Lombardia: i tre bicchieri 2017 del Gambero Rosso

Annata storica per la Lombardia, per il livello medio dei nostri assaggi e per il numero dei riconoscimento ricevuti, che arrivano a 23. Con questi risultati la regione si conferma una delle forze trainanti dell’enologia italiana. I suoi vini sono apprezzatissimi in Italia, ma siamo sicuri che dopo un anno di esposizione mediatica internazionale, grazie al successo di ExpoMilano 2015 anche l’export ne trarrà beneficio.

Sugli scudi la Franciacorta, che raccoglie ben 10 Tre Bicchieri. A oltre cinquant’anni dalla sua nascita si conferma come un distretto tutto centrato sulla sua vocazione, e le sue cuvée iniziano ormai a essere apprezzate in tutto il mondo. A una disamina dei vini premiati, 9 su 10 sono Extra Brut o Non Dosato, tipologie dove ormai i produttori franciacortini dirottano il fior fiore della loro produzione. I risultati sono affascinanti, dato che le uve di chardonnay e pinot nero delle migliori vigne della denominazione hanno davvero poco bisogno di ritocchi e liqueur per raggiungere l’eccellenza. Unico Brut un fascinoso Rosé, il Boké ’12 di Villa. Tra le aziende premiate spicca Bellavista.
Poco lontano l’Oltrepò procede spedito sulla strada della qualità, e si aggiudica ben sette premi. Per la prima volta è stata premiata una Bonarda, la Campo del Monte ’15 dei fratelli Agnes, un vino elegante e fragrante che racconta perfettamente un volto di questo sfaccettato territorio. Il resto dell’affresco è composto da ottimi spumanti, bianchi o Cruasé, a denominazione o meno poco importa, sempre incentrati sul pinot nero; sui terreni calcarei di queste colline quest’uva ha trovato (e non da ora) un habitat straordinario, prova ne sia il successo anche delle versioni in rosso, quest’anno testimoniato dal Tre Bicchieri al Bertone ’13 del Conte Vistarino.
Altra grande uva, altro grande terroir: nebbiolo (o chiavennasca) e Valtellina. 5 vini - 5 grandi rossi - si aggiudicano un premio, guidati dallo Sforzato 5 Stelle di Nino Negri, vero classico.
Chiude la rassegna dei vini premiati un bianco, lo straordinario Lugana Molin di Ca’ Maiol, al suo quarto alloro, a sottolineare l’importanza di questa denominazione condivisa con il Veneto.
Ma se queste sono le stelle vi ricordiamo che dalla Valcalepio al mantovano, dalla Valcamonica a Botticino la Lombardia del vino cammina spedita e ha sempre più da offrire.

Brut 2011 Monsupello
Brut Farfalla Villa Franciacorta Franciacorta Brut Rosé Boké 2012 Ballabio
Franciacorta Dosage Zéro Vintage Collection 2011 Ca' del Bosco
Franciacorta Extra Brut 2012 Ricci Curbastro
Franciacorta Extra Brut 2009 Lo Sparviere
Franciacorta Nature 61 2009 Guido Berlucchi & C.
Franciacorta Non Dosato Bagnadore Ris. 2009 Barone Pizzini
Franciacorta Pas Dosé 33 Ris. 2009 Ferghettina
Franciacorta Pas Dosé Girolamo Bosio Ris. 2009 Bosio
Franciacorta Pas Operé 2009 Bellavista
Franciacorta Zero 2012 Contadi Castaldi
Lugana Molin 2015 Cà Maiol
O.P. Brut 'More 2012 Castello di Cigognola
OP Bonarda Vivace Campo del Monte 2015 F.lli Agnes
OP Cruasé Oltrenero Giorgi OP Pinot Nero Brut 1870 2012 Tenuta Il Bosco
Pinot Nero Bertone 2013 Conte Vistarino
Valtellina Sforzato Albareda 2013 Mamete Prevostini
Valtellina Sfursat 5 Stelle 2013 Nino Negri
Valtellina Sup. Grumello Buon Consiglio Ris. 2007 Ar.Pe.Pe.
Valtellina Sup. Sassella Ris. 2012 Aldo Rainoldi
Valtellina Sup. Valgella Cà Moréi 2013 Sandro Fay


Slow Wine 2017: i migliori Metodo Classico italiani

Come da tradizione apriamo con i migliori Metodo Classico d’Italia, incontrati e segnalati in varie regioni: l’aperitivo più adatto in vista della lunga scorpacciata di vini che faremo nelle prossime settimane.

