Nelle Marche il maceratino, tradizionalmente chiamato anche ribona per sottolineare il fatto che fosse due volte buona (Ri-Bona), è il vitigno più importante piantato nella zona di Macerata. Le sue origini sono antichissime e pare risalgono al periodo della Magna Grecia - nel 387 a.C. - quando i greci di Siracusa fuggirono dal tiranno Dionisio insediandosi lungo la costa dell’anconetano e nella zona dei colli maceratesi. E’ a partire dal XIX Sec., soprattutto all’interno dei bollettini Ampelografici, che si inizia a parlare scientemente di questa uva autoctona tanto che il Santini, nel 1875, descrive i vitigni della zona di Macerata rilevando una netta prevalenza di quelli a “frutto bianco o giallognolo”. Tra questi ultimi vi è l’indiscussa importanza del montecchiese (conosciuto anche come uva stretta o greco maceratino di Recanati) e, a seguire, del verdicchio e del trebbiano.
Bisogna aspettare la fine gli anni ’60 del secolo scorso, con la fine della mezzadria e il rinnovamento della viticoltura locale, affinchè questo vitigno, spesso confuso con greco, trebbiano e verdicchio, acquisisca finalmente unicità grazie agli studi del Professor Bruno Bruni, importante ampelografo marchigiano, che dopo averlo identificato nell’areale di Macerata, lo ha catalogato nel registro nazionale delle varietà di uva con il nome di maceratino o ribona che, successivamente, ha caratterizzato i vini bianchi della DOC “Colli Maceratesi” (min 75% di ribona anche nella tipologia spumante e passito) e della seguente "Maceratesi DOC Ribona" (min 85% di ribona anche nella tipologia spumante e passito).
Il territorio riferibile alla DOC "Colli Maceratesi Ribona" |
Con soli 150 ettari rivendicati da 39 produttori per oltre 4 mila ettolitri di vino imbottigliato, sicuramente oggi questa DOC - nella tipologia Ribona - rappresenta oggi uno dei prodotti marchigiani più interessanti sul mercato anche perché, come vedremo successivamente, il vino grazie alle sue caratteristiche intrinseche possiede interessanti doti di poliedricità e longevità e la modifica approvata del disciplinare con l’introduzione della tipologia Riserva, a partire dalla vendemmia 2023, va sicuramente in questa direzione.
Grazie all’IMT diretto da Mazzoni, qualche settimana fa ho potuto visitare il territorio di Macerata e mi sono fatto una bella full immersion di Ribona prodotta dalle principali aziende della denominazione.
Prima di passare al particolare della degustazione, quello che io ed altri amici e colleghi abbiamo notato è che questo vino, nell’annata corrente, risulta mediamente ancora troppo “scomposto” e di difficile interpretazione soprattutto per il consumatore medio italiano abituato a vini bianchi spesso “piacioni” ed immediati.
Il discorso cambia nettamente quando, invece, si degustano Ribona con almeno un anno di affinamento perché ci si rende subito conto che il giusto tempo di riposo dona a questo vino una armonia di insieme simile a quando tanti pezzi di un puzzle trovano la giusta collocazione svelando finalmente una immagine nitida e completa di ciò che ricercavamo. Passando alla degustazione vera e propria, dopo l’assaggio di 25 «Colli Maceratesi DOC Ribona» di varie annate, anche nella tipologia spumante, i migliori vini, a mio parere, sono stati i seguenti:
Boccadigabbia – Le Grane 2021: come riportato dallo stesso produttore, le uve utilizzate per questo vino sono coltivate nella antica contrada Montanello di Macerata, dove Pietro Paolo Floriani, uomo d’arme e architetto militare famoso per aver progettato la rocca Floriana di Malta, fece piantar vigne fin già dal 1626. Il miglior 2021 assaggiato per il semplice fatto che il vino, ancorchè giovanissimo, risulta assolutamente già godibile ed equilibrato esprimendo sbuffi aromatici di pera, tiglio e mandorla e, a seguire con la degustazione, una beva succosa attraversata da vivida sapidità.
