Filippo Calabresi e la nuova identità di Tenimenti d’Alessandro - Garantito IGP

Me li ricordo bene i vini di Tenimenti d'Alessandro, era la fine degli anni '90 e sul mitico forum del Gambero Rosso in molto acquistavano casse di Syrah "Il Bosco" che, soprattutto sotto la consulenza di Stefano Chioccioli, era pluripremiato dai principali critici del vino internazionali. Tanti appassionati attratti da questo rosso toscano impenetrabile, intensamente speziato e fruttato, prodotto da questa azienda acquistata dalla famiglia d'Alessandro nel 1967 al fine di dare nuova luce ad un territorio, quello del cortonese, che a quei tempi di certo non era famoso per la qualità dei vini prodotti. 



Infatti, bisogna aspettare la fine degli anni '80 perchè a Cortona e dintorni si riaccendesse la spia qualitativa grazie ad una intensa fase di sperimentazione vitivinicola rivolta, soprattutto, allo studio dei vitigni internazionali la cui successiva messa a dimora ridisegnò totalmente le finalità produttive di tutte la aziende coinvolte. In particolare, da queste ricerche, emerse la vocazione di questo territorio per il syrah e, in maniera meno eclatante, per il viognier, grandi vitigni del Rodano che ben adattandosi agli ambienti caldi, luminosi e asciutti, trovano nel cortonese il modo di esprimersi con una propria forte identità. 

Ovviamente, in tutto questo processo di evoluzione qualitativa del territorio che, più o meno, ha abbracciato almeno trenta anni, i d'Alessandro sono stati in primissima linea (a loro si deve molto circa la creazione, nel 1999, della prima DOC Cortona) fino al 2013 quando, dopo anni di alti e bassi, decisero di passare il testimone alla famiglia Calabresi anche se bisogna aspettare altri due anni, siamo nel 2015, affinchè Filippo Calabresi, classe 1990 ed una passione sfrenata per il vino che l'ha portato per anni tra i piccoli produttori della California e dell'Oregon, prenda in mano definitivamente la gestione di Tenimenti d'Alessandro dando vita ad una vera e propria svolta filosofica e produttiva che si basa su due principi cardine: cura e attenzione per la campagna, ovvero abbandono totale delle pratiche convenzionali attraverso il solo uso di zolfo e poltiglia bordolese, e totale assenza di compromessi in cantina al fine di preservare frutto e freschezza tramite vinificazione in acciaio per i vini pensati per un consumo quotidiano mentre, per le selezioni, si tenta di esaltare il potenziale di invecchiamento del syrah grazie a lenti affinamenti in vecchi contenitori di legno.

Filippo, che incontro in azienda qualche mese fa, nonostante la sua giovane età ha le idee già abbastanza chiare, è conscio della piccola rivoluzione, ideologica e produttiva per come era concepita un tempo l'azienda, che sta cercando di porre anche se, come mi fa notare, tutto ciò non deve essere immediato e soprattutto spiazzante per il mercato, soprattutto per gli importatori esteri, che potrebbero non comprendere certe scelte con la conseguenza di abbandonare la barca nel bel mezzo della tempesta che poi diventerebbe anche finanziaria.


Questa frattura tra passato, presente e, sopratutto, futuro è evidente camminando con Filippo nei vigneti adiacenti la casa padronale (36 ettari di cui 8 a viognier e 28 a syrah) dove il vecchio corso, quello dai vini "belli e pettinati", è distinguibile attraverso sesti di impianto da 8500 ceppi per ettari (anno 1991) mentre l'"era Calabresi" prevede per i nuovi impianti una gestione più distesa arrivando a sesti non oltre le 4500 piante per ettaro.


Non solo, la voglia di sperimentazione di Filippo, la sua esigenza di libertà e anche, vivaddìo, di sbagliare senza troppi problemi, lo ha portato ad intraprendere un progetto tutto suo, chiamato DO.T.E. (Down to Earth), dove da un piccolo vigneto di circa 2 ettari, fuori dal corpo aziendale, Calabresi di cimenta con la biodinamica in vigna e, in generale, con una espressione enologica totalmente naturale e libera da vincoli in modo tale che i vini prodotti (bianchi, rosati, rossi e rifermentati), come scrive lui stesso nel sito, raccontino con spontaneità la loro ragion d'essere, al di là di protocolli e disciplinari di produzione, facendo leva sui cardini del progetto ovvero salubrità, eticità, quotidianità.

Sii come la fonte che trabocca e non come la cisterna che racchiude sempre la stessa acqua.

(Paulo Coelho)


Tornando a Tenimenti d'Alessandro, la casa madre, come già scritto in precedenza i cambiamenti riguardano anche la gestione di cantina dove per i vini più importanti, ad esempio Il Bosco, si sta sperimentando un protocollo di vinificazione, iniziato nel 2015, che prevede l'utilizzo in fermentazione del grappolo intero che, secondo Calabresi, è molto funzionale all'aromaticità e all'energia del vino mentre dallo scorso anno si sta collaudando anche l'adozione della tecnica del cappello sommerso (Piemontesina) che tende a favorire una estrazione tannica di rara eleganza. 