Come in passato, dopo il lavoro di selezione su base locale – che per quanto riguarda i Metodo Classico vuol dire lunghe degustazioni a Trento, in Franciacorta e nell’Oltrepò Pavese, oltre all’assaggio di alcune etichette che si producono anche in altre parti d’Italia – abbiamo testato i vini selezionati per le degustazioni finali non per provenienza o denominazione ma per tipologia, o se volete per dosaggio (Non Dosati, Brut, Extra Brut, ecc.).
Una modalità che abbiamo adottato da qualche anno e che reputiamo più adatta allo scopo, perché siamo sempre più convinti – lo abbiamo scritto più volte, leggi qui e anche qui – che nel caso di vini prodotti con uve chardonnay e pinot nero (diverso è il caso di spumantizzazione di vitigni autoctoni o fortemente territoriali) il metodo, in questo caso quello della rifermentazione in bottiglia con sboccatura e dosaggio, annienta il territorio.
Alla fine i riconoscimenti – che seppure limitati testimoniano l’evidente crescita qualitativa di tutto il comparto dei Metodo Classico italiani – sono i seguenti (in ordine alfabetico):

VINO SLOW
Franciacorta Dosaggio Zero Bagnadore Ris. 2009, Barone Pizzini
Franciacorta Extra Brut Pietro Camossi Ris. 2008, Camossi
Franciacorta Satèn, Cavalleri
Franciacorta Satèn, Corte Fusia
O.P. Pinot Nero Rosé Pas Dosé Norema 2012, Calatroni
Gran Cuvée Brut XXI Secolo 2009, d’Araprì

GRANDE VINO
Franciacorta Dosage Zéro Noir Ris. 2007, Ca’ del Bosco
Franciacorta Extra Brut EBB 2011, Mosnel
Franciacorta Pas Dosé 2011, San Cristoforo
Franciacorta Pas Dosé Girolamo Bosio Ris. 2009, Bosio
Lambrusco di Modena M. Cl. Rosé 2012, Cantina della Volta
M. Cl. Nature, Monsupello
O.P. Pinot Nero Extra Brut Nature Ècru 2010, Anteo
O.P. Pinot Nero Extra Brut Vergomberra 2011, Bruno Verdi

Alcune considerazioni generali, a margine dei riconoscimenti.
Franciacorta in grande spolvero: continuiamo a registrare la già avvertita crescita qualitativa dei vini Millesimati, sempre più buoni e definiti, in particolare nelle tipologie Non Dosato e/o Extra Brut; segnale di un’evidente raggiunta maturità di alcuni vigneti, capaci di produrre uve complesse adatte per questi prodotti. Oltre ai vini già segnalati con un riconoscimento, in Franciacorta sono emerse altre etichette di grande pregio che completano questo quadro positivo; sono (in ordine alfabetico) il Franciacorta Brut Naturae 2012 di Barone Pizzini, il Franciacorta Brut Teatro della Scala 2012 di Bellavista, il Franciacorta Brut Secolo Novo 2009 di Le Marchesine, il Franciacorta Dosaggio Zero 2011 di Ca’ del Bosco, il Franciacorta Dosaggio Zero 2011 di Corte Fusia, il Franciacorta Dosaggio Zero 2011 di Faccoli, il Franciacorta Dosaggio Zero Eretiq 2011 di Quadra, il Franciacorta Pas Dosé 2011 di Cavalleri e il Franciacorta Pas Dosé 33 Ris. 2009 di Ferghettina.
Nessun vino di Trento nella lista dei riconoscimenti, ma questo non va letto negativamente: non è spiccata sulle altre nessuna etichetta, ma in generale abbiamo riscontrato un buon aumento qualitativo generale, con le aziende più affermate che garantiscono buona continuità. Segnaliamo come particolarmente interessanti sia il Trento Brut Ris. 2009 che il Trento Brut Madama Martis Ris. 2006 di Maso Martis, Trento Brut di Balter, Trento Brut Perlé 2010 di Ferrari, il Trento Brut Ris. 2010 di Letrari e il Trento Dosaggio Zero Tridentum 2012 di Cesarini Sforza. Discorso a parte per il Trento Extra Brut Giulio Ferrari Riserva del Fondatore 2009, i cui ripetuti assaggi non ci hanno convinto come in passato: probabilmente si è trattato di una “chiusura” temporanea del vino, che pertanto aspettiamo di risentire nei prossimi mesi, per poter riaffermare che si tratta di una delle più grandi espressioni del Metodo Classico in Italia.
Ottima performance, infine, per alcuni vini dell’Oltrepò Pavese, zona di grande tradizione e di ottima vocazione che finalmente – nonostante le tante scriteriate politiche vitivinicole che vengono adottate nel comprensorio della denominazione – riesce ad imporre il lavoro di pochi ma rigorosi e validi vignaioli, i soli che riescono a dare lustro a questa meraviglioso territorio.

