Vini di Vignaioli, Vi.Te – Vignaioli e Territori e V.A.N. (Vignaioli Naturali Artigiani) si alleano per collaborare ad un regolamento europeo sui vini naturali

Le diverse anime del mondo del Vino Naturale finalmente collaborano e si danno regole comuni.
Christine Cogez Marzani per Vini di Vignaioli, Gabriele da Prato per l’ass. Vi.Te – Vignaioli e territori (organizzatore ViViT) ed Emilio Falcione dell’ass. V.A.N. (Vignaioli Naturali Artigiani) si sono incontrati e hanno deciso di condividere informazioni e modi operativi.
Nell’assenza di una regolamentazione ufficiale relativa al Vino Naturale, le fiere del settore diventano sempre più l’unica certificazione e possibilità di entrare in questa nicchia di mercato. Tutto ciò carica di responsabilità gli organizzatori delle Fiere del Vino Naturale e le relative associazioni, in particolar modo nei confronti dei consumatori.
Si è perciò deciso:


– di uniformare le schede di autocertificazione con cui i produttori descrivono il loro lavoro in vigna e in cantina, rendendole immediatamente e più facilmente confrontabili;
– di far analizzare, nell’arco temporale di un anno, almeno un campione di vino per azienda per determinare la solforosa totale ed eventuali residui di fitofarmaci (multiresiduale);
– di uniformare il processo di selezione.


Pur con uno spirito inclusivo, intendiamo garantire agli avventori delle nostre fiere (Vini di Vignaioli, ViViT, VAN) la certezza di assaggiare esclusivamente Vini Naturali.
La collaborazione però non si esaurisce qui: stiamo infatti lavorando assieme alla stesura di una bozza di regolamento europeo sui Vini Naturali. L’appuntamento sarà per il prossimo 28 novembre presso il Parlamento Europeo di Bruxelles, dove abbiamo organizzato, con l’europarlamentare Curzio Maltese, un evento pubblico per discutere e presentare la nostra proposta.
Christine Cogez Marzani
Emilio Falcione
Gabriele da Prato

Friuli Colli Orientali Doc Schioppettino 2015 dell'Az. Agr. Ronchi San Giuseppe è il Vino della settimana di Garantito IGP

Di Lorenzo Colombo

Da vigneti situati a Corno di Rosazzo, allevati alla “Cappuccina”, su suoli ricchi di minerali,  si ottengono le uve per questo vino che presenta sentori di sottobosco, frutti rossi selvatici ed una piacevole nota di spezie dolci. 


Intenso e sapido, con tannini netti ma ben amalgamati e dalla lunga persistenza gustativa

Garantito IGP: Grechetto di Todi Superiore "Fiorfiore" 2015 - Roccafiore

Di Lorenzo Colombo

Non siamo degli appassionati dei vini bianchi che fanno legno, soprattutto quando quest’ultimo -ed è un caso non raro- prende il sopravvento e va a mascherare le caratteristiche organolettiche espresse da vitigno e luogo d’origine. In una parola va a coprire il “terroir”.
Non è però certamente il caso di questo “fiorfiore”, prodotto dalla Cantina Roccafiore, situata in località Collina, nel comune di Todi.
Roccafiore in realtà non è unicamente una cantina, ma anche un lussuoso Resort di campagna, con annessi SPA e ristorante (curiosamente il nome del ristorante è lo stesso del vino di cui stiamo parlando).

A noi comunque quello che interessa è il vino che abbiamo dapprima degustato e poi bevuto domenica scorsa (23 luglio).Prima di parlare di questo però ecco qualche sintetica info sulla cantina.

Fondata da Leonardo Baccarelli, nel 2000, la tenuta s’estende su novanta ettari dei quali quindici a vigneto, vi s’allevano sia vitigni a bacca rossa (sangiovese, sagrantino e montepulciano), sia uve bianche (trebbiano spoletino, moscato giallo e grechetto) dai quali si ricavano cinque vini rossi, un rosato, un vino passito (da moscato giallo) e due bianchi per un totale di circa 120mila bottiglie/anno.



Attualmente è Luca, figlio di Leonardo, a occuparsi direttamente della cantina, avvalendosi della collaborazione di Hartmann Donà e di Alessandro Biancolin.

