Viaggio al centro del grande Champagne: Perrier-Jouët

Avenue de Champagne, ad Épernay, è una rettilineo lungo oltre un chilometro fiancheggiato da bellissimi edifici del XIX secolo che prendono la forma di hôtels particuliers e sedi di grandi Maison di Champagne che, in maniera alternata, vanno a concretizzare quello che in molti chiamano "il viale più ricco del mondo" visto che i 110 km di cantine sotterranee situate sotto la strada sono il rifugio di oltre 200 milioni di bottiglie di Champagne.


La Storia della Maison

Proprio su questa bellissimo strada, visitata ogni anno da oltre 450.000 appassionati di vino, ha sede Perrier-Jouët la cui storia, pensate, iniziò nel lontano 1811, esattamente un anno dopo il matrimonio tra i due fondatori ovvero Pierre-Nicolas Perrier e Rose-Adélaïde Jouët.
Lui aveva 25 anni e lei 18 quando fondarono la loro Maison che fin da subito, grazie ai 10 ettari di vigna posseduti dalla famiglia Perrier tra Epernay, Aÿ, Avenay, Dizy, Pierry e Chouilly, divenne famosa per la produzione di ottimi champagne grazie anche alla lungimiranza di Pierre-Nicolas che, col tempo, acquisì alcuni appezzamenti di terra in quelle zone che sarebbero diventate celebri come Grands Crus della Côte des Blancs, ad Avize
e Cramant. “Mi sta molto a cuore soddisfare pienamente coloro che mi onorano con il proprio interesse e per questo produco vini di qualità superiore”, dichiarò Pierre-Nicolas nel 1821. La costante ricerca della perfezione lo guidò attraverso tutte le fasi di produzione dello champagne, partendo dalla raccolta delle uve, le quali non venivano utilizzate se ritenute mediocri. Allo stesso modo, come prevenzione contro le imitazioni, Pierre-Nicolas fu la prima persona a garantire la provenienza dei suoi vini aggiungendo il cru e l’annata sul tappo della bottiglia. Con la medesima passione per l’eccellenza, sua moglie Rose-Adélaïde riceveva clienti e ospiti ad Epernay realizzando, grazie ad un lavoro costante di valorizzazione del marchio, quella che per l’epoca poteva definirsi una delle migliori reti commerciali al mondo.

Pierre-Nicolas Perrier e Rose-Adélaïde Jouët
La costante ricerca della perfezione fu l'obiettivo anche di loro figlio Charles e, successivamente, di suo nipote Henri Gallice tanto che lo champagne Perrier-Jouët, nel corso del tempo, divenne popolare sia l’Europa (fu servito alla tavola di Napoleone III e della Regina Vittoria) sia negli Stati Uniti dove nel 1880 furono esportate un milione di bottiglie grazie all'opera dello stesso Henri che, inoltre, divenne uno dei membri fondatori dell’Association Viticole Champenoise (1898) coltivando, sempre in quel periodo, un notevole interesse per l’Art Nouveau tanto da chiedere ad uno dei suoi promotori, Emile Gallé, di decorare diversi magnum di Champagne. Questo maestro vetraio nel 1902 produsse per lui un vortice di anemoni giapponesi anche se sarebbe dovuto passare più di mezzo secolo prima che questo bouquet riemergesse grazie a Michel Budin che nel 1964, dopo essere diventato responsabile della Maison, riscoprì quasi per caso il fascino di quei magnum decorati da Gallé, ridestando così queste meraviglie addormentate. In controtendenza con le mode del momento, egli decise, insieme al suo direttore delle vendite Pierre Ernst, di utilizzarle per vestire la sua nuova cuvée, il cui stile brillante fu espresso dalla loro elegante unicità. Con un forte richiamo all’Art Nouveau, egli la chiamò “La Belle Epoque” e la sua prima annata fu lanciata sul mercato nel 1969.

Il presente di Perrier-Jouët

Oltre duecento anni di storia hanno portato il patrimonio ampelografico di Perrier-Jouët ad estendersi per più di 65 ettari, i quali sono stati classificati al 99,2% secondo i criteri di valutazione dello champagne AOC. Situati in modo ideale, le parcelle migliori fanno parte del vigneto della Côte des Blancs; piantati a metà dei pendii esposti a sud e sud-est, essi forniscono il terroir per lo chardonnay, l’emblematico vitigno dell’azienda. Le parcelle della Montagne de Reims sono per la maggior parte piantati a pinot noir mentre nella Vallée de la Marne, Perrier-Jouët vanta vigneti di pinot noir e di pinot meunier. Infine, per completare la sua produzione, Perrier-Jouët lavora da generazioni in collaborazione con altri viticoltori, selezionando le loro uve secondo i propri criteri rigorosi.


I vigneti
Le cantine Perrier-Jouët, situate come dicevamo prima ad Épernay proprio sotto Avenue de Champagne, composte da un dedalo di gallerie sotterranee lunghe chilometri, sono il luogo dove viene elaborato e riposa lo champagne e, per certi versi, rappresentano il regno di Hervé Deschamps, Chef de Cave, che proprio in questi luoghi, degustando il vino proveniente da ogni singola parcella, dà vita all’arte dell’assemblaggio andando a definire le caratteristiche di ogni cuvée.






