La Sardegna di Dettori alla prova del tempo

Alessandro Dettori e la terra di Badde Nigolosu, un binomio indissolubile e viscerale perchè, lo scrive lo stesso Alessandro, senza quel territorio la loro attività vitivinicola non avrebbe un senso, non esisterebbe.

Siamo in Romangia, sulle colline di Sennori, dove regna l'alberello sardo che punta le sue radici all'interno di un terreno prettamente calcareo, bianco come la panna, che fa da sfondo, oltre che alla vite che lotta contro il maestrale, ad una vegetazione composta da oliveti, fichi d'India, fichi e macchia mediterranea. Nel cielo, falchi e poiane fanno da guardiani a questa Natura struggente, primordiale.

Alessandro fa parte di una famiglia di pastori agricoltori che, come scrive sempre Alessandro, hanno la necessità, da sempre, di consegnare in eredità alle generazioni future una terra fertile e sana. I Dettori, perciò, si considerano piccoli artigiani del Vino il cui frutto, l'uva, viene lavorata naturalmente per creare vini di territorio e non prodotti che piacciono al mercato. Vivono le loro Terra in maniera profonda e consapevole tanto che la tecnica usata per capire quando vendemmiare è molto semplice: passeggiare tra i vigneti e “masticare” l’uva che, messa nelle cassette, viene portata in cantina dove viene lavorata immediatamente.

La Cantina è semplice, tradizionale, sarda e costruita totalmente interrata dopo anni di osservazione ed analisi che hanno permesso di individuare l’area da destinare alla vinificazione e quella per la maturazione in bottiglia. 

Badde Nigolosu
L’uva, selezionata manualmente, viene diraspata ma non pigiata e viene lasciata a macerare nei tini di cemento senza aggiunta alcuna di solforosa. La durata della macerazione dipende dalle caratteristiche del mosto. Può durare dai due ai venti giorni. La svinatura avviene sempre a mano per preservare la buccia. Il mosto prosegue il suo cammino nelle piccole vasche di cemento sino al suo imbottigliamento, di solito dopo due – tre anni. 
Non viene usato alcun prodotto di chimica di sintesi se non lo zolfo. Bellissime sono le retroetichette dei vini di Dettori che riportano tra gli ingredienti solo Uva e Zolfo.

Tutto ciò è ben conosciuto da noi appassionati di vino perchè Alessandro lo ripete ogni volta che lo si incontra alla fiere e perchè, da sempre, è scritto a chiare lettere sul sito dell'azienda. Quello che probabilmente Alessandro non sa, almeno fino in questo momento, è che un piccolo gruppo di romani si è riunito attorno ad un tavolo per valutare il rapporto dei suoi vini col tempo che passa.  Vediamo come è andata? Ma sì, vediamo!
Dettori Bianco 2007 (100% vermentino): giallo dorato, ti corrompe per la sua territorialità che evoca la macchia mediterranea, il miele sardo di asfodelo, il fieno disidratato e la frutta solare, calda, ma non marmellatosa. Al sorso esplode il tratto quasi tannico del vino ma, soprattutto, la grande sapidità del vino che, lo anticipo, rappresenta il tratto comune di tutti i vini di Dettori. Lunga persistenza salmastra che vale un tuffo nel mare cristallino della Sardegna. I 15,5° di alcol non pervenuti o, meglio, ben racchiusi nella struttura del vino.
Dettori Bianco 2006 (100% vermentino): rispetto al precedente il vino ha una veste cromatica meno intensa che prende la forma del giallo paglierino quasi scarico. Al naso il vermentino esplode con un connubio perfetto di olive nere, mela cotogna, anice stellato, timo. Al sorso il vino è un Freccia Rossa che corre in verticale donando freschezza e sapidità alla beva che rimane "tipica" e gradevolissima. Avrà ancora tanto futuro sto vino.

Foto: dobianchi.com
Dettori Bianco 2005 (100% vermentino): cromaticamente è il vino più evoluto col suo aspetto ambrato ma all'olfattiva riprende decisamente punti perchè sembra regalarti un viaggio all'interno di un bazar indiano con le sue note di spezie orientali che regalano una balsamicità inaspettata. Sorso scontroso, salino, politicamente scorretto e, forse per questo, di grande carattere e unicità.
Chimbanta 2003 (100% monica): nato per celebrare i 50 anni di Paolo Dettori, papà di Alessandro, è il prototipo di vino che ti aspetti da un territorio come la Sardegna: caldo, mediterraneo, strutturato e passionale. Per dirla come il mio amico Massimo Abbate, questo è un monica in purezza cazzuto adatto all'uomo che non deve chiedere mai.
Tenores 2003 (100% cannonau): già dalla veste cromatica, più simile a quella di un pinot nero di Borgogna che ad un Cannonau sardo, capisci che hai di fronte un vino diverso e, per questo straordinario. Lo pensi e, subito dopo, hai la conferma che nonostante i 17° di alcol questo è un vino senza peso in grado di volare e far volare. Più nordico che mediterraneo ti conquista con le note di rosa sotto spirito, frutti rossi di rovo, curcuma, coriandolo e freschissima balsamicità. La bocca sai che è imponente ma non te ne accorgi grazie alla sua vitale freschezza, alla sapidità dirompente e alla struttura tannica di nobile setosità. Persistenza iodata, indimenticabile.