Ed infine arriviamo al nostro vino, prodotto con uve grechetto di Todi, una varietà differente rispetto all’altro grechetto coltivato in zona -ovvero il Grechetto d’Orvieto-  tanto che viene anche chiamato Grechetto Gentile.
In realtà, nonostante sia stata fatta richiesta di differenziazione tra i due vitigni, il Registro Nazionale delle Varietà di Vite considera un’unica tipologia di Grechetto, limitando le differenze ai diversi cloni: il Grechetto di Todi è conosciuto come “clone G5”, mentre quello d’Orvieto viene identificato come “clone G109”.
Il sistema d’allevamento è a Guyot, con densità di 6.500 ceppi /ettaro, la vendemmi viene solitamente effettuata nella seconda metà di settembre. La fermentazione del mosto avviene in acciaio mentre l’affinamento in botti da 50 ettolitri per un anno, ai quali seguono alcuni mesi in bottiglia.


Il colore è un giallo dorato intenso e luminoso, di prim’acchito si pensa ad un vino macerato.
L’intensità olfattiva non è molto elevata, più che l’intensità quello che colpisce è l’ampio spettro olfattivo, dove il legno gioca il suo ruolo senza mai strafare, si colgono quindi le note vanigliate, gli accenni di miele e di fiori di tiglio a lui dovuti, ma in primo piano c’è sempre il frutto, maturo e tropicale, a completare il tutto  anche sentori di fieno e di mandorle.
Alla bocca troviamo un vino di grande struttura, senza pesantezze comunque, ma invece fresco e sapido, alcolico e con una bella vena acida, intenso e complesso, si colgono leggere note tostate che rimandano alle nocciole, la persistenza gustativa infine è lunghissima.


Un vino molto sfaccettato e versatile che può benissimo -su alcuni piatti- sostituire anche un rosso. A tal proposito dicevamo che il vino poi l’abbiamo bevuto ed ha accompagnato più che degnamente baccalà coi peperoni cruschi.

Papa Francesco e la svolta naturale e controllata per il vino destinato all'Eucarestia

Voci su presunte "leggerezze" durante la celebrazione della messe, come l'uso della birra al posto del vino, devono essere giunte senz'altro alle orecchie del cardinal Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, se questi, su impulso di Papa Francesco, ha preso carta e penna per scrivere una lettera per dire basta ai possibili abusi al fine di garantire che il pane e il vino per l'eucarestia siano veramente degni per la celebrazione della Cena del Signore anche perchè, come scritto ufficialmente, ormai questi prodotti, che prima erano confezionati da alcune comunità religiose, oggi "si vendono anche nei supermercati, in altri negozi e tramite internet".

Foto: Ilgiornale.it

Le norme circa la materia eucaristica, indicate nel can. 924 del CIC e ai numeri 319 - 323 dell’Institutio generalis Missalis Romani, e già spiegate nell’Istruzione Redemptionis Sacramentum di questa Congregazione (25 marzo 2004), per quanto concerne il vino sono abbastanza restrittive e le riporto integralmente:

«Il vino utilizzato nella celebrazione del santo Sacrificio eucaristico deve essere naturale, del frutto della vite, genuino, non alterato, né commisto a sostanze estranee. […] Con la massima cura si badi che il vino destinato all’Eucaristia sia conservato in perfetto stato e non diventi aceto. È assolutamente vietato usare del vino, sulla cui genuinità e provenienza ci sia dubbio: la Chiesa esige, infatti, certezza rispetto alle condizioni necessarie per la validità dei sacramenti. Non si ammetta, poi, nessun pretesto a favore di altre bevande di qualsiasi genere, che non costituiscono materia valida» (n. 50).

Più chiaro di così!

La lettere ai vescovi, successivamente, riporta alcune precisazioni: ad esempio, i sacerdoti che non possono bere alcol posso celebrare la messa usando il mosto e non il vino.  


Quanto al mosto, «il succo d’uva - ammonisce la circolare - sia fresco, sia conservato sospendendone la fermentazione tramite procedure che non ne alterino la natura (ad es. congelamento), è materia valida per l’Eucaristia».  

Il Cardinale Sarah prevede anche che si siano degli opportuni controlli suggerendo "che una Conferenza Episcopale possa incaricare una o più Congregazioni religiose oppure altro Ente in grado, di compiere le necessarie verifiche sulla produzione, conservazione e vendita del pane e del vino per l’Eucaristia in un dato Paese e in altri Paesi in cui vengano esportati. Si raccomanda anche che il pane e il vino destinati all’Eucarestia abbiano un conveniente trattamento nei luoghi di vendita".

