passo che stanno affrontando alcuni (per la verità ancora pochi) viticoltori è il processo di definizione del Trebbiano di Romagna, lavorando in maniera intelligente su un vitigno mai realmente preso in considerazione se non per le enormi produzioni di uva.
Infine un aspetto molto importante, che ci teniamo a sottolineare, e che caratterizza l’intera regione concerne la crescente attenzione all’ambiente, alla conservazione del suolo e al rispetto dell’equilibrio delle piante in vigna. La progressiva diminuzione dell’uso di prodotti sistemici e di diserbanti e l’adozione del regime di agricoltura biologica e biodinamica, pratiche assai diffuse tra i piccoli produttori ma non solo, sono la cifra di percorsi consapevoli e virtuosi verso la sostenibilità ambientale, come testimonia la nuova Chiocciola nel Reggiano conferita a Denny Bini, piccolo produttore dotato di talento, sensibilità e coraggio.

VINO SLOW
Bersot 1933 2015, Gradizzolo – Ognibene
Il Mio Ribelle 2016, Camillo Donati
Lambrusco di Sorbara Radice 2016, Gianfranco Paltrinieri
Lambrusco Fontana dei Boschi 2016, Vittorio Graziano
Malvasia Frizzante Emiliana 2016, Lusenti
Malvasia Levante 90 2016, Denny Bini – Podere Cipolla
MonteRè 2014, Vigne dei Boschi
Pignoletto Frizzante Sui Lieviti 2015, Orsi – Vigneto San Vito
Romagna Albana Fiorile 2016, Fondo San Giuseppe
Romagna Albana Vigna Rocca 2016, Tre Monti
Romagna Sangiovese Longiano Sup. Primo Segno 2015, Villa Venti
Romagna Sangiovese Modigliana I Probi di Papiano Ris. 2014, Villa Papiano
Romagna Sangiovese Sup. Carbognano 2016, Tenuta Carbognano
SabbiaGialla 2016, Cantina San Biagio Vecchio
Sangiovese di Romagna Le Iadi Ris. 2013, Paolo Francesconi

GRANDE VINO
C.P. Vin Santo di Vigoleno  2007, Lusignani
L’Alba e la Pietra 2012, Il Poggiarello
Lambrusco di Modena M. Cl. Rosé 2013, Cantina della Volta
Romagna Albana Codronchio 2015, Fattoria Monticino Rosso
Romagna Sangiovese Bertinoro Ombroso Ris. 2013, Giovanna Madonia

VINO QUOTIDIANO
Gutturnio Frizzante 2016, Marengoni
Gutturnio Frizzante Il Garitto 2016, Casa Benna
Gutturnio Frizzante Rì More 2016, Baraccone
Gutturnio Frizzante Terrafiaba 2016, La Tosa
Gutturnio Sup. Otto 2015, Gualdora
Lambrusco di Sorbara Etichetta Bianca 2016, Zucchi
Lambrusco di Sorbara Falistra 2016, Podere Il Saliceto
Lambrusco di Sorbara Selezione 2016, Francesco Vezzelli
Lambrusco di Sorbara Vecchia Modena Premium M.H. 2016, Cleto Chiarli
Lambrusco Grasparossa di Castelvetro Canova 2016, Fattoria Moretto
Lambrusco Rosso Viola 2016, Luciano Saetti
Lubigo 2015, Croci Tenuta Vitivinicola
Moscato Dolce 2016, Lamoretti
Reggiano Rosso Pozzoferrato 2016, Storchi
Romagna Sangiovese Predappio Ravaldo 2015, Stefano Berti
Romagna Sangiovese Sup. 2015, Marta Valpiani
Romagna Sangiovese Sup. Colombarone 2015, Tenuta La Viola
Znèstra 2016, Crocizia

Château de Fieuzal - Pessac-Léognan 2012 è il Vino della settimana di Garantito IGP

Di Angelo Peretti

Mi piacciono i Bordeaux e in genere li preferisco con un bel po’ di anni sulle spalle. Però non ho saputo resistere a questo Pessac-Léognan del 2012 di cui avevo letto che non ha pienezze esagerate. 


Il frutto – il cabernet sauvignon si avverte – è davvero nitido, avvincente. Bel vino. Peccato costi un po’, sui 35 euro.