Valle d'Aosta: tre bicchieri 2017 Gambero Rosso

Il 2015 è stato per la Valle d’Aosta, forse, l’apice di un cambiamento climatico importante. Per anni i viticoltori valdostani hanno affrontato la difficoltà di raggiungere con le loro uve maturazioni complete. Il riscaldamento globale li ha costretti ad affrontare problematiche diverse cui non erano abituati. Il 2015 è iniziato con una primavera molto afosa, un luglio poi molto caldo e una settimana intera di piogge ad agosto. Un andamento climatico di questo genere ha limitato aree importanti e i vitigni di prima maturazione, zone come Morgex e La Salle sono state pesantemente penalizzate nella produzione, e molte uve sono state raccolte in sovramaturazione, con una produzione di vini più alcolici e meno equilibrati del solito.

Tutto questo ha pesantemente influenzato le caratteristiche tipiche dei vini di montagna, soprattutto i bianchi, la loro mineralità e il loro corredo acido. È stata comunque un’annata di grande soddisfazione per i vitigni a maturazione tardiva, come fumin e syrah, e per quei produttori che hanno saputo gestire la sfida climatica con intelligenza. Alla fine dei nostri assaggi ben sei vini hanno ottenuto il nostro massimo punteggio, e tra questi quattro sono della vendemmia 2015.
Si tratta dello Chardonnay Elevé en Fût de Chêne di Anselmet, della Petite Arvine di Ottin, del Pinot Gris di Lo Triolet e dell’ottimo Cornalin di Rosset Terroir che si conferma produttore di livello. Accanto a questi due vini del 2014, il Syrah Côteau de la Tour di Les Crêtes di Costantino Charrère, un nome che non ha certo bisogno di presentazioni, e un’altra affascinante versione dello Chambave Muscat Flétri de La Vrille.
Sei piccoli capolavori che nascono in un ambiente unico, da piccole vigne (poche aziende in regione, cooperative a parte, superano i 5 ettari di vigna) e da una passione autentica per il vino e per queste montagne. Vini rari, che hanno pochi eguali in Italia e nel mondo, e che valgono la fatica della ricerca per chi non ha la fortuna e il piacere di acquistarli nella bellissima Valle d’Aosta.

Valle d'Aosta Chambave Muscat Flétri 2014 La Vrille
Valle d'Aosta Chardonnay Élevé en Fût de Chêne 2015 Anselmet
Valle d'Aosta Cornalin 2015 Rosset Terroir
Valle d'Aosta Petite Arvine 2015 Elio Ottin
Valle d'Aosta Pinot Gris 2015 Lo Triolet
Valle d'Aosta Syrah Côteau La Tour 2014 Les Crêtes

Vino e millenials cinesi: un'indagine

Internet è il secondo canale di acquisto di vino per i millennials cinesi, dopo la Gdo (23%) e prima delle enoteche (8%). Il 13% dei giovani e ricchi consumatori del Paese del Dragone acquistano infatti il vino principalmente on-line: una quota altissima rispetto all’altro grande Paese buyer, gli Usa, dove la percentuale è del 3%. Il dato sale ancora per i millennials che comprano vino da consumare a casa: qui il web è luogo di acquisto per il 26% dei giovani cinesi, contro il 4% dei coetanei statunitensi. Lo svela – a pochi giorni dalla ‘giornata del vino’ di Alibaba – un’indagine condotta su 1.200 millennials cinesi e 2.300 giovani Usa realizzata dall’Osservatorio Business Strategies Paesi terzi in collaborazione con Nomisma/Wine Monitor.

