La nostra vacanza ideale? Dentro una botte!!

Siete alla ricerca di una vacanza alternativa?

Siete una coppia o due amici col vino nelle vene?

Siete astemi e poco alternativi ma volete far morire di invidia i vostri amici di Facebook?

Se avete risposto sì ad almeno una delle tre domande vi propongo una sistemazione in stile Percorsi Di Vino.

In Germania, precisamente a Sasbachwalden, quasi al confine con la Francia, hanno aperto il B&B Shlafen im Weinfass che si caratterizza per un'ospitalità enogastronomica abbastanza singolare visto che i clienti, dopo essere stati accolti con salami, salsicce e vino, sono fatti accomodare all'interno di enormi botti da 8 ettolitri, realmente usate in passato per affinare il vino, trasformare ora in funzionali camere doppie dotate di riscaldamento, sistema idraulico e tavolinetto per degustazione (i bagni sono ospitati in altra botte).

La posizione delle botti nei vigneti



L'esperienza "vinosa" è resa indimenticabile soprattutto dalla location visto che le botti sono immerse nei diversi vigneti dell'azienda da cui il panorama sulla Valle del Reno è davvero incantevole.



Il prezzo per tutto questo è di circa 156 euro! Vi piace?

René Collard, l'antiquario del vino, e il suo Champagne Cuveé Reserve 1985

René Collard non è più tra noi, è morto nel 2009 portando via con sé tutto il suo sapere contadino e, probabilmente, anche tutta la bontà e la rusticità dei suoi Champagne.
Nato nel 1921, ha iniziato a vinificare nel 1943 prendendo in gestione il vigneto di famiglia di circa 17 are situato nei comuni di Reuil e Damery.


René Collard - Foto:vinieterroir.wordpress.com

Collard ha sempre rispettato l'ambiente, prima di altri, più di altri, e fin da subito, come aveva fatto suo padre, non ha mai usato pesticidi, erbicidi e insetticidi all'interno delle sue vigne dove è stata sempre piantata una solo tipologia di uva: il Pinot Meunier.
Collard, da sempre, ha voluto produrre champagne in grado di sfidare il tempo e, per raggiungere l'obiettivo, fermentava il vino in grandi botti di legno senza far svolgere la malolattica. Lo Champagne veniva ritenuto pronto solo dopo aver svolto un periodo di affinamento di almeno 6 anni all'interno di fusti di rovere da 600 litri.

Il suo motto era che la qualità faceva vendere la quantità!

I suoi vigneti, che nel frattempo si erano ampliati fino a raggiungere circa 7 ettari, e la sua cantina sotterranea, dopo nulla sembrava esser stato toccato per oltre 50 anni grazie ad un importante accumulo di vecchie annate, sono stati il suo mondo fino al 1996 quando, a causa delle sue condizioni di salute e per ragioni di famiglia, decise di passare il testimone ai figli non prima però aver dato vita alla sua ultima fatica chiamata "Cuvèe Ultime" (base millesimo 1995).


Foto: http://blanc2blancs.over-blog.com/

Tutto questo si annida nella mia mente mentre tolgo la gabbietta metallica e il tappo a fungo dalla Cuveé Reserve 1985 gentilmente regalatami dai TDC dopo una serata di riconoscimenti alla cieca. "O godrai o getterai il vino nel lavandino" mi era stato detto mentre prendevo la bottiglia con me conscio che i vini di Collard, soprattutto le sue vecchie annate, possono dare risultati altalenanti per tanti ovvi motivi.



Lo Champagne che ho nel bicchiere, invece, non è nè godereccio nè da buttare, è sostanzialmente un vino autentico, con tratti rustici e schietti, che pur traballando nella sua impalcatura generale non molla di una virgola. Ecco, è un meccanismo con le viti un pò lente ma che gira ancora alla perfezione quando ti seduce con il suo naso a metà tra il gesso e la frutta secca che di tanto in tanto fa crea lampi aromatici di anice, zenzero ed erbe secche di campo.

Anche al sorso tiene, si piazza a metà tra il paradiso e l'inferno, tra lo zuccherino degli agrumi canditi e del miele e la sapidità quasi marina del suo finale. E' un vino al quale non non si possono dare voti perchè altrimenti dovresti darli al personaggio Collard e alla sua cultura genuinamente retrò. Impossibile, però, non riconoscere alla cieca il suo stile inimitabile e, per me, questo è un buon motivo per inserire il buon René nell'olimpo dei grandi vignaioli apparsi su questa Terra.

