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Asti Spumante DOCG ed ostriche, abbinamento vincente!


di Stefano Tesi

Una delle cose che mi piace del Vinitaly è che il clima febbrile, ma anche un po’ scanzonato della fiera rende a volte possibili esperimenti che in altre occasioni mai ti sarebbe venuto in mente di fare. E spesso con risultati che vanno oltre ogni aspettativa. Una di queste pensate è venuta tempo fa all’enologo e direttore tecnico Andrea Capussotti e al collega giornalista Riccardo Viscardi: proporre una degustazione di abbinamento tra Asti Docg Metodo Classico di varie annate e ostriche. Non ostriche qualunque, però: di tre tipologie diverse (Golden, Black e Sant’Antonio) e tutte allevate nell’Adriatico dalla Co.de.go di Goro. Scelta quasi patriottica e un po’ provocatoria, come spiega il direttore del Consorzio, Giacomo Pondini: “Provengono da un laboratorio italiano, a differenza di altre varietà allevate nel nostro paese, ma provenienti da seme francese”. Viva l’Italia e il prodotto nostrale, insomma.


Al di là del messaggio patriottico, gli scopi erano in sostanza due.

Uno, ovvio: suggerire un ulteriore ampliamento delle potenzialità di consumo offerto dalla versatilità dell’Asti. E un altro, meno ovvio: addentrarsi nei meandri ancora in buona parte inesplorati della capacità di invecchiamento di questo vino, spesso un po’ snobbato. “Un salto in avanti è possibile?”, si è chiesto infatti Viscardi prima di cominciare la degustazione. E riferendosi volutamente a tante cose: strategie di marketing, individuazione di nuovi mercati, mentalità del consumatore, orientamento dei critici.


Alla luce dei fatti, la mia risposta è sì. E non solo nel senso delle potenzialità di nuovi sbocchi che l’esperimento ha messo in evidenza. Ma anche, più sottilmente, in quello dell’approccio all’Asti e ai suoi abbinamenti. Un approccio edonistico, anzi godereccio, più familiare, certamente poco consueto, per alcuni perfino impensabile. In realtà, però, niente affatto facile, né banale. Di sicuro meno paludato di quelli già collaudati, anche meno rassicurante sotto il profilo esteriore, pure meno ingessato se vogliamo. Eppure interessante, direi pure intrigante nella prospettiva di un’accoppiata diversa dal solito di bollicine e molluschi. La grande sapidità delle ostriche è andata a nozze con le nouance dolci e cremose, ma non stucchevoli, del Moscato d’Asti e certe note salmastre si sono fuse bene con i sentori a volte erbacei, a volte asciuttamente floreali degli spumanti.

I quali, a loro volta, sono stati una sorpresa. Eccoli.

Marcalberto 2020 Asti Docg Metodo Classico

Spuma media, bolla fine, colore oro metallico, ha un bel ventaglio di eleganti sentori salmastri e floreali, mentre in bocca è gentile, cremoso, morbido.

Tressesanta Cuvèe 2020 Asti Docg Metodo Classico Cantina Alice Bel Colle

Colore dorato, bollicine medie, naso con interessanti marcate note vegetali, di verde e di erba che tornano in bocca.


Cuvage 2018 Asti Docg Metodo Classico Millesimato

Oro pieno, perlage molto fine, al naso offre delicati sentori floreali che richiamano il mughetto, in bocca è pieno , sobrio, con una punta di dolcezza in più.

De Miranda 2017 Asti Doch Metodo Classico De Miranda

Oro ramato, bolla media, ha un complesso bouquet di fiori appena appassiti mentre al palato è profondo, quasi pastoso, ricco di sfumature.

Gancia Cuvèe 24 Mesi Asti Docg Metodo Classico 2013

Colore dorato, perlage fine, al naso dà un ventaglio vastissimo di note vegetali grasse, erba vetriola, orto umido mentre in bocca l’eleganza e la lunghezza smorzano la dolcezza.

In sintesi: se faranno ancora una simile degustazione, ci andrò di corsa.

InvecchiatIGP : Rivera - Moscato di Trani DOC "Piani di Tufara" 2016


Di Luciano Pignataro

L’anno prossimo la DOC Moscato di Trani compirà mezzo secolo di storia. Si tratta dell’unico marchio europeo dedicato ad un vino dolce che declina l’uva italiana per eccellenza in Puglia, su un territorio che ha per epicentro la bellissima Trani ma che si estende a Nord sino a Cerignola, in Daunia, e a Sud sino a Bitonto, praticamente alle porte di Bari. Un vino che col il passare degli anni diventa affascinante e complesso perché la potenza del vitigno aromatico si dispiega al massimo sino a quando è retta dall’alcol e dall’acidità.


Piani di Tufara è una delle etichette storiche di Rivera, una delle aziende più importanti in Puglia. Avevo la 2016 da un bel po’ di tempo riposta dentro un armadio a riposare al buio e di fronte alla pastiera napoletana di Pasqua ho deciso che era arrivato il momento dello stappo, passati ormai sette anni.


Qualche nota tecnica: l’uva viene raccolta in surmaturazione in genere alla fine di settembre e un quinto prosegue l’appassimento in cassette. Dopo la vinificazione in acciaio, si procede con l’affinamento per circa 3 mesi in barrique di rovere francese di secondo passaggio, poi il vino sosta in una vasca di cemento e infine imbottigliato. Nasce da vigneti su suolo tufaceo che ha ispirato il nome alla etichetta e a bassa resa per ettaro, in genere mai più di 60 quintali.


Avevamo già provato qualche altra vota Piani di Tufara, si è confermato un sorso perfettamente nelle nostre corde a partire dal naso, fine, elegante, con note ancora floreali, cenni balsamici,  rimandi fumé che ritroviamo al palato dove il sorso si distingue per freschezza e leggerezza, non stanca e non è neanche stucchevole. Insomma un vino sicuramente moderno nella sua concezione, che non si lascia andare agli eccessi come spesso accade al Moscato nel Sud.