Foto: www.agenziaintercom.eu

L’importanza del web per i giovani winelover cinesi emerge anche nelle modalità di approccio al vino: se infatti il 44% preferisce scoprire le caratteristiche del prodotto con le degustazioni al ristorante, è altrettanto importante (40%) la quota di chi lo fa attraverso la consultazione di siti e blog dedicati al vino, una percentuale quasi tripla rispetto a quanto registrato dai coetanei statunitensi (15%). In rapporto al resto della popolazione, il cluster millennials – per antonomasia iper-digitale – è sicuramente quello che sta trainando la crescita dei consumi di vino in Cina, con una quota del 12% che ha bevuto vino nell’ultimo anno, in particolare a casa. E se il vino italiano nel Celeste Impero è fermo al quinto posto tra i Paesi fornitori con un misero 5% di quota di mercato (44% per la Francia), tra i giovani e ricchi cinesi il prodotto enologico italiano guadagna posizioni e raccoglie il 14% dei consumi, dietro soltanto ai francesi (30%). "Il crescente interesse verso il nostro prodotto – ha detto Silvana Ballotta, ceo della società fiorentina esperta in internazionalizzazione, Business Strategies –, lo dimostra la voglia di Italia dimostrata dall'indagine, se è vero che l’89% degli enoappassionati cinesi frequenterebbe un corso per conoscere meglio il vino del Belpaese”.

Secondo le elaborazioni Nomisma-Wine Monitor (su dati dogane), nei primi sette mesi di quest’anno l’Italia è il Paese tra i ‘top exporter’ in Cina che è cresciuto di più in termini percentuali, con un aumento – sullo stesso periodo del 2015 – del 28,1% (68,7mln di euro). Il dato è infatti leggermente superiore rispetto ai 3 principali fornitori in Cina, con la Francia che a luglio ha chiuso con un +26,3%, l’Australia a +26% e il Cile a +20,1%.

Fonte: Agenzia Intercom

Liguria: i tre bicchieri 2017 del Gambero Rosso

La Liguria del vino è una delle terre più affascinanti del panorama enologico italiano. È la regione delle piccole aziende, delle vigne affacciate sul mare e strappate alla montagna, tenute su da muretti di pietre a secco, le “fasce”, alle quali si accede da sentieri percorribili solo a piedi. Qui si produce poco, stiamo parlando di percentuali che oscillano tra lo 0,4 e lo 0,5 per cento della produzione italiana. Fortunatamente i numeri non raccontano tutto.


Quest’anno sono sei i vini premiati, quasi tutti figli di una vendemmia, la 2015, complessa, calda e poco piovosa, che ha donato struttura e alcolicità - e crediamo anche serbevolezza - ai bianchi. Unica presenza rossa un Dolceacqua seduttivo ed elegante, il Bricco Arcagna ’14 di Terre Bianche.
Per il resto, dicevamo, grandi bianchi. Ecco allora da Levante tre Vermentino dei Colli di Luni, quelli di Lunae Bosoni, Lambruschi e La Baia del Sole, premiato per la prima volta. A Ponente due ottimi Pigato, Le Marige de La Ginestraia, altro debutto tra i Tre Bicchieri, e il seducente Bon in da Bon di BioVio, un’azienda di Albenga a gestione familiare. N
el complesso una bella fotografia di una regione che ha fatto della conservazione del proprio patrimonio enologico e del territorio un obiettivo principale. Dal pigato al vermentino, dal rossese all’ormeasco, dal bosco all’albarola, dalla bianchetta genovese alla lumassina, l’elenco è lungo, ma i vignaioli liguri sono ben determinati, e ne sentiremo parlare sempre di più nei prossimi anni. Le piccole aziende pian piano si ingrandiscono, ne nascono di nuove, e il modello ligure dell’azienda vinicola che fa anche ospitalità rurale e ristorazione, e vende gli straordinari prodotti del territorio accanto al vino sta dando nuova linfa a quest’economia, come accade in altre zone dove le vigne sono difficili da coltivare ma sono inserite in un paesaggio di suggestiva bellezza come la Valle d’Aosta, l’Etna o la Costiera Amalfitana.