Hervé Deschamps e l’arte dell’assemblaggio

Hervé Deschamps, che incontriamo nella sala degustazioni privata, è un uomo di mezza età, dal sorriso coinvolgente, e per molti appassionati di champagne è una sorta di leggenda visto che il suo mestiere, ovvero l'arte dell'assemblaggio, rappresenta per questa azienda un momento fondamentale i cui segreti si sono tramandati nei secoli attraverso soli sette Chef de Caves. “Mi dedico anima e corpo in ogni singolo progetto di cuvée, tutto in una volta, così come in una prima bozza fatta da un artista nella quale intuizione, sensibilità e competenza affiorano tutte insieme, senza che nessuno sappia spiegare esattamente come”, afferma Hervé Deschamps, Chef de Caves dal 1993 dopo un apprendistato durato dieci anni che gli ha insegnato non solo a conoscere i segreti della Maison, compreso l'inequivocabile "tocco" floreale che ne costituisce il tratto distintivo da sempre, ma anche a raggiugere quell’esperienza tale da prendersi in prima persona la responsabilità di giudicare quando si è alla presenza di un’annata eccezionale, che dovrebbe essere utilizzata per creare una cuvée millesimata.

Hervé Deschamps

La degustazione

Iniziamo il wine tasting Perrier-Jouët con un classico ovvero Cuvée Grand Brut che prevede l’assemblaggio di circa cinquanta cru provenienti dai migliori vigneti di chardonnay (20%), pinot noir (40%) e pinot meunier (40%) a cui vengono aggiunti un 12-20% di vini di riserva. Dopo tre anni di affinamento in cantina il vino si apre in tutto la sua espressività e il "gusto" Perrier-Jouët emerge prepotentemente con la sua eleganza floreale. Sorso caratterizzato da perlage soffice che accarezza il palato senza però trascurare equilibrio e nobile persistenza finale su toni di tiglio e pesca bianca.


Il Blason Rosé (50% pinot nero, 25% chardonnay, 25% pinot meunier), secondo Hervé Deschamps, è forse lo champagne più indulcente della Maison ed è concepito secondo il modello della Cuvée Grand Brut, poi leggermente arricchito con lo chardonnay (+5%) per compensare l’aggiunta di struttura fornita da un pinot nero di cui una parte viene vinificato in rosso. Dopo tre anni di affinamento in cantina questo champagne è dotato di un olfatto goloso che ricorda la pasticceria e i frutti di bosco le cui sinuosità ritroviamo anche al gusto che, fortunatamente, viene equilibrato da una persistenza quasi salina che rende la beva meno scontata di quanto si può immaginare.


La Cuvée Belle Epoque 2007 rappresenta un grande classico e questo vino, più di altri, rappresenta lo stile della Maison. Frutto di un assemblaggio di chardonnay (50%) proveniente dai Grands Cru di Cramant, Avize e Chouilly, pinot noir (45%) proveniente dalle terre di Mailly, Verzy e Aÿ e pinot meunier di Dizy (5%), lo champagne riposa almeno sei anni sui lieviti prima di uscire sul mercato. Hervé ci parla di un millesimo, il 2007, molto equilibrato e questa purezza la si riscontra anche al naso dove incantano gli aromi di magnolia, biancospino e sambuco che ben si fondono all’interno di un mosaico aromatico composto da lime, bergamotto e pesca bianca. Beva piacevolissima, lussureggiante, facilitata da uno straordinario equilibrio e da una tensione sapida che richiama irresistibilmente un nuovo assaggio.


Belle Epoque Blanc de Blanc 2004, ci confida Hervé, rappresenta un po' la quintessenza dello stile Perrier-Jouët perchè ci troviamo di fronte ad un grande champagne frutto non solo di una singola annata, ma anche di un unico vitigno ed uno specifico vigneto. La cuvée, infatti, è realizzata esclusivamente con lo chardonnay di due parcelle leggendarie: Bourons Leroy e Bourons du Midi, situati proprio nel cuore della Côte des Blancs, nella zona di Cramant.  Otto anni di permanenza sui lieviti nelle cantine completano questo grande vino il cui pregio principale è il suo essere understatement ovvero di avere un peso specifico di una farfalla nonostante abbia una forza e una complessità da rendere questo Champagne quasi da meditazione. 


Chiudiamo la degustazione con il Belle Epoque Rosé 2006 che nei piani dello Chef de Cave rappresenta la cuvée dove eleganza e ricchezza vanno giocare un ruolo preminente e paritario grazie alla delicatezza floreale dello chardonnay (45%) dei migliori vigneti di Cramant e Avize che, assieme alla struttura fruttata del pinot noir di Mailly e Verzy (50%, incluso il 10% di vino rosso da Vertuse Vincelle) e all'armonia del pinot meunier di Dizy (5%), donano a questo Champagne una cremosità e una polposità quasi irriverente assicurandogli al tempo stesso un lungo futuro.



Marco Capra- Dolcetto d'Alba Sireveris 2015 è il Vino della Settimana di Garantito IGP

Di Roberto Giuliani

Marco ama scherzare con il nome dei vini, questo si può leggere da sinistra o da destra.


Il Dolcetto però, vinificato e maturato in acciaio, lo prende sul serio, è una splendida interpretazione del vitigno: viola, lamponi e ciliegie; fresco, succoso, con un guizzo tannico che ne esalta il carattere.


Chianti Classico Riserva 1995 di Casa Emma - Garantito IGP

Di Roberto Giuliani


Gli anni '90 erano ancora caratterizzati dagli effetti di quel cambiamento iniziato negli anni '70 in Toscana con il Vigorello di San Felice e, soprattutto, con il Sassicaia della Tenuta San Guido, che vedeva nel vitigno internazionale e nell'uso delle barrique, una possibile risposta alle "statiche" denominazioni di origine, accusate di non sapersi adeguare ai mutamenti del mercato, percorso abbracciato da un sempre maggiore numero di produttori e che ha visto nascere i cosiddetti "super tuscans".
 Fu un periodo di svolta profonda nel modo di fare vino, a partire dalla vigna, dove venivano rivisti i metodi di allevamento, le fittezze d'impianto, le rese per ettaro, si selezionavano i cloni più adatti allo scopo, mentre in cantina i piccoli legni prendevano sempre più piede, oltre a tecnologie che permettevano di ottenere maggiori estrazioni in tempi sempre più brevi, vini più strutturati, concentrati e colorati.