La Campania secondo Slow Wine 2018

Ormai non ci sono più dubbi, è la Falanghina la locomotiva del vino campano: 3000 ettari, di cui 2700 nel solo Sannio, hanno permesso di toccare e superare quota sei milioni di bottiglie che recano il riconoscimento della Doc. Un allungo confortato dai dati che danno ragione al “sistema Sannio”, l’unica zona che oltre a riorganizzare in maniera razionale le denominazioni è riuscita a dotarsi di un Consorzio in grado di incidere sui controlli e nelle scelte promozionali. Motivi politici, dunque, ma anche strutturali rispetto allo stile scelto dalla quasi totalità dei produttori campani, che hanno eliminato dolcezze e note esotiche concentrandosi su mineralità e la freschezza . E poi la Falanghina di oggi si beve perché è ben abbinabile alla cucina della regione. Un controtendenza marcata anche dal forte calo produttivo generale, che segna un meno 20% nell’annata 2016. In cinque anni la produzione è scesa da 1,8 a 1,3 milioni di ettolitri, e a soffrire sono soprattutto i rossi strutturati delle zone interne.
Al di là delle considerazioni economiche, il quadro è comunque decisamente confortante perché il Fiano di Avellino si presenta sempre in grande spolvero nelle degustazioni, toccando spesso le corde dell’emozione. Un patrimonio olfattivo che deve essere rafforzato da una saggia politica sui tempi di uscita e sui cru, anche perché ormai anche altre zone, il Cilento in particolare, hanno dimostrato di voler puntare su questo vitigno. Più definito e rappresentativo dell’Irpinia invece il Greco di Tufo, un grande bianco capace di mettere in riga molti rossi e che ha fornito un’ottima prova anche in questa annata..
Tra le tendenze in atto questa edizione sottolinea la continua crescita del Piedirosso dei Campi Flegrei e del Vesuvio, un vino antico e al tempo stesso moderno, anch’esso identitario, grazie all’impegno di una piccola pattuglia di produttori che hanno superato con precisione e pignoleria le difficoltà che pone la lavorazione di questo vitigno.

E, per restare alle tendenze ormai decisamente consolidate, non possiamo non sottolineare la grande crescita qualitativa della Costiera Amalfitana: anche in questo caso grazie al protagonismo spontaneo di un orgoglioso gruppo di aziende che non si accontenta di vendere sul facile mercato locale, puntando invece su una qualità figlia innanzitutto di un’agricoltura vera, eroica e, per quanto possa sembrare paradossale, figlia del freddo proprio come quella irpina.
Le caratteristiche della Campania sono al tempo stesso la forza e la debolezza di una viticoltura tutto sommato di nicchia, appollaiata sulla dorsale appenninica: frammentazione e piccole dimensioni aziendali, anche per le cantine considerate “grandi”, ampio patrimonio ampelografico e difesa ostinata della biodiversità in vigna. La viticoltura campana resta insomma un viaggio nel tempo, con espressioni uniche in grado di emozionare.


VINO SLOW
Campi Flegrei Falanghina 2016, Agnanum – Raffaele Moccia
Greco di Tufo 2016, Cantine di Marzo
Fiano di Avellino Ciro 906 2013, Ciro Picariello
Campi Flegrei Falanghina 2015, Contrada Salandra
Fiano di Avellino 2014, Guido Marsella
Phos 2015, I Cacciagalli
Taurasi Poliphemo 2013, Luigi Tecce
Cilento Fiano Kratos 2016, Maffini
Sabbie di Sopra il Bosco 2015, Nanni Copè
Fiano di Avellino 2015, Rocca del Principe
Tresinus Aureus 2015, San Giovanni
Costa d´Amalfi Tramonti Rosso 2015, Tenuta San Francesco

GRANDE VINO
Fiano di Avellino Pietracalda 2016, Feudi di San Gregorio
Costa d´Amalfi Furore Bianco 2016, Marisa Cuomo
Taurasi Radici Ris. 2011, Mastroberardino
Fiano di Avellino 2016, Pietracupa
Greco di Tufo Giallo D´Arles 2016, Quintodecimo

VINO QUOTIDIANO
Irpinia Aglianico Magis 2014, Antico Castello
Falanghina del Sannio Taburno 2016, Cantine Tora
Falanghina del Sannio Fois 2016, Cautiero
Sannio Coda di Volpe Jenn’èmois 2016, Fattoria Ciabrelli
Falanghina del Sannio Taburno 2016, Fontanavecchia
Costa d´Amalfi Tramonti Bianco 2016, Giuseppe Apicella
Greco di Tufo 2016, Petilia
Falanghina del Sannio Taburno 2016, Torre del Pagus
Falanghina del Sannio Taburno 2016, Torre Varano
Bacioilcielo Rosso 2016, Viticoltori De Conciliis



Alto Adige - Tre Bicchieri 2018 Gambero Rosso

Nel panorama viticolo italiano l'Alto Adige rappresenta una delle punte di diamante, una zona in cui il legame fra viticoltore, territorio e vitigno è espresso da una gamma di vini di altissimo livello che spazia dalla freschezza acida della Valle Isarco all'opulenza della piana di Bolzano, dal carattere dei Pinot Nero di Mazzon alla fragrante leggerezza del Lago di Caldaro. In un territorio così variegato operano realtà profondamente differenti tra loro, i viticoltori che vinificano le uve provenienti dai pochi ettari di proprietà, le grandi strutture cooperative, le storiche aziende della provincia che alla loro opera affiancano quella di piccole aziende che conferiscono le uve in cantina. Ciò che non cambia mai è però la cura con cui vengono gestiti i vigneti e l'attenzione posta a tutte le operazioni di cantina, volte alla produzione di vini che esprimono la luminosità di questo territorio.