Insomma, se vado a controllare il disciplinare di produzione del "vino VinNatur" più o meno ci sono scritte le stesse cose. 


Che Maule e Papa Francesco si siano incontrati di nascosto? Chissà!

Bortolin Angelo - Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG Extra Dry 2016 è il Vino della settimana di Garantito IGP

Di Stefano Tesi


Non vado pazzo per il Prosecco e neppure per il Valdobbiadene, lo ammetto, ma l’equilibrio, l’eleganza e la riposante vivacità di questa bottiglia mi ha rallegrato assai le robuste dosi caserecce di polpo e patate che la mia metà mi ha ammannito durante queste afose serate estive.

Come natura Crea: degustazione di vini da vitigni toscani antichi e rari - Garantito IGP

Si fa un gran parlare, spesso a sproposito, delle eccellenze italiane. Ma poi scopri che ce le hai sotto il naso e non te n’eri mai accorto.
E’ il caso dell’articolazione aretina, diretta da Paolo Storchi, del Crea (il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria, ente ministeriale spalmato su dodici sedi, di cui sei “vinicole”, in tutta la penisola). Nomi, quello dell’ente e del direttore, ben noti agli addetti ai lavori, ma quasi sconosciuti al grande pubblico. Forse perché non se la tirano. O forse perché si trovano in una parte di Toscana ritenuta meno nobile ed altisonante di altre.

Paolo Storchi

Eppure si tratta di un’istituzione ultracentenaria (nacque nel 1903 come “Regio Istituto”) e, soprattutto, attivissima sia nella ricerca d’avanguardia applicata alla viticoltura, sia nella conservazione della biodiversità. E’ infatti titolare della più grande collezione italiana di vitigni antichi e rari: A Pratantico, alle porte della città, sono sei gli ettari di vivaio gestiti direttamente, con oltre 550 “accessioni” tra cloni, vitigni e perfino viti silvestri recuperate nei boschi: “Vengono principalmente dall’Italia centrale e meridionale”, dice Storchi”, “le ultime sono arrivate da zone sperdute attorno a Montegabbione d’Orvieto, in Umbria. Abbiamo poi la più grande collezione al mondo di Sangiovese: 158 biotipi, provenienti anche dalla Corsica e inclusi i 47 della collezione di Pierluigi Talenti di Montalcino nonché i due, ribattezzati BR come le iniziali del Barone di Ferro, individuati anni fa a Brolio su viti centenarie”. Ogni filare ha un pannello QRCode e NCF che consente, avvicinandosi con lo smartphone, di scaricare liberamente tutte le informazioni, incluso il profilo genetico di ogni singola varietà. “La collezione fa parte di un progetto italiano di ambito Fao sul recupero e la conservazione delle risorse genetiche”, precisa il direttore.
Passi in rassegna i cataloghi e scopri nomi di varietà sconosciute dai nomi folkloristici, che sembrano emerse da una viticoltura da Albero degli Zoccoli.


Ma siccome per giornalisti e appassionati la curiosità di conoscere “di che sapevano” i vini ricavati da quelle uve oscure era forte, nel giugno Paolo Storchi ha pensato bene di organizzare ad hoc per i soci di Aset (Associazione Stampa Enogastroagroalimentare Toscana) e pochi altri amici una degustazione di alcune delle microvinificazioni fatte dall’istituto e di altri vini prodotti da aziende commerciali con alcune di quelle varietà antiche.
Occasione ghiotta in cui, con altri fortunati colleghi, mi sono tuffato.

Ecco cosa ne è venuto fuori.
 
Orpicchio 2015, da microvinificazione Crea

Varietà bianca coltivata nel Valdarno Superiore fino alla metà dell’900, poco vigorosa, piuttosto precoce. Giallo paglierino con riflessi verdastri, profumo piuttosto intenso di fiori bianchi, buon frutto, in bocca è altrettanto intenso, piacevole e lungo. Una tipologia certamente interessante in chiave reinterpretativa.