Anche nel Chianti Classico avvenne questo mutamento, stimolato dai sempre maggiori successi e riconoscimenti, che determinarono rialzi nei prezzi a volte in modo anche sfacciato, magari dopo aver ricevuto premi dalle guide di settore, una fase fatta di eccessi ma anche di sperimentazioni e passaggi importanti.
Ma questa è storia, una storia della quale ha fatto parte anche Casa Emma, l'azienda della famiglia Bucalossi che ha voluto ricordare nel proprio marchio la nobildonna fiorentina Emma Bizzarri, precedente proprietaria della storica tenuta. Nell'azienda di San Donato in Poggio, frazione di Barberino Val d'Elsa, a fianco del Chianti Classico nasceva il Soloìo, un merlot in purezza maturato in barrique, mentre la Docg ha continuato a mantenere un uvaggio tutto toscano.

Questa Riserva 1995 è composta da sangiovese al 95% e malvasia nera al 5%, maturata per 2 anni in rovere di Allier, se non ricordo male si trovava sugli scaffali delle enoteche attorno alle 40mila lire, un prezzo indubbiamente elevato a quell'epoca.
Conservata in cantina rivela un tappo in condizioni perfette e senza sorprese maleodoranti. Il vino ha colore granato con unghia aranciata, lasciato respirare a lungo si apre man mano, scalciando le iniziali note terziarie evolute e ossidative a favore di più nitidi rintocchi di humus, funghi, tabacco umido, cuoio, ciliegia e prugna essiccate, legno di liquirizia, cardamomo, goudron.

La bocca non riserva sorprese, ma mostra ancora un'ottima vena acida e una materia di una certa eleganza, con un frutto non ossidato, pur se qualche effetto evolutivo, soprattutto nella fase finale, lascia presagire l'inizio di un processo di inevitabile discesa; ma dopo oltre vent'anni ne ha anche il diritto, soprattutto da un'annata non proprio strepitosa come la '95.
Insomma tanto di cappello per una Riserva che ha ancora molto da raccontare e che consiglio, se ne avete qualche bottiglia da parte, di stappare senza ulteriori indugi.

Vinfusion ovvero il prossimo regalo di Natale per i nerd del vino

Siete mai stai delusi dal vino che avete acquistato in enoteca oppure ordinato al ristorante? Se la risposta, come suppongo, è Si' allora è probabile che questo aggeggio, denominato Vinsufionpotrebbe fare al caso vostro.

Progettato dalla britannica Cambridge Consultants sulla base di una serie di test posti in essere su un campione preliminare di circa 20 vini rossi, Vinfusion si avvale di una serie di tubi, pompe e sensori che possono essere inseriti sotto al bancone di un wine bar o sotto il tavolo della vostra cucina da dove sbuca un rubinetto collegato ad un tablet a cui è stata installata una apposita APP la quale ti permetterò di scegliere o il vino adatto al vostro menù oppure, rullo di tamburi, di personalizzare il vino che bere.


Come? Semplicemente l'APP vi mostrerà una serie di opzioni che vi consentiranno di stabilire se volete un vino "leggero" o "corposo", più "secco" o più "dolce". Una volta parametrato il vostro vino il meccanismo, grazie ad una centrifuga conica, realizzerà il sapiente mix attingendo da quattro serbatoi di vino rosso contenenti: pinot nero, shiraz, merlot e moscato rosso (per la dolcezza). Pochi secondi e il vino dei vostri desideri potrà essere bevuto.


Tutto chiaro no? Se ancora non siete convinti di come funziona ecco un breve video di presentazione


Se non sbaglio è in vendita a circa 500 sterline e attualmente stanno sviluppando anche una versione che potrà aggiungere anche un bel sapore di LEGNO. 

Vabbè, io l'idea per Natale ve l'ho data. O no? :)

Azienda Agricola Maria Ernesta Berucci – Passerina del Frusinate 2015 è il Vino della Settimana di Garantito IGP

di Andrea Petrini

Maria Ernesta è giovane e caparbia e respira vino fin da quando è nata. La sua Passerina del Frusinate 2015, nata senza aggiunta di lieviti selezionati e senza aggiunta di solforosa, ha equilibrio e personalità da vendere. Il Lazio, dal punto di vista enologico, ha una stella in più.


www.anticacasamassimi.it

I 5 vigneti più insoliti al mondo

Non amo le classifiche per cui questa che sto scrivendo non è una top five delle migliori vigne al mondo ma solo una piccola raccolta (potrebbe essere sicuramente maggiore) delle vigne più insolite al mondo per le caratteristiche "non ordinarie" del terroir di riferimento. 

Bodega Colomé - ArgentinaColomé non è solo la più antica cantina di Argentina (fondata nel 1831), ma gestisce quello che, forse, è il vigneto più alto del mondo. Situato a Salta, si estende fra i 1.700 e i 3.111 metri s.l.m. e le viti, come facile pensare, sono piantate in un microclima assolutamente unico.

Foto: www.winerist.com

ilha do Fogo - Capo Verde: la viticoltura dell'ilha do Fogo, a 500 km dalle coste senegalesi, si sviluppa attorno Chã das Caldeiras, sulle pendici del vulcano Pico do Fogo e nella zona di Achada Grande. In queste terre Padre Ottavio nel 2002, grazie al supporto della cantina Adega de Monte Barro, ha piantato la Vinha de Maria Chaves, realizzata su un terreno di circa 36 ettari donato in comodato d’uso dal Governo di Capo Verde per 50 anni, al fine di dar vita ad un un programma vitivinicolo a Capo Verde con lo scopo di fornire supporto economico al popolo capoverdiano.