Prosit Monsieur Collard!

Il Trebbiano d'Abruzzo e Le Armandine

Le Armandine, ovvero la "cellula separatista" tutta al femminile di Armando al Pantheon, hanno spalancato l'ingresso del loro ristorante per un evento (speriamo non unico) dove i grandi Trebbiani d'Abruzzo venivano mirabilmente sposati con la suggestiva cucina romana dello storico ristorante del centro di Roma.

Foto: Andrea Federici
Prima del magna magna, in senso buono, Alessandro Bocchetti, grande esperto di enogastronomia, soprattutto abruzzese, ha condotto una degustazione relativa a ben otto Trebbiani d'Abruzzo che, come vedremo dalla note di degustazione che ho abbozzato, rappresentano terroir e stili estremamente diversi tanto da declinare il Trebbiano in tanti micromondi diversi ma al tempo stesso unici ed affascinanti. Ovvio, come conseguenza, l'uso del plurale Trebbiani.


Fabiana Gargioli al via. Foto: Andrea Federici

In sequenza, dal più "vecchio" al più "giovane", abbiamo degustato:

Emidio Pepe -Trebbiano d'Abruzzo 2009: il vino, presentato da Sofia Pepe, è naturale e spontaneo come la filosofia aziendale a cui è strettamente legato. E' un trebbiano ancora giovane, legato ad aromi fermentativi e che, chiudendo gli occhi, ci fa venire in mente l'odore rurale dell'Abruzzo con i suoi toni di paglia ed erba medica a cui seguono soffi gessosi e agrumati. In bocca è fervido, quasi citrino, e chiude su una lunga scia iodata che rimanda al paesaggio da cui proviene. 


Sofia Pepe. Foto: Andrea Federici

Valle Reale - Trebbiano d'Abruzzo "Vigna di Capestrano" 2011: proveniente da una piccola parcella situata sotto l'omonimo paese, il Vigna di Capestrano è un vino che fermenta spontaneamente in acciaio e rimane più di  un anno a contatto con i lieviti non selezionati. Al naso si esprime su toni vegetali che spaziano dalla camomilla alla clorofilla fino ad arrivare, col tempo e l'ossigenazione, alla pietra focaia. Al sorso ha grande vigore ed un'acidità quasi tagliente che ben viene equilibrata da un frutto più maturo e rotondo che prende la forma dell'agrume. Finale che gioca su toni fruttati e, soprattutto, sapidi. 

Valentini - Trebbiano d'Abruzzo 2011: che dire di questo vino che, ogni volta che lo bevo, mi sorprende sempre per il suo continuo e lento progredire. Inizialmente, come accaduto per Pepe, si apre su note aromatiche fermentative per poi virare sulla nota tostata netta che rappresenta uno dei marcatori odorosi del trebbiano d'Abruzzo. L'ossigenazione del vino, sacrosanta in questo caso, crea col tempo corredi olfattivi floreali di primavera a mezzetinte iodate e fluviali. La bocca, pur essendo giovanissimo, si rivela per un perfetto equilibrio tra luminose note saline e minerali, con una persistenza già da primato che chiude il sorso su sensazioni di oliva nera e gesso. Grande ora, grandissimo in futuro.


Foto: Andrea Federici

Tenuta Terraviva - Trebbiano d'Abruzzo "Mario's" 2011: già dal colore, giallo quasi dorato, ti fa capire che rispetto ai precedenti è un vino più robusto e pieno dai tocchi floreali di ginestra e camomilla e dal frutto maturo e succoso. Al sorso tradisce una evidente precocità dovuta al recente imbottigliamento che, comunque, non nasconde una struttura ben solida dove morbidezza di frutto e freschezza raggiungono già adesso un equilibrio confortante. Da provare tra un anno per una giusta valutazione. Fermentazione con lieviti indigeni e maturazione per 12 mesi in botte grande e 6 mesi in acciaio.