Nocchianello Bianco 2015, da microvinificazione Crea

Recuperato nella zona di Pitigliano, dov’era quasi scomparso a metà degli anni ’60, è un vitigno geneticamente vicino al Trebbiano toscano, ma meno produttivo e piuttosto tardivo. Di colore dorato e brillante, al naso ha uno spiccato sentore di pietra focaia e agrumi, mentre in bocca è pieno, sapido, quasi piccante.


Nocchianello Nero 2015, Sasso Tondo (Sovana, GR)

Sempre da Pitigliano, ma quasi introvabile, assai localizzato e scarsamente documentato, è una varietà molto vigorosa e piuttosto resistente. Di colore rubino-granato, ha un naso fragrante con note spiccate di ciliegia e spezie, mentre in bocca è robusto, pepato, ricco di tannini e accenni di mora selvatica.


Foglia Tonda 14, Primo di Leo (Reggello, FI)

Vitigno secondario per tutto l’800 molto diffuso (fino al 10% della superficie) nel Chianti senese, nel 2000 si era ridotto in tutta la Toscana a soli 3,1 ettari. Più precoce del Sangiovese e piuttosto resistente alle malattie, dà vini robusti e ricchi di colore. Il nostro era rubino molto intenso, con un naso rotondo di frutta matura e una bocca alcoolica, piena, piuttosto tannica.


Vermentino Nero 2013, Pepe Nero, az. agr Castel del Piano (Licciana Nardi, MS)

Di origini oscure e diffuso principalmente tra Toscana e Liguria, oggi in meno di 100 ettari, è incostante e difficile da coltivare. Il vino è di colore rubino medio, al naso risulta piuttosto intenso e caratteristico, mediamente fruttato, mentre in bocca è gentile, con un piacevole e marcato finale amarognolo.


Morellone 2016, da microvinificazione Crea

Vitigno “da colore” già diffuso dal Casentino alla Maremma e riscoperto in vecchi vigneti nell’area di Bibbiena (AR), è iscritto da poco nel Registro Nazionale e in attesa di iscrizione tra gli idonei della Regione Toscana.  Stretto parente del Sangiovese, dà un vino di colore scurissimo, quasi impenetrabile, con un naso intenso di verde e di vegetale, mentre in bocca, oltre all’elevato tannino, si rivela compatto, con vaghe note di frutta.


Abrostine 2015, da microvinificazione Crea

Considerato, per la sua rarità, un “vitigno-reliquia”, si trova solo in ristrette aree della provincia di Firenze. Varietà rustica, piuttosto tardiva, usata per tagli “da colore”. In purezza si rivela di un rubino scurissimo, con un interessante e ricco naso screziato di note di cacao, mentre in bocca risulta fresco, piacevole, molto equilibrato.


Lacrima Forte 2013, da microvinificazione Crea

Varietà tardiva e resistente alle malattie, rintracciabile ormai solo in vecchi vigneti del Valdarno, ove era coltivato specialmente in fondovalle. Geneticamente autonomo da altre “lacrime”, dà un vino di colore rubino medio-intenso, un naso con discreti profumi e una bocca ricca, quasi spigolosa, con tannini in evidenza.


Arcano 2012, Congregazione di Camaldoli

Un vero peccato che questa bottiglia, prodotta dai monaci camaldolesi per celebrare il millenario della loro fondazione seguendo i metodi duecenteschi e utilizzando le uve di ben 40 antichi vitigni casentinesi (Ingannacane, Sapaiola, etc), fosse a sua volta una reliquia, ovvero esemplare unico  rimasto troppo tempo in condizioni di luce e temperatura inadatte e rivelatosi, perciò, non degustabile.


Poggio al Tesoro - Solosole 2010 è il Vino della settimana di Garantito IGP

di Luciano Pignataro

Folgorato da questo Vermentino sulla Terrazza dell'Infinito a Villa Cimbrone dove è impossibile rifiutare un bacio. 


Sette anni, non solo non li dimostra, ma è giovane, pimpante, fresco, di grande classe e ancora in evoluzione grazie ad una sapiente selezione di cloni corsi fatta da Stefano Bartolomei. Poi senti il prezzo, otto euro in uscita dalla cantina e urli con tutto il fiato: come può l'infinito costare così poco?

www.poggioaltesoro.it

Vigne di Raito a Vietri sul mare, il sogno di Patrizia: un tuffo dove l’acqua è più blu - Garantito IGP

Di Luciano Pignataro

Siamo a Vietri su Mare, il primo paese, famoso per le sue ceramiche, della Costiera Amalfitana venendo da Salerno. Bastano due chilometri per cambiare prospettiva e iniziare a vedere il paesaggio in verticale. Due chilometri di curve in ascensione, dentro la piccola frazione di Raito dove dieci anni fa è iniziata l'avventura di Patrizia Malanga.
Una piccola bombonira, una sorta di Vannulo del vino perché per bere questo vino bisogna venire solo qui, al netto di una quota di export in Usa.