Importanti conferme giungono dalle cooperative che, a seconda della zona in cui operano, producono alcuni dei vini più rappresentativi delle rispettive aree, i Lagrein della cantina di Bolzano e Muri Gries, il Sylvaner della cantina della Valle Isarco, i Gewürztraminer di Tramin e Cortaccia. In altre zone invece non esiste un unico vitigno a interpretare il territorio, ecco quindi che Pinot Bianco, Sauvignon o Chardonnay si ergono a emblema di una viticoltura di alto profilo. Importanti novità giungono da aziende che ottengono per la prima volta il massimo riconoscimento, come l'azienda di Peter Zemmer che sfodera una sontuosa Riserva di Pinot Grigio Giatl, che esprime potenza e armonia, o il grande impegno profuso dalla Cantina Kettmeir nella spumantistica che fiorisce con la prima Riserva di casa, l'Extra Brut 1919. Parlando invece di vendemmie segnaliamo come l'ultima sia stata di grande soddisfazione per la schiava, con numerosi vini giunti alle nostre finali e che vede ben tre vini premiati nelle zone di Santa Maddalena e Lago di Caldaro. La Valle Isarco è la consueta fucina di vini di grande carattere, cui fanno eco i grintosi e speziati Riesling della Val Venosta. Il vitigno più rappresentativo della regione rimane però il pinot bianco che, a dispetto dei soli tre vini premiati, ha espresso un po' in tutte le cantine carattere e una splendida aderenza all'andamento climatico delle annate, risultando un vino che ha nella profondità e nella finezza i suoi tratti distintivi.

I vini dell'Alto Adige premiati con Tre Bicchieri
A. A. Chardonnay Lafóa 2015 - Cantina Colterenzio
A. A. Gewürztraminer Auratus Crescendo 2016 - Tenuta Ritterhof
A. A. Gewürztraminer Brenntal Ris. 2015 - Cantina Cortaccia
A. A. Gewürztraminer Nussbaumer 2015 - Cantina Tramin
A. A. Lago di Caldaro Cl. Sup. Pfarrhof 2016 - Cantina di Caldaro
A. A. Lagrein Abtei Muri Ris. 2014 - Cantina Convento Muri Gries
A. A. Lagrein Staves Ris. 2014 - Tenuta Kornell
A. A. Lagrein Taber Ris. 2015 - Cantina Bolzano
A. A. Müller Thurgau Feldmarschall von Fenner 2015 - Tiefenbrunner
A. A. Pinot Bianco Sanct Valentin 2015 - Cantina Produttori San Michele Appiano
A. A. Pinot Bianco Sirmian 2016 - Cantina Nals Margreid
A. A. Pinot Bianco Tyrol 2015 - Cantina Meran
A. A. Pinot Grigio Giatl Ris. 2015 - Peter Zemmer
A. A. Pinot Nero Schweizer 2013 - Franz Haas
A. A. Pinot Nero Trattmann Mazon Ris. 2014 - Cantina Girlan
A. A. Santa Maddalena Cl. Antheos 2016 - Tenuta Waldgries
A. A. Santa Maddalena Cl. Rondell 2016 - Glögglhof - Franz Gojer
A. A. Sauvignon Renaissance 2014 - Gumphof - Markus Prackwieser
A. A. Spumante Extra Brut 1919 M. Cl. Ris. 2011 - Kettmeir
A. A. Terlano Sauvignon Quarz 2015 - Cantina Terlano
A. A. Val Venosta Riesling 2015 - Falkenstein Franz Pratzner
A. A. Val Venosta Riesling Windbichel 2015 - Tenuta Unterortl - Castel Juval
A. A. Valle Isarco Grüner Veltliner 2016 - Pacherhof - Andreas Huber
A. A. Valle Isarco Riesling Kaiton 2016 - Kuenhof - Peter Pliger
A. A. Valle Isarco Sylvaner 2016 - Köfererhof - Günther Kerschbaumer
A. A. Valle Isarco Sylvaner 2015 - Garlider - Christian Kerschbaumer
A. A. Valle Isarco Sylvaner Aristos 2016 - Cantina Produttori Valle Isarco


Quel Centesimo che fa pensare al terroir - Garantito IGP

Di Angelo Peretti

Certe volte mi domando se si tratti di suggestione. Può essere, ma anche no. Forse invece è davvero l’effetto di quella cosa che i francesi chiamano terroir e che è un insieme di vigna e di terra e di clima e soprattutto di umanità, di tradizioni, di storie delle comunità su un luogo particolare. Il terroir non è mica il territorio, è qualcosa di più ampio, quasi di filosofico.