Az. Agr.Tiberio - Trebbiano d’Abruzzo “Fonte Canale” 2012: le uve, provenienti da una vecchia pergola, prima di questa annata, venivano usate per dar vita al Trebbiano di casa Tiberio che, finalmente, si son convinti ad imbottigliare il loro trebbiano. Naso variegato che si apre su toni verdi, vegetali, che spaziano dal prato fiorito alle erbe officinali. Poi, col tempo, aumenta la complessità odorosa grazie a piccoli sbuffi di frutta gialla (nespola su tutti). Al sorso ha grande verticalità anche se il finale, sapido, viene smussato abbastanza da una nota rotonda di frutta esotica, non matura, che prende la forma dell'agrume. Ottima la beva complessiva. Fermentazione in acciaio e maturazione in bottiglia.


Foto: Andrea Federici

Torre dei Beati - Trebbiano d’Abruzzo "Bianchi grilli per la testa" 2012: è l'ultimo nato in casa Albanesi-Galasso e, come ha spiegato più volte Fausto, rappresenta un trebbiano nato un pò per gioco e un pò per sfida senza avere particolari intenti commerciali vista l'esigua quantità prodotta. Questa è la seconda annata prodotta e, rispetto alla prima più fresca e verticale, questo millesimo si caratterizza per una nota tostata netta e per una maggiore concentrazione e robustezza. Bocca molto diretta e beverina grazie alla buona vena acido-sapida. Il vino viene fermentato con lieviti indigeni e non è stato filtrato. 


Foto: Andrea Federici

Agricola Cirelli - Trebbiano d’Abruzzo “Anfora” 2012: cosa spinge un laureato della Bocconi a cambiare vita a soli 23 anni andando a coltivare sulle colline di Atri (TE) vigne, olivi, fichi, aglio ed allevare oche nessuno, tranne lui, lo può comprendere. Quello che invece so è che Francesco Cirelli ha usato in maniera magistrale anfore di terracotta da 800 litri per produttore il suo Trebbiano, un vino molto personale e quasi intimo che, senza ricorrere a neologismi, sa di pane e di mare. Bocca sapida e beverina e beva eccellente. Da provare!


Francesco Cirelli. Foto: Andrea Federici

Tenuta Ulisse - Trebbiano d’Abruzzo “Nativae” 2013: ottenuto tramite fermentazione spontanea in vasche di cemento con lieviti presenti naturalmente sull'uva proveniente da un vecchio vigneto, questo Trebbiano è un vino stranissimo che esula da tutti quelli provati in precedenza per via di una nota esuberante e terpenica che esplode in un profilo aromatico agrumato e vegetale. Bocca diretta, piena che sfocia in un finale di frutta citrina e di buona sapidità. Devo dire la verità: alla cieca non avrei detto Trebbiano ma, forse, questo è un mio limite (?)

Premio letterario "Ezio Affini" su vino o ambiente fluviale

L’associazione Ezio Affini, in collaborazione con Blonk editore, ha indetto un premio letterario nativo digitale in memoria di Ezio Affini, direttore commerciale di Blonk editore, prematuramente scomparso.
Il premio è rivolto a opere di narrativa (non saggi) sotto forma di racconto lungo (15-20 cartelle) che dovranno pervenire in formato digitale all’indirizzo email premioezioaffini@gmail.com entro il 30 giugno 2014. Sono ammesse esclusivamente opere che raccontino di fiume o di vino.

La partecipazione al premio è gratuita.  

Le opere meritevoli verranno pubblicate in formato ebook da Blonk editore e quelle giudicate migliori riceveranno un premio in denaro:
·       Primo premio euro 600
·       Secondo premio euro 300
·       Terzo premio euro 200

I premi saranno ritirati personalmente dai vincitori durante la cerimonia di premiazione che avrà luogo a Pavia nel mese di ottobre (la data verrà comunicata in seguito).
L’esito del Concorso verrà reso noto tramite organi di stampa, emittenti radiotelevisive e sul sito Internet del Premio http://www.premioezioaffini.wordpress.com

Ezio Affini
Tutte le informazioni sono disponibili a questo link http://premioezioaffini.wordpress.com/2014/04/08/le-regole/

Qui il bando completo in formato pdf


Organizzazione

Media partner

Marketingdelvino.it

Giulio Ferrari Riserva del Fondatore 1995

Dopo 2001 e 1997, eccoci arrivati al millesimo 1995 di questo grande spumante figlio di una annata tra le più scarse negli ultimi trenta anni ma che, a Maso Pianizza, ha dato vita ad un'uva tanto rara quanto eccelsa.