Patrizia  lavorava con il marito nel cuore di Salerno, poi la scintilla del sogno, la voglia di cambiare ritmo, l'occasione di acquistare questa bella proprietà di poco più di due ettari di macchia mediterranea, un po' di limoneto, ulivi e vigna proprio a ridosso di Villa Guariglia, oggi museo della ceramica, nel 1943 sede del primo governo Badoglio.
Subito l'impostazione dell'azienda è andata in direzione della compatibilità ambientale, oggi certificata biologico: pali di legni, terrazzamenti contenuti dai muri in pietra, una lavorazione ormai quasi sparita.


Un ettaro e mezzo di aglianico e piedirosso nella proporzione di otto a due, la stessa che più o meno troviamo nel suo vino rosso, il Ragis che dal 2015 sarà Costa d'Amalfi dop perchè finalmente la piccola cantina è stata ultimata: una lotta continua con il poco spazio, tipico di tutte le aziende della Costa d'Amalfi.
La storia di questi dieci anni è stata significativa: una agricoltura di precisione non può vivere di prezzi bassi perché i costi sono molto più elevati. Per cui, avendo iniziato tra l'altro nel pieno della crisi finanziaria, era difficile far capire che una nuova etichetta potesse costare più di dieci euro.


C'è stato un momento di sconforto, superato dall'uovo di Colombo: perché non fare venire i clienti qui invece di sperare di trovarli in ristoranti che o non pagano o, se lo fanno,  saldano dopo mesi e mesi, anche un anno?
Ed è così che con i wine tour è iniziato il passa parola, soprattutto fra i turisti stranieri che da tre stagioni riempono come un uovo la Costa d'Amalfi come non accadeva da tempo. Vanno via le circa 7000 bottiglie, tra l'accoglienza, la visita in vigna, gestita in modo equilibrato con il limoneto, gli alberi di olivi che regalano l'olio, l'orto. E poi un pranzo di cose semplici, propri o quello che ci si aspetta: un biscotto di grano con il pomodoro, lo spaghetto al pomodoro.
E i vini?
Sin dal primo momento ci pensa Gennaro Reale che con Fortunato Sebastiano hanno lo studio VignaViva, tra i più attenti e coerenti attenti al biologico e al biodinamico come metodo al Sud.
Il Ragis Rosso è un vino che viene fermentato in acciaio e poi elevato in tonneaux per almeno dodici mesi. Ancora un passaggio in bottiglia. Si tratta di un blend classico della Campania, aglianico e piedirosso, fresco, fruttato, e soprattutto longevo. Il 2007, la prima etichetta, vanta un colore rosso rubino perfetto come se fosse stato imbottigliato ieri.
Da qualche anno si è affiancato il rosato Vitamenia, stesso blend, sapido, minerale, fresco. Da bere a canna.


Siamo vecchia generazione ormai, residuo dell'Ottocento, il secolo lungo iniziato con la Rivoluzione Francese e terminato con la Cauta del Muro. Ma restiamo con una certezza assoluta: etica ed estetica coincidono. Il bello non può che essere buono.
Visitare questo presidio in un territorio da sempre a rischio idrogeologico da quando è stata abbandonata l'agricoltura sulle colline, rinfranca lo spirito.

Il sogno di Patrizia è realtà, a picco sul mare blu di Amalfi.


www.levignediraito.com
Via San Vito 9, 84019 Raito di Vietri sul Mare SA
Telefono328 865 1452



Charles Heidsieck - Champagne Charlie 1985

Il civico 1 di Rue del la Procession a Reims lo abbiamo cercato per almeno 10 minuti, vista l'adiacente Maison Pommery, con la sua entrata in stile Disneyland, ci aspettavamo quanto meno un cancello maestoso con su scritto "Charles Heidsieck" ed invece, gira che ti rigira, con nostra grande sorpresa, tutto ciò che ci troviamo di fronte è una piccola porticina appena socchiusa che, una volta oltrepassata, ci conduce all'interno di un delizioso giardino con al centro il Pavillon des Crayeres, un piccolo edificio in stile Liberty, disegnato da Alphonse Gosset, che una volta ospitava le feste del fondatore della Maison mentre oggi, più sobriamente, viene usato dalla proprietà solo ed esclusivamente per gli incontri professionali.