Tuderi 2001 (100% cannonau): la seconda annata di questo cannonau di Badde Nigoluso regala una veste cromatica granato la cui territorialità dei profumi viene raccontata da note di lentisco, timo, rabarbaro, chinotto, amarene sotto spirito a cui seguono, col tempo, odori di torroncino e caffè tostato. Il grado alcolico del vino, sempre sopra i 16° è fortunatamente schiantato dalla debordante sapidità del vino che dona un vigoroso ma duraturo equilibrio. Finale di grande impatto mediterraneo.
Tuderi 2000 (100% cannonau): la prima annata di Tuderi di Dettori ricalca bene o male quanto percepito per la 2001 anche se alle note di chinotto, amarene sotto spirito e torroncino si sostituiscono quelle di tabacco da pipa, eucalipto e terra arsa al sole. Sorso ancora arrogante, sapido, sinuoso con finale accattivante e balsamico. 

Sono vini, quelli di Dettori, che potranno dire molto anche nei prossimi anni nonostante l'assenza di chimica. Qualcuno aveva detto il contrario?

Masseria Murata - Coda di Volpe 2008

L'avevo degustato qualche anno fa durante la visita a Masseria Murata dove, oltre a questo vino, degustai altri grandi prodotti irpini tra cui uno splendido Fiano di Avellino 2010.

Gianluca Argenziano e i suoi vigneti

Di questo Coda di Volpe nel 2013 avevo scritto così:

Sarà che le vigne sono quasi centenarie, sarà che la famiglia Argenziano crede molto in questo vitigno, il risultato è affascinante: il Coda di Volpe, di cinque anni fa, è ancora un vino vivo, freschissimo, verticale, non ha grande complessità ma le poche cose che ha le esprime ai massimi livelli. Fresca è una bottiglia che berrei in un minuto da solo.


Pochi giorni fa ho voluto riprovare il vino per capire a che punto era e da subito, dopo il primo sorso, ho capito che due anni fa mi ero sbagliato.
In che senso? Nel non capire le capacità evolutive di questo Coda di Volpe che oggi oltre alla freschezza gustativa che ha mantenuto si arricchisce di una complessità aromatica che prima, causa giovinezza, ancora non esprimeva al meglio e che oggi è caratterizzata da un registro olfattivo dove spicca la pera, i fiori di zagara e la nocciola. Sorso equilibratissimo e armonico sospinto nel finale da una sapidità sopra la media.

Costa poco e fa godere molto. Cosa volere di più per questo week end?

Valutazioni e acronimi negli appunti di degustazione

Qualche giorno, fa leggendo un simpatico articolo sul The Telegraph circa i modi di prendere appunti durante un wine tasting, ho cercato di pensare a cosa faccio io quando sono di fronte ad un bicchiere di vino che andrebbe valutato in pochi istanti. Questo accade, ad esempio, quando si è all'interno di una Anteprima enologica dove nel giro di pochissimo tempo devi (dovresti) bere e dare un punteggio a gran parte dei vini di tutta la denominazione (campioni di botte inclusi).

In questi casi, con la giusta fretta, non possiamo certo copiare il "grande maestro" Luca Maroni. Già, ci metteremmo troppo tempo se celebrassimo ogni vino in virtù della sua turgidità e polposità di frutto. 

Per andare incontro al problema, perciò, bisogna trovare un rimedio che badi alla sinteticità di linguaggio, occorre inventare o personalizzare quelli che nel Regno Unito chiamano "evocative descriptions", cioè acronimi o parole estremamente espressive che poi, più in là, ci permettano di ripensare a quel vino e giudicarlo a  mente fredda.




Leggendo l'articolo di Victoria Moore ho scoperto che spesso i grandi wine tasters anglosassoni usano acronimi molto eloquenti come NDIFM (Not Doing It For Me) oppure LTWTL (Losing the Will To Live)
Tra le sigle più suggestive c'è sicuramente l'acronimo TLIID (They’ll Like It, I Don’t) ad indicare sicuramente un vino che non piace a chi lo sta degustando ma che, a suo modo di vedere, sarà sicuramente un successo commerciale visto magari un certo stile di vinificazione.

Tornando in Italia e andando a spulciare tra i miei appunti, ho notato che ciò che scrivo io durante le degustazioni è nettamente più colorito rispetto ai miei "colleghi" anglosassoni con una netta prevalenza di evocative descriptions quando trattasi di vini dal profilo gustativo non eccezionale. 

Provo a inserire qualche descrizione espressiva e pittoresca da me ritrovata sul mio Moleskine.