Colli di Luni Vermentino Et. Nera 2015 Lunae Bosoni
Colli di Luni Vermentino Il Maggiore 2015 Ottaviano Lambruschi
Colli di Luni Vermentino Sarticola 2015 La Baia del Sole - Federici
Dolceacqua Bricco Arcagna 2014 Terre Bianche
Riviera Ligure di Ponente Pigato Bon in da Bon 2015 BioVio
Riviera Ligure di Ponente Pigato Le Marige 2015 La Ginestraia

Emilia Romagna: i tre bicchieri 2017 Gambero Rosso

La varietà del viaggio sulla via Emilia, che da 2200 anni collega Rimini a Piacenza attraversando tutti i territori regionali del vino, è straordinaria e per molti aspetti ancora poco conosciuta. Partendo da nord il primo territorio è quello dei Colli Piacentini, un sistema articolato di valli e terroir che potrebbe esprimere molto in termini di qualità e identità. Purtroppo la strada della territorialità non è ancora stata intrapresa e tutta l’area “galleggia” su vini corretti ma senza grande personalità.

Proseguendo si raggiunge il mondo del Lambrusco, un territorio in cui abbondano entusiasmo ed energie, soprattutto a Modena che ne è di fatto la capitale. Una realtà formata da artigiani, cooperative e grandi aziende private, in pratica tutta la filiera. È un gioco dei ruoli che sta alzando la qualità dei vini ma soprattutto costruendo una narrazione sempre più chiara e leggibile dall’esterno. Il processo è positivo e sta di fatto allargando la forbice tra chi sceglie di lavorare con vini di forte identità e qualità e chi produce vini omologati da dolcezza e morbidezza. Dal punto di vista qualitativo la tipologia più centrata è quella del Sorbara, anche sui Metodo Classico.
I Colli Bolognesi hanno raccolto la sfida della nuova denominazionePignoletto e stanno facendo squadra, creando i presupposti per esprimere finalmente un territorio che ha un potenziale incredibile di mineralità e freschezza.
L’ultima tappa del viaggio è la Romagna, 150 chilometri di valli e diversità, un patrimonio ben descritto dalle sottozone codificate nella denominazione Romagna Sangiovese in questi anni. La Romagna sta vivendo un momento di passaggio che ne sta ridisegnando i confini qualitativi. Le aziende storiche faticano a interpretare in modo moderno il Sangiovese, con vini territoriali e freschi, insistendo su un’idea di Riserva troppo ricca e alcolica, spesso appesantita da lunghi affinamenti in legno piccolo. Una lettura più centrata sembra averlo il Superiore che esprime freschezza, qualità e longevità.
Un’ultima riflessione riguarda l’albana, vitigno bianco dal grande potenziale e dall’originalissima identità. I romagnoli stanno cercando di esaltarne la ricchezza (con surmaturazioni e piccoli tagli di albana passito) invece che di sfruttarne l’acidità. È un’idea stilistica che trova un parziale consenso sul territorio, ma che impedisce a questi vini di conquistare ruolo, reputazione e mercati fuori regione, anche internazionali. I Tre Bicchieri a I Croppi ‘15 di Celli, uno dei pochi produttori che vinifica cercando freschezza e bevibilità, hanno quindi anche il significato di indicare una strada per questo vitigno.

Colli di Parma Rosso MDV 2014 Monte delle Vigne
Colli di Rimini Cabernet Sauvignon Montepirolo 2012 San Patrignano
Lambrusco di Modena Brut Rosé M. Cl. 2012 Cantina della Volta
Lambrusco di Sorbara del Fondatore 2015 Chiarli Tenute Agricole
Lambrusco di Sorbara Secco Rito 2015 Zucchi
Lambrusco di Sorbara V. del Cristo 2015 Cavicchioli
Reggiano Lambrusco Concerto 2015 Ermete Medici & Figli
Romagna Albana Passito Regina di Cuori Ris. 2012 Gallegati
Romagna Albana Secco I Croppi 2015 Celli
Romagna Sangiovese Modigliana I Probi di Papiano Ris. 2013 Villa Papiano
Romagna Sangiovese Modigliana Sup. V. 1922 Ris. 2013 Torre San Martino
Romagna Sangiovese Sup. Godenza 2014 Noelia Ricci
Romagna Sangiovese Sup. Limbecca 2014 Paolo Francesconi
Romagna Sangiovese Sup. V. del Generale Ris. 2013 Fattoria Nicolucci

Cantine Balgera - Valtellina Superiore "Valgella" 2001 è il Vino della settimana di Garantito IGP

Di Carlo Macchi



Il primo stupore viene dal fatto che questa è l'annata in commercio.

Avete capito bene: Balgera affina i vini almeno 10-12 anni prima di commercializzarli.