Foto: Repubblica

Sahara Vineyards - Egitto:  Karim Hwaidak, proprietario del Sahara Vineyards, gestisce vicino a Il Cairo un vigneto di circa 600 acri che comprende oltre trenta varietà di uva. La sfida col deserto, le enormi escursioni termiche tra giorno e notte, la quasi totale mancanza di pioggia e il terreno sabbioso che non contiene sostanze nutritive è davvero impervia ma, con la passione, tutto si vince.


Foto: www.winerist.com

Domaine Dominique Auroy - Tahiti: nella Polinesia Francese, sull’atollo di Rangiroa, nell’Arcipelago delle Tuamotu, nascono grazie all'enologo francese Sébastien Thepenier i vini che vanno sotto il marchio Vin de Tahiti grazie ad un vigneto di circa 8 ettari dove sono piantati carignan, muscat de Hambourg, italia e grenache. Perchè Rangiroa è un posto unico al mondo ? Beh, perchè la vite, che si pianta nei detriti del corallo, ha un solo grande nemico: lo tsunami...

Foto: www.winerist.com


Blaxsta Vingård - Svezia: situata all'interno di una vecchia stalla del 1600, la Blaxsta Vineyard  rappresenta la prima cantina fondata in Svezia e oggi è dotata di un vigneto di circa tre ettari dove sono presenti varietà come vidal (90% del totale), chardonnay, merlot e cabernet franc piantate tutte a partire dagli anni 2000. Molto apprezzati, come ovvio pensare, i loro Ice Wine.

Foto: Blaxta Vineyard

Vini da scoprire di Castagno, Gravina e Rizzari è la mia idea regalo per Natale!


E’ ormai uscito da qualche mese e, visto il successo di critica, non c’è dubbio che “VINI DA SCOPRIRE”, scritto a sei mani da Armando Castagno, Giampaolo Gravina e Fabio Rizzari, sia il fenomeno editoriale dell’anno per quanto riguarda le pubblicazioni enogastronomiche. Sono giunto a questa conclusione non tanto per l’autorevolezza indiscussa dei tre autori, quanto piuttosto per l’idea alla base del libro che, con tutte le cautele del caso, potrebbe diventare un vero e proprio punto di partenza per una rivisitazione della seriosa critica enologica italiana troppo spesso impomatata in tecnicismi e fazioni che non fanno altro che allontanare il consumatore medio italiano che spesso e volentieri ha come obiettivo quello di capire se un tale vino è buono oppure no. Stop.

Per leggere l'articolo completo cliccare qua e sarete indirizza su VINIX!


Istine - Chianti Classico Vigna Istine 2014 è il Vino della Settimana di Garantito IGP


Di Angelo Peretti

Dice Angela Fronti che con questa vigneto ci litiga ogni anno, ché è caparbio e fa quel che gli pare (e figurarsi cos’è accaduto nel difficilissimo 2014), ma il vino che ne viene fuori è di quelli che mi fanno svuotare la bottiglia. Chiantigiano fino all’osso, ha frutto, terra, freschezza, austerità, beva.
www.istine.it

Cantina Margò e la quadratura del cerchio - Garantito IGP

di Angelo Peretti

Con Carlo Tabarrini ci siamo presi a randellate virtuali su Facebook e non ricordo bene per quale motivo. Sta di fatto che poi ci eravamo dati appuntamento a Vini di Vignaioli, a Fornovo, per conoscerci di persona e bere un bicchiere di vino. A Fornovo, però, non sono riuscito ad andarci, ma almeno ho avuto chi mi ha acquistato e portato un paio di bottiglie sue, e benedetta quella volta che mi sono preso a randellate con lui, sennò rischiavo di non averli mai nel bicchiere i suoi vini. Perché, sissignori, mi sono proprio piaciuti.
Ora, va precisato, per chi non lo conoscesse, che Carlo Tabarrini ha una cantina piccina picciò che si chiama Margò, che sta in Umbria (Perugia, località Casenuove) e che milita nel variegato mondo dei produttori “naturali” e che è uno che sa perfino quadrare il cerchio, producendo vini di notevolissima finezza e contemporaneamente di consistente e irruente personalità. Se vi par poco un curriculum del genere…
Adesso i vini.

Umbria Bianco Fiero 2015 Margò
Grechetto, a quel che ho capito. Ma quel che più importa è che si tratta d’un bianco irresistibile. Nel senso che te ne versi un bicchiere e dici: “Buono”. Poi te ne versi un altro e ridici: “Buono”. Poi fai il terzo assaggio ed è sempre più convinto quel: “Buono”. Finché la bottiglia è finita. Ha una freschezza e un sale che t’invitano alla beva, ed è quel che cerco in un bianco sulla mia tavola, ed ha poi quel frutto che è profondo senza eccessi, macerativo senza andar sopra le righe. Chapeau.
(89/100)

Umbria Margò Rosso 2009 Margò
La retro dice che vien fatta la selezione di singoli acini e che poi si fanno follature manuali e che la vinificazione avviene, da tradizione, a tino aperto e poi l’affinamento è in legno. Sangiovese, mi pare. Io dico che comunque questo è uno di quei rossi che vorrei avere in cantina, e vorrei averne più d’una bottiglia di quest’annata, la 2009, e la stapperei alle prossime feste di Natale, ché credo sia all’apice della gloria sua, con quell’incedere terroso e speziato e quell’austerità convincente e avvincente. Un gioiellino.
(91/100)

www.cantinamargo.com



Guido Porro: tutta l'eleganza di Serralunga - Garantito IGP

Di Roberto Giuliani

Ci sono persone che ti riescono simpatiche subito da come parlano, ridono, si muovono, con cui in un attimo ti senti in sintonia. Guido Porro è tra queste. Lo trovi al pomeriggio a vendemmia finita, quasi sempre in cantina ad eseguire i suoi piccoli esperimenti ed a seguire i suoi vini che invece non sono affatto piccoli, anzi. Le vigne si vedono benissimo dall’ampio belvedere dinanzi alla casa-cantina, che la famiglia possiede da cinque generazioni. Esposte a sud-est e sud-ovest (dal sorì del mattino al sorì della sera) , le vigne Santa Caterina e Lazairasco si trovano nel cru Lazzarito a Serralunga d’Alba, uno dei dieci cru di prima categoria del Barolo, come classificato da Renato Ratti nel 1980.