Lo stesso protocollo, per ciò che concerne l'affinamento, prevede poi la maturazione del vino per un anno in barrique usate per poi passare in botte grande da 32 hl per due anni ed, infine, 1 anno di affinamento in bottiglia prima di uscire sul mercato.


Assieme a Filippo, curioso dei riscontri, abbiamo degustato alcuni vini ancora non in commercio, veri e propri campioni di botte che, come vedremo, hanno generato ottimi spunti di riflessione.

Fontarca 2017 (100% viognier): prodotto fin dal 2007 è il bianco storico dell'azienda che proviene dalla vecchia vigna di viognier piantata nel 1991. Seppure giovanissimo questo bianco esprime carattere e solarità, sensazioni agrumate, vegetali e un corredo minerale di primissimo piano. Bocca piacevolmente intensa e dal delicato finale sapido.

Rosso 2016 (100% syrah): un tempo “Borgo Syrah”, rappresenta per certi versi il vino più anarchico dell'azienda. Già, non l'ho ancora scritto, ma l'evoluzione filosofica e stilistica di Tenimenti d'Alessandro è caratterizzata anche da un avvenimento importante, di forte rottura politica col passato, concretizzatosi con il recente abbandono da parte dell'azienda dalla DOC Cortona. La bocciatura dei campioni 2016 da parte della Commissione di assaggio della DOC ha portato Filippo a comunicare la sua decisione al Consorzio viste le troppe divergenze di visione rispetto alla cifra stilistica del Syrah di Tenimenti d'Alessandro che, grazie anche ai recenti cambiamenti climatici, Filippo cerca di interpretare in maniera più libera, fedele all'annata, senza dimenticare la bevibilità che  troppo spesso viene messa in discussione con rossi ricchi di estratto e caratterizzati da elevato grado alcolico.
Dal mio punto di vista il vino non ha assolutamente difetti, anzi, la sua relativa trasparenza e la dinamicità sono fattori assolutamente vincenti per un vino, finalmente, di facile beva come deve essere Il Rosso.

Il Bosco 2014: questo vino, ancora in affinamento, è figlio di una annata non semplice che Filippo, nella sua prima vendemmia, interpreta al meglio delle possibilità donandoci un syrah molto fresco e, soprattutto, molto più "leggero" rispetto a quanto eravamo abituati col passato col quale, già da questo millesimo, si vogliono prendere le giuste distanze.

Cru 2015 (campione di botte)syrah vinificato secondo il protocollo Il Bosco dove per la prima volta, in assemblaggio, c'è 1/3 della massa proveniente da vinificazione con grappolo intero. Ad oggi il risultato è sorprendente, si sente la cifra stilistica di Filippo, la sua voglia di cambiare e alleggerire e, soprattutto, di far uscire vini già pronti ed espressivi.


Cru 2016 (campione di botte): syrah vinificato secondo il protocollo Il Bosco dove per la prima volta, in assemblaggio, c'è 2/3 della massa proveniente da vinificazione con grappolo intero. Ad oggi risulta meno limpido al naso rispetto al precedente ma al sorso si conferma decisamente più pronto e dinamico della 2015.

Cru 2017(campione di botte): syrah vinificato secondo il protocollo Il Bosco dove per la prima volta, in assemblaggio, c'è 2/3 della massa proveniente da vinificazione con grappolo intero mentre al restante parte proviene da cappello sommerso. Vino strabiliante, leggiadro e luminoso che, a mio parere, rappresenta più di tutti il cambiamento in corso in azienda e, soprattutto, ciò che ha in mente Filippo Calabresi per il futuro!

Azienda Agricola Simone Rossi - Merlot 2015 è il vino della settimana di Garantito IGP


di Lorenzo Colombo

La Val San Martino è suddivisa tra cinque comuni bergamaschi e quattro del lecchese. Da uno di quest’ultimi, Calolziocorte, arriva questo Merlot, unico prodotto dell’azienda di Simone Rossi.


2.500 bottiglie ricavate da un ettaro vitato e vinificato a Rovagnate, nella cantina del Consorzio Terre Lariane. Provatelo! (Se lo trovate).


Ci ha lasciati Daniele Maestri

La notizia è di poco fa, all'inizio non ci credevo, pensavo fosse la solita bufala ma, purtroppo, devo confermare che non è più tra noi Daniele Maestri.
Per me, che ho iniziato con la vecchia AIS Roma targata Ricci, è stato un grande Maestro. 

Daniele era un uomo di cultura straordinaria, non solo di vino, e ci mancherà davvero a tutti. Che la terra ti sia lieve. 