Questa di Rivera, a nostro giudizio, resta un delle migliori interpretazioni di una denominazione che meriterebbe miglior fortuna e più ampia notorietà vista la passione e la serietà con cui i produttori ci si impegnano. Purtroppo nel Sud il discorso è sempre lo stesso: grandi individualità, rete scarsa e reciproca fiducia quasi nulla e i tanti pensano ancora che basti un buon prodotto per affermarsi. Ma oggi non è il caso di disquisire, bensì di berci tranquilli il nostro Piani di Tufara in modo rilassante e appagante.

Karsanikos Winery, tutto il bello del vino dell’isola di Lefkada


Lefkada (Leucade) appartiene all’arcipelago delle isole ionie e, insieme a Corfù e Cefalonia, ed è una delle mete turistiche più gettonate delle Grecia a causa delle sue bellissime spiagge dal mare caraibico.


Destinazione delle mie passate vacanze estive, questa bellissima isola, collegata alla terraferma attraverso un ponte mobile lungo 50 metri, si caratterizza, se escludiamo le affollate coste, è tra le più selvagge e montuose della Grecia (70% del suolo) grazie soprattutto ad un entroterra, soprattutto nella parte centrale, dove i monti raggiungono altitudini abbastanza elevate come quella del monte Stavrotà (1.182 m.) o del monte Elati (1.126 m.) che svettano, fieri ed assolati, tra una rigogliosa vegetazione mediterranea composta da ulivi, cipressi, pini, faggi ed una svariata quantità di erbe aromatiche e fiori di rara bellezza. Non lontano da queste vette, all’interno all’altopiano di Eglouvi, famoso per la coltivazione di lenticchie molto rare, si trova una delle poche aziende vitivinicole dell’isola: Karsanikos Winery.


Volendo sfuggire per una volta alla folla dei bagnanti che infesta l’isola nel mese di agosto, mi sono avventurato col mio scooter a noleggio tra i ripidi tornanti delle colline di Lefkada per arrivare fino a Karya, circa 500 metri s.l.m., dove George, che avevo contattato tramite profilo Instagram, mi aspetta all’interno di un antico edificio in pietra a tre piani che, da tre generazioni, accoglie le uve che la famiglia Rekatsinas vinifica con amore producendo vini dal carattere unico.


L’azienda oggi si estende per circa 12 ettari di vigneto, diviso in varie parcelle sparse nell’entroterra di Lefkada, molte delle quali, così come spesse accade nelle isole e, in generale, in alcune zone costiere, sono coltivate attraverso terrazzamenti (xeroliti) con muri di contenimento in “pietra a secco” grazie i quali i vignaioli locali, nel corso dei secoli, hanno cercato di “combattere” le estreme pendenze che caratterizzano gran parte del territorio di Lefkada (70% montuoso).


Qua, con rese che non superano i 500 kg per ettaro, vengono coltivati secondo metodo biologici solo ed esclusivamente vitigni autoctoni locali come vertzami, bardea, chloros, perachoritiko, lagorthi e molti altri dai quali l’azienda, più o meno, produce circa 12.000 bottiglie che vengono vinificate nella piccola cantina posta al piano terra composta da pochissimi serbatoi di acciaio inox tenuti a temperatura costante anche grazie alla pietra con la quale è stata edificata la struttura.

George

Tutto molto semplice, lineare e tradizionale come il primo piano dove, con grande cura, George e la sua famiglia hanno allestito la zona degustazione all’interno di un bellissimo terrazzo la cui vista su Lefkada è assolutamente entusiasmante.


Karsanikos Winery produce attualmente quattro tipologie di vino.

Il Karsanikos White Dry è un vino che deriva da un mix di uve locali come Chlori, Lagorthi, Perachoritiko, Asprovertzamo e Moscato Bianco, molte delle quali sono varietà che la famiglia Rekatsinas ha salvato dall’abbandono. Questo bianco, che per scelta aziendale è stato “studiato” per avere la massima piacevolezza e bevibilità possibile, è dotato di un impianto olfattivo non di particolare complessità ma ogni sensazione odorosa, dalla frutta a polpa bianca, all’agrume fino ad arrivare alle erbe aromatiche, è ben definita ed intensa. Sorso saporito, sapido nel lungo finale segnato da rinfrescanti ricordi di mela e pesca.


Tra i vini prodotti non poteva mancare un rosato prodotto attraverso una breve macerazione dell’uva a bacca rossa più importante e tipica di Lefkada: il Vertzami. Anche questo vino, mi conferma George, è prodotto con l’idea di dare piacevolezza al degustatore soprattutto se abbinato alla cucina del territorio spazia da prelibatezze di mare ad autentiche antiche ricette di montagna. All’olfatto si esprime su delicate note di ibisco e rosa canina, gelatina di lampone, cappero e origano. Al palato è avvolgente senza strafare e dotato di una importante impronta salina che non stanca mai il palato richiamando costantemente un nuovo sorso di vino.


Dal vitigno Vertzami, George produce anche un rosso che affina per 12 mesi in barrique e, una volta imbottigliato, riposa per altri 3-4 anni prima di essere immesso sul mercato. Degustandolo, a primo impatto, mi ha ricordato un grande Terrano del Carso vuoi per la sua acidità, vuoi per le sue sensazioni minerali e terrose che solo in parte aprono il ventaglio olfattivo a ricordi fruttati e floreali. In bocca è affilato, freschissimo, dotato di un tannino decisamente timido che, a mio parere, aumenta la bevibilità del vino che in estate è obbligatorio servire molto fresco. George ne fa 1500 bottiglie. Buonissimo!