Barbacarleggiante: in riferimento ad un vino dal profilo rustico con accenni di rifermentazione in bottiglia;

Kriptonite: avete presente il legame tra Superman e la famosa sostanza immaginaria? Ecco, è lo stesso effetto che mi fa quel vino...

Condom: praticamente è un vino che non fa trapelare emozioni...

WC: penso che non abbia bisogno di spiegazioni...

Ikea: vino segheria, ha più legno lui che la famosa catena di mobili svedese..

Credit: http://www.sentio.it

Quando un vino mi piace molto, invece, uso una serie di disegnini tipo "pollice in su" o uno smile anche se, a volte, ho scritto riccio per dire che il vino mi faceva godere come un riccio...

Comunque, a parte poche divagazioni folcloristiche, mi rendo conto che la maggior parte dei vini da me testati sono stati etichettati con i classici valori numerici prendendo in considerazione la scala in centesimi. Valutazioni più aride ma immediate, soprattutto se bisogna escludere qualche vino dal gruppone dei contendenti.

E voi? Avete delle personali  "evocative descriptions"? 


Il DNA del lieviti ci salverà dalla sbronza?

Alterare il DNA del lievito contenuto nel vino potrebbe renderlo “libero da effetti collaterali”. Ciò significa che in futuro potrà essere possibile bere qualche bicchiere in più senza incorrere nei cosiddetti “postumi della sbronza”. A darne la notizia sono i ricercatori della Illinois University di Champaign (Usa), coordinati dal prof. Yong-Su Jin, che, in uno studio pubblicato su Applied and Environmental Microbiology, hanno realizzato una tecnica capace di migliorare il valore nutritivo degli alimenti fermentati.

Gli esperti hanno messo a punto il "coltello genoma", un metodo che utilizza un enzima, l'RNA-guida Cas9 nucleasi, per tagliare in più copie il DNA del lievito Saccharomyces cerevisiae, utilizzato per la fermentazione di vino e birra. Dopo essere stato spezzettato, il genoma del lievito viene “riprogrammato” per migliorare il valore nutritivo della bevanda. In particolare, utilizzare la tecnica durante la “fermentazione malolattica” - un processo secondario che porta il vino a maturazione, rendendolo morbido – potrebbe impedire la formazione dei sottoprodotti tossici, responsabili dei postumi della sbornia.

Lieviti del vino - Foto:agrifutura.wordpress.com

Il "coltello genoma" potrebbe, inoltre, consentire d'incrementare la presenza di sostanze nutritive nei cibi: "Il vino contiene un componente salutare, noto come resveratrolo. Con il lievito «riprogrammato» potremmo aumentarne la quantità presente nel vino fino a 10 volte, o anche più – spiega Yong-Su Jin -. Oppure potremmo inserire nella bevanda composti bioattivi derivati da altri alimenti, come il ginseng. O ancora, potremmo inserire il resveratrolo nella birra, nel formaggio o nei sottaceti, cioè in tutti gli alimenti che utilizzano il lievito per fermentare".

Articolo tratto da Ilsole24ore


Le Cinciole - Chianti Classico 2011

Parlando di Chianti Classico spesso e volentieri la (sotto)zona di Panzano, per via del suo microclima caldo e asciutto, è stata spesso associata ad un'idea di vino più alcolico e strutturato rispetto ad altri territori più "freschi" come, ad esempio, quello di Lamole o di Radda in Chianti. 
Siamo davvero sicuri che a Panzano ogni azienda produca solo Chianti Classico di tipo "boteriano"? Beh, se si conosce un minimo il territorio, comprese le aziende che vi operano, la risposta deve essere assolutamente negativa e una delle tante eccezioni che confermano la regola è rappresentata dai Chianti Classico del Podere Le Cinciole.
L'azienda, gestita da Luca e Valeria Orsini, attualmente si estende per circa 30 ettari di cui 13 a vigneto specializzato (11 in produzione) mentre sono 5 quelli destinati alla coltivazione dell'olivo con circa 1000 piante.

Luca e Valeria Orsini

Ciò che contraddistingue i vini de Le Cinciole è sicuramente la posizione dei suoi vigneti che si trovano ad una altitudine compresa tra i 430 e i 470 mt slm con esposizione sud-est e pendenza media del 15% anche se una parte consistente dei vigneti, circa 4 ettari su 13, hanno esposizione sud-ovest e sono localizzati su di un altro versante rispetto allo spartiacque orografico.
L'altro fattore caratterizzante i vini de Le Cinciole riguarda la tipologia del terreno su cui poggiano le vigne che, geologicamente, è composto essenzialmente da pietraforte ovvero una pietra arenaria di grana fine con cemento carbonatico tipica delle costruzioni dell'edilizia fiorentina come, ad esempio, Palazzo Vecchio.

Foto: imgkid.com

Oltre all'IGT Toscana "Camalaione" prodotto da un sapiente blend cabernet sauvignon, syrah e merlot, l'azienda basa la sua produzione su due storici vini rappresentati da  "Le Cinciole", Chianti Classico annata, e il "Petresco" che rappresenta il Chianti Classico Riserva proveniente dalla selezione di sangiovese proveniente dai migliori vigneti.