Ma non di solo Barolo si vive in Langa e Guido Porro produce anche Barbera (da una parte della vigna Santa Caterina), Dolcetto I Pari (proveniente da una piccola vigna sempre orientata a sud-est), Langhe Nebbiolo ed anche il Barolo Vigna Rionda che per adesso riposa in cantina.
Dai suoi complessivi 8 ettari Porro ottiene attualmente circa 37 mila bottiglie, tutte prodotte con le uve di proprietà.
Infaticabile, sempre disponibile, Guido ha ereditato passione e mestiere da suo padre Giovanni che sua volta l’aveva ereditata da suo padre e così via.
Vignaioli veri con una solida tradizione che continuerà sicuramente con suo figlio, già all’opera in azienda.

L’impressione entrando nella piccola stanza destinata alle degustazioni, appena sopra la rinnovata ed ampliata cantina, è di trovarsi in una casa vissuta, non la solita saletta di rappresentanza, parte integrante di un luogo e di una piccola storia, così come ce ne sono altre in questa parte delle Langhe, tutte uscite alla ribalta negli anni di fine millennio e che oggi rappresentano un universo molto amato da coloro che amano i piccoli grandi vini.


Ecco i vini degustati nella nostra visita:

Dolcetto d’Alba Vigna i Pari 2015
I profumi sono i suoi ma più che indirizzarsi verso la ciliegia si colgono profumi di rabarbaro ed erbe officinali, ma senza alcuna sfumatura vegetale. Austero, di ottima struttura e tannini dolci.

Barbera d’Alba Vigna Santa Caterina 2015
Bel frutto a tutto tondo con evidenti note speziate (non fa legno). La struttura è solida, compatta ed anche l’acidità è contenuta nei limiti che questo vitigno concede. Molto piacevole la beva.

Barolo Gianetto 2012
Da vigneti di circa 5 anni ecco un naso che presenta un frutto maturo, ma non cedevole con note balsamiche. Al palato è fresco, nonostante il naso lascerebbe pensare il contrario. Lungo e sapido chiude con sentori di cioccolato.

Barolo Vigna Santa Caterina 2012
Naso floreale, poi frutto cioccolatoso e balsamico. Bella polpa e lungo finale dove si apprezzano tannini i giovani ed eleganti.

Barolo Vigna Lazzairasco 2012
Bellissimo naso fruttato con sfumature di viola e china e cenni balsamici. Rotondo e profondo con tannino che morde ma dolce: Finale lungo con sensazioni di cacao e liquirizia. Non potente ma molto elegante e piacevolissimo come tutti i vini di Guido che trovano anche nel prezzo un motivo in più di essere apprezzati.

Caminella - Luna Rossa 2011 è il Vino della Settimana di Garantito IGP

Di Lorenzo Colombo

Merlot e cabernet sauvignon più un pizzico di pinot nero per questo elegante vino che presenta sentori di confettura di more e ampie note speziate (vaniglia, cannella, chiodi di garofano).


Sarà il “Sass de Luna” (la pietra situata nei vigneti e nella cantina dell’azienda) a conferirgli queste note?


Il Tai Rosso tra i Grenache du Monde - Garantito IGP

Di Lorenzo Colombo

Grenache, Garnacha, Alicante, Cannonau, Tai Rosso, Vernaccia Nera, Gamay del Trasimeno, sono numerosissimi i sinonimi della Garnacha che con quasi 185.000 ettari vitati (Garnacha Tinta) è il settimo vitigno più coltivato al mondo (era al secondo posto nel 1990), se a questa poi andiamo ad aggiungere le altre tipologie di Garnacha (Blanca, Roja e Peluda) l’estensione mondiale raggiunge i 195mila ettari (dati 2010).
Questo vitigno, la cui origine parrebbe essere collocata in Spagna, e precisamente in Aragona, s’è pian piano diffuso in tutto il mediterraneo, assumendo nomi diversi in base alle zone colonizzate.


Al giorno d’oggi il vitigno è diffuso principalmente in Francia dove si trova oltre la metà dell’estensione vitata mondiale e dove assume il nome di Grenache ed è collocato principalmente nella Valle del Rodano, in Provenza e nel Languedoc-Roussillion. Oltre 94.000 sono gli ettari a Grenache (Garnacha Tinta), circa 5.000 quelli di Grenache Blanc (Garnacha Blanca), 1.700 quelli a Grenache Gris (Garnacha Roja) e oltre 400 quelli a Lledoner Pelut (Garnacha Peluda). In Spagna la Garnacha è diffusa principalmente in Aragona, Castiglia, Catalogna e nei Paesi Baschi, sono oltre 70.000 gli ettari di Garnacha Tinta, circa 2.300 quelli di Garnacha Blanca e 800 di Garnacha Peluda.


In Italia, dove assume nomi diversi a seconda della zona dov’è coltivata, se ne trovano 6.372 ettari così suddivisi: 5.422 ha di Cannonau in Sardegna, 655 ha di Tai Rosso in Veneto, 280 ha di Vernaccia nera nelle Marche. Inoltre è presente in Umbria, attorno al lago Trasimeno, dove assume il nome di Gamay del Trasimeno, in Liguria dove prende in nome di Granaccia, mentre in altre zone d’Italia è conosciuto come Alicante.