L’ultimo vino prodotto è si chiama “Epilogus” ed è un vino dolce prodotto da uve Vertzami e Moscato d’Amburgo che vengono fatte appassire al sole di Lefkada per circa 8 giorni prima di essere vinificate. È il classico vino “dolce non dolce”, rotondo ma non stucchevole, intenso e sostanzioso ma, al tempo stesso, dotato di pregevole equilibrio al sorso. Io l’ho abbinato con lo splendido tramonto di Lefkada e con l’ultimo giorno delle mie vacanze. Ho già nostalgia della Grecia!


Il Sylvaner secondo Abbazia di Novacella


Di Abbazia di Novacella e dei suoi vini mi appassionai enormemente già lo scorso anno quando, per la Top 50 di Food & Wine Italia, scrissi la scheda tecnica dell’azienda che viene annoverata tra le più antiche cantine attive al mondo. Sita a Varna, in Valle di Isarco, a poca distanza da Bressanone, la struttura, sin dalla sua fondazione, datata 1142, non era altro che un importante monastero agostiniano che ha sempre contato su una importante attività vitivinicola grazie ai numeri vigneti, oltre che masi agricoli e terreni, che nel corso della sua storia ha acquisito tramite tra le più antiche cantine attive al mondo donazioni, lasciti, acquisti e permute.


Oggi Abbazia di Novacella gestisce due aziende agricole: la prima si trova a Novacella e dispone di 6 ettari di vigneti, 12 ettari di frutteti e 0,2 ettari di erbari; in questo luogo si trovano i vigneti posizionati più a nord d’Italia, posti ad altitudini che variano tra i 600 e i 900 metri sul livello del mare. Le forti escursioni termiche tra il giorno e la notte e la presenza di terreni particolarmente magri, ciottolosi e sabbiosi, morenici di origine glaciale, fanno di questa zona il terroir d’elezione per vini bianchi pregiati e dai finissimi profumi varietali. A Novacella sono coltivati i vitigni a bacca bianca Sylvaner, Müller-Thurgau, Kerner, Grüner Veltliner, Pinot Grigio, Riesling, Gewürztraminer e Sauvignon Blanc.


La seconda azienda agricola, sempre di proprietà del convento, è la Tenuta Marklhof, può contare su 22 ettari a vigneto, 13 ettari a frutteto e 24 ettari a bosco distribuiti da Corniano e Bolzano. La tenuta, tradizionalmente chiamata la “Casa dei vini Rossi”, è situata su un colle a un’altitudine di 420 metri s.l.m. dove vengono coltivate varietà a bacca rossa come Schiava, Pinot Nero e Moscato Rosa. Nella calda conca di Bolzano, invece, posta a 250 metri di altitudine, i terreni sabbioso-limosi sono culla del Lagrein, tradizionale vitigno autoctono altoatesino.


Tra i vitigni a bacca bianca coltivati da Abbazia di Novacella, sicuramente al Sylvaner è riservato un posto speciale poiché, come spiega Werner Waldboth, direttore vendite della cantina, la conca di Bressanone rappresenta il terroir per eccellenza di questa varietà grazie ad un particolare terroir che consente a quest’uva di sprigionare la sua classica carica aromatica fruttata e minerale, insieme a un timbro acido e sapido al palato.

Werner Waldboth

Abbazia di Novacella dedica all’allevamento del Sylvaner 7,75 ettari: di questi solo 1,75 ettari sono destinati alla selezione denominata Praepositus le cui uve provengono da vigneti considerati veri e propri Cru.
L’Alto Adige-Südtirol Valle Isarco Sylvaner Doc Praepositus, è stato protagonista a Roma di una interessante verticale di 4 annate – 2006, 2013, 2016 e 2021 che è stata preceduta da una novità, almeno per me, ovvero la degustazione dell’Extra Brut Metodo Classico “Perlae”, spumante ottenuto per la prima volta da uve Sylvaner in purezza che in questa prima versione, che fa 24 mesi di affinamento sui lieviti, è stato sboccato il 31 Ottobre 2022. La degustazione del vino spumante è assolutamente positiva, si tratta di un metodo classico con perlage piacevole, dotato di un naso accattivante ed austero al tempo stesso che ricorda i fiori bianchi, gli agrumi e la mandorla verde. Sorso molto sapido, fruttato e con un’onda lunga di freschezza agrumata.


L’altra star della giornata, a mio parere, è stato l’Alto Adige-Südtirol Valle Isarco Sylvaner Doc Praepositus 2006, un vino assolutamente strepitoso che, dopo 16 anni dalla vendemmia, conferma le sorprendenti, quanto sottovalutate, doti evolutive del Sylvaner a cui serve il giusto tempo di evoluzione per definirsi e rendersi armonico ed equilibrato.


Questa 2006, assolutamente ancora integro anche al colore, ha un piglio olfattivo aristocratico e variopinto che spazia dalle affilate percezioni di agrume, mughetto ed erba falciata, a morbidi magnetismi di mela golden, muschio, asparago, per poi concludere sensazioni di zenzero ed acqua salmastra. Il sorso è ancora generoso, vivo, giocato su rara eleganza ma, al tempo stesso, capace di presidiare il palato per molto tempo soprattutto grazie ad un affondo sapido di grande dinamismo. Grande vino!!

Vite in Riviera, vino ed olio nella Riviera Ligure di Ponente


di Lorenzo Colombo

La Riviera Ligure di Ponente è quella zona situata nella parte occidentale della Liguria che corrisponde alle province di Savona e di Imperia. Il suo territorio è a dir poco impervio, praticamente non esistono pianure, infatti per il 65% è montuoso ed il rimanente collinare, qui nelle numerose vallate che guardano il Mar Ligure si trovano vigneti e oliveti.