Per esempio, non lo so se è perché mi trovavo in Emilia Romagna e nel ristorante c’erano le bottiglie del nocino, che da quelle parti è quasi una questione di religione, e bevevo un rosso romagnolo fatto con un’uva recuperata dall’oblio, però a ogni sorso, sul finale, mi pareva che quel vino che avevo nel bicchiere sapesse di nocino. Sapete quella sensazione che dà la pellicina della noce? Quel leggero allappare, ma anche quel pelo di pungenza che è tipico della pellicina della noce appena raccolta, ancora umida, e che ritrovi anche nel nocino? Ecco, a me sembrava ci fosse nel vino, e ho provato a concentrarmi su ogni sorso, e ogni sorso mi ridava lo stesso risultato, confermato.Certo, c’erano i frutti nettissimi, la melagrana succosa e il mirtillo anche e la prugna (e i petali di rosa appassiti). Però tornava il nocino, per me.Il vino in questione è il Centesimino (annata 2015) dell’azienda agricola Ancarani, che sta a Faenza, o meglio, in località Santa Lucia.

Claudio Ancarani

L’uva è detta proprio così, centesimino, anche se una volta da quelle parti la chiamavano savignôn rosso. Attenzione, savignôn, non sauvignon. Non c’entra niente né col sauvignon blanc, né col cabernet sauvignon. È una varietà autoctona, locale. Una delle tante disseminate nei vigneti italiani del passato e che poi hanno rischiato la scomparsa, soprattutto quand’è venuta la moda del vitigno internazionale, che sembrava la panacea di tutti i mali e invece s’è rivelata in molti casi un buco nell’acqua. A coltivarlo ancora, il centesimino, è appena una manciata di vignaioli, una decina in tutto. Meno male che ci sono. Patria d’elezione del centesimino è Oriolo dei Fichi, una contrada a 9 chilometri a sud-est di Faenza, dove cominciano le prime pendenze dell'Appennino romagnolo. Non che siano grandi rilievi, eh? Poco sopra il centinaio di metri di altitudine. Da lì vengono anche le uve del vino di Ancarani.


Sul sito dell’azienda leggo che, a quanto sembra, i vigneti di savignôn rosso messi a dimora nei pressi di Oriolo tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta (sembra ieri, ma dal punto di vista del vino italiano è una vita fa, se si pensa che lo stesso sistema delle doc ha dato i primi vagiti proprio in quel periodo), “derivassero da impianti precedenti – virgoletto la citazione -, a loro volta derivati da materiale preso dal podere Terbato, di proprietà del signor Pietro Pianori, detto Centesimino. Alcune fonti riportano che le marze utilizzate per allestire l’impianto del podere Terbato derivassero da una pianta presente in un giardino all’interno delle mura di Faenza”. Bella storia. Chissà se si riesce a documentarla, anche.
Claudio Ancarani e Rita Babini, che gestiscono l’azienda nella quale è nata la bottiglia che mi ha fatto pensare al terroir faentino, raccontano che fanno la tradizionale fermentazione integrale del mosto in presenza delle bucce per una durata due o tre settimane e dopo passano all’affinamento di un anno mesi in tini di cemento. “Rifiutate filtrazioni strette di illimpidimento. Rifiutato l’uso di barrique nuove o trucioli per la concia degli aromi” dichiarano.


Ne esce un vino robusto, che fa quattordici gradi e mezzo di alcol, eppure nemmeno te ne accorgi mentre lo bevi, e questa è una prerogativa dei bei vini. Semmai, ecco, l’avverti solo in un leggero stordimento quando ti stacchi dalla tavola, ma quello dipende da quanto nei hai bevuto. La questione è che questo vino si fa bere, eccome se si fa bere. Con notevolissimo piacere e magari anche un filo di quella fascinosa malinconia che a volte accompagna la tavola, tra una chiacchiera, un boccone e un sorso.

Ravenna Centesimino 2015 Ancarani (91/100)
Azienda agricola Ancarani - via San Biagio Antico, 14 - località Santa Lucia - Faenza (Ravenna) – tel. 0546 642162 - info@viniancarani

Tannico vi invita a provare i vini di Tenuta delle Terre Nere

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Sappiamo che i vini italiani da sempre sono rinomati in tutto il mondo per le loro peculiari caratteristiche. Ci sono però vini che, più di altri, assumono su di sé l'impronta tipica del territorio dove sono coltivate le uve.