Il secondo stupore deriva dalla finezza, freschezza, complessità e bontà del vino.

Il terzo dal prezzo: nemmeno 15 euro in enoteca.

Standing ovation!



Le chiocciole Slow Wine 2017

Dopo aver pubblicato le tre grosse novità che investono la guida Slow Wine 2017 (ne abbiamo parlatoquiqui e qui) oggi è il grande giorno in cui riveliamo le nostre Chiocciole. Sono cresciute di 5 come numero totale. Di queste 4 sono slovene, quindi chi teme un’inflazione da questo punto di vista può mettersi il cuore in pace! Inutile negare che sia il riconoscimento a cui siamo più affezionati e anche per questo lo pubblichiamo per primo. Tutte queste cantine le potete trovare (il 99% dei vignaioli sarà presente in carne ed ossa) a Montecatini Terme (PT) il 15 ottobre prossimo, in quella che si annuncia come la degustazione più importante dell’anno, con oltre 500 aziende e 1.000 etichette! Cliccate qui per prenotare il vostro posto in prima fila (sbrigatevi che abbiamo venduto un gran numero di biglietti, il doppio dello scorso anno a questo punto).

Abruzzo e Molise
Cataldi Madonna
Cirelli
Emidio Pepe
Praesidium
Torre dei Beati
Valentini
Valle Reale

Alto Adige
Alois Lageder
Cantina Terlano
Kuenhof – Peter Pliger
Manincor
Nusserhof – Heinrich Mayr
Pranzegg – Martin Gojer
Unterortl – Castel Juval

Basilicata
Cantine del Notaio
Musto Carmelitano

Calabria
‘A Vita
Sergio Arcuri

Campania
Antonio Caggiano
Ciro Picariello
Colli di Lapio
Contrada Salandra
Contrade di Taurasi
Fontanavecchia
Luigi Tecce
Maffini
San Giovanni
Tenuta San Francesco

Emilia-Romagna       
Camillo Donati
Gradizzolo – Ognibene
Paolo Francesconi
Vigne dei Boschi
Villa Papiano
Villa Venti
Vittorio Graziano

Friuli Venezia Giulia
Borgo San Daniele
Damijan Podversic
Edi Keber
Gravner
I Clivi
La Castellada
Le Due Terre
Meroi
Miani
Ronco del Gnemiz
Ronco Severo
Simon di Brazzan
Skerk
Skerlj
Vignai da Duline
Zidarich

Slovenia
Burja
Guerila
Klinec
Marko Fon

Lazio
Casale della Ioria
Marco Carpineti
Sergio Mottura

Liguria
Cascina delle Terre Rosse
Maria Donata Bianchi
Santa Caterina
Walter De Battè

Lombardia
Agnes
Andrea Picchioni
Ar.Pe.Pe.
Barone Pizzini
Calatroni
Cavalleri
Dirupi
La Costa
Togni Rebaioli

Marche
Andrea Felici
Aurora
Bucci
Collestefano
Fattoria San Lorenzo
La Staffa
Le Caniette
Pievalta

Piemonte
Alessandria Fratelli
Anna Maria Abbona
Antichi Vigneti di Cantalupo
Brovia
Ca’ del Baio
Carussin
Cascina Ca’ Rossa
Cascina Corte
Cavallotto Fratelli
Conterno Fantino
Dacapo
Pira & Figli – Chiara Boschis
Elio Altare
Elio Grasso
Elvio Cogno
Fiorenzo Nada
G.D. Vajra
Giacomo Brezza & Figli
Giuseppe Rinaldi
Iuli
Le Piane
Luigi Spertino
Mossio Fratelli
Pecchenino
Piero Busso
Roagna – I Paglieri
San Fereolo
Serafino Rivella
Sottimano
Vigneti Massa

Puglia
Attanasio
d’Araprì
Giancarlo Ceci
Gianfranco Fino
Morella
Paolo Petrilli
Polvanera
Severino Garofano Vigneti e Cantine
Vallone

Sardegna
Giovanni Montisci
Giuseppe Sedilesu

Sicilia
Arianna Occhipinti
Barraco
Castellucci Miano
Cos
Ferrandes
Frank Cornelissen
Girolamo Russo
Graci
I Vigneri
Marco De Bartoli
Tenuta delle Terre Nere
Valdibella