In questo "posto che non c'è" ad aspettarci, con ombrello di ordinanza visto la pioggia che cade incessante, troviamo Sophie Kuttten, international brand ambassador, che con grandi sorrisi, nonostante le 9.30 del mattino, ci accoglie in maniera calorosa risvegliandoci come per incanto da un torpore dovuto alle poche ore di sonno e dai numerosi assaggi del giorno prima.

Pochi passi in questo angolo verde e nascosto di Reims e Sophie apre un'altra porticina, situata vicino ad uno strano comignolo che sbuca dal terreno, la quale conduce a ripide scale in pietra che scendiamo per circa 20 metri fino ad arrivare alle storiche Crayères di Charles Heidsieck composte da 47 antiche cave di gesso di epoca gallo-romana, scavate oltre 2000 anni fa, che il fondatore della Maison ha acquistato nel 1867 al fine di conservare il suo Champagne visto le condizioni costanti di temperatura (10°), umidità e l'assenza di luce. 


"Charles-Camille Heidsieck non ha mai investito nell'acquisto dei vigneti che ha sempre lasciato in mano ai vignaioli locali ma ha speso soldi, tanti soldi, nell'acquisto di queste bellissime e storiche cantine perchè credeva nella maturazione del vino pensando che il tempo fosse un fattore determinante per dar vita ad un grande Champagne". 

Sophie, mentre passeggiamo lungo i cunicoli che collegano le varie cantine dove sono accatastate migliaia di bottiglie, ci racconta con un pizzico di orgoglio la storia della Maison e del suo fondatore che, a soli 29 anni, nel 1851 ha perseguito il suo sogno dando vita ad una azienda a sua immagine e somiglianza tanto da identificare lo Champagne prodotto col suo nome di battesimo. Dandy, visionario e con spirito cosmopolita, il giovane Charles-Camille Heidsieck non pone confini alla sua voglia di espansione commerciale e nel 1852 parte per gli Stati Uniti, fino ad allora un mercato inesplorato per lo Champagne, conquistando rapidamente tutta la borghesia dell'epoca diventando famoso con l'appellativo di "Champagne Charlie". 

Ritratto di Charles-Camille Heidsieck

Al suo ritorno in Europa, forte della fama oltreoceano, le sue etichette ben presto iniziano a brillare in tutte le corti reali fino ad arrivare in Russia e l'Extra Dry di Charles Heidsieck, in men che non si dica, viene venduto ovunque nel mondo. La coinvolgente vita di Charles-Camille termina nel 1893 ma le redini della Maison rimangono per oltre cento anni nella mani dei suoi discendenti fino agli anni '80 del secolo scorso quando la proprietà passa prima alla famiglia Hérisard-Dubreuil e poi nelle gruppo Remy Cointreau fino ad arrivare, nel 2011, assieme alla Maison Piper Heidsieck, alla famiglia Descours che sta rilanciando alla grande il marchio dopo anni di appannamento.


Con Sophie percorriamo centinaia di metri sottoterra arrivando man mano alle varie cantine di affinamento le cui sommità, per il ricambio d'aria, prendono esattamente la forma di quei comignoli che in precedenza avevo visto sparsi in tutto il giardino. Mentre ci guardiamo attorno arriviamo nei presso di una rampa di scalini che finiscono davanti ad un impolverato cancello di ferro la cui apertura ci conduce all'interno dell'Oenothèque Charles Heidsieck ovvero di una saletta, con tanto di bancone centrale, dove sono riposte le cuvée storiche della Maison compresi alcuni vecchi millesimi del mitico Champagne Charlie. Proprio di questa grande cuvée Sophie prende una bottiglia non sboccata, annata 1985, e se la mette sotto braccio. Sorride e, ovviamente, noi con lei.