Ce ne sono inoltre circa 6.000 ettari in Algeria, quasi 2.700 negli Stati Uniti, circa 2.000 in Tunisia ed oltre 1.700 in Australia.

Durante un press tour nel vicentino, alla scoperta dei Colli Berici, abbiamo avuto la possibilità di confrontare alcuni Tai Rosso della Doc Colli Berici con vini a base Grenache provenienti da Francia e Spagna; una bella panoramica, seppur limitata, sulle potenzialità e differenze che questa famiglia di vitigni è in grado di conferire ai rispettivi vini.
Ecco le nostre impressioni (i vini sono descritti in ordine di servizio):

S’inizia con l’unico vino bianco presente, la Garnatxa blanca Terra Alta D.O. 2014 “Ilercavònia” – Altavins Prodotto con uve Garnacha blanca da vigneti di oltre quarant’anni, prima della pigiatura le uve sono sottoposte ad una macerazione pellicolare per circa trentasei ore. La D.O. Terra Alta si trova in Catalogna, nella provincia di Terragona. Il vino si presenta con un color paglierino, il naso intenso ed interessante, presenta sentori di frutta bianca oltre ad accenni balsamici e note resinose. Intenso anche al palato, sapido, verticale, con un bel frutto che ricorda la pesca ed accenni affumicati. Molto particolare.


Segue una serie di quattro Colli Berici Doc Tai Rosso, tipologia compresa nella Doc Colli Berici, denominazione che comprende poco meno d’una trentina di comuni situati a sud (e parzialmente ad ovest) della città di Vicenza. La tipologia Tai Rosso può essere prodotta unicamente in un territorio più ristretto, unicamente sei dei suddetti comuni. 

Doc Colli Berici Vigneto Riveselle 2015 – Piovene Porto Godi. I vigneti, collocati su suoli sciolti, a prevalenza calcarea, hanno età diverse, essendo stati messi a dimora parte nel 1961 e parte nel 2002. Sia la fermentazione che l’affinamento del vino avvengono in acciaio. Il colore è rubino trasparente, piuttosto scarico, interessante al naso, dove troviamo una buona intensità olfattiva, con sentori amaricanti, accenni d’oliva in salamoia e leggere note floreali. Fresco al palato, asciutto, di media struttura, con note affumicate e tannino leggermente vegetale, caratteristica che si riscontra soprattutto in chiusura di bocca.

Tai Rosso Doc Colli Berici 2015 - Cantina Pegoraro. Il vigneto, allevato a Guyot su suoli di medio impasto è situato sulle colline di Mossano; sia la vinificazione che l’affinamento (sei mesi) avvengono in acciaio. Anche questo vino si presenta con un luminoso color rubino, più intenso però del precedente. Bello al naso, anche se non molto intenso, dove cogliamo piccoli frutti di bosco. Alla bocca sono nuovamente le note di piccoli frutti rossi che prevalgono. Il vino è sapido, piacevolmente amaricante, con bella vena acida e tannini un poco vegetali, buona la sua persistenza.

Tai Rosso Doc Colli Berici “La Grenade” 2015 – Il Colle di Gà. Le uve provengono da tre ettari di vigneto allevato a Guyot e situato a 100 metri d’altitudine su suoli calcareo-argillosi; la vinificazione avviene in acciaio mentre l’affinamento in botti fa dieci ettolitri. In questo vino la nota rubino, mediamente intensa, tende al granato. Buona la sua intensità olfattiva, come nel precedente, cogliamo sentori i piccoli frutti rosso, leggermente macerati in questo caso, si colgono inoltre accenni affumicati ed una lieve nota pungente. Asciutto al palato, sapido, con sentori mandorlati, vi ritroviamo una nota affumicata, il tannino è leggermente vegetale mentre la persistenza è buona.

Tai Rosso Doc Colli Berici “Montemitorio” 2014 – Dal Maso. I vigneti, situati nei comuni di Alonte e di Lonigo, a 150 metri d’altitudine, hanno un’età di quindici anni ed una densità d’impianto di 5.000 ceppi/ettaro. Sono allevati a Cordone speronato e Guyot su suoli franco-argillosi con buon contenuto in calcare. La fermentazione avviene in acciaio, mentre la maturazione, per dodici mesi, parte in acciaio e parte in cemento. Nuovamente rubino-granato il colore, di buona intensità e profondità. Diverso dai precedenti al naso, dove troviamo un frutto rosso maturo (ciliegia) con una leggera nota speziata ed accenni balsamici. Dotato di buona struttura, sapido, con un bel frutto rosso dolce leggermente speziato, leggeri accenni tostati e note balsamiche, lunga la sua persistenza. Un vino che si scosta nettamente come stile rispetto ai tre precedenti.


Infine tre vini a base Grenache provenienti da Francia e Spagna:

Garnacha D.O. Calatayud Baltasar Gracian 2015 – Bodega San Alajandro. La D.O. Calatayud è situata nella zona sud-ovest della provincia di Saragozza, i vigneti sono allocati sulla Sierra de la Virgen ad altitudini tra gli 800 ed i 1.000 metri slm e l’età degli impianti varia dai trenta ai quarant’anni. La vinificazione avviene in vasche di cemento e l’affinamento in botti. Il colore è rubino-violaceo, luminoso e di buona intensità. Intenso al naso dove ritroviamo un’esplosione di frutta rosso, con sentori di more mature in evidenza. Notevole il frutto rosso anche alla bocca unito ad una leggera piccantezza che rimanda al pepe nero ed al peperoncino, succoso e dotato di lunga persistenza. Un interessante vino dalle note mediterranee.