Foto:www.italiaatavola.net

Il Giulio Ferrari si presenta di un colore giallo dorato con riflessi ancora paglierino e si propone nel bicchiere con uno spettro aromatico molto ricco e variegato dove, oltre ai "classici" sentori di lievito, predominano note opulente e dolci di miele, pan brioche, anice, nocciola, zenzero. Col passare del tempo si levano dal calice note di pasticceria talmente golose che vorrei mordere quel bicchiere che sa di torroncino, pistacchio e mandorle tostate. Lo scenario minerale in questa annata è un po' sulle retrovie anche se ben presente.

Al palato è di grande impatto, ritornano a cascata le impressioni olfattive per cui la bocca è caratterizzata da un turbinio di sensazioni dolci e salate che, all'interno di una ideale giostra sensoriale, tendono ad equilibrarsi in un contesto di assoluta eleganza. Persistenza da lacrime per un vino di 17 anni. 
Per la famiglia Lunelli questa è stata la migliore annata del secolo scorso e noi non facciamo fatica a credergli. 


Foto: Lettoresommelier.it

Per me, ad oggi, questo metodo classico ha raggiunto il punto di espressione più elevato per cui, se lo avete in cantina, correte a stapparlo.

Giulio Ferrari Riserva del Fondatore 1997

Qualche giorno fa, parlandovi dell'annata 2001, per motivi di spazio avevo parlato solo accidentalmente di uno dei punti di forza di questo grande metodo classico italiano: il vigneto di Maso Pianizza.

Maso Pianizza. Foto: viniesapori.net
Vero e proprio Cru, il Maso Pianizza è costituito da oltre dodici ettari di chardonnay piantati a metà degli anni Sessanta da Mauro Lunelli, l'enologo della famiglia, attorno ad un maso situato tra i 500 e i 600 metri d'altitudine, sulla collina est di Trento.
La vite è allevata a pergola semplice trentina su un terreno esposto a sud-ovest, tendenzialmente sabbioso, con presenza di ghiaia ed argilla. La densità è di 4500 ceppi/ettaro con una resa di circa 2 Kg per ceppo; ciò significa una produzione media di 90 quintali/ettaro. 
A Maso Pianizza la vigna, suddivisa in vari cloni che forniscono al vino anime differenti, è interamente circondata dal bosco che, come facile pensare, crea condizioni microclimatiche assa favorevoli. 
Il vigneto viene periodicamente rinnovato con materiale certificato anche se, è bene sottolineare, i grappoli usati per il Giulio Ferrari Riserva vengono raccolti solo da piante con almeno dieci anni di età.

Terminata questa parte prettamente agronomica, utile per completare il quadro sulla genesi di questo vino, torniamo a bomba sul Giulio Ferrari Riserva del Fondatore 1997 e sulle sue note di degustazione.

Foto:www.sgaitalia.it

Prima di tutto due note sull'annata che, dal punto di vista meteo, è stata eccezionale per il territorio. La siccità di fine inverno e inizio primavera e le gelate tardive di fine maggio hanno causato notevoli diradi ai vigneti mentre l'estate con temperature sopra la media ha causato una precoce maturazione dell'uva ed un conseguente anticipo di vendemmia che, a Maso Panizza, è iniziata a metà settembre.

Il Giulio Ferrari Riserva che ho nel bicchiere, non solo per la maggiore età ma soprattutto per quanto scritto sopra, è totalmente differente all'annata 2001 che avevo esaminato nel post precendente. La mineralità ora è solo accennata, smussata, prevalgono invece le note tostate di frutta secca, nocciola, Pain d'épices. Già, appena versato sembra un grandissimo spumante adatto per Natale. Poi, col tempo, questa dolcezza passa e tornano le sensazioni più dure che fanno venire in mente il sale e la ghiaia.
La bocca te l'aspetti morbida ed invece ti sorprende per la sua fiera austerità, agilità e freschezza. Dopo averlo degludito, per minuti, lascia in bocca una meravigliosa scia sapida.
Un Giulio Ferrari a due facce che ti conquista per la sua imprevedibilità. Curioso di sapere se avrà la forza di mantenersi in equilibrio nel tempo. Lo riproveremo, sarà un duro lavoro....