Questa piccola introduzione al micromondo di Podere Le Cinciole rende più evidente come i loro Chianti Classico abbiamo un timbro poco panzanese e tutto ciò risulta molto evidente sul Chianti Classico "Le Cinciole" 2011 che poco tempo fa ho degustato nel corso del Master sul Chianti Classico tenuto dal mio amico Armando Castagno.
Il vino, sangiovese con una piccola percentuale di canaiolo, rappresenta un bellissimo esempio di classicità chiantigiana e, se lo dovessi raffigurare, non farei altro che disegnare una leggiadra ballerina di danza classica che si muove all'interno di un teatro maestoso e barocco. 



All'olfattiva il vino incarna calore e fulgore ma la luce di cui è composto è quasi nordica, scalda ma non arde, è un caloroso abbraccio sensoriale che, se chiudessi gli occhi, ti porterebbe all'interno di una vegetazione rigogliosa e prettamente primaverile caratterizzata dalla presenza di viola e lavanda e dalla compartecipazione di toni boschivi che prendono la forma della felce e della corteccia. La frutta di bosco, tipica dei vini di Panzano in Chianti, è solo un timido ricordo.
Il sorso è incantevole per energia e, soprattutto, per un equilibrio sopraffino dove la parte acido/sapida del vino, evidentissima grazie alla presenza di vigne in "quota" poggiate su pietraforte, fornisce al Chianti una scorrevolezza di beva e una golosità da primato. 
Difficile spiegare tutto questo a parole, più facile sicuramente comprare la bottiglia e verificare di persona cercando di evitare di terminare il contenuto in un amen.

Piccola nota tecnica per quanto concerne vinificazione ed affinamentole uve attentamente selezionate vengono vendemmiate a mano e dopo essere state diraspate e delicatamente pigiate, vengono vinificate in tini di cemento per 15 giorni. Durante il naturale svolgimento della fermentazione alcolica i mosti vengono continuamente controllati al fine di non superare i 28C°. Al termine della fermentazione alcolica si procede alla svinatura ed al trasferimento in altri tini per lo svolgimento della fermentazione malolattica che generalmente si conclude entro la fine di dicembre. Successivamente il vino viene travasato in botti di rovere francese di media capacità (20hl.) dove trascorre circa 12 mesi di invecchiamento. 

Il cervello preferisce i vini con poco alcol

Le aree cerebrali coinvolte nell'elaborazione delle informazioni gustative, come l'insula e il cervelletto dell'emisfero destro del cervello, si attivano maggiormente quando si beve del vino a gradazione non troppo alta rispetto a quanto accade con vini di gradazione maggiore. Lo suggerisce uno studio pubblicato di recente sulla rivista Plos ONE da un gruppo di neuroscienziati guidati dallo spagnolo Manuel Carreras dell'Università dei Paesi Baschi in Spagna. I ricercatori hanno sottoposto 21 volontari sani, bevitori occasionali di vino, a un esame di risonanza magnetica funzionale (fMRI), tecnica in grado di rilevare l'aumento o la diminuzione dell'attività metabolica di una determinata area cerebrale, durante l'assunzione di vini rossi a bassa gradazione (tra i 13 e i 13 gradi e mezzo) e vini a gradazione più elevata (tra i 14 e mezzo e i 15 gradi) a parità di altre proprietà fisiche, come l'acidità.
Foto: www.meteoweb.eu

L'interpretazione dei risultati

"In linea di principio, una percentuale di alcol maggiore dovrebbe produrre una stimolazione sensoriale più intensa" riflette Ram Frost, primo autore dello studio "eppure noi osserviamo un risultato paradossale, ovvero l'attivazione più intensa di alcune aree cerebrali a fronte dell'assunzione di vino a più basso contenuto alcolico. In effetti, le aree che mostrano una maggiore attivazione durante l'assunzione di vino a più bassa gradazione" continua Frost "non sono aree sensoriali, bensì l'insula e il cervelletto dell'emisfero destro. Studi precedenti al nostro hanno mostrato che l'attivazione dell'insula evocata da uno stimolo gustativo è modulata dall'attività delle aree cerebrali che modulano il livello di attenzione verso lo stimolo stesso". Il cervelletto, invece, sarebbe coinvolto nella regolazione del flusso d'aria verso la mucosa olfattiva al fine di ottimizzare la percezione olfattiva e, dunque, anche la percezione gustativa. Inoltre, la corteccia gustativa dell'emisfero di destra si attiva preferenzialmente per stimoli piacevoli piuttosto che per stimoli neutri o non graditi.