Villa Forano – Monteferro 2020: le uve provengono dal vigneto di Appignano (MC) situato su una collina chiamata Monteferro dalla quale il vino prende il nome. Vino estremamente piacevole che con un anno di affinamento in più regala una complessità olfattiva giocata su toni di nespola, pesca gialla, mango, biancospino, erbe aromatiche. Sorso invitante, fresco, dagli sprazzi minerali e dalla lunga scia sapida.
Saputi – Camurena 2019: l’azienda, a conduzione familiare, è alla quarta generazione ed oggi è gestita da Alvaro Saputi con i suoi 2 figli, Leonardo vignaiolo specializzato in viticultura e Andrea responsabile commerciale. Rispetto ai ribona fermi prodotti, tutte con uve provenienti dalla zona di Colmurano, questo vino effettua una sosta sui lieviti per 8 mesi e questo gli dona sicuramente una marcia in più sia a livello aromatico, il cui ventaglio olfattivo spazia dalla pesca noce, alla rosa bianca fino ad arrivare al timo e alla selce, sia a livello gustativo dove il sorso risulta intenso con belle rispondenze fruttate arricchite da eleganti richiami erbacei.
Andrea Giorgetti – Flosis 2019: fondata nel 2015, questa nuova cantina potentina è diretta da Andrea Giorgetti, il proprietario, e dall’enologo Nicolò Marchetti che gestiscono i loro vigneti in contrada Monte Priori, sul crinale di San Girio. Il loro Flosis, che è l’antico nome del fiume Potenza che una volta alimentava i vigneti della zona, è stato per me una sorta di odio e amore perché se il millesimo 2021 è stato il Ribona più scontroso ed enigmatico degustato tra tutti, il 2019 è stato didatticamente illuminante perché ti fa capire, con tutte le differenze dell’annata, come questo vino possa evolvere e migliorare nel tempo soprattutto per quanto riguarda la definizione e l’accordo sia aromatico che palatale. La 2019, nello specifico, profuma di fiori di acacia ed agrumi e ha nella spinta sapida, quasi salmastra, la sua forza a livello gustativo.
Sant’Isidoro – Pausula 2014: questa bellissima cantina, situata all’interno di una antica dimora signorile delle colline maceratesi, gestisce i suoi 13 ettari vigneti di proprietà nel comune di Corridonia e dal 2016, partendo proprio dalla Ribona, ha avviato un progetto di agricoltura sostenibile. Dei vari vini posti in degustazione ho amato fin da subito questa 2014 che, nonostante tutto ciò che si è scritto su questo millesimo, è ancora assolutamente piacevole nonostante la sua essenzialità e qualche nota evolutiva che inizia a scorgersi. Al naso profuma di frutta estiva matura, di camomilla essiccata, fieno e zenzero. In bocca è ancora fresco, vitale, e lascia trapelare una pungente mineralità insieme ad una sensazione ossidativa che sfocia nel finale su ritorni di agrumi canditi e cotognata.
Il Pollenza – Angera 2012: la cantina, di proprietà del conte Aldo Brachetti Peretti, è una delle realtà più importanti e dinamiche delle Marche con i suoi 250 ettari di vigneti piantati all’interno dell’areale di Tolentino (MC) dove troviamo sia vitigni internazionali sia vitigni tradizionali ed autoctoni come la ribona che l’azienda, con la consulenza enologica di Ferrini, ha iniziato a produrre dal lontano 2010. Questa 2012, versata da bottiglia magnum, ha fatto strabuzzare gli occhi a tutti i fortunati degustatori che sicuramente erano inconsapevoli di trovarsi nel calice un grandissimo vino bianco italiano. Naso sfaccettato con imprinting salino abbracciato presto da sensazioni di ginestra, miele millefiori, mango, bergamotto e terra rossa. Bocca importante, elegante, ancora vivissima nella pienezza del corpo perfettamente bilanciato da freschezza e tenore sapido. Persistenza da tempo di record con bellissima chiusura su toni agrumati, leggermente salmastri.