Foto: larcante.com


Lo Street View di Google ci porta tra i vigneti e le cantine di Bordeaux

Vigneti, cantine e dimore di Bordeaux e dintorni a portata ci click. Grazie a Street View, il servizio di Google Maps per visitare i luoghi dal livello stradale e con immagini a 360 gradi, gli appassionati di vino, e non solo, possono visitare dalla poltrona di casa il meglio di alcuni 'Chateaux' francesi. In rete i primi otto. 

Prossima tappa per gli eno-turisti online sarà l'Alsazia.

Sul suo blog d'Oltralpe il colosso di Mountain View spiega che con street View è possibile fare una passeggiata virtuale fra strade e vigneti di Bordeaux, tra le regioni vitivinicole più rinomate di Francia. I più curiosi hanno anche la possibilità di intraprendere un tour dentro le prestigiose dimore del territorio. Otto finora quelle che hanno spalancato le porte a Google e che è già possibile visitare: Chateau Lafon-Rochet, Chateau de La Brède, Chateau de Malle, Chateau de Pressac, Chateau d'Agassac, Chateau Coutet, Chateau La Conseillante e Chateau Corbin Michotte. 

Château Lafon-Rochet su Google Street View. Foto: Ansa.it

I ''wine lover'' non potranno fare a meno anche di una capatina 'virtuale' nella città medievale di Saint-Emilion, la 'Montalcino' francese, che tra l'altro è patrimonio Unesco dal 1999. Con Street View si entra anche nel Musée d'Aquitaine per conoscere qualcosa in più della storia di Bordeaux.

Fonte: Ansa.it

Elena Fucci: storia di un amore per l'Aglianico del Vulture

"Alle 11 nonno Generoso, 86 anni, ha finito di lavorare già da un pezzo, si sveglia prestissimo, come tutte le persone della sua età, e solitamente è già per vigne alle 5/6 di mattina. Alla sua età, bontà sua, è ancora operativo e mi dà una grande mano. Senza di lui, oggi, probabilmente non ci sarebbe il Titolo".

Nonno Generoso a lavoro. Foto: Tiberio Fucci

Sono a Barile, in Contrada Solagna del Titolo, e a parlare è Elena Fucci, giovane e bravissima vignaiola del Vulture, che finalmente sono passato a trovare dopo anni che glielo promettevo. Mentre passeggiamo, con orgoglio, mi parla ancora del suo territorio e delle sue vigne a cui ha dedicato la sua vita con un atto d'amore che ha una data ben precisa.

"Sai, Andrea, la mia famiglia per anni era solita vendere le uve, come fanno ancora tanti contadini della zona. Mi ricordo che nonno mi diceva che, quando era lui alla guida della cantina, l'aglianico lo vendeva abbastanza bene a clienti del napoletano. Ben 100.000 lire al quintale. Poi le cose sono cambiate, nel 2000 si era ventilata la possibilità, quasi una necessità, di cedere tutti i vigneti di proprietà. Si stava quasi per fare il "grande passo" ma alla fine non ce l'ho fatta, volevo troppo bene a questa terra e non potevo sopportare che qualcuno mi portasse via i vigneti da sotto lo sguardo (la nostra casa è al centro dei vigneti) e che qualcun altro potesse sfruttare le potenzialità dei miei vecchi vigneti.
Stravolgendo tutti i programmi, decidemmo perciò con la mia famiglia di tenere duro rafforzando ulteriormente l'impegno con la creazione di una vera e propria impresa che prese vita proprio quell'anno con la consulenza enologica di Sergio Paternoster, nostro grande amico. Nel frattempo decisi di andare a studiare enologia a Pisa e nel 2004 affrontai da sola la mia prima vendemmia. Ricordo ancora l'emozione..."

Vigneti 
Vigneti
Vigneti

Mentre continuiamo la nostra discussione camminando per Contrada Solagna, mi rendo conto che la famiglia Fucci possiede un patrimonio ampelografico di grande bellezza formato da vecchi vigneti di età compresa tra i 50 e i 70 anni impiantati a circa 600 metri s.l.m. su un terreno, ovviamente, di tipo vulcanico e fortemente minerale. Scrutandolo bene è possibile leggere, anche cromaticamente, la storia della territorio caratterizzata da diverse fasi eruttive che hanno creato un substrato composto da colate laviche, lapilli e ceneri intervallati da fasi di stasi composte da strati di argilla.