Vini del Vecchio Mondo, vini del Nuovo Mondo e attivazioni cerebrali

"Negli ultimi 30 anni" sottolinea Manuel Carreras "è cresciuta la tendenza, soprattutto tra i produttori di vino del Nuovo Mondo, ovvero australiani, cileni o californiani, a produrre vini a contenuto alcolico sempre maggiore, dato che si ritiene che una gradazione maggiore fornisca maggiore spessore e corpo al vino e, in questo modo, si incontrino i gusti del consumatore". In realtà, lo studio potrebbe fornire una base scientifica alla critica più frequente che viene mossa ai troppo corposi vini del Nuovo Mondo, ovvero una mancanza di eleganza ed equilibrio dovuta a un contenuto alcolico troppo elevato che maschera le più sottili sfumature olfattive e gustative del vino.
"D'altra parte" concludono Frost e Carreras "i nostri risultati lasciano intendere che vini più leggeri, come quelli prodotti in Francia, Spagna e Italia, possano avere maggiori chance di favorire una più spiccata sensibilità verso le qualità globali espresse da un vino, anche e soprattutto tra i non esperti, e potrebbero guidare le scelte future degli enologi e dei produttori".

Tenuta Giostra Reitano – Faro DOC Rasocolmo 2011

Mi fa sempre piacere scrivere sul blog di piccole realtà vitivinicole italiane sopratutto se, come in questo caso, non hanno sempre quella cassa di risonanza che pure gli spetterebbe visto la qualità offerta.

Della DOC Faro ho scritto già diverse volte per descrivere prima i vini di Salvatore Geraci (Faro Palari) e poi, in rigoroso ordine temporale, quelli del mio amico Giovanni Scarfone che da qualche anno è balzato agli onori della cronaca per la costante crescita qualitativa della sua produzione.

Questa piccola denominazione della provincia di Messina, nonostante tutte le difficoltà, può contare fortunatamente su altre piccolissime realtà agricole (chiamarle aziende mi sembra spropositato) che in totale raggiungono circa 30 ettari di vigneto composto essenzialmente da Nerello Mascalese, Nocera e Nerello Cappuccio anche se il disciplinare di produzione, istituito nel 1976 e rivisto nel 2011, prevede la possibilità che il Faro DOC possa essere prodotto anche con l'eventuale aggiunta di Calabrese, Gaglioppo e Sangiovese.



Un'importante realtà locale del territorio è sicuramente la Tenuta Giostra Reitano condotta fin dal 2004 da Francesco Giostra Reitanoex Presidente del Consorzio di Tutela Faro DOC, che gestisce un ettaro di vigneto (a breve diventeranno circa tre) coltivato sul promontorio di Capo Rasocolmo, proprio di fronte l'isola di Stromboli, da cui nasce l'omonimo vino oggi in degustazione su Percorsi di Vino.



Il “Rasocolmo” 2011 è prodotto da uve Nerello Mascalese, Nocera, Nerello Cappuccio, Nero d’Avola e Sangiovese ed è affinato in acciaio per almeno 12 mesi al seguire dei quali viene messo in bottiglia per altri 120 giorni come minimo.

Il vino si presenta nel bicchiere con una veste cromatica rosso rubino, tendente al granato, e all'olfatto si caratterizza per la sua veste aromatica che spazia dalla frutta nera di rovo alla macchia mediterranea fino ad arrivare alle spezie nere.



Ciò che colpisce, soprattutto se lo paragoniamo ai "colleghi" maggiormente blasonati, è il sorso che si caratterizza per il suo essere schietto e diretto grazie anche ad un tannino appena accennato e, in generale, ad un equilibrio sicuramente centrato che amplifica la bevibilità del vino che, a mio parere, rimane la caratteristica più importante di questo Faro DOC.

Insomma, il Rasocolmo pur non essendo un mostro di complessità e persistenza rappresenta un ottimo approccio ad un territorio e, in particolare, ad una denominazione che ha bisogno di tutti noi appassionati per essere valorizzata come si merita anche la strada verso l'eccellenza è ancora lunga e tortuosa. 

Beviamo più Faro DOC, i produttori se lo meritano e, in fondo, anche noi.

Che tipo di viaggiatore sei? KAYAK svela il vino che fa per te!

La tradizione della viticoltura in Italia ha origini antichissime; non è infatti un caso che il Bel Paese fosse chiamato Enotria (terra del vino) in epoca pre-romana. La produzione di vino è un settore strategico a livello economico e ogni regione italiana ha una storia affascinante da condividere sulla coltivazione delle vigne. Quest’anno, in occasione di Vinitaly di Verona, KAYAK.it, il motore di ricerca dedicato al viaggio, ha voluto celebrare il vino associando ad esso cinque diverse tipologie di viaggiatore.

IL SOLITARIO
Il solitario è un viaggiatore a cui piace stare un po’ sulle sue, ama il contatto con la natura ed è costantemente alla ricerca di nuove sfide e avventure. Un profilo che perfettamente si associa a un vino di agricoltura biodinamica, proveniente da un tipo di viticoltura di avanguardia naturalistica che cerca di avere il minor impatto possibile su madre natura.
vini biodinamici, entrati recentemente nelle cantine italiane, sono prodotti secondo un metodo di coltivazione basato sui dettami filosofici ed esoterici di Rudolf Steiner. Si tratta di vini impegnati come il viaggiatore solitario, che spesso porta in spalla libri colti, mai noiosi, prediligendo la montagna al mare.