Con fatica, visti i tanti gradini, risaliamo verso il Pavillon des Crayeres ed entrando non possiamo non notare la gigantesca lavagna a sinistra dell'ingresso dove sono annotate le disponibilità ed ordini (comprensivi di nome del destinatario) degli Champagne più rari della Maison. 


Con Sophie ci mettiamo seduti qualche metro più in là e mentre ci rilassiamo arriva al nostro tavolino la bottiglia, appena sboccata, di Champagne Charlie 1985 (45% pinot nero e 55% chardonnay) che è stato prodotto per la prima volta nel 1979 dal compianto Daniel Thibault (chef de cave della Maison dal 1979 al 2002) per il quale questo vino, un chiaro omaggio al fondatore, doveva sostituire la Cuvée Royal che fino al allora rappresentava lo Champagne di punta della Maison. 

Prodotto solo nelle annate 197919811983 1985, questo Champagne, come riportano le cronache locali del tempo, è figlio di un millesimo che non si dimenticherà facilmente: prima la neve, come se ne era vista raramente, poi le gelate, con temperature fino a -30°, che hanno danneggiato irrimediabilmente buona parte dei vigneti della Champagne. Solo i grappoli abbastanza forti da resistere hanno iniziato a maturare con grandissimo ritardo verso i primi giorni di luglio. Da quel momento in poi il ritmo di crescita è aumentato in modo repentino, grazie alle giornate di sole e caldo. Un settembre eccezionale con la giusta quantità di pioggia, ha consentito agli acini di acquistare volume e consistenza. La vendemmia, a partire dai primi giorni di ottobre, si è svolta in condizioni ideali e il raccolto è stato di qualità veramente straordinaria.



Nel bicchiere lo Champagne Charlie 1985 assume una pregiata ed intensa tonalità oro accesa da una infinità di bollicine che sorprendono per finezza e persistenza. Al naso lo Champagne incanta per stratificazione aromatica la cui composizione prende la forma dello zafferano, del miele di castagno, del tabacco, della frutta secca, della cenere, del pompelmo candito e del bergamotto i quali, abili strumentisti, sembrano coordinati ed esaltati da uno scenario minerale che funge da rigido ed austero direttore di orchestra.


La compagine gustativa è assolutamente espressa da una sorso lussureggiante ma al tempo stesso giovanissimo dove ritornano prepotenti tutti i ricordi olfattivi ai quali va aggiunta una intensa nota finale, quasi di alga marina, che anticipa una persistenza sapida di intramontabile persistenza.

Mentre scrivo queste note di degustazione ho ancora i brividi per questo Champagne Charlie 1985 che, senza dubbio, ha di fatto rivoluzionato la mia personale classifica dei migliori Champagne degustati in tutta la mia vita. 


Spero che un giorno, anche voi, possiate avere la mia stessa fortuna...



Tenuta del Buonamico - Toscana IGT Vasario 2015 è il Vino della settimana di Garantito IGP

di Carlo Macchi

Per me che amo il pinot bianco il Vasario è stato un mito, perché mostrava come questo vitigno potesse fare grandi cose anche in Toscana.


Poi c’è stato un periodo in cui il legno era predominante, ma eccolo tornato ai suoi livelli.

Naso dove la pesca bianca comanda, grassottello ma molto fine, lunghissimo.

Sora Maria e Arcangelo a Olevano Romano, cosa vuoi di più? - Garantito IGP

So di arrivare buon ultimo e staccato, però ho le attenuanti generiche visto che Olevano Romano non mi resta proprio dietro casa.
Ma cosa c’è a Olevano Romano?


Ma come cosa c’è? C’è il sancta sanctorum del gusto, la sublimazione della trattoria, il nirvana del gastronomo, il valhalla della cucina territoriale, la trimurti del gusto, la mecca degli onnivori, ovvero Sora Maria e Arcangelo.
Volendo si può arrivare in ginocchio come i pellegrini a Fatima perché qui la cucina territoriale, quella dove la sostanza si coniuga con storia, intelligenza e maestria, tocca uno dei suoi punti massimi. Viste le mie giunture scricchiolanti ho preferito  camminare, ma non vi nascondo che ho rischiato di venire via a quattro zampe e non ho preso nemmeno quello che viene definito (dai bravissimi ragazzi di sala) un menù “che presenta tutte le possibilità del locale”.