Con lo scopo di promuovere i prodotti tipici del territorio della Riviera Ligure di Ponente è nata nel 2015 la Rete d’Impresa Vite in Riviera, una rete di aziende vitivinicole ed olivicole che a tale scopo gestisce anche la sede dell’Enoteca Regionale Ligure situata ad Ortovero presso la cui sede abbiamo effettuato la degustazione di una ventina di vini delle aziende facenti parte di questa rete che attualmente sono 25 e che gestiscono 150 ettari di vigne per una produzione annuale di circa 1.300.000 bottiglie suddivise tra tre vini a Doc e due ad Igt:

Riviera Ligure di Ponente DOC (denominazione che comprende cinque sottozone e le seguenti tipologie di vini):

o Pigato

o Vermentino

o Moscato

o Rossese

o Granaccia

Rossese di Dolceacqua DOC

Pornassio o Ormeasco di Pornassio DOC

Terrazze dell’Imperiese IGT

Colline Savonesi IGT


I vigneti e gli uliveti sono coltivati su impervie colline a picco sul mare, questo fa sì che la maggior parte delle lavorazioni debbano essere svolte manualmente, senza la possibilità d’utilizzo di mezzi meccanici.
La viticoltura è presente in questi luoghi da moltissimi anni ed ultimamente s’è notato un notevole interesse da parte delle generazioni più giovani che stanno gestendo le nuove e vecchie aziende, buona parte di queste oltre ad offrire percorsi di degustazione ai turisti del vino, gestiscono anche agriturismi con camere e ristorazione.

La degustazione

Presso l’Enoteca di Ortovero abbiamo avuto il primo contatto coi vini del territorio tramite una degustazione di una ventina di vini, principalmente Pigato, altri vini li abbiamo poi assaggiati durante le visite nelle diverse cantine. Ecco quanto abbiamo maggiormente apprezzato, nella degustazione presso l’Enoteca.

I vini sono suddivisi per tipologia e sono elencati in ordine di gradimento:

Riviera Ligure di Ponente Vermentino

Vitigno tirrenico, il Vermentino è infatti diffuso sulla costa tirrenica dalla Liguria alla Toscana, ed ovviamente in Sardegna, lo troviamo anche in Corsica e nella fascia tirrenica francese più vicina alla Liguria. Entrambi i vini sono dell’annata 2021.

Cantina Viticoltori Ingauni

Si tratta di una cooperativa, nata nel 1976 ad opera di 13 soci e che attualmente ne conta 198 per una produzione annuale di oltre 4.500 q.li d’uva, il 60% delle quali di Pigato, la sede è a Ortovero. Il vino degustato appartiene alla linea Ho.re.ca.


Paglierino luminoso di discreta intensità. Media intensità olfattiva, erbe officinali, note floreali, fiori gialli, frutta a polpa gialla. Buona struttura, morbido, erbe officinali, buona vena acida, agrumi maturi, sapido, frutta a polpa gialla, buona la persistenza.

Azienda Agraria Anfossi

Fondata nel 1919 ha sede a Bastia, in provincia di Savona, la produzione principale è quella del basilico al quale sono riservati 10 ettari, mentre gli ettari di vigna sono 3,5 e due quelli dedicati agli olivi. La produzione annuale è di 50.000 bottiglie tra Pigato, Rossese e Vermentino.


Giallo paglierino di buona intensità. Buona intensità olfattiva, fiori gialli e frutta gialla, erbe officinali. Buona struttura, succoso, pesca gialla, leggeri accenni piccanti, sapido, lunga persistenza.

Riviera Ligure di Ponente Pigato

Inserito nel Catalogo Nazionale delle Varietà di Vite nel 1970 come vitigno a sé stante, anche se viene considerato una varietà di Vermentino, infatti quest’ultimo viene specificato come sinonimo unitamente alla Favorita, il Pigato è diffuso esclusivamente in Liguria, principalmente nella Riviera di Ponente.
Il vitigno viene utilizzato nella Doc Riviera Ligure di Ponente e in quattro vini ad Igt liguri. I Pigato sono i vini che ci hanno dato le maggiori soddisfazioni, se non espressamente indicato tutti quelli assaggiati sono dell’annata 2021

Azienda Biologica Bio Vio - Bon in da Bon

L’azienda è situata a Bastia dove si coltivano principalmente erbe aromatiche, mentre vigneti ed oliveti si trovano soprattutto in Val d’Arroscia. L’azienda, certificata BIO sin dal 1989, quanto l’agricoltura biologica era una mosca bianca, dispone di otto ettari di vigneti dai quali ricava annualmente 70.000 bottiglie, suddivise in otto etichette, da uve Pigato, Vermentino, Granaccia e Rossese.
Le uve utilizzate per il vino degustato provengono dalla Regione Marixe, situata nel comune di Bastia d’Albenga, frutto di una vendemmia tardiva viene vinificato in vasche d’acciaio dove matura per sei mesi prima d’essere messo in bottiglia.


Paglierino luminoso con riflessi verdolini. Bel naso, elegante, agrumato, frutta a polpa bianca, pesca, mela. Fresco, agrumato, accenni d'erbe aromatiche, lunga persistenza. Vino dalla notevole qualità.

Cantine Calleri – Pigato d’Albenga Saleasco

La storica azienda, condotta da Marcello Calleri, si trova in Regione Frati di Salea, frazione d’Albenga, vi si producono, oltre al Pigato, anche Vermentino, Ormeasco e Rossese. Il vino degustato viene vinificato in vasche d’acciaio, dove sosta per circa sei mesi e dove subisce anche la fermentazione malolattica.


Color giallo paglierino luminoso. Buona intensità olfattiva, sentori d'agrumi, frutta a polpa bianca, fresco, piacevole. Discreta struttura, fresco ed agrumato, sapido, verticale, lunga persistenza su sentori d'agrumi. Altro vino molto interessante.

La Vecchia Cantina (2020)

Gestita dalla famiglia Calleri l’azienda dispone di quattro ettari di vigne per un totale di 25.000 bottiglie all’anno, suddivise su sette etichette, la sede dell’azienda è a Salea, frazione d’Albenga. Il vino degustato viene vinificato in vasche d’acciaio dove subisce un breve batonnage.