Tornado verso casa Fucci, vedo stagliarsi la struttura di quella che diventerà entro brevissimo tempo la nuova cantina. La struttura, progettata da Adriana La Bella, sarà al tempo stesso moderna e di basso impatto ambientale grazie all'impiego di materiali di recupero e all'uso di tecnologie atte a ridurre il più possibile i consumi energetici

La struttura della nuova cantina ad Agosto 2013

L'attuale cantina, invece, sorge accanto alla nuova, ed è ricavata dai vecchi locali sotto l'abitazione di famiglia (Torre Titolo) ed è rimasta così come Elena l'ha ereditata: intima, con dimensioni artigianali, trasudante di storia visto che da queste parti nonno Generoso ricoverava le attrezzature agricole e, probabilmente, sperimentava le prime vinificazioni di aglianico. 
Sempre da queste parti, ed è certezza, Elena ha pensato al suo unico vino, un Cru di aglianico del Vulture che, già a partire dal nome in etichetta, Titolo, desse chiari ed indistinguibili riferimenti alla zona di provenienza.
"Un unico vino" - mi spiega Elena - "per motivi oggettivi legati alle rese dei vigneti e la qualità data dalla maturità delle piante; un unico vino per rappresentare al meglio la specificità dell’Aglianico e la territorialità del Vulture, che offre a questo vitigno un espressione unica; un mix di microclima e di terroir che in Contrada Solagna del Titolo regala una delle migliori espressioni possibili"

Vasche d'acciaio in cantina
Titolo è un Aglianico del Vulture moderno ma non modernista, che Elena vinifica in acciaio per circa 10 giorni per poi passare in barrique nuove di rovere francese per circa 12 mesi per poi, una volta imbottigliato, affinare ulteriori 12 mesi.



Il vino, già nel millesimo 2002, la prima annata, è oggetto di culto tanto che la guida del Gambero Rosso gli assegna i 3 Bicchieri. E' solo l'inizio. Elena non si ferma più, diventa sempre più brava, e il successo di critica e di pubblico la ripaga dei tanti sacrifici. Arrivano, a pioggia, ancora i 3 Bicchieri con le annate 2005, 2006, 2007, 2008, 2009 e 2010 e altri grandi riconoscimenti con le guide Bibenda, Espresso e Slow Wine.

Elena ha coltivato un sogno e, a 32 anni, è diventato realtà. 

Fortunatamente la famiglia Fucci cerca, nei limiti, di mantenere sempre uno storico dei vini e così, gentilmente, per finire la visita, ci stappa Titolo 2005, figlio di un'annata fresca, che presenta un naso dall'ottimo apporto speziato a cui si aggiungono, col tempo, fragranti sensazioni di ribes, freisa, amarena, tabacco da pipa. Al sorso, dopo 8 anni, mostra una maggiore morbidezza, rotondità equilibrato da un tannino ancora scalpitante e da una sferzante acidità che ben supportano la dotazione alcolica del vino che da queste parti non è mai irrilevante. Finale durevole e voluttuoso. Insomma, un grande Aglianico per una grande e giovane produttrice.

Brava Elena, avanti così!



Chianti Classico Riserva 1965 Badia a Coltibuono

E'  proprio vero, quando il vino era ancora un alimento indispensabile nella vita quotidiana, la sua qualità era fuori discussione visto che, sempre, veniva fatto con amore e saggezza contadina.

Scrivo questo dopo aver conosciuto la storia del Chianti Classico Riserva 1965 (Sangiovese 65% Canaiolo e Ciliegiolo 15% Trebbiano e Malvasia 20%) di Badia a Coltibuono, degustato qualche tempo fa a Sangiovese Purosangue, grazie ad una amabile chiaccherata con Roberto Stucchi Prinetti, attuale proprietario, che mi ha sottolineato più volte come le annate storiche in loro possesso sono spesso il frutto del lavoro del fattore e dei mezzadri che una volta lavorano in azienda. La consuetudine era di produrre solo vini di Riserva e di conservare il vino migliore nelle botti delle cantine del “padrone”. 