Dal momento che è sempre attivo e ama viaggiare, KAYAK raccomanda a questo viaggiatore la sua innovativa feature MyTrips, uno strumento ideale per chi ha sì la testa sulle nuvole, ma anche i piedi saldi per terra.


L’OCULATO
Non poteva assolutamente mancare nelle cinque categorie stilate da KAYAK il viaggiatore attento al budget. In tempi di crisi, l’oculato non rinuncia all’esperienza del viaggio, ma evita gli eccessi e le spese non necessarie. A un profilo così si addice perfettamente un Aglianico Del Vulture, vino tipico della Basilicata. Il Barolo del Sud, così definito date le varie caratteristiche in comune con il vitigno piemontese, è un vino di qualità molto alta, ma dai prezzi contenuti.

Di certo un binomio che apprezzeranno in molti quello tra alta qualità e spesa contenuta: KAYAK viene incontro alle esigenze del viaggiatore oculato suggerendogli l’utilizzo di Explore che permette di scoprire e trovare nuove mete con un budget prefissato.

L’IPERATTIVO
Ha girato il mondo, ha visitato tutte le capitali europee e ha attraversato la bella penisola italica da nord a sud… due volte! Non è mai stanco e in vacanza tira fino alle 6 di mattina. Un personaggio che assolutamente non può mai mancare in un gruppo-vacanze perché ha energie da vendere! Il vino in assoluto più vicino a questo profilo è senza dubbio un “bollicine”: un metodo classico Franciacorta o un buon Prosecco. E, se un bicchiere tira l’altro, il Processo di prenotazione semplificato di KAYAK è sicuramente uno strumento utilissimo perché consente di cercare e prenotare, senza mai lasciare l’interfaccia di KAYAK, da qualsiasi device.

IL MANIACO DEL CONTROLLO
A chi non è mai capitato di avere in gruppo un pianificatore seriale? Il viaggiatore che adora andare in vacanza, ma che vuole avere tutto e ?C sempre ?C sotto controllo. Prima di partire ha già prenotato tutti gli alberghi, l’auto e persino i ristoranti nei quali andrà a mangiare. Ha letto almeno tre guide ed è decisamente pronto a qualsiasi inconveniente.
KAYAK abbina a questo profilo un Cabernet friulano o un Sangiovese, vini neutrali, lineari e senza sbalzi. Sono estremamente facili da associare e si sa che scegliendoli difficilmente si sbaglia.

Inoltre, il Calcolatore dei costi di commissione e il Calcolatore dei costi per i bagagli del metamotore di ricerca sono le due feature perfette per il “pianificatore”; entrambe, infatti, mostrano le spese extra relative al pagamento con carta di credito e quelle relative al costo dei bagagli imbarcati.

IL SOGNATORE
Ama i paesaggi bucolici e le atmosfere calde e rilassate. Il tempo, per questa categoria di viaggiatore, non è scandito delle lancette di un orologio, ma dalle emozioni e dalle esperienze legate al viaggio. Il vino che gli si addice di più è sicuramente un Passito di Pantelleria: zibibbo al 100% caratterizzato da un colore giallo dorato, tendente all’ambrato e con un sapore dolce e aromatico.

Il sognatore notoriamente si lascia trasportare dalle situazioni e istintivamente decide di partire: Hotel per stanotte, la nuova feature dell’applicazione di KAYAK, lo aiuterà a prenotare last minute l’albergo dei suoi sogni.

“Ci siamo divertiti molto a trovare la perfetta combinazione tra vino e viaggiatore. La decisione di proporre esclusivamente vitigni italiani non è stata casuale. L’Italia ha una produzione di vino di eccellenza ed è sicuramente meta ambita per molti nostri utenti. Noi di KAYAK siamo sempre curiosi di conoscere cosa possa spingere i nostri clienti a partire verso nuove mete, ma ci piace anche dare suggerimenti e consigli relativi alle destinazioni da scegliere”, ha dichiarato Gurhan Karaagac, Regional Managing Director KAYAK Italia, Turchia e Grecia.

Il Chianti Classico de I Fabbri in una splendida verticale storica. Lamole e il suo sangiovese profumano di iris, sappiatelo!

Per il Chianti Classico di Lamole ho sempre avuto un feeling particolare la cui genesi va ricercata nell'unicità del territorio di appartenenza che fornisce una impronta indelebile al vino che qui viene prodotto con grande fatica. 
A Lamole non ci passi per caso ma ci devi arrivare percorrendo una strada stretta che si inerpica tra le colline del Chianti Classico attraverso paesaggi boschivi, quasi montani, che appartengono più a gnomi e fate piuttosto che a piante di vitis vinifera che spesso si confondono con il viola dei giaggioli che fioriscono a maggio.