AOP Maury Sec Nature De Schistes 2014 – Les Vignerons de Maury (80% Grenace Noir e 20% Carignan) Situata nei Pirenei orientali, l'Appellation Maury è certamnete più conosciuta per i suoi vini fortificati, ma, il disciplinare di produzione prevede anche vini “tranquilli”, unicamente rossi. I vigneti sono collocati su marne scistose nere, mentre la vinificazione s’avvale d’una lunga macerazione sulle bucce. Anche in questo vino troviamo un color rubino-violaceo, profondo e luminoso. Buona la sua intensità olfattiva, presenta un frutto rosso dolce, con note balsamiche e leggeri e rinfrescanti accenni vegetali. Fresco al palato, balsamico, speziato, presenta una leggera nota piccante ed una lunga persistenza.

Châteauneuf du Pape 2014 – Ravoire et fils (80% Grenace, 10% Syrah e 10% Mourvèdre) Suoli sassosi in questa denominazione del sud del Rodano situata nel dipartimento della Vaucluse. I vitigni ammessi dal disciplinare sono assai numerosi (quasi una ventina tra bianchi e rossi) ma il più utilizzato rimane il Granache. La vinificazione è assai tradizionale. Il colore è rubino di discrete intensità, con riflessi color granato. Bello il naso, fresco, elegante, di buona intensità, con leggere note di cuoio. Fresco al palato, sapido, succoso, presenta leggeri, piacevoli e rinfrescanti accenni vegetali, lunghissima la sua persistenza su note di liquirizia.

Marchesi di Gresy Martinenga, il “Monopole” di Barbaresco - Garantito IGP

di Lorenzo Colombo
Martinenga, un Cru (MGA) di circa diciassette ettari di vigneto –dei quali dodici a nebbiolo- situata nel comune di Barbaresco, che si aprono in un anfiteatro esposto a sud e fanno da corona alla cascina dall’omonimo nome.
Da qui si ricavano tre diversi Barbaresco, il Martinenga, prodotto sin dal 1973, che costituisce la parte numericamente più importante della produzione, realizzato a partire da circa sette ettari posti ad un’altitudine media di 250 metri.
Ci sono poi i due Cru nel Cru, ovvero il Camp Gros, prodotto dal 1978 e ricavato dai vigneti posizionati ad est della menzione, due ettari e mezzo collocati a 280 metri d’altitudine media ed infine il Gajun, poco meno di due ettari e mezzo posizionati a 270 metri d’altezza nella part ovest  e prodotto a partire dal 1982.
Tutto questo è un “Monopole”, ovvero i vini si fregiano d’un’unica etichetta, quella dei MARCHESI DI GRÉSY.

Marchesi di Gresy, Alberto
Ma partiamo dall’inizio.
La famiglia dei Marchesi di Grésy, d’origine francese, è proprietaria, sino dal 1650, della Tenuta di Monte Aribaldo, situata nel comune di Treiso, dove attualmente si coltivano dolcetto, chardonnay e sauvignon blanc. Nel 1797, tramite un lascito, divengono proprietari della Martinenga, e dagli anni settanta del secolo scorso abbandonano le altre produzioni agricole e zootecniche per dedicarsi unicamente al vino.

Le Tenute Cisa Asinari dei Marchesi di Grésy, questo è il nome completo dell’azienda, dispongono di circa quarantacinque ettari a vigneto, suddivisi in quattro diverse tenute, le due sopramenzionate ed altrettante nel Monferrato: La Serra e Monte Colombo, situate nel comune di Cassine. Qui troviamo moscato, barbera e merlot.


Durante il nostro soggiorno in Langa, ai primi di novembre, per le tradizionali degustazioni di Barolo e Barbaresco del Gruppo IGP, abbiamo avuto occasione di visitare l’azienda -accompagnati dal responsabile della cantina Jeffrey Chilcott-  ed assaggiare numerosi vini in compagnia di Alberto di Grésy e del figlio Alessandro. Abbiamo iniziato con alcuni vini bianchi per poi finire giocoforza sui vari Barbaresco.


Ecco le nostre sintetiche impressioni:
Sauvignon Langhe Doc, le cui uve provengono da vigneti siti nei comini di Barbaresco e Treiso, ad altitudini comprese tra i 250 ed i 330 metri slm., la vinificazione e l’affinamento (quattro mesi sui lieviti) avvengono in acciaio, due le annate proposte:
2014: giovanile il colore, paglierino dorato, luminoso, buona l’intensità olfattiva, che già presenta note idrocarburiche, buona la sua struttura, come pure la complessità, sapido, fresco, con note idrocarburiche e buona persistenza.

2000: già il colore ci rimanda ad un vino non più giovanissimo, oro intenso, luminoso;  il naso, intenso, pulito ed elegante, rimanda a sentori di canditi, strutturato, ancora fresco, dalla lunga persistenza. Un vino ancora in forma smagliante.

Grésy” Chardonnay Langhe Doc", anche questo proposto in due diverse annate.
Le uve provengono dalle stesse zone del precedente, i vigneti sono esposti a sud, la fermentazione avviene in barriques nuove, dove il vino sosta per quasi due anni.

2014: Color paglierino dorato, luminoso.
Intenso al naso, balsamico, con sentori vanigliati e nocciolati, leggere note d’idrocarburi.
Buona la struttura, vanigliato, boisé, chiusura leggermente amarognola.
Stile borgognone.

2009: Oro antico, intenso e luminoso.
Non molto intenso al naso, un poco chiuso all’inizio, s’apre elegante con sentori di panettone.
Dotato di buona struttura, complesso, si colgono sentori d’uvetta sotto spirito, lunga la sua persistenza.