I vini siciliani, ad esempio, hanno una personalità molto forte e spiccata, che parla della natura selvaggia e incontaminata di quest'isola che, grazie alle sue particolari condizioni climatiche, permette alla vite, non di rado a piede franco, di crescere in maniera rigogliosa donando alle uve, e di conseguenza al vino, sensazioni uniche ed inimitabili. In questo ambito, anche se di nicchia, stanno assumendo sempre più importanza agli occhi (e al palato) degli appassionati di vini siciliani i vini prodotti lungo le pendice dell’Etna.

Il terreno vulcanico si presenta ricco di sali minerali, specie fosforo, magnesio e potassio. Si tratta inoltre di un terreno sabbioso, leggero, particolarmente adatto a far crescere vitigni di altissima qualità, carichi degli odori e dei sapori della montagna. Tutti i vini dell’Etna possiedono un carattere minerale inconfondibile e sono capaci di accompagnarsi in modo egregio a tante preparazioni diverse e di soddisfare anche i palati più raffinati.

Su Tannico si può trovare una vasta selezione di vini provenienti dalle più svariate regioni italiane, Sicilia compresa, e all'interno della proposta offerta dallo shop on line c'è anche una sezione dedicata alla Tenuta Terre Nere, azienda vitivinicola che da trent'anni cerca di tenere alto il nome della viticoltura siciliana, riuscendoci in modo egregio. 

I vini, che si possono acquistare su Tannico in modo che possiate comodamente far arrivare le bottiglie a casa, assorbono in ogni loro goccia l'identità profonda delle pendici settentrionali dell'Etna, dove sono collocate le vigne dell’azienda. Questa zona è nota come "Borgogna del Mediterraneo" perché i vini rossi che si ricavano dalle uve nerello, autoctone in Sicilia, hanno più o meno le stesse caratteristiche di quelli provenienti dalla rinomata regione francese.


Senza ombra di dubbio l'etichetta di punta dell'azienda è l'Etna Rosso DOC, dal colore rosso rubino e dal sapore fresco, minerale e vigorosamente tannico. Al naso emana gli effluvi delle pendici dell'Etna, a tavola si accompagna in modo egregio con piatti di carne e di formaggi. Si tratta di un vino che molti definiscono aristocratico per la sua natura ricercata, ma che è alla portata di tutti. Acquista i vini italiani di Tannico e scoprirai di poterti permettere il meglio a prezzi davvero unici!

Nell'assortimento di Tannico non si trova solo l'Etna Rosso DOC della Tenuta delle Terre Nere, ma anche i vini bianchi e rosati che vengono prodotti da questa azienda. L'Etna Bianco ha avuto a sua volta il riconoscimento DOC (Denominazione di origine controllata) ed ha un profumo che ricorda i fiori di tiglio. Si sposa con carni bianche e piatti a base di pesce, ma visto il suo sapore sapido si accompagna bene con una grande varietà di cibi. 


Infine è doveroso citare anche l'Etna Rosato DOC, l'ultimo arrivato della Tenuta delle Terre Nere. Spesso il rosato viene considerato un vino amorfo, né rosso né bianco, ma da un assaggio di questo vino si capisce come invece sia frutto di una vinificazione molto particolare, capace di conferirgli la grazia e la leggerezza dei vini bianchi assieme al gusto e la personalità dei grandi rossi siciliani.


Tutto l'assortimento della Tenuta delle Terre Nere presente su Tannico racconta la storia della Sicilia, con i suoi profumi e le sue suggestioni: una storia che anche tu puoi far arrivare direttamente a casa tua grazie allo shop on line!


