di Roberto Giuliani
Ho conosciuto Giovanni Scarfone nel 2008, allora la doc
Faro era salita alla ribalta grazie a Salvatore Geraci, che ha indubbiamente contribuito
a evitare che venisse cancellata per assenza di aziende vinicole attive. Quando
ho assaggiato il Faro 2006 di Bonavita sono rimasto folgorato, amore al primo
naso, tanto che decisi di andare a trovare la famiglia Scarfone insieme al mio
amico e collega Alessandro Franceschini. Fu un’esperienza bellissima che
porterò sempre nel cuore, Carmelo ed Emanuela, genitori di Giovanni e Francesco
(che è un bravissimo pittore), furono deliziosi, un’accoglienza garbata e allo
stesso tempo calorosa, diretta; il paesaggio intorno era bellissimo, si poteva
vedere lo stretto di Messina, Faro Superiore si trova sulla punta a nord-est
dell’isola, a un’altitudine sufficiente per poter ammirare il paesaggio marino
circostante. Ricordo le fantastiche marmellate di Emanuela, fatte con la loro
frutta, qualcosa di sublime che non può che darti una piacevolissima
dipendenza!
Papà Carmelo e Giovanni. |
Purtroppo papà Carmelo è recentemente scomparso, ho un
grande rimorso di non essere più tornato negli anni successivi, mi sarebbe
piaciuto conoscerlo più a fondo.
Giovanni mi dette alcune bottiglie di quel 2006, ogni tanto
ne ho aperta una, questa è l’ultima e devo dire che una parte di me vorrebbe
custodirla come una reliquia, ma il vino va bevuto, la vita è troppo breve
perché abbia senso accumulare bottiglie in cantina e rischiare di andarsene
prima di averle bevute.
Così ho preso una decisione, se devo aprirla voglio almeno
confrontarla con la 2016, può essere interessante, visto che si tratta di due
annate con caratteristiche diverse sia per l’andamento stagionale, sia per l’età
delle viti, sia per l’esperienza maturata in vigna e cantina. Un’esperienza che
ha portato Giovanni a non utilizzare concimi chimici, erbicidi e insetticidi, e
nutrire il terreno con il classico sovescio di leguminose e graminacee. Solo
rame e zolfo quando strettamente necessario e in dosi molto moderate, puntando
principalmente su una potatura verde molto attenta.
Faro 2006 (nerello
mascalese, nerello cappuccio, nocera) – 12,5%: come riporta il sito aziendale
l’anno è iniziato con un inverno piuttosto freddo e molto piovoso nei primi
mesi, di conseguenza il germogliamento è partito a fine marzo per il nerello
mascalese e nella prima decade di aprile per nerello cappuccio e nocera. Primavera
fresca con precipitazioni regolari, estate asciutta ma senza eccessi di
temperatura. A settembre si è avuto un periodo piovoso che ha rallentato la
maturazione delle uve, portando la raccolta al 13 di ottobre, che ha garantito
uve sane con una buona acidità (5,80 g/l) e una gradazione zuccherina non
elevata, che si è tradotta in 12,5 gradi di alcol nel vino.
Nei vari assaggi effettuati con il passare degli anni ho
visto questo vino continuare a crescere, mantenendo quelle promesse che avevo
previsto nel 2008, questa volta sembra voler ingannare l’olfatto, poco dopo
averlo versato nel calice spara con decisione un terziario marcato di funghi,
polvere da sparo, cuoio conciato, caffè, sottobosco, fumo di pipa. Passano i
minuti e l’ossigenazione lo risveglia sempre più, tornando a raccontare di
frutti, maturi certo ma non ossidati, c’è anche il cacao, l’arancia rossa, il
fico, il cardamomo, la menta e la liquirizia, segno che il vino è ancora molto
vivo, sebbene abbia ormai superato la vetta, ma il manto odoroso è ancora
magnifico e complesso.
All’assaggio conferma quell’impressione, c’è ancora tanta
poesia e fascino, una profondità non comune, ma viaggia su toni più scuri e
austeri, meno articolati, unico segnale di iniziale discesa di un grande vino,
che credo fosse integralmente lavorato da papà Carmelo. Tanto di cappello…
Faro 2016 (nerello mascalese, nerello cappuccio, nocera) –
12,5%: in questo caso l’inverno è stato più mite, sebbene decisamente generoso
nella piovosità; anche in primavera è piovuto ma in modo più regolare e non
dannoso, mentre l’estate è stata fresca fino ai primi di settembre, quando ha
ripreso a piovere in maniera insistente, mettendo in difficoltà la scelta
vendemmiale. Alla fine si è raccolto prima il nerello cappuccio, intorno alla
fine del mese, mentre il mascalese e il nocera sono stati vendemmiati nella
prima decade di ottobre. Anche in questo caso l’alcol svolto ha portato la
gradazione a livelli pressoché identici di quella del 2006.
Il colore del vino appare ovviamente più giovane ma con
maggiore trasparenza, al naso i profumi ci portano verso la frutta rossa fresca
e leggermente in caramella, ciliegia e lampone in primis, a cui fa seguito la
susina rossa, piacevoli sfumature di rosa accompagnano un bouquet di bella
finezza e pulizia, con uno sguardo verso l’agrume, l’alloro e altre erbe
aromatiche.
Al palato c’è energia, freschezza e una materia misurata a
tutto vantaggio di un’eleganza d’insieme tutt’altro che trascurabile. Il
tannino sta integrandosi già molto bene, il sorso è piacevolissimo e
l’alcolicità moderata lo rende davvero godibile. Non so se avrà la longevità
del 2006, ma forse in eleganza gli è superiore, c’è una più raffinata
precisione, segno di quell’esperienza maturata di vendemmia in vendemmia a cui
accennavo prima.
Bravo Giovanni!