Paglierino luminoso di media intensità. Buona intensità olfattiva, erbe aromatiche, accenni d'agrumi (chinotto). Buona struttura, sapido, accenni piccanti, note di chinotto, buona vena acida, buona la persistenza.

Azienda Agricola Enrico Dario

Nel 1968 Enrico Dario e la moglie Teresa decidono d’abbandonare la coltivazione d’ortaggi sinora perseguita per dedicarsi unicamente al la viticoltura ed alla produzione di vino. L’azienda, con sede a Bastia d’Albenga, dispone di cinque ettari di vigne per una produzione annuale di 40.000 bottiglie.


Paglierino luminoso di media intensità. Naso di buona intensità, note d'agrumi, frutta a polpa gialla. Buona struttura, succoso, morbido, bel frutto, sapido, buona la persistenza.

Azienda Agricola Bruna – Le Russeghine

Situata a Ranzo, in provincia d’Imperia, l’azienda Bruna produce sei vini, tre dei quali col vitigno Pigato. Le uve per la produzione del vino degustato provengono dalla Val d’Arroscia, principalmente dal vigneto storico “Russeghine” che gli dà il nome, situato a 230 metri d’altitudine e censito sin dalla fine del 1700.
Il sistema d’allevamento è a Guyot eh ha un’età d’oltre 25 anni. Fermentazione in vasche d’acciaio ed affinamento in acciaio ed in botti di grandi dimensioni per otto mesi.


Paglierino luminoso di media intensità. Discreta intensità olfattiva, accenni d'agrumi, pesca bianca, pulito. Fresco, agrumato, buona vena acida, note d'agrumi, buona vena acida, media struttura, buona la persistenza.

Azienda Agricola a Maccia

Fondata nel 1850 è un’azienda tutta al femminile da ben quattro generazioni, si trova a Ranzo (IM) e dispone di quattro ettari di vigne per una produzione che annualmente s’aggira sulle 25.000 bottiglie.
Il Pigato in degustazione proviene da un vigneto di 25 anni d’età media, situato su suolo prevalentemente argilloso ed alleato a Guyot, fermentazione ed affinamento si svolgono in vasche d’acciaio dove il vino sosta sulle fecce fini per quattro mesi.


Giallo paglierino di buona intensità, luminoso. Buona intensità olfattiva, macchia mediterranea, sentori di frutta gialla. Buona struttura, succo, bel frutto, pesca gialla, note tropicali, sapido, lunga la persistenza su sentori d'erbe officinali.

Podere Grecale

Azienda di recente costituzione, è infatti nata nel 2008 e si trova a Sanremo.
Sono quattro gli ettari di vigna e 20.000 le bottiglie prodotte ogni anno, suddivise su sette etichette. Il vigneto dal quale derivano le uve per la produzione del vino degustato è situato a 200 metri d’altitudine su suolo argilloso con presenza di calcare, il sistema d’allevamento è parte a Cordone speronato e parte a Guyot, fermentazione ed affinamento si svolgono in vasche d’acciaio dove il vino sosta sulle fecce fini per almeno cinque mesi.


Giallo paglierino luminoso. Discreta intensità olfattiva, erbe officinali, accenni floreali. Buona struttura, erbe aromatiche, accenni piccanti, buona la persistenza. Meglio alla bocca, lo abbiamo trovato più espressivo.

Granaccia

Sinonimo del Cannonau, che a sua volta fa parte dei Grenache, è nella Doc coltivato nell’imperiese e nel savonese dove viene utilizzato nella Doc Riviera Ligure di Ponente e nell’Igt Colline Savonesi.

Azienda Agricola Innocenzo Turco - Riviera Ligure di Ponente Granaccia 2020

Situata a Quiliano l’azienda dispone di 20 ettari, dei quali 4,5 a vigneto, la produzione è di 20.000 bottiglie/anno. Le uve che vanno a costituire questo vino provengono da 1,5 ettari di vigna situata su terreno rosso e argilloso, il sistema d’allevamento è a Guyot. Fermentazione ed affinamento del vino in degustazione s’effettuano in vasche d’acciaio dove sosta per 12 mesi.


Granato luminoso e trasparente di media intensità. Media intensità olfattiva, frutto rosso selvatico. Fresco, piacevolmente amaricante, buona vena acida, lunga persistenza, leggeri accenni affumicati.

Società Agricola RoccaVinealis - Colline Savonesi Igt Granaccia “Gublòt” 2020

L’azienda è nata dall’unione di quattro imprenditori che nel 2016 hanno acquistato 10 ettari di terreno con diritti d’impianto. Sono tre sinora i vini prodotti, tutti da uve Granaccia. Le uve per questo vino provengono da un giovane vigneto di 1,5 ettari situato a 520 metri d’altitudine, in località Broda, a Roccavignale, sia la fermentazione che l’affinamento avvengono in vasche d’acciaio dove il vino sosta per un anno.


Rubino-granato di media intensità. Media intensità olfattiva, frutto rosso selvatico, poco inteso. Media struttura, radici, buona vena acida, piacevolmente amaricante il lungo fin di bocca.

Ormeasco di Pornassio Doc

L’Ormeasco è un sinonimo del vitigno Dolcetto, di cui è una varietà, è coltivato esclusivamente nella Provincia di Imperia, nei territori dei Comuni di Pornassio, Pieve di Teco e in tutta l’Alta e Media Valle Arroscia dove trova il suo habitat ideale fino a 700/800 mt d’altitudine.