Foto: Canadian Club of Rome

In Slovenia alla scoperta della Rebula nella Vipavska Dolina - Garantito IGP


di Lorenzo Colombo

Nella seconda metà del mese d’Agosto siamo stati in Slovenia, precisamente nella Vipavska Dolina in occasione dell’evento Vipavska rebula Emperor’s Choise.


La Vipavska Dolina (8.080 ettari vitati) è una delle quattro sottozone in cui è suddivisa la Primorska, una delle tre regioni vitivinicole della Slovenia, confina con l’Italia, e precisamente con il Friuli-Venezia Giulia. S’estende per 25 km da Nova Gorica sino al monte Nanos ed è climaticamente caratterizzata dalla Bora, vento che può soffiare sino a 200 Km/ora, in questa zona la viticoltura si sviluppa su 2.240 ettari. I suoli sono in genere costituiti da Flysch dell’Eocene, che qui può assumere due diverse forme: viene chiamato “Sovdan” quando ci sono rapidi cambiamenti tra strati di marna e di arenaria e “Opoka” quand’è principalmente composto da marne.


La Rebula (Ribolla) è un vitigno che ha una lunga tradizione nella Vipavska Dolina (Valle della Vipava) tanto che viene menzionata sin dal 13° secolo, altra certificazione della sua importanza è data un documento che attesta che nel 1503, Massimiliano I, imperatore del Sacro Romano Impero, ordinò un carico di “Ribollio”, definito “eccellente vino della Vipava”.


Il vitigno - che, con poco più di 220 ettari occupa circa il 10% della superficie vitata della Vipava - è piuttosto duttile tanto che può essere vinificato in svariati modi, dando vita a diverse tipologie di vino, dagli spumanti a freschi vini fermi sino a quelli ottenuti con più o meno lunghe macerazioni sulle bucce.
I vini in degustazione guidata erano venticinque, quindici prodotti da Rebula in purezza e dieci frutto di blend tra Rebula ed altri vitigni (complessivamente abbiamo maggiormente apprezzato i primi), frutto di annate diverse e prodotti con differenti stili di vinificazione.


Ecco comunque una sintetica descrizione dei nostri preferiti:

Rebula in purezza

Posestvo Berce: Rebula Berce 2016
Le uve provengono da vigneti di trent’anni d’età, situati su suoli marnosi. Il vino s’affina per diciotto mesi in botti e sosta ulteriori quattro mesi in bottiglia. Si presenta con un color giallo carico. Molto interessante al naso, intenso ed elegante, complesso, con sentori d’uva e note di confetto. Dotato di buona struttura e con bella vena acida, lunga la sua persistenza. Elegante e complesso. E’ il vino che in assoluto ci è maggiormente piaciuto.

Posestvo Svetlik: Rebula Svetlik 2011
Da vigneti di 12 anni d’età, situati su Flisch e sedimenti morenici. Quattordici giorni di macerazione sulle bucce, due anni in botti da 25 ettolitri e due anni di bottiglia. Color arancione-ramato di buona intensità. Mediamente intenso al naso, elegante, presenta sentori di chinotto, di buccia d’uva ed ovviamente di note macerative. Sapido, asciutto, con spiccata nota tannica, bucci d’uva, frutta secca, lunga la persistenza.

Kmetija Slavček: Rebula Reserva 2013
Suoli marnosi e vigneti di trentacinque anni d’età. Affinamento per due anni in barriques da 200 litri, per metà d’acacia e l’altra metà di rovere, segue un ulteriore anno in botti di rovere da 2.000 litri. Il colore è giallo carico-oro antico, con leggera velatura. Molto intenso al naso, elegante e complesso, vi si trovano note macerative e di fiori gialli; molto interessante. Asciutto con spiccate note tanniche e pronunciata vena acida, sentori di buccia di mela, lunga la persistenza.

Posestvo Svetlik: Rebula Svetlik  Selekcija 2012
I vigneti, di dodici anni d’età, si trovano su Flisch con sedimenti morenici. Quattordici giorni di macerazione sulle bucce, affinamento per tre anni in botti da 4,5 ettolitri e sosta per ulteriori tre anni in bottiglia. Color rame, intenso e luminoso. Discretamente intenso al naso, presenta note di frutta secca, miele di castagno ed accenni chinati. Intenso al palato, asciutto, tannico, con bella vena acida e lunga persistenza, sentori di buccia d’uva.

Kmetija Bizjak - Vina Bizjak: Rumena Rebula 2015
Suoli marnosi e vigneti di trentacinque anni d’età. Affinamento per due anni in barriques d’acacia e sosta di tre mesi in bottiglia. Color oro antico. Intenso al naso, presenta note di miele, di fiori d’acacia e di tiglio e sentori di buccia di mela. Strutturato, sapido, tornano al palato gli accenni di miele ed i sentori di buccia di mela uniti a quelli di buccia d’uva, molto lunga la persistenza.