Slow Wine 2018 - Basilicata e Calabria

Sembra finalmente essersi fermato, con la vendemmia 2016, il calo continuo della produzione e di ettari vitati che in meno di dieci anni ha visto dimezzarsi la presenza vitivinicola in questa regione storicamente rossista. In effetti scendere sotto i 100.000 quintali di uva prodotta e i 130 ettari coltivati significherebbe relegare la viticoltura a un’attività marginale.
Viene in soccorso una naturale ristrutturazione delle aziende: le piccole che non hanno resistito alla crisi hanno ormai chiuso, mentre quelle che sono state capaci di interpretare meglio le tendenze attuali hanno adesso nuovi spazi in cui misurarsi. E non dobbiamo dimenticare la presenza di realtà come Feudi di San Gregorio, che continua a investire e credere in questo territorio, e Tommasi, che ha acquisito Paternoster. Infine non possiamo permetterci di trascurare la recente voglia di una decina di aziende del Vulture di fare sistema per promuovere il proprio territorio. Segnali, insomma, che possiamo far rientrare nel fermento che oggi investe Matera e Maratea.
Al netto di queste considerazioni generali, dobbiamo dire che da qualche vendemmia la maggior parte dei produttori di Aglianico ha abbandonato l’idea di mettere in bottiglia vini troppo materici, eccessivamente pesanti e dolci, puntando più sulla mineralità e la freschezza. Un indirizzo produttivo che mette il rosso del Vulture in necessaria cura dimagrante e lo rende al tempo stesso più longevo e abbinabile alla cucina locale. A nostro giudizio la Basilicata e il Vulture in particolare hanno carte straordinarie da giocare.
Nel materano si registra una certa effervescenza, e sicuramente si può giocare con il primitivo ottenendo ottimi risultati. Nel nord della regione le condizioni pedoclimatiche favorevoli, il fascino dei castelli federiciani, la bellezza dei luoghi e dei borghi sono una cornice favorevole allo sviluppo di un territorio laborioso e ricco di risorse umane. Lo stesso Aglianico, nelle sue migliori esecuzioni, si rivela un rosso di grande fascino, spesso emozionante, in ogni caso una bottiglia non omologata e che sottolinea l’importanza della biodiversità.
Un discorso a parte merita l’impegno per il vino bianco: resta per noi incomprensibile la presenza di uve internazionali che non hanno alcun rapporto con la storia della regione, incentrata sul fiano della vicina irpina, o sul moscato e la malvasia della vicina Puglia. Questi vini bianchi, per quanto possano essere ben eseguiti, non hanno una storia da raccontare in un mondo in cui sono coltivati praticamente ovunque. Un vero peccato, visto che le condizioni di suolo e di clima sono favorevoli anche aquesta tipologia, la cui assenza ha pesato negativamente sulla vitivinicoltura regionale in un momento di contrazione sul mercato dei rossi strutturati. Mentre altre regioni hanno potuto giocare sulla diversificazione dell’offerta, la Basilicata aveva solo l’Aglianico, e ciò sicuramente aiuta a spiegare il calo produttivo. Insomma, il futuro è da ricercare tutto in vini rossi gioiosi e più leggiadri, e in bianchi di marcata impronta territoriale.
VINO SLOW
Aglianico del Vulture 400 Some 2014, Carbone
Aglianico del Vulture Titolo 2015, Elena Fucci
Aglianico del Vulture Grifalco 2015, Grifalco
VINO QUOTIDIANO
L´Atto 2016, Cantine del Notaio
Maschitano Rosso 2015, Musto Carmelitano


CALABRIA
Lo diciamo subito: non è stata un’ottima annata per questa regione. Ma paradossalmente possiamo addirittura dirci contenti così. Non del fatto che non sia stata un’annata favorevole, ovviamente, ma del fatto che i vini subiscono ancora l’andamento delle stagioni e variano al variare delle condizioni climatiche. Significa che questi vini sono fortemente legati alla vigna, più che agli interventi di cantina. Con questo non stiamo dicendo che potete stracciare le pagine a seguire, anzi. Stiamo dicendo semmai che dovrete leggerle con più attenzion,e perché raccontano di produttori che combattono con le avversità più che a ogni altra latitudine, e non parliamo soltanto di avversità della natura.
Un’annata che ha tuttavia visto l’ingresso in guida di ben cinque nuove aziende, che rappresentano il 20% del totale. Segno che in Calabria vi è un fermento vitivinicolo come in poche altre regioni, una piccola e lenta rivoluzione enologica che noi stiamo cercando di intercettare con attenzione, dimostrandoci sempre più attenti ai piccoli produttori, a quelli che passano più tempo in vigna che in cantina, a quelli che si sporcano le mani, a quelli i cui vini sanno di terra e di fatica oltre che di cardamomo, muschio bianco, ribes e marasca.
Si riconfermano a ottimi livelli i cirotani 2.0, i Cirò boys e le Cirò girl, per intenderci. Ma c’è fermento anche nelle Terre di Cosenza dove tanti piccoli produttori si stanno affacciando sul mercato con l’intraprendenza e la passione di cui questa terra ha assoluto bisogno. E poi i soliti sparuti presìdi di resistenza nella valle del Savuto, sui terrazzamenti di Palizzi e sul promontorio del cosiddetto corno di Calabria, che si affaccia sulla Costa degli Dei.
Gaglioppo e magliocco su tutti, quindi. Ma anche la riscoperta e la valorizzazione di antichi vitigni autoctoni praticamente scomparsi, che qualche produttore si impegna a riportare in auge. I vini passiti, ovviamente, occupano a sempre un posto di assoluto rilievo nell’enologia calabrese, sia nella versione “lavorata” del Moscato al Governo di Saracena, sia nella versione “nature” del Greco di Bianco e del Mantonico.
Una cosa accomuna le realtà selezionate: l’attenzione volta non soltanto al prodotto ma anche al territorio e alla sostenibilità ambientale. E mentre la Calabria nell’estate 2017 è letteralmente bruciata per mano di qualche criminale senza scrupoli, i nostri vigneron sono impegnati a mantenere puliti i confini delle loro vigne. E lo fanno con le mani sporche di terra e il viso segnato dal sole cocente, perché hanno deciso di essere felici qui e ora, nonostante tutto, perché hanno deciso di rendere questa terra una terra migliore. Gli dobbiamo molto, tutti noi.
VINO SLOW
Cirò Rosso Cl. Sup. Ris. 2013, ‘A Vita
Moscato Passito al Governo di Saracena 2016, Luigi Viola
Cirò Rosso Cl. Sup. Aris 2014, Sergio Arcuri
Neostòs Bianco 2016, Spiriti Ebbri
VINO QUOTIDIANO
Cirò Rosso Cl. Sup. 2015, Cataldo Calabretta
Petelia 2016, Ceraudo
Cirò Bianco 2016, Cote di Franze
Cirò Rosso Cl. 2015, Librandi