Cascina Nirasca – 2019

L’azienda, di recente costituzione, si trova a Pieve di Teco dove dispone di 3,5 ettari di vigneti la maggior parte dei quali situati tra i 400 ed i 500 metri d’altitudine.
Sono sei i vini prodotti, quello da noi degustato proviene da una vigna di 30 anni d’età situata tra i 550 ed i 780 metri d’altitudine nelle località Pornassio, Acquetico, Nirasca e Armo. Vinificato per metà con lieviti indigeni e per l’altra metà con lieviti selezionati s’affina per sei mesi in vasche d’acciaio.


Rubino intenso e luminoso. Intenso al naso, balsamico, frutto a bacca scura, more, prugne, legno dolce. Buona struttura, asciutto, succoso, buona trama tannica, lunga persistenza.

Tenuta Maffone – 2021

Situata in Val d’Arroscia l’azienda, nata nel 2009, dispone di vigneti che hanno un’età dai 60 ai 100 anni, situati tra i 500 ed i 700 metri d’altitudine, in frazione Acquetico nel comune di Pieve di Teco. L’azienda produce 11 vini, quello da noi assaggiato viene vinificato in acciaio.


Rubino luminoso di buona intensità. Intenso e fruttato al naso, ciliegia, more, pulito. Bel frutto, succoso, buon frutto, bella trama tannica, buona vena acida, frutto rosso, ciliegia, lunga persistenza.

InvecchiatIGP: Francesco Poli - Vino Santo Trentino Doc 1997


di Lorenzo Colombo

Sappiamo che è un poco una forzatura, e che così giochiamo facile, inserire questo vino nella rubrica InvecchiatIGP perchè, sebbene siano passati 25 anni dalla vendemmia, si può infatti affermare che un Vino Santo Trentino di quest’età, ovviamente se fatto bene, sia ancora, se non nella sua fase di gioventù, perlomeno in quella della maturità, non certo in quello della vecchiaia. II vino ci è però piaciuto così tanto che non abbiamo resistito. 

Il Vino Santo Trentino 

Il Vino Santo Trentino può essere considerato una rarità, la sua produzione è ormai assai limitata, sono solamente circa 25.000 le (mezze) bottiglie prodotte annualmente da un pugno di viticoltori riuniti nell’Associazione Vignaioli Vino Santo Trentino Doc, tra i quali l’Azienda Agricola Francesco Poli, il cui vino ci accingiamo a degustare. 

Viene prodotto con uve Nosiola e purtroppo anche questo vitigno sta pian piano diventando raro, è infatti ormai presente unicamente (in pochi ettari purtroppo) in Trentino, nella Valle dei Laghi, quella valle situata lungo il tratto finale del fiume Sarca costellata da una serie di piccoli laghi: Lamar, Santo, Terlago, Santa Massenza, Cavedine, Lagolo, Toblino. 

Qui il suolo è asciutto, ricco di ghiaia ed il clima è fortemente influenzato da due venti, l’Ora del Garda, che soffia da mezzogiorno in poi da sud a nord e quello proveniente dalla Dolomiti del Brenta.
Questo favorisce l’appassimento delle uve che, stese sulle arèle, i tradizionali graticci, spesso si spinge sino al periodo pasquale, riducendo drasticamente il peso delle uve e concentrandone zuccheri ed aromi, amplificati quest’ultimi dall’intervento della Botrytis Cinerea, la muffa nobile che sovente colpisce i grappoli. 

Il lungo periodo d’appassimento – anche sei mesi- fa si che il mosto che si ricava da questi grappoli sia assai limitato, 10-12 litri per un quintale d’uva, questo, unitamente all’alta concentrazione zuccherina (si superano tranquillamente i 400 gr/litro con punte di 470 gr/litro) fa sì che le fermentazioni, che si svolgono in piccole botti di rovere, siano assai lente.
Anche l’affinamento del vino è molto lungo e sovente si protrae anche per una decina d’anni, alla fine dei quali il residuo zuccherino del vino s’attesta sui 160 gr/litro, ben bilanciato comunque dalla spiccata vena acida che ne smorza la dolcezza percepita. La longevità di questo vino è proverbiale e supera tranquillamente diverse decine d’anni senza nessuna compromissione organolettica. 

Il Vino Santo prodotto a Santa Massenza è famoso sin dal 1500, negli “Annali, ovvero cronache di Trento” del 1648, Pincio Giano Pirro scrive: “… un banchetto molto più fastoso e ricco di portate di vini venne predisposto il 12 settembre 1536, per l’arrivo a Trento di re Ferdinando … venivano serviti di norma vini dolci, tra i quali primeggiavano il Moscato, il Bianco di Calavino… l’insuperabile Vino Santo, prodotto sui colli di Santa Massenza”.
E poi ancora, questa volta Michelangelo Mariani in “Trento con il Sacro Concilio” del 1673 scrive: “… dal famosissimo banchetto del 25 luglio 1546 offerto dal Cardinale di Trento… vini squisitissimi, bianchi, rossi e rosati dei colli di Trento e vini dolci di Santa Massenza”. 

L’azienda 

Quella di Francesco Poli è una duplice azienda, da una parte l’Azienda Agricola, con la produzione di uva e di vini e dall’altra la distilleria, per la produzione della grappa. I vigneti sono coltivati, ormai da quasi 25 anni in regime biologico, quelli dedicati alla Nosiola sono situati in località Sottovi, sulle colline che sovrastano il lago di Santa Massenza, la prima vendemmia di queste uve è stata effettuata nel 1985 e la prima produzione di Vino Santo è del 1990. 


Il vino 

La vendemmia s’effettua in genere nella prima metà del mese d’ottobre, ed i migliori grappoli rimangono in appassimento per almeno cinque mesi, la fermentazione si svolge in vasche d’acciaio, il vino viene poi posto a maturare in piccole botti di rovere e d’acacia, dove rimane per svariati anni. 


Color topazio, intenso, unghia aranciata. Intenso ed amplio al naso, complesso ed elegante, sentori di datteri, fichi al forno, uvetta passa, miele. Strutturato, pastoso, amaricante, miele di castagno, caramella all’orzo, rabarbaro, leggeri accenni piccanti, molto persistente. 