Batič: Rebula 2017
Vigneti di diciannove anni d’età, situati su suolo composto da marne. Tutto il processo, sia in vigna che in cantina, segue i principi della biodinamica e rispetta i cicli della luna. Il vino matura in acciaio sino al mese d’aprile. Dal color paglierino scarico. Intenso al naso, presenta sentori vegetali che rimandano al fieno ed all’erba secca. Dotato di buona struttura, sapido, si colgono leggere note macerative, frutta gialla, buccia d’uva, erba secca, erbe officinali. Un vino interessante e dotato di buona complessità. Curioso, anche per quanto riguarda la bottiglia, che a prima vista sembra fatta per i turisti ma che in realtà è frutto del lavoro di un artista.

Guerila – Rebula Extreme 2015
Vigneti d’età variabile, dai cinque ai venticinque anni, coltivati seguendo i dettami della biodinamica, collocati su suoli composta da Flysch. Quarantacinque giorni di macerazione, affinamento per due anni in botti da 500 litri, nessuna filtrazione. Color giallo di buona intensità. Intenso al naso, complesso, presenta note floreali (fiori gialli) e sentori di buccia d’uva e di mela. Strutturato, asciutto, tannico, di buona complessità, si colgono sentori di bucci d’uva e leggere note brucianti, lunga la persistenza.

Vina Ušaj – Ussai: Rebula 2012
Vigneti di 23 anni d’età posti su suoli argillosi. Tre anni di sosta in barriques e due anni in bottiglia. Aranciato-ramato il colore. Buona l’intensità olfattiva, netti i sentori macerativi, si coglie buccia d’uva e succo di mela. Asciutto alla bocca, note tanniche, buona la vena acida, tornano i sentori di buccia d’uva, lunga la persistenza.

Vina Zgonik: Rebula 2015
Suoli composta da marna e vigneti di ventisette anni d’età. Due anni in barriques usate e cinque mesi in bottiglia. Color giallo carico – oro antico. Buona l’intensità olfattiva, sentori di buccia d’uva e leggere note di legno. Asciutto al palato, tannico, si coglie frutta secca, lunga la persistenza.

Mlečnik: Rebula 2009
Il suolo è composto da Flisch eocenico, i vigneti hanno quindici anni d’età. Affinamento per due anni in botti grandi e per altri tre in bottiglia. Color rame intenso, con sfumature aranciate. Intenso al naso dove si colgono sentori di buccia di mela e note vanigliate. Strutturato, asciutto e con tannino in evidenza, sapido, buona vena acida, legno ben presente. Sembra un vino rosso.

Vinogradništvo JNK: Rebula 2009
Vigneti d’età compresa tra i quindici ed i quarant’anni, situati su suoli marnosi. Venti mesi in barriques usate e quattro mesi in bottiglia. Color ramato-aranciato, con leggera velatura. Discretamente intenso al naso, si colgono accenni di rabarbaro e note di frutta secca e legno. Dotato di buona struttura, asciutto, con netti sentori tannici e legno percepibile, buona la vena acida come pure la persistenza.


Uvaggio ed assemblaggio

Jamsek 1887 Vina: Prepih 2015 (60% Rebula, 20% Zelen, 20% Pinela)
I vigneti hanno quindici anni d’età e si trovano su Flisch. La ribolla sosta in macerazione per un anno in barriques, dopo di che vengono aggiunti gli altri due vitigni. Color rame scarico. Intenso al naso, complesso, si percepiscono sentori di chinotto, di erba Iva (camomilla di montagna), di radici di genziana. Intenso anche al palato, asciutto, con note tanniche, si ripropongono i sentori di radici e di erba Iva, unitamente a quelli di fieno di montagna. Assai elegante e complesso. Un vino notevole, che ci è piaciuto moltissimo.

Batič: Angel Belo 2011 (40% Pinela, 20% Chardonnay, 20% Malvazija, 10% Rebula, 7% Laški Rizling, 2% Zelen, 1% Vitovska)
Vigneti di trent’anni su suoli marnosi. La composizione e la lavorazione di questo vino varia anno per anno. Color giallo dorato luminoso. Intenso al naso, ampio, si colgono sentori di buccia d’uva e di mela, mela matura, note floreali e d’erbe officinali. Dotato di buona struttura, sapido, asciutto, con note tanniche e buona vena acida, buona la persistenza su sentori di buccia d’uva.

Štokelj: Planta Bela 2017 (60% Chardonnay, 20% Rebula, 20% Pinela)
Suolo marnoso e vigneti di quindici anni d’età. Nove mesi tra barriques ed acciaio, un ulteriore mese in bottiglia. Color paglierino scarico, luminoso. Bel naso, intenso, con note vegetali (sedano) ed aromatiche, si colgono inoltre frutta bianca (pesca) e sentori agrumati. Fresco, pulito, con accenni aromatici e di melone, lunga la persistenza.