Ma veniamo ai Barbaresco, iniziando dal “Martinenga”:
2013: Granato non molto intenso con riflessi color rubino.
Bel naso, elegante, legno ancora in evidenza, accenni balsamici.
Buona la struttura, il vino è fresco, balsamico, fruttato, con tannini leggermente asciuganti, lunga la sua persistenza.

2009: Color granato luminoso.
Bel naso, elegante, con frutto ancora in evidenza, accenni balsamici.
Morbido al palato, equilibrato, armonico, elegante, con tannini setosi, leggere note vanigliate e lunga persistenza.

A seguire il “Gajun Martinenga
2012: Color granato-rubino luminoso.
Di media intensità olfattiva, presenta leggere note balsamiche.
Di media struttura, con tannini un poco astringenti, legno percepibile e buona persistenza.

2005: Color granato profondo.
Intenso al naso, elegante, balsamico, con frutto ancora ben presente.
Morbido, elegante, con un bel frutto rosso, ancora fresco, con tannini setosi e lunga persistenza. Questo è il vino che più ci ha entusuasmato.

Per finire il “Camp Gros” Barbaresco Riserva Docg 2011
Granato luminoso di discreta intensità con ricordi color rubino.
Buona l’intensità olfattiva, balsamico, elegante, con note vanigliate.
Di buona struttura, morbido, con bella vena acida e tannini setosi, lunga la persistenza su note di liquirizia dolce.



Sandrone: il grande "pedalatore" del Barolo - Garantito IGP

Di Carlo Macchi


La bici da corsa davanti alla nuova cantina sembra dire “Hai voluto la bicicletta, ora pedala!”
E di pedalate Luciano Sandrone ne ha date tante, ma proprio poi tante: 70 anni, 53 vendemmie alla spalle ed una passione assoluta per la vigna e la cantina.
Accanto a lui quasi da sempre la figlia Barbara e il fratello Luca, che ci guida nella visita e ci parla di un giovane Luciano che si crea piano piano ma con decisione e costanza un suo spazio tra gli altrettanto giovani vignaioli di Langa.
Stiamo parlando di un “barolo boys” abbastanza atipico: non usa rotomaceratori ma ottiene nebbioli con tonalità molto intense, non adopera lieviti selezionati da sempre, è biologico ma non lo scrive in etichetta.


Mi piace ricordare la prima volta che sentii parlare di questa cantina. Ero all’allora Arcigola (ora Slow Food) a Bra ed eravamo curiosi di sapere quali cantine, durante gli assaggi della guida, avevano colpito i degustatori piemontesi. Carlin Petrini, ci fece solo un nome (che poi capii era un cognome), ripetendolo più e più volte “Sandrone, Sandrone, Sandrone”, a sottolineare l’assoluta qualità dei vini di quel produttore.
Da allora (stiamo parlando della prima metà degli anni novanta) ho sempre assaggiato i vini di Luciano, trovandoli in verità quasi sempre molto, troppo giovani per poter essere gustati con piacere.
Visitando la cantina e parlando con Luca ho capito il perché di questa assoluta giovinezza: un’attenzione quasi maniacale sia nella cura dei loro 27 ettari (curare il vigneto non vuol dire avere rese bassissime ma vigne equilibrate che diano uve sane ed equilibrate) sia in cantina, dove le fermentazioni si sviluppano a temperature che nei primi giorni possono arrivare anche a 33 gradi, scendendo poi a 25-26, arrivando così a fine fermentazione per poi lasciare le vinacce a macerare a cappello sommerso per 15-20 giorni. I vini andranno poi (nebbioli e barbera, il dolcetto non fa legno) in tonneau per periodi piuttosto lunghi.


Ho scritto nebbioli perché Sandrone produce Nebbiolo in varie vigne di Langa, nonché un Nebbiolo d’Alba che proviene da un territorio storico del Roero come la collina di Valmaggiore: vista la pendenza una vera e proprio “pista nera” votata alla viticoltura. Qui nasce un vino di grande finezza, che riesce a declinare al meglio le caratteristiche dei terreni sabbiosi del Roero.
I barolo parlano invece con voce più maschia, sia le Vigne che il Cannubi Boschis. La differenza tra i due sta che il secondo viene sempre dall’omonimo cru, mentre il primo nasce dall’unione (sempre diversa) delle uve dei vigneti di Vignane, Merli, Baudana e Villero.
Le differenze non finiscono qui naturalmente, il primo è di solito più imponente e ampio, il secondo più elegante e affilato. Ma assaggiare questi due Barolo della vendemmia 2012, appena entrati in commercio, non riesce a mostrarci bene le loro caratteristiche e differenze: meglio provarli con qualche annetto sulle spalle, per esempio quelli della vendemmia 2006.


Questa possibilità non è riservata solo a noi ma a tutti gli appassionati, perché Sandrone da diversi anni mette via un 2000-3000 bottiglie di ogni vendemmia per poi riproporle dopo dieci anni. I due vini erano (ma guarda…) di una giovinezza incredibile sin dal colore: forse dovrebbe incominciare a metterli in commercio dopo 20 anni!
Essendo un bastian contrario di nascita devo ammettere che il vino da me più apprezzato è stato il Dolcetto d’Alba 2015: colore impenetrabile, vinoso, fruttato, floreale, rotondo e fresco con i giusti tannini dolci, una vera goduria per il palato.
Mentre il mio palato godeva è arrivato in sala degustazione Luciano e la discussione è diventata anche una simpatica chiacchierata tra vecchi amici. Quando usciamo è ormai buio, la bicicletta si vede e non si vede ma le tante e belle pedalate date dalla famiglia Sandrone nel corso degli anni ce le portiamo in testa e, perché no, un po’ anche in pancia.