"Queste Riserve", continua Stucchi Prinetti, "provengono dai vigneti di Montebello e Argenina a Monti in Chianti, piantati negli anni 30 e ripiantati nei primi anni ’80. In quegli anni la superficie totale dei vigneti era di 27 ettari sesto d’impianto 220 x 80 a disposizione di cavalcapoggio e rettochino, lavorati a trazione animali e concimati con stallatico. Solo a partire dal 68 i vigneti hanno iniziato ad essere trattati con trattore a cingoli Fiat 411. L’uva verso i primi di ottobre era ammostata dal mezzadro stesso in tini di legno aperti della capienza di 90 hl e una volta entrato in fermentazione era follata con il bastone per immersione del cappello. I primi tini di cemento sono degli anni 70. L’ammostatura avveniva in presenza di raspi. Dopo 15 giorni circa il mezzadro consegnava in fattoria la parte padronale della svinatura che veniva sottoposta alla pratica del governo nella cantina storica dell’Abbazia.
Alla luna di marzo il vino veniva tolto dalle vasche del governo e messo in botti di legno di castagno nella cantina padronale. Dopo due travasi all'anno e un tempo incalcolabile di permanenza nelle botti delle cantine di Badia a Coltibuono, questi vini sono stati messi in bottiglia".


Chiedo a Stucchi Prinetti maggiori lumi sul vino in degustazione e, con un certo orgoglio, mi dice che "questo Chianti, così come fatto per altre Riserve Storiche sono stati messi in bottiglia nei primi anni '80 in quanto Maurizio Castelli, enologo dell'azienda, aveva deciso di fare spazio in cantina. Ciò significa che questa annata è stata mantenuta in legno grande per quasi venti anni prima di proseguire l'affinamento in bottiglia!!".

Bevendo il vino non puoi ripensare a tutto ciò che ti è stato appena detto, alla sua storia, alla sua valenza sociale e, nonostante la '65 non sia stata una grande annata in Chianti, il sorso lascia davvero esterrefatti perchè tutto, ma proprio tutto in questo vino è ancora vivo, sano, sferzante come l'acidità che picchia ancora sulle papille gustative come un martello pneumatico. Certo, la struttura risente della poca "ciccia" del millesimo ma il senso di dinamismo e progressione non abbandona mai il palato che viene corroborato da una chiusura sapida e dai contorni autunnali.


Il Chianti Classico Riserva 1965 firmato Badia a Coltibuono dopo quasi 50 anni lotta e vive tra noi e, ripensando alla sua genesi, non posso che ringraziare tutti quei contadini che hanno sporcato le loro mani per produrlo e portarlo fino a noi.

Piccola curiosità finale: come vedete l'etichetta del vino è in perfette condizioni. Niente paura! Badia a Coltibuono conserva le bottiglie "nude" e le etichetta poco prima della messa in commercio..


Il Barbera d'Asti Superiore Nizza alla prova del tempo

Sempre interessante per un appassionato come me scoprire l'evoluzione nel tempo del vino soprattutto quando questo risponde al nome di Barbera d'Asti Superiore "Nizza" che, a breve, diventerà Nizza DOCG.
La degustazione è stata organizzata dall'AIS Fiumicino e dall'Associazione Produttori del Nizza che ho avuto il piacere di invitare nel Lazio per permettere loro di raccontare il loro splendido territorio.


Prima di entrare nel particolare della degustazione facciamo un passo indietro per cercare di capire il contesto in cui ci siamo mossi.
La zona di produzione comprende 18 Comuni intorno a Nizza Monferrato all’interno della vasta area di produzione della Barbera d’Asti ci cui Nizza, da disciplinare, è una sottozona.
Altra informazione importante: mentre lo stesso disciplinare prevede che il Barbera d'Asti Superiore "Nizza" debba essere prodotto con almeno il 90% di barbera, l'Associazione dei Produttori del Nizza, capitanata da Gianluca Morino, ha ristretto ancora di più le maglie obbligando gli associati, circa 60, a dotarsi di un codice di autoregolamentazione ancora più severo per far sì che i vini siano di standard qualitativo ancor più elevato. Questo significa, ad esempio, un Nizza prodotto solo ed esclusivamente col 100% di barbera, con rese per ettaro limitate e, cosa da non sottovalutare, senza che sia prevista nessuna forma di arricchimento per l’aumento della gradazione. 

Detto ciò, siete curiosi di sapere come è andata a Fiumicino? 