Cavit e il suo Riesling Renano Trentino "Una Tantum" 2014 - Garantito IGP


di Carlo Macchi

Un Riesling con i controc… zebedei! Annata tragica ma ti ritrovi un riesling a cui quasi non credono gli agronomi, gli enologi e infine i fortunati come me. Grande naso dove agrumi e idrocarburi si spalleggiano. 


Bocca con acidità viva ma accanto a corpo e complessità. Sbagliato il nome: meglio Una Spessum.

Ottomani - Chianti Colli Fiorentini 2016 è il Vino della Settimana di Garantito IGP

Presente la battuta delle elementari? “Chi fuma più di un turco? Un ottomano: una sigaretta per mano”. 


Per farmi perdonare la freddura ecco questo rosso di corpo antico e frutto pieno, quasi sovramaturo, maestoso ma senza ridondanze. Fatto con Sangiovese e Canaiolo da quattro agronomi (cioè otto mani) verso l’Impruneta. Con bistecca e funghi fritti, una bevuta solenne!

www.ottomanivino.com

Alla scoperta dei vini della Moldavia - Garantito IGP


di Stefano Tesi

Alzi la mano chi, fuori da ogni perbenismo e in mancanza di approfondita esperienza diretta, scommetterebbe un euro sulla qualità intrinseca dei vini moldavi.


Direi quasi nessuno, sebbene la piccola ex repubblica sovietica possa vantare in materia una certa tradizione (nonchè vocazione) e con la Georgia fosse stata destinata da Baffone e dai suoi epigoni a fare da cantina centralizzata del grande impero rosso, nonché russo.
Non ho difficoltà ad ammettere che anch’io nutrivo molti legittimi dubbi non tanto sulla teorica esistenza, laggiù, di singoli buoni vini, quanto del livello della qualità media.


Ebbene, ho dovuto ricredermi dopo la trentina di bottiglie delle principali cantine moldave che ho avuto l’opportunità di assaggiare partecipando all’edizione 2018 della Conferenza globale sul turismo del vino organizzata dall'UNTWO, la conferenza globale su turismo del vino appena conclusasi a Chisinau e dintorni.
Due numeri, tanto per inquadrare il tema e prima di segnalare qualche etichetta.
La Moldova produce 1,8 milioni di litri di vino all’anno, principalmente vini fermi ma anche spumanti, e la relativa industria contribuisce al 3,2% del pil del paese, nonché al 7,5% delle esportazioni (circa 67 milioni di bottiglie, al 55% di rosso). Le aziende produttrici di vino ufficialmente censite sono 54 e quasi là metà di esse offre anche servizi legati al turismo.
Una realtà, dunque, fatta di cantine di grande dimensioni, spesso eredi dirette (in termini di superficie vitata e di strutture produttive) di quelle statali di epoca socialista e, per questo e per ragioni geoeconomiche, fine a qualche tempo fa strettamente legate al mercato russo e a quello orientale.

foto: Vivino

La crisi del rublo e il perdurare delle tensioni politiche, con scambio di embarghi, tra Russia e Ue (tensioni tra le quali la Moldova si trova fatalmente in mezzo, sia per le sue espresse simpatie filoccidentali, sia per la sua posizione geografica a ridosso del Mar Nero), ha però presto causato la necessità per i produttori moldavi di trovare a Ovest nuovi mercati di sbocco e di adeguarsi rapidamente agli standard qualitativi delle nostre piazze. Obbiettivo, va detto, raggiunto con sorprendente rapidità, complici forti iniezioni di consulenze e tecnologie italiane.
Oltre ai vitigni internazionali, si coltivano le antiche varietà tradizionali dell’area, le stesse della vicina Romania: Feteasca Alba, Feteasca Regala, Feteasca Neagra e Rara Neagra.
Ecco gli assaggi che più mi sono piaciuti, con una sottolineatura: si tratta di vini che raramente, in vendita diretta, superano i 4 euro a bottiglia.

Asconi Rosè 2017
Da uve Cabernet Sauvignon, è di un bel rosa pallido mattonato, con naso molto pulito e gradevole, frutto intenso ma senza caricature, mentre in bocca è asciutto, agile e sapido. Ottimo prodotto.


Asconi Sol Negru Feteasca Alba 2017
Appena dorato, dà un’immediata nota fresca e aromatica. L’ingresso in bocca è un po’ sfuggente ma poi cresce e si evolve in un gradevole e lungo accento piccante.


Rosè de Purcari 2017
Al 50% da uve di Cabernet Sauvignon, al di 25% Merlot e al di 25% Rara Neagra, ricorda per tonalità la polpa del pompelmo rosa. Al naso richiama la fragola matura e i mirtilli, in bocca ha un corpo inatteso che tuttavia non nuoce all’equilibrio.

Purcari Rara Neagra 2016
All’occhio è di un bel rubino chiaro, al naso è asciutto e gentile, fragrante con una lieve nota metallica che non disturba. In bocca è diretto, pieno, piacevole e beverino, ma elegante. Il migliore dei vini assaggiati in Moldova.