Toscana
Antonio Camillo
Badia a Coltibuono
Baricci
Boscarelli
Caiarossa
Caparsa
Castello dei Rampolla
Corzano e Paterno
Fabbrica di San Martino
Fattoi
Fattoria di Bacchereto Terre a Mano
Fattoria Selvapiana
Fontodi
Frascole
I Luoghi
I Mandorli
Il Paradiso di Manfredi
Isole e Olena
Le Chiuse
Le Cinciole
Montenidoli
Monteraponi
Montevertine
Podere Concori
Poderi Sanguineto I e II
Riecine
Salustri
Stefano Amerighi
Tenuta di Valgiano
Val delle Corti

Trentino
Eugenio Rosi
Foradori
Francesco Poli
Maso Furli
Pojer & Sandri
Redondel
Vignaiolo Fanti

Umbria
Adanti
Antonelli San Marco
Barberani – Vallesanta
Fattoria Colleallodole
Palazzone
Paolo Bea
Tabarrini

Valle d’Aosta
La Vrille
Les Granges

Veneto
Bele Casel
Ca’ dei Zago
Casa Coste Piane
Corte Sant’Alda
Il Filò Delle Vigne
La Biancara
Le Fraghe
Leonildo Pieropan
Monte dall’Ora
Monte dei Ragni
Monte Santoccio – Nicola Ferrari
Prà
Silvano Follador
Sorelle Bronca
Vigneto Due Santi

Dopo la Brexit eccovi la Bittexit! - Garantito IGP

Di Carlo Macchi


Oggi non vi parlerò soltanto di un grande prodotto alimentare, ma di quello che può succedere quando, essendo più “realisti del re”, ti scontri con leggi (in questo caso comunitarie) che servono solo ad ostacolare le piccole produzioni di qualità.
La Brexit la conoscete tutti; Bittexit invece, praticamente sconosciuto ai più, è il termine coniato per “l’uscita da se stessi”, cioè la perdita del nome (ovvero l’impossibilità di usarlo) di un formaggio di altissima qualità che, essendo fatto in maniera tradizionale, con attenzioni particolari e metodi di lavorazione antichi, non può più chiamarsi con il suo nome, bitto.


Il Bitto in questione è il Bitto Storico, che oramai da quasi 20 anni viene prodotto in 12 alpeggi tra i 1500 e i 2000 metri sulle Alpi Orobie.
La forma di produzione scelta è volutamente iperartigianale e affonda nella storia di questo formaggio: ogni alpeggio del Bitto Storico ha circa 40 vacche e 70 capre orobiche. Dal loro latte appena munto a mano (di solito siamo sull’80-90% di latte vaccino e il rimanente di capra) nasce il bitto. 
Ho detto appena munto e sottolineo appena munto! Infatti il latte viene lavorato ancora caldo in loco, in particolari strutture fatte da muretti a secco e grandi quanto una normale stanza (circa 4x4) ma senza tetto. Si chiamano Calècce qui il latte viene trasformato in bitto nella mezz’ora successiva alla mungitura. Come caglio viene usato lo stomaco essiccato di vitello o di capretto. Ogni alpeggio, che funziona solo nel periodo estivo, da giugno a fine settembre, produce ogni giorno al massimo 5-6 forme di circa 12 chili. Queste vengono poi portate a stagionare nella casèra-cantina di Gerola Alta.
Quindi non siamo solo di fronte ad un formaggio a latte crudo, ma ad un pezzo di storia che si ripropone oggi con una qualità altissima, tanto che Slow Food ne ha fatto un presidio.


Ho visitato a Gerola Alta la “cattedrale” del bitto storico, ho ammirato le quasi 3000 forme firmate (di proprietari che le acquistano e poi le lasciano a maturare anche per dieci anni) poste a stagionare e posso dire che il profumo e la bontà dei bitto degustati di 2-3-5 anni mi accompagnerà per molto tempo.
Adesso dovete tornare all’inizio e cancellare ovunque la parola “Bitto”, perché da questo mese il formaggio si chiamerà solamente “Storico”. Perché? Facciamo un piccolo salto indietro nel tempo: nel 2009 i produttori delConsorzio Bitto Storico abbandonarono la DOP Bitto in disaccordo con i metodi di lavorazione del disciplinare, perdendo così il diritto ad utilizzare il termine Bitto.
Loro continuarono ad usarlo perché lo ritenevano giusto e si beccarono così anche una multa per usurpazione del marchio. Oggi, dopo varie vicissitudini legali, mantenendo il nome Bitto rischierebbero un’altra multa che non potrebbero permettersi e così hanno deciso di togliere il nome Bitto al Bitto Storico. Davide in questo caso soccombe a Golia, cioè gli storici, con solo 1200-1500 forme di bitto all’anno non possono competere con chi (leggi produttori della DOP) ne produce venti volte tanto.
Pazienza, vuol dire che invece di andare a Gerola Alta a mangiare Bitto Storico, ci andremo per gustare lo “storico”, in barba a regole che portano sempre più all’appiattimento della qualità.