Lombardia - Tre Bicchieri 2018 Gambero Rosso

La Lombardia nel vissuto comune viene percepita più come una regione industriale che agricola, e il ruolo di capitale economica del Paese che Milano rivendica non aiuta certo ad avvalorare altre visioni. Ma la Lombardia, con i suoi diversi terroir che spaziano dalla Pianura Padana alle Alpi, dal corso del Po ai grandi laghi di Garda e Iseo è anche una terra che ha una straordinaria vocazione a un'agricoltura - e soprattutto a una viticoltura - di qualità. Su questa si innesta una attitudine tipicamente lombarda a trasformare piccole attività di famiglia in fiorenti imprese economiche, che riescono a crescere negli anni, creando intorno a loro il tessuto connettivo che fa decollare il territorio. Questo accade anche nel settore del vino.
Il miglior esempio, in questo caso è, probabilmente, la Franciacorta, straordinaria terra da vino - anzi, pardon, da Franciacorta - che fino al 1961 non era presente sulle carte enologiche, mentre oggi è una denominazione di prima grandezza a livello italiano. E proprio dalla Franciacorta viene la pattuglia più rappresentativa tra i 23 vini premiati quest'anno, cifra record per il secondo anno consecutivo. Nove sono le cuvée di Franciacorta premiate, tra le quali segnaliamo un nuovo ingresso, quello della Lantieri de Paratico di Capriolo che ci ha proposto un eccellente Arcadia Brut '13, che si affianca ad aziende ormai consolidate.
Segue con otto vini premiati un altro distretto d'eccellenza, l'Oltrepò Pavese, altra grande terra di bollicine, soprattutto da pinot nero in questo caso. Due eccellenti Rosé, quelli di Monsupello e Calatroni, e altre cinque etichette dove le uve nere giocano un ruolo di protagonista, con la piacevole new entry di Bertè & Cordini, per finire con un altro debuttante, l'ottimo Pinot Nero Arfena di Andrea Picchioni.
Il terzo grande blocco dell'enologia lombarda è per importanza la Valtellina. Abbiamo assaggiato una serie di vini appassionanti e ne premiamo ben cinque. Completa l'elenco un altro classico da una denominazione di successo, il Lugana Molin '16 di Ca' Maiol, un vino di freschezza e di pulizia esemplari. Fin qui il palmarès, ma se scorrerete queste pagine troverete segnalati con i due bicchieri in rosso una serie di vini che vi sorprenderanno per intensità di profumi ed eleganza.

I vini della Lombardia premiati con Tre Bicchieri
Brut Rosé - Monsupello
Extra Brut Farfalla - Ballabio
Franciacorta  Nature '61 ’10 - Guido Berlucchi & C.
Franciacorta Brut ’12 - Lo Sparviere
Franciacorta Brut Arcadia ’13 - Lantieri de Paratico
Franciacorta Brut Museum Release ’07 - Ricci Curbastro
Franciacorta Brut Naturae ’13 - Barone Pizzini
Franciacorta Brut Satèn Soul ’11 - Contadi Castaldi
Franciacorta Dosage Zéro Vintage Collection ’12 - Ca' del Bosco
Franciacorta Pas Dosé 33 Ris. ’10 - Ferghettina
Franciacorta Pas Operé  ’10 - Bellavista
Lugana Molin’16 - Cà Maiol
OP Brut Pinot Nero 'More ’13 - Castello di Cigognola
OP Brut Top Zero - F.lli Giorgi
OP Dosage Zero Vergomberra ’12 - Bruno Verdi
OP Pinot Nero Brut M. Cl. Cuvée della Casa - Francesco Montagna - Bertè & Cordini
OP Pinot Nero Rosé M. Cl. NorEma ’13 - Calatroni
Pinot Nero Arfena’15 - Andrea Picchioni
Valtellina Sforzato Albareda’15 - Mamete Prevostini
Valtellina Sfursat Carlo Negri’15 - Nino Negri
Valtellina Sup. Dirupi Ris.’14 - Dirupi
Valtellina Sup. Sassella Ris.’13 - Aldo Rainoldi
Valtellina Sup. Sassella Rocce Rosse Ris. ’07 - Ar.Pe.Pe.