Cantina Giagnacovo - Orovignale 2019


di Roberto Giuliani

Ancora oggi dei vini del Molise non si sa quanto si dovrebbe sapere. 


L’Orovignale, moscato bianco della Cantina Giagnacovo di San Biase (CB), è un coup de coeur, profuma di arancia gialla, mandarino, salvia e pesca. Il sorso è delizioso, fresco, con note di miele e frutta candita, beva irresistibile.


Cantina Sant'Andrea - Moscato di Terracina Amabile "Templum" 2019


di Roberto Giuliani

Quasi 50 anni che viene prodotto, nella veste più tradizionale, amabile, questo moscato dal colore oro caldo regala note di frutta secca, uva passa, albicocca, sfumature di zenzero. 


B
occa generosa, intensa e sapida, con un buon apporto di freschezza, tanto che la nota dolce quasi non si percepisce.

www.cantinasantandrea.it


InvecchiatIGP: Cantine Ornina - Vallechiusa Toscana IGT Bianco 2018


di Stefano Tesi

Togliamoci subito il dente, anzi i denti, e facciamo tre confessioni.

La prima è che, prima di aprirla, su questa bottiglia avevo qualche perplessità: l’età considerevole e l’inquietante colore carico mi facevano temere marsalature epiche.

La seconda è che del vino, oltre all’annata che vedete, avevo anche la 2012 e la 2013: erano destinate a una verticale che, coi produttori, da luglio scorso ci eravamo reciprocamente promessi di fare insieme ma che poi, per le solite contingenze, è slittata sine die. E, siccome da un mesetto Marco e Greta Biagioli, così si chiamano i proprietari, sono alle prese con la nuova arrivata Flora (congrats!), ho pensato che per un altro un po’ di tempo avranno ben di meglio a cui pensare che a degustare con me.

Mi ero così risolto, terza confidenza, a procedere da solo. Ma stappata e assaggiata la 2011, ho deciso di mettere da parte le altre due per poterle davvero condividere con gli amici di Ornina o almeno con altri amici, nella speranza che fossero come questa.

La storia della cantina e del cammino che ha portato alla nascita dell’azienda è bella e divertente, eccentrica come (almeno in accezione vinicola) è del resto il Casentino, l’area il cui il tutto si trova. Biodinamici e steineriani, così come l’architettura e i principi a cui si ispirano, Marco e Greta puntano però al sodo, non si nascondono dietro il marketing dell’esoterismo e non puntano affatto sulla vera o presunta stranezza che spesso pubblico e critica attribuiscono a certe scelte ritenute a priori troppo radicali.

Basta fare un salto in loco - e io lo feci - per capire invece la linearità della loro visione e comprendere anche il rapporto simbiotico che i nostri hanno col luogo, che è pure dove vivono e ospitano. Cominciarono nel 2008 con la vigna del babbo, nel 2014 hanno costruito la nuova cantina: “Al momento produciamo 7 etichette, ma considerando che ogni anno ci dedichiamo almeno a una quota esperimento, la lista è sicuramente destinata a crescere”, ammettono in rete.


A maggio scorso avevo assaggiato il loro Vallechiusa Bianco, un IGT Toscana a base di Trebbiano, Malvasia e una punta di Moscato, e mi era piaciuto. Macerazione non troppo lunga, mi avevano spiegato, fermentazione spontanea in acciaio e maturazione di 15 mesi in cemento.

“Chissà come si evolve nel tempo”, chiesi.

Da qui l’idea della verticale delle annate più vecchie superstiti: 2011, 2012, 2013.

Ed eccola la 2011, bottiglia impietosamente (o a sommo studio?) bianca. Tappo integro. L’etichetta rivela che, accanto a Trebbiano e Malvasia, dentro all’epoca c’era anche un po’ di Sauvignon Blanc.

Del colore abbiamo detto. Mi aspettavo una botta di trebbianone evoluto e invece, sorpresa, il ventaglio si apre tra fiori di campo appassiti, fieno, sassi bagnati e roccia spezzata, ondate di resina, mirto, macchia marina e una lunga scia quasi salmastra, elegante, che non satura e torna a folate.
La gradevolezza continua in bocca, con una sapidità agile che smorza l’alcool (13,5°) e fa dispiegare con lentezza il lungo retrogusto delicatamente amarognolo. Disorientato dal divario tra le aspettative e l’assaggio, ho ritenuto opportuni riassaggiare e riassaggiare, così se n’è andata mezza bottiglia.


Del resto lo diceva anche la pulzella Amanda Sandrelli a non distaccatissimo messere Massimo Troisi in una scena cult di “Non di resta che piangere”, no? Bisogna provare, provare, provare, provare…

Alessandro Motta - Vino Bianco Lazzardo


di Carlo Macchi

Un Moscato secco passato in legno? Un azzardo! E invece è stata una grande sorpresa! Naso “da moscato” ma con aromi più eleganti e senza alcun ricordo del legno, bocca fresca, sapidissima e niente finale amaro. 


Lazzardo di Alessandro Motta, anche ottimo produttore di Barbera d’Asti, è riuscito pienamente.

Degustiamo i vini in lattina della Zai Urban Winery. Sarà questo il futuro?


di Stefano Tesi

Tanto per chiarire, vengo dalla generazione che più di trent'anni fa assaggiò i cosiddetti wine cooler, una specie di bevanda alcoolica fatta tagliando il vino col succo di frutta, roba alla quale pure il coevo 8 e 1/2 Giacobazzi (sponsor prima e poi sponsorizzato nientepopodimento che da Gilles Villeneuve) faceva vento.