Foto: fromatuscanhillside.blogspot.com

Pendenze importanti, che variano tra il 30% e il 50%, che nel tempo hanno costretto gli agricoltori della zona a realizzare veri e propri terrazzamenti dove piantare il mitico "sangiovese grosso di Lamole" i cui profumi, definiti anche dall'altitudine media dei vigneti che si aggira sui 500 metri s.l.m., hanno reso famoso il Chianti Classico di questo territorio nel corso dei secoli.

Anche Susanna Fabbri deve essere rimasta incanta dal fascino del vino di Lamole perchè nel 2000, assieme a sua sorella Maddalena, fonda l’Agricola I Fabbri che oggi, grazie ad un'importate opera di manutenzione delle antiche terrazze e al successivo reimpianto dei vigneti effettuato nel 2002 , si estende per circa 35 ettari di cui 9 piantati a vitis vinifera (sangiovese in prevalenza) e 2 ad oliveto.

Le terrazze di Susanna Grassi

Ho invitato Susanna qualche settimana fa a Roma per una storica verticale dei suoi vini più rappresentativi ovvero il Chianti Classico "Lamole" (vinificazione e affinamento in cemento) e il Chianti Classico "I Fabbri" Riserva (vinificazione in acciaio e affinamento in carati da 500 litri di rovere francese per 10 mesi, seguiti da almeno 5 mesi di bottiglia).

Di seguito ho riportato, come al solito, le mie note di degustazione.

Chianti Classico Lamole 2012: naso di iris, ribes rosso e ciliegia. Bocca lamolese ovvero caratterizzata da finezza e splendido equilibrio grazie anche alla morbidezza dei tannini. Finale succoso. Grande rapporto q/p visto che a  scaffale costa circa 12/13 euro.

Chianti Classico Lamole 2011: rispetto al precedente sembra avere maggiore "ciccia" grazie ad una vena fruttata molto più in evidenza a cui fanno da corollario note di cipria e geranio. Palato di grande classe, sinuoso, con tannini levigati e notevole finale sapido.

Chianti Classico Lamole 2009: un vino terapeutico, questa è stata la mia esclamazione dopo aver messo il naso nel bicchiere che, intensamente, pulsava ed emanava sensazioni talmente balsamiche che ti liberava dal raffreddore meglio dell'aspirina. Alle note mentolate, come sempre, si accompagnavano le "tipiche" sensazioni di fiori rossi e fruttini rossi di bosco. Sorso convincete, fresco e solare con tannino di fine estrazione.

Chianti Classico Lamole 2008: il tempo comincia a sentirsi in quanto, rispetto ai precedenti, si cominciano ad intuire gli odori terziari del grande sangiovese del Chianti Classico che si concretizzano in profumi di terra bagnata, tabacco, cuoio assieme agli onnipresenti effluvi di fruttini rossi, quasi disidratati, e fiori rossi da diario. Bocca, invece, ancora molto giovanile, dotata come sempre di grande freschezza e sapidità e di un allungo succoso e pulito.


Chianti Classico Riserva 2011: Susanna Grassi onoro la menzione Riserva del suo Chianti dando vita ad un sangiovese di razza e struttura, più complesso e profondo rispetto al suo fratellino minore "Lamole" grazie  ad un naso avvolgente che passa dall'agrume rosso all'iris per poi virare verso sensazioni di ciliegia e fragola di bosco. Palato affilato, teso, dotato di fitti tannini e di una chiusura sapida davvero dirompente.

Chianti Classico Riserva 2008: vigoroso e spigoloso al tempo stesso, sempre essere, tra quelli proposti in batteria, il vino più indietro per via di un equilibrio ancora in fase di definizione che oggi lascia intravedere una componente alcolica ancora troppo in evidenza. La sostanza c'è per cui è solo questione di tempo.

Chianti Classico Riserva 2007 (sangiovese, canaiolo e merlot 5%): metti il naso nel bicchiere e anche tra 1000 Chianti Classico non puoi non riconoscere in questo vino la classe e il terroir di Lamole che esplode aromaticamente con intense sensazioni di fiori rossi dove è facilissimo riconoscere l'iris e la viola a cui si intersecano intriganti noti minerali e iodate. Al sorso c'è tanta eleganza e pienezza, il vino invade il cavo orale come velluto rosso e non se ne va più. Un grande Chianti Classico di Lamole per un grande millesimo.


Chianti Classico Riserva 2006 (sangiovese, canaiolo e merlot 5%): probabilmente ha un naso meno ricco e seducente del precedente vino ma, dal punto di vista della complessità olfattiva, questa annata mi piace moltissimo grazie ad una freschezza di fondo, data dalla vena floreale e balsamica, che bilancia perfettamente i ricordi di foglia di tabacco, corteccia e marasca. Al sorso sguaina corpo e carattere e fini tannini. Finale persistente e sapido. Grande prova.