Slow Wine 2018 - Abruzzo e Molise

L’Abruzzo è un territorio ricco di  sfaccettature e in continua evoluzione. In mezzo alle grandi produzioni di colossi cooperativi e privati spiccano oggi numerose piccole realtà animate da vignaioli virtuosi, che ricercano vini  identitari e dotati di un registro espressivo peculiare, dimostrando come nuove vie, anche nella gestione di vigna e cantina, siano assolutamente percorribili.
La regione, al pari di altre, sta risentendo dei continui cambiamenti climatici che nelle aree interne, soprattutto a causa delle frequenti gelate primaverili, stanno compromettendo la produzione, mentre sulla costa stanno influenzando le pratiche agronomiche con vendemmie sempre più anticipate e il ritorno verso i vecchi sistemi di allevamento.
Nonostante ciò nelle degustazioni di quest’anno il montepulciano ha dimostrato tutto il suo valore, soprattutto se vinificato in maniera tradizionale, lasciando esprimere i suoi tratti distintivi. Ne siamo felici, anche in vista del cinquantesimo anniversario della Doc che cadrà nel 2018.
Ottimi segnali arrivano anche dalla Docg Colline Teramane, che, nonostante in alcuni casi risenta ancora di sovraestrazioni che ne condizionano la beva, anche con le recenti modifiche al disciplinare di produzione sembra orientarsi verso espressioni che esaltano il frutto e l’equilibrio. I rosati si confermano tra le tipologie più in forma negli ultimi anni: sarà che dal mercato arrivano segnali incoraggianti, sarà che i produttori sono sempre più convinti e attenti alla tipologia, ma i risultati ottenuti quest’anno sono davvero convincenti.
Trebbiano e pecorino (ai quali purtroppo stentano ad aggiungersi valide interpretazioni di passerina, cococciola e montonico) si attestano su ottimi livelli, evidenziando ancora una volta la  vocazione abruzzese per i vini bianchi. Una tendenza evidenziata anche dalla crescente produzione regionale di vini spumanti a base di uve autoctone, tra Metodo Classico e Charmat, con risultati interessanti.
Quanto al Molise, il quadro generale è positivo anche se restano alcuni limiti, legati in parte alla capacità dei produttori di fare rete. A cominciare dal vitigno tintilia, sul quale, considerando l’esiguo numero di interpreti e le potenzialità, si dovrebbe investire di più.
E ora le etichette segnalate con un riconoscimento in Slow Wine 2018.

VINO SLOW
Abruzzo Pecorino Giocheremo con i Fiori 2016, Torre dei Beati
Cerasuolo d’Abruzzo Sup. Le Cince 2016, De Fermo
Cerasuolo d’Abruzzo Piè delle Vigne 2015, Cataldi Madonna
Molise Tintilia Macchiarossa 2013, Claudio Cipressi Società Agricola
Montepulciano d’Abruzzo 2012, Praesidium
Montepulciano d’Abruzzo 2014, Emidio Pepe
Montepulciano d’Abruzzo Anfora 2016, Cirelli
Montepulciano d’Abruzzo Vigneto di Sant’Eusanio 2015, Valle Reale
Rosso Cancelli 2016, Rabasco
Trebbiano d’Abruzzo 2013, Valentini
Trebbiano d’Abruzzo in Petra 2016, Chiusa Grande

GRANDE VINO
Abruzzo Pecorino Colle Civetta 2015, Pasetti
Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane Colle Trà 2013, Strappelli
Montepulciano d’Abruzzo Ris. 2013, Sciarr – D’Alesio
Trebbiano d’Abruzzo di Mare 2016, Barba

VINO QUOTIDIANO
Cerasuolo d’Abruzzo 2016, Tiberio
Cerasuolo d’Abruzzo Le Vigne di Faraone 2016, Faraone
Molise Tintilia Beat 2016, Vinica
Montepulciano d’Abruzzo 2015, Fattoria La Valentina
Montepulciano d’Abruzzo Gianni Masciarelli 2015, Masciarelli
Montepulciano d’Abruzzo Ottobre Rosso 2016, Tenuta I Fauri
Montepulciano d’Abruzzo Riparosso 2016, Illuminati
Pecorino 2016, Cingiglia
Pecorino Cortalto 2016, Cerulli Irelli Spinozzi
Trebbiano d’Abruzzo 2016, Valori
Trebbiano d’Abruzzo San Felice 2016, Tenuta Torretta
Trebbiano d’Abruzzo Terraviva 2016, Tenuta Terraviva