CENTRO DEL (B…..) STORICO
Via Nazionale 31 – Gerola Alta (Sondrio)

Per info e prenotazioni alla Casèra
Telefono : +39 0342 690081
Cell. Albino Mazzolini 3338938168
Mail: info@formaggiobitto.com
Presidente Paolo Ciapparelli Cellulare: +39 334 3325366

Lazio: i tre bicchieri 2017 del Gambero Rosso

Dopo un paio d’anni in cui avevamo riscontrato un miglioramento e una crescita qualitativa generale della produzione della regione, quest’anno ci vediamo costretti a tornare a considerazioni meno positive. Questo a causa sicuramente di un paio di annate poco favorevoli che hanno coinvolto molti dei vini degustati, ma anche per quella che ci sembra una fragilità complessiva del comparto. Sono infatti in pochi ad accettare l’idea che l’unica strada percorribile dal Lazio vitivinicolo per tornare al livello che gli compete è quella della ricerca della qualità, anche a costo di ridurre drasticamente le rese in certe annate o addirittura di rinunciare a produrle.

Insomma, la sequenza di 2014 – con le abbondanti piogge e le grandinate che si sono abbattute in zone fondamentali per l’enologia della regione, come nelle terre del cesanese – e del caldissimo 2015 – partito sotto ottimi auspici ma che alla fine ha prodotto bianchi spesso pesanti, senza la freschezza e la giusta acidità in grado di dare lunghezza e piacevolezza – non ha certo aiutato i produttori del Lazio, ma ci sembra anche che la difficoltà di dare una continuità qualitativa alla produzione sia generale, a parte le solite poche eccezioni.
Una criticità che si è evidenziata soprattutto nella zona dei Castelli Romani e nella denominazione Frascati, ma che ha lasciato il segno anche in altre zone, come il Viterbese o la provincia di Latina, dove non possiamo non constatare come i vini bianchi del 2014, che pure da molti non erano stati considerati all’altezza degli anni precedenti, stiano dando più soddisfazioni degli omologhi del 2015. Non a caso sono solo tre i vini bianchi premiati con i Tre Bicchieri, e questo in una regione bianchista per il 70% della produzione complessiva.
E a proposito dei Tre Bicchieri, vanno segnalate due novità, una assoluta e una relativa. La prima riguarda l’Habemus ‘14 dell’azienda San Giovenale di Emanuele Pangrazi, un vino che ha letteralmente inventato un territorio e creato una nuova referenza sulla carta dei vini del Lazio. La seconda è un graditissimo ritorno, che era già stato realizzato con la versione in bianco: il Fiorano Rosso diAlessandrojacopo Boncompagni Ludovisi. La versione 2011 farà tornare in mente i vecchi Fiorano dello zio Alberico, a chi quei vini ha bevuto e amato.
Per quanto riguarda gli altri vini premiati, andiamo dai classici, come il Poggio della Costa di Sergio Mottura o il Montiano della Falesco, a quelli che lo stanno diventando, come il Frascati Superiore Epos Riserva di Poggio Le Volpi, il Cesanese del Piglio Superiore Hernicus diAntonello Coletti Conti, fino alla conferma della qualità dell’intuizione di Antonio Santarelli di Casale del Giglio di scegliere i terreni sabbiosi di Anzio per realizzare un Bellone in purezza come l’Antium.
Antium Bellone 2015 Casale del Giglio
Cesanese del Piglio Sup. Hernicus 2014 Coletti Conti
Fiorano Rosso 2011 Tenuta di Fiorano
Frascati Sup. Epos Ris. 2015 Poggio Le Volpi
Habemus 2014 San Giovenale
Montiano 2014 Falesco
Poggio della Costa 2015 Sergio Mottura