Locale che ho apprezzato all’esterno, in versione estiva, ma che ha spazi interni da ristorante di livello, con mobili austeri e accoglienti, salette ben apparecchiate, spazi ben calcolati e arredati che ti danno subito quel senso di tranquillità che bendispone verso il corposo menù.
Menù presentato da una brigata di sala ineccepibile e pensato e cucinato dalle sapienti mani di Giovanni Milana, nipote e attuale rappresentante di una beata genia di cuoche e cuochi che dal 1923 (anche se sull’insegna dicono dal 1950) ci allietano con piatti spesso indimenticabili.

E così una volta seduto al tavolo si inizia con il fiore di zucca farcito alla ricotta di pecora con panatura croccante per poi passare alla versione estiva della coda alla vaccinara, cioè la codina di vitello al cucchiaio. Per chi volesse partire subito con un ardito trittico proporrei anche l’hamburger di abbacchio romano IGP con pane ai tre cereali.

spaghettone Verrigni cacio e pepe, fiori di zucca e tartufo scorsone dei Simbruini

Tra i primi c’è l’imbarazzo della scelta, anche se dopo l’antipasto qualcuno può pensare di tirare i remi in barca perché le porzioni, pur se li preghi in ginocchio, sono come nella vecchia pubblicità del Parmigiano Reggiano, molto abbondanti.
Ma con tutta la calma del mondo, magari gustandosi un buon calice (bellissima carta dei vini, con scelte italiane e estere di alto livello) e prendendosi tutto il tempo che serve, potreste partire con lo spaghettone Verrigni cacio e pepe, fiori di zucca e tartufo scorsone dei Simbruini, per poi passare alle meravigliose pappardelle col ragù alla bifolca (ragù di carni bianche aromatizzato al ginepro e agli agrumi) che da sole valgono il viaggio. A questo punto potreste anche sentirvi sazi ma è proprio adesso che il gioco si fa duro. La leggenda narra che Giovanni Milana (con  faccia e fisico da pirata Morgan, quindi è bene non contraddirlo) si adombri non poco se i clienti non assaggiano il cavallo di battaglia del locale, quei cannelloni della Sora Maria ripieni al pasticcio di vitellone che mentre li mangi senti cantare i cori dei Serafini e dei Cherubini.

la coda!

A questo punto guardiamoci in faccia, non penserete mica di fermarvi qui! Come minimo un assaggino di guanciola di vitello garofolata e brasata alla malvasia è d’obbligo, oppure una cosa leggerina come il baccalà in vasetto di cottura con verdure, non può non essere gustata.
Se però volete fare felice, oltre che voi stessi, tutta la brigata di sala e di cucina ordinate il trittico, pardon la trilogia di abbacchio romano. Ma per me trittico è (magari del Mantegna, giusto per farvi capire a che livello è la cucina di Giovanni) e quindi ve lo presento con un linguaggio adeguato alla bisogna: alla vostra sinistra ecco comparir un’austera ma per niente ossuta cotoletta di abbacchio a scottadito, invero avvolta in sontuosa pancetta e rinfrescata con leggera salsa di verdure alla menta, alla destra una piccola scodelletta ove la coratella con le cipolle vi titillerà i sensi e lo gargarozzo. Al centro, giustamente in trono, il morbido ma gustosamente consistente rollè di abbacchio, contornato da un coro di erbe aromatiche, vi sorprenderà per bontà assoluta.

Giovanni Milana

Restano solo i dolci per chiudere in gloria: quindi o l’affogato di zuppa inglese della Sora Maria alle fragole, o il tiramisù espresso con pastarella olevanese, o una zuppetta di ciliegie al ratafia. Uno di questi tre deve essere provato  prima di chiedere il conto, che sarà l’ennesima sorpresa, in quanto difficilmente supererà i 35-40 euro vini esclusi.
A proposito di vini, come accennato la carta è importante, da locale stellato, e propone etichette regionali, nazionali e internazionali di alto livello a prezzi molto corretti.

Adesso avete davanti a voi il compito più ostico, quello di alzarsi e fare i primi passi fuori dal locale. Gli altri passi verranno da soli e saranno più facili, come una buona digestione, perché i piatti di Giovanni sono consistenti ma molto digeribili, tanto da…tornarci a pranzo il giorno dopo.


Ristorante Sora Maria e Arcangelo
via Roma 42, Olevano Romano (RM)
TEL. 06 956 2402