Malgrà - Barbera d'Asti Superiore Nizza "Mora dei Sassi" 2007: il vino, come si spiega Ezio Chiarle, titolare dell'azienda, deve il nome a un antico muro di contenimento in sassi costruito alla sommità della collina che costituisce una parte importante del Bricco Malgrà: il vigneto, di circa 25 anni, si estende per 3,5 ettari nel comune di Nizza Monferrato a un'altimetria massima di 250 metri e con un'esposizione sud/sudest.
Quella del 2007 è stata una vendemmia molto calda, con bassa acidità ed interessante contenuto zuccherino. La fermentazione in questa vendemmia è stata effettuata in barrique nuove ed in seguito invecchiata nella stessa botte per 14 mesi. Il risultato? Grande sorpresa, non solo mia ma di tutti i presenti, per un Barbera elegante, caldo ma non alcolico, con un'espressione aromatica giocata sull'intensità della frutta matura, solare, che gioca con sensazioni di fiori macerati e grafite. Al sorso è avvolgente, la grande struttura si fa sentire senza appesantire la beva a cui giova la buona progressione acido/sapida che termina con un finale di frutta rossa estiva. Giovanissimo, è solo all'inizio della sua storia!


Azienda Agricola Erede di Chiappone Armando - Barbera d'Asti Superiore Nizza "Ru" 2006: il vino rappresenta una importante selezione di uve proveniente da un vigneto di circa 50 anni posizionato ad un'altezza media di 250 metri s.l.m. in zona Nizza Monferrato. Rispetto al precedente, il "Ru" prevede una fermentazione alcolica e la successiva malolattica in vasca mentre l'affinamento, da sempre, prevede un passaggio in legno per 12-15 mesi in contenitori di varie capacità (botti da 2500 litri e tonneaux da 500 e 650 litri). L'annata più equilibrata e temperata della 2007 ha dato vita ad un Nizza molto fine, raffinato, che veste aromaticamente tratti femminili ricercati che vanno dalle sensazioni di legni nobili alla violetta fino ad arrivare alla frutta di rovo ancora croccante e al muschio. In bocca scorre rotondo, dinamico, vibrante di acidità e mineralità e con un finale, lunghissimo, dove ritrovo sensazioni di fiori secchi da diario e terra. Bellissima versione del "Ru" che conosco e seguo da tempo.


Azienda Agricola Avezza - Barbera d'Asti Superiore Nizza "Sotto la Muda" 2003: nelle annate difficili come questa solo chi ha ottima conoscenza del territorio e della sua vigna può dar vita a vini interessanti come questo. Questo, in sintesi, è stato il mio pensiero dopo aver degustato questo Nizza di oltre dieci anni che mantiene nel suo corpo un calore mediato che si estrinseca con un corredo olfattivo profondo e stratificato di marasca, mirtillo, fiori sotto spirito, grafite, cola. Carnoso, rotondo e avvolgente al sorso che intriga per consistenza fruttata e buona persistenza. Ok, gli manca la ventata fresca dei vini precedenti ma che bello quando un vino sa esprimere al meglio l'annata e il territorio. Fermentazione alcolica e malolattica in acciaio, è stato affinato in piccole botti di rovere francese per circa 12 mesi. 


Cascina Garitina - Barbera d'Asti Superiore Nizza "Neuvsent" 2001: eccolo qua il vino di Gianluca Morino dedicato al periodo storico durante il quale la bisnonna Margherita (da cui in dialetto Garitina) iniziò a produrre vino. Questo Nizza, derivante da tre vecchi vigneti di barbera del 1924-1949 e 1954fermenta per circa 20 giorni in acciaio per poi essere travasato in barrique di rovere francese, sia nuove che usate, dove affina per circa 12-18 mesi. La sorpresa, per molti ma non per tutti, è che questo Neuvsent è ancora perfettamente integro con un naso profondo e di ottima definizione colmo di frutta in confettura, spezie dolci, fiori essiccati e una suadente nota di tabacco e cenere che rende questo barbera molto "autunnale" e "da camino". Bocca importante, densa di strutturata e calore che ben si fondono con uno splendido sviluppo tannico. Finale lungo e sapido. Un Nizza che, come molti, sa invecchiare splendidamente e che fa intravedere per la futura DOCG un futuro davvero terso.