Castel Mimi Sauvignon Blanc 2017
Dorato brillante e intenso all’occhio, al naso rivela una vivacità, una pulizia e una fragranza impreviste rispetto allo stile aziendale. Anche in bocca risulta sapido, gradevole ed equilibrato.


Nota finale: anche gli spumanti che ho assaggiato sono risultati meglio delle aspettative. Va detto che pure in Moldova non sono mancati i tentativi di clonare il Prosecco, per ora vanificati da un’efficace azione diplomatico-commerciale. Il che non mi ha impedito di imbattermi in un “Crisecco”. C’est la vie.

Biava - Moscato di Scanzo 2015 è il Vino della settimana di Garantito IGP

di Luciano Pignataro

L’eccellenza dell’eccellenza, un sorso assurdo da una delle 2000 bottiglie lavorate da Manuele Biava che dal 1988 roduce questo rosso ancestrale in provincia di Bergamo nella DOCG più piccola d’Italia. 


Sorso lunghissimo, fresco, elegante, setoso e pulito, dolce elegante e non stucchevole. Davvero quando si dice: da centellinare


I bianchi della Campania passati in legno: una interessante riflessione - Garantito IGP

Di Luciano Pignataro

Ci sono alcune frasi entrate nel senso comune che spesso diventano un rovesciamento della realtà anche se confermano come spesso ciascuno di noi ha il vizio, direi il limite, di far iniziare la storia con noi stessi. Quando sento un produttore dire, “seguo il metodo tradizionale e vinifico solo in acciaio”, posso sicuramente fargli i complimenti ma non mi pare che i romani, nel Medioevo e nell’800, ma anche nella prima metà del ‘900 si usasse questo materiale quanto piuttosto il legno e le anfore.



Già il legno, un altro mantra italiano, dove la cultura dei vini bianchi invecchiati può vantare solo piccoli episodi isolati e non uno sforzo di ricerca collettivo e territoriale in qualche regione, è l’uso quasi esclusivo dell’acciaio nella lavorazione in bianco. E questo nonostante il fatto che il nostro paese è, secondo i dati diffusi la settimana scorsa, il primo esportatore mondiale per volume e per valore, di vino bianco. La Campania da questo punto di vista non teme confronti, è davvero raro trovare produttori che usino il legno con i vitigni autoctoni.

Noi pensiamo che questo sia uno sbaglio, non vogliamo certo sostituirci a chi il vino lo fa, ma è indubbio che quando l’uso del legno è centrato i risultati sono più che soddisfacenti e soprattutto aiutano sui tempi lunghi. La differenza con lo chardonnay e le altre uve internazionali è che non ci sono protocolli prefissati e dunque si deve partire da zero e andare per tentativi quasi applicando il principio di falsificabilità di Karl KPopper. Ecco allora che questo post un po’ anomalo rispetto ai soliti propone questa piccola guida e che evidenzia come il Fiano sia particolarmente vocato a queste lavorazioni. Il motivo è che si tratta di un vitigno che con il tempo evolve e non resiste come è stato dimostrato scientificamente dal team di studi del Dipartimento di Agraria diretto dal professore Moio.

Fiano di Avellino Stilema - Mastroberardino
L’unico in cui mettiamo il millesimo perché si tratta della prima annata in commercio a cui, speriamo, ne seguano altre. In questo caso solo un 20-25% della massa viene elevato in legno e il risultato, a nostro modesto avviso, è stato davvero eccezionale.

Fiano di Avellino More Maiorum - Mastroberardino
L’azienda di Atripalda ha anche questa etichetta, la prima per la verità prodotta con il Fiano interamente passato in legno a partire dalla metà degli anni ’90. Secondo l’usanza degli antichi, botti grandi. Un vino che regge davvero tempi lunghissimi.




Fiano di Avellino Exultet, Greco di Tufo Giallo d’Arles e Falanghina Via del Campo - Quintodecimo
I tre bianchi di Luigi Moio hanno subito conosciuto il legno per l’affinamento, pur mantenendo la vinificazione in acciaio, con alterni risultati di critica ma con assoluto successo di pubblica. Nel corso degli anni l’uso del legno è stato più parsimonioso, centrato. Sicuramente fra i tre quello che ne guadagna di più è, a nostro giudizio, l’Exultet. In ogni caso si tratta di vini che conservano una freschezza impressionante a distanza di molti anni.

Le Serole - Terre del Principe
Da sempre rappresenta il bianco di punta dell'azienda Terre del Principe di Peppe Mancini e Manuela Piancastelli. L'unico bianco passato in legno ottenuto dal Pallagrello Bianco. Anche in questo caso una insospettabile e piacevole longevità

Fiano di Avellino Bechar e Greco di Tufo Devon - Antonio Caggiano
Anche il Bechar è partito con il legno, progressivamente aggiustato a favore del frutto. Il risultato, a distanza di anni, è davvero straordinario. Abbiamo appena bevuto un 2008 freco, integro, complesso, in grado di reggere qualsiasi confronto. Essendo Caggiano famoso soprattutto per i rossi (Taurasi Macchia dei Goti e Salae Domini) confessiamo di aver trascurato parecchio le sue etichette bianche.