Chianti Classico Riserva 2005 (sangiovese 100%): annata fredda molto simile alla 2014 che a Lamole, dove i vigneti sono a circa 600 metri, è stata davvero molto difficile. Susanna, con molta amarezza, ci confessa che ha dovuto ridurre dal produzione del 60%. Il risultato di tutto questo, come facilmente prevedibile, lo si testa immediatamente nel bicchiere dove il Chianti Classico si caratterizza per sobrietà e magrezza. Tutto è essenziale ma la colonna vertebrale è ancora ben dritta e solida per cui il sorso, nonostante tutto, rimane piacevolissimo soprattutto nel finale decisamente sapido e austero.




La Terrasse "Cuisine & Lounge” del Sofitel Rome Villa Borghese celebra lo Champagne Laurent-Perrier e il Caviale Calvisius

Non c'è nulla da fare, a Roma ci sono posti unici come ‘La Terrasse Cuisine & Lounge’ del Sofitel Roma Villa Borghese che, dall'alto del suo settimo piano, si affaccia sui giardini di Villa Borghese e di Villa Medici regalando agli ospiti un panorama unico, soprattutto al tramonto, quando il sole letteralmente "muore" dietro la cupola di San Pietro.


Volete sapere il motivo per cui oggi vi parlo di questo posto? Semplice, perchè a partire dal 27 febbraio, per quattro venerdì di seguito, la migliore terrazza d'Hotel in Europa (Prix Villégiature Awards 2013) ha programmato una serie di aperitivi a base di champagne Laurent-Perrier abbinato al celebre Caviale Calvisius (100% italiano ottenuto da specie di storione pure e non ibride) che, per questa serie di eventi, viene interpretato in cucina attraverso gustosi finger food dal bravissimo chef salernitano Giuseppe D’Alessio. La foto sotto probabilmente non rende giustizia al sapore di quei piatti!


Visto che il mio è un blog di vino vorrei parlarvi anche dello Champagne  Laurent-Perrier che durante l'aperitivo in Terrazza è stato degustato in versione Brut che, da sempre, rappresenta un po' il vino bandiera della grande Maison francese visto che la sua produzione risale agli anni '50. 


La cuvée, formata da un sapiente assemblaggio di chardonnay (50%), pinot noir (35%) e pinot meunier (15%), provenienti da oltre 55 crus aventi una media del 94%, dal punto di vista organolettico è facilmente riconoscibile per noi "champagne lovers" grazie alle sue tipiche note di agrumi e frutti bianchi che ben si integrano all'interno di un equilibrio ed uno stile sapientemente ricercato da Laurent-Perrier per questo Champagne tipicamente da aperitivo ma che vedrei bene anche su piatti più ricercati come una zuppa di molluschi o un succulento coniglio alla cacciatora.


Piccola curiosità tecnica: lo Champagne riposa in cantina per un periodo minimo di tre anni anche se la legge francese stabilisce che possa essere commercializzato dopo "solo" diciotto mesi.

Non mi resta che ringraziare per questa magnifica serata Agostino Zappimpulso (FB Manager) e tutti i ragazzi del servizio de La Terrasse Cuisine & Lounge che, oltre ad essere bravi e professionali, ho scoperto essere anche grandi appassionati di vino visto la loro qualifica di sommelier. Se volete, venerdì 20 è l'ultimo giorno per godersi l'aperitivo in compagnia dello Champagne Laurent-Perrier Brut abbinato al Caviale Calvisius.

Ne vale la pena!




Ma davvero credevate che il vino era come la palestra?

Cattive notizie per pigri e beoni. Qualche giorno fa un popolare sito inglese sembrava aver messo a poste le coscienze di coloro i quali non riescono proprio ad alzarsi dalla scrivania o dal divano e preferiscono farsi un bicchiere piuttosto che una bella corsetta all’aria aperta: «A glass of red wine is the equivalent to an hour at the gym» sparava baldanzoso il My Daily citando un nuovo studio dell’University of Alberta in Canada e facendo stappare bottiglie di rosso nelle case di tutto il mondo. La rivincita dei fannulloni sembrava così compiuta, alla faccia dei fanatici del jogging e dei patiti della zumba. Chi è corso in palestra per disdire l’abbonamento non aveva però fatto i conti con il dottor Jason Dyck, autore della presunta scoperta.



BICCHIERE DI BUFALA – «Non è affatto così, anche se molte persone vorrebbero che lo fosse. È parecchio sconfortante vedere tutto il tuo duro lavoro ridotto ad una frase sbagliata» si sfoga il dottore alla Cbc, rivelando la bufala. Lo studio è stato pubblicato più di due anni fa: al centro della ricerca c’è il resveratrolo, sostanza presente nell’uva e altri alimenti, che può aumentare la capacità di massimizzare i benefici dell’esercizio fisico. Ovviamente per chi lo fa e non per chi se ne sta spaparanzato. Anche qui occorre però una precisazione, è solamente un pizzico di verità: per avere un qualche minimo di risultato infatti servirebbe molto più resveratrolo di quello contenuto in un bicchiere di vino.«Si dovrebbero bere dalle 100 alle mille bottiglie al giorno» spiega Dyck solo per amor di scienza (e non dell’alcolismo). Insomma non si scappa: meno cantina, più addominali.