Figuriamoci quindi se mi fa impressione la notizia dell'uscita sul mercato di un nuovo vino in lattina, lanciato settimane fa dalla veronese Zai (l'acronimo sta per Zona Altamente Innovativa ed è identico alla Zona Agricola Industriale che ospita il Vinitaly, "in cui l’azienda ha avuto origine", ammettono i fondatori), che tanto fa arricciare il naso al conformismo enoico nazionale. Quindi nessun pregiudizio, solo curiosità.


Infatti mi sono fatto mandare i campioni e, lo dico subito, l'assaggio del prodotto non è affatto catastrofico come era facile pronosticare. 
Anzi diciamo pure che, al confronto, questi vini molto facili ma corretti, perfino piacevoli se consumati col giusto approccio, che non provano a spacciarsi per quello che non sono, escono bene - chi più, chi meno - dal confronto con prodotti imbottigliati di pari categoria e prezzo: "Il prezzo a scaffale sarà di circa 3,50/4,50 euro a lattina. Il prodotto è in fase di lancio e sono in corso trattative con vari mercati stranieri in primis, ma anche in Italia con gruppi della GDO e altre realtà del mondo Horeca che hanno mostrato interesse" mi risponde, a domanda, il loro ufficio stampa.


Perchè non è solo l'aspetto organolettico ciò che conta in questi casi, ma quello sociale e commerciale. 
Andando per ordine, i canned wines sono sei e sono modulari, nel senso che fanno parte di un progetto di marketing unico e coordinato, all'interno del quale nessun prodotto può fare a meno degli altri. Diciamo insomma che si tratta di un paniere di lattine che fanno capo a un'unica storia, disegno, grafica e filosofia.


Zai, che si autodefinisce "urban winery", punta dichiaratamente ai mercati nel Nord America o almeno ad essi si ispira e si ammanta di un'aura green. "Le nostre referenze sono frutto di un lungo studio enologico. Per esempio Gamea, uno dei vini top di gamma è il frutto di ben quattro vendemmie, anziché una, condotte tutte a mano”. 


A riprova che la leva principale dell'operazione commerciale si basa sullo storytelling c'è il fatto che ognuno dei sei vini corrisponde a un personaggio di fantasia, cronologicamente collocato "nel 2150, anno che vede l’estinzione del 99% delle specie animali e vegetali, uva compresa, a causa del cambiamento climatico. Anche nel packaging le lattine rimandano ai personaggi, protagonisti di un viaggio per risolvere il mistero dell’antica profezia sul vino e salvare il mondo. Una storia che sarà in continua evoluzione, che non mancherà di colpi di scena, al pari di un vero e proprio fumetto".


C'è da sorridere?

Sì, ovviamente, se si vuole parlare con disincanto. Ma anche no. Può anche darsi infatti che il business possa funzionare e di per sè non ha nulla di scorretto.

Ecco i vini (nb: tutti vegani e bio, tranne il PJ White, e tutti confezionati in lattine di alluminio da 25 cc), con relativa "storia" e mie note si assaggio:

Dr. Corvinus, 100% Corvina Verona IGT, gradazione alcolica 11% Vol.: è l’ultimo erede di una dinastia di sommelier, vive con il suo assistente Cork Borg nel castello di famiglia cercando un modo per produrre il vino senza usare le uve, ormai estinte, ma con esiti poco soddisfacenti. Naso discreto, piacevole in bocca, da tutto pasto. Se bevuto alla giusta temperatura è piacevole.


Gamea, 100% Garganega Verona IGT, gradazione alcolica 9.5% Vol.: è una donna avventurosa e indipendente, che ama la natura e ha una laurea in scienze biologiche. Dedica la sua vita alla salvaguardia del Pianeta. E' un vino con qualche pretesa, piuttosto ruffiano soprattutto al naso. In assaggio bendato coi pari grado non sfigura.


Mr. Bubble, 100% Glera Veneto IGT, è un vino frizzante con gradazione alcolica 9.5% Vol.:
è un viveur che, usando il suo razzo a forma di lattina, ha battuto ogni record di velocità, tanto da guadagnarsi il nickname di “pilota del millennio”. Mi sembra decisamente il più debole dei sei vini.


Lady Blendy, Merlot e Cabernet Veneto IGT, gradazione alcolica 10.5% Vol.: è una gatta dalla doppia anima. Specializzata in meccanica e riparazioni, si prende cura degli altri e ama dormire. La notte si trasforma in uno spietato cacciatore di taglie. Organoletticamente è corretto ma eccessivamente commerciale, un vino per tutti i palati.


PJ White, 100% Pinot Grigio Terre Siciliane IGT, gradazione alcolica 10% Vol.: è l’anarchico del gruppo, il ribelle piantagrane. Pigro per natura, è convinto che tutti ce l’abbiano con lui. Passa le sue giornate ascoltando musica, suonando la chitarra e giocando ai videogame. E' nel bene e nel male esattamente quello che ti aspetti.


Cork Borg, 100% Moscato Veneto IGT, vino frizzante con gradazione alcolica 7% Vol.: è un robot a forma di cavatappi, costruito da un antenato di Dr. Corvinus. Il suo mestiere è assistere i più famosi sommelier della terra. La sua evidente mancanza di pretese lo rende coerente al tipo, un divertissement.


Conclusioni: fuori dallo snobismo, è un'operazione commercialmente interessante e, probabilmente, anche indice di un trend abbastanza netto. Non nel senso della novità in sè, ma il fatto che ci si investa con modo così deciso significa che il mercato potrebbe essere maturo. Sul piano puramente qualitativo, si tratta di prodotti ben fatti e dignitosi, spesso non peggiori di quelli di pari prezzo in bottiglia. Del resto, è chiaro che chi compra vini del genere lo fa con la leggerezza di chi non cerca bevute impegnative, ma anzi, col vino, acquista ciò che esso ha intorno: praticità, evasione, intrattenimento. La cosa più divertente? 

Prima la ricerca e poi l'assaggio comparativo alla cieca con vini comprati in GDO. Non si finisce mai di imparare.