Fiano Campania Case Fatte - Boccella
Una piccolissima produzione di Fiano a Castelfranci prodotto fuori dal disciplinare docg. Un bianco “naturale” che mantiene una buona polpa e bei sentori, in buon equilibrio con il legno. Pensato dall’enologo irpino Fortunato Sebastiano.

Fiano di Avellino Brancato - Tenuta del Cavalier Pepe
Per una produttrice di scuola francese il passaggio in legno sarebbe quasi obbligatorio, ma per il momento Milena Pepe si limita solo a questa etichetta facendola uscire con un anno di ritardo rispetto alla vendemmia. Un bel prodotto che però deve ancora trovare il punto di equilibrio.

Fiano Cilento Pietraincatenata - Maffini
Anche Luigi Maffini ha progressivamente alleggerito la presenza del legno uscendo con un anno di ritardo rispetto alla versione in acciaio, il Kratos. A nostro giudizio uno dei migliori bianchi italiani in grado di esprimere il meglio dopo una decina danni.



Greco Paestum Elea - San Salvatore 1988
L’unico bianco passato in legno da Peppino Pagano. Non tutto, circa il 20% in barrique mentre il resto della massa fa acciaio. Buona frutta agrumata, speziature dolci al naso ma al palato grande verve acida e finale gratificante, sapido e amaro

Costa d’Amalfi Fiorduva Furore - Marisa Cuomo
Forse uno dei bianchi più conosciuti a livello nazionale, una grande successo commerciale. Qui, come nei vini di Caggiano e Maffini, abbiamo comunque la mano di Moio e anche qui abbiamo visto un progressivo diminuire del peso del legno. In ogni caso sicuramente una grande bianco, subito in equilibrio ma anche capace di reggere bene nel corso degli anni.

Falanghina dei Campi Flegrei Vigna del Pino - Agnanum
E la Falanghina? La sua freschezza e la sua immediatezza tengono quasi tutti lontani dal legno, ma qualche esempio c’è, come questa piccola produzione di Raffaele Moccia ad Agnano nel comune di Napoli. Buona longevità e ottimo equilibrio grazie all’uso delle botti grandi.

Falanghina Strione - Cantine Astroni
Un tentativo di misurare le capacità della Falanghina, ingrassata sui lieviti e in parte sul legno dopo la fermentazione in acciaio. Siamo sempre nel Comune di Napoli e questa è una delle tre versioni, le altre due in acciaio, pensate da Gerardo Vernazzaro.



Falanghina Facetus - Fontanavecchia
Chi invece usa senza le barrique dopo la vinificazione in acciaio è l’azienda Fontanavecchia di Libero Rillo a Torrecuso nel Sannio. Anche in questo caso il vino entra in commercio un anno dopo la vendemmia e i risultati sono decisamente molto interessanti.

Beneventano Sogno di Rivolta - Fattoria La Rivolta
Un bel progetto di bianco è proprio costituito da questo vino composto per metà da falanghina e per metà da fiano e greco in parti uguali. Un vino, lavorato da Vincenzo Mercurio in barrique, che regala una straordinaria evoluzione dopo qualche anno. Tra i nostri preferiti.

E' morto Beppe Rinaldi, una della grandi anime del Barolo

Purtroppo la notizia è giunta questa mattina. Beppe Rinaldi, detto "Citrico" per il suo modo di parlare onestamente e senza filtri, è morto all'età di 69 anni dopo una malattia che, in poco tempo, non gli ha lasciato scampo. Il mondo del vino italiano, non solo delle Langhe, ha perso una grande persona oltre che un bravissimo vignaiolo. 

foto: Winestories

Alla moglie Annalisa e alle figlie Marta e Carlotta vanno le condoglianze di Percorsi di Vino che lo ricorda con questo articolo.

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Il vino in Belgio comincia a diventare realtà grazie ai cambiamenti climatici

Snobbato finora dai cugini francesi, il vino belga si fa spazio sulla carta dei vini del mondo. La ragione starebbe nel riscaldamento globale che aumenterebbe la qualità e quantità del prodotto. Le cifre del 2017 lo confermano: il numero di produttori di vino è aumentato da 117 nel 2016 a 128 nel 2017 e la produzione ha sfiorato il milione di litri. John Collijs, distributore di vini e liquori belgi, ci racconta che cinque anni fa c'erano circa 80 ettari di viti per tutto il Belgio. 


"Ora siamo passati a 350 quindi siamo stati in grado di moltiplicare per 5 l'area e la produzione. Da 5 anni a questa parte le cose stanno andando alla grande". John ritiene che il cambiamento climatico possa in parte spiegare il miglioramento della produzione belga. D'altra parte, riconosce ad esempio che il sole di quest'anno modificherà il calendario della raccolta dell'uva. "Credo che il raccolto verrà s sicuramente anticipato. Normalmente il raccolto in Belgio va dalla seconda settimana di settembre al massimo la seconda settimana di ottobre. Penso che molti vigneti e i produttori di vino quest'anno faranno la vendemmia all'inizio di settembre ". 


Ci spostiamo presso la tenuta Chenoy vicino a Namur, la più grande area viticola del paese per vino rosso. Qui lavora Jean Bernard, esperto di agricoltura biologica, che si dice scettico sull'impatto del cambiamento climatico sulla produzione vinicola belga. "Sono molto prudente riguardo questo argomento perché prima di tutto non sappiamo se si puoi parlare di riscaldamento. Preferisco dire cambiamento climatico. Non sappiamo veramente cosa stia succedendo e sono anche molto diffidente nei confronti degli eventi estremi. Abbiamo avuto un anno in cui è andato tutto bene, fa caldo come nel M Mediterraneo, tutti i belgi sono contenti e lo sono anch'io. Ma questo non ci protegge da tempeste e grandine. Ovviamente vediamo che ci sono dei cambiamenti ma non so dire se tra 30 anni ci troveremo nella situazione opposta". Per Jean-Bernard Despatures, la crescita della produzione belga può essere spiegata da vari fattori. Le viti sono invecchiate e i viticoltori conoscono meglio le loro terre. 


"E' necessario il territorio, le buone condizioni climatiche e un certo savoir faire e questo non può essere improvvisato: c'è bisogno di teoria ma soprattutto di pratica. Essendo invecchiate le vigne, iniziamo ad avere un ecosistema di vino belga che esiste davvero, a differenza di 20 - 25 anni fa, dove ci sentivamo molto molto soli ".
Un vino di migliore qualità, sia belga o no, viene consumato con moderazione nel paese della bitta. Si stima che il consumo in Belgio sia di 300 milioni di bottiglie all'anno.

Fonte: Euronews

Muscari Tomajol - Nethun Bianco 2017 è il vino della settimana di Garantito IGP

di Roberto Giuliani

A pochi chilometri dal mare e dalla medievale Tarquinia, nasce questo vermentino (da un clone corso) di Marco Muscari davvero eccellente, da bere assolutamente almeno 6 mesi dopo che è uscito: mandorla, timo, salvia cedro e iodio; bocca salina, succosa, fresca, godibilissima, da bere ad infinitum.


Le Casalte - Vino Nobile di Montepulciano "Quercetonda" 2010


di Roberto Giuliani

Non sono molti i Nobile di Montepulciano che riescono a farmi emozionare, sicuramente potrebbero essere decisamente di più, ma ci sono ancora molte cose che rendono quel territorio dalle indubbie potenzialità, ancora condizionato da scelte di campo orientate più al mercato che a esprimere tutte le qualità del prugnolo nelle diverse altitudini, esposizioni e composizioni del suolo. Certamente negli ultimi anni ho assistito a rassicuranti passi avanti, una riduzione del contributo dei vitigni internazionali e un uso del legno più oculato, oltre alla nascita di nuove e promettenti realtà.
Quella di Chiara Barioffi, invece, non è certamente nuova ma ormai consolidata (fondata nel 1975 dai genitori Guido e Paola); ha le sue vigne in frazione Sant'Albino e quella destinata al Quercetonda è allevata ad alberello.

Chiara Barioffi

Per le sue caratteristiche genera un Nobile capace di crescere per molti anni, Chiara lo produce solo nelle annate che reputa all'altezza, come questa 2010, che oggi (credo sia stata messa in vendita a inizio 2015) è davvero in splendida forma: colore granato profondo, bouquet intenso di prugna, ciliegia nera, cacao, confettura di amarene, liquirizia, tabacco, cardamomo, humus, venature balsamiche e tanto altro ancora.


Al palato rivela nettamente l'approccio di Chiara, che dopo le "lezioni" del compianto e insostituibile Giulio "Bicchierino" Gambelli, ha saputo interpretare perfettamente la natura del sangiovese, senza cercare di agire in cantina per "sistemarlo", ma lasciando che sia lui a trovare i suoi equilibri con l'affinamento. Ed ecco che troviamo un tannino di grande levatura, di grana finissima e dolce, ingannevole nell'attacco deciso, rassicurante nell'immediata attenuazione dell'effetto astringente a vantaggio di una succosità di frutto, ben sostenuto dalla freschezza, che avvolge e tocca in profondità; il linguaggio speziato viaggia su note pepate e di liquirizia, fornendo verve al sorso, la cui persistenza è veramente notevole. Un gran bel Nobile, di cui varrebbe la pena fare scorta perché ha le carte per una lunga evoluzione.

Le Casalte – Azienda Agricola di Chiara Barioffi
Via del Termine, 2 Loc. S.Albino – Montepulciano (SI)
Tel.: +39 0578 798246