Antico ma moderno: il Piedirosso. Quasi
tutte le aziende campane producono Aglianico, poche, pochissime il Piedirosso.
Eppure, a volerla dire tutta, è proprio questo vitigno a bacca rossa il segno
tipico della viticoltura regionale. Circoscritto da sempre nell’area flegrea,
negli ultimi vent’anni ha trovato buone espressioni anche nel Beneventano e nel
Sannio.
Gerardo Vernazzaro |
Un bicchiere molto sottovalutato negli anni
’90, quando andavano di moda vini più strutturati, poi, lentamente, c’è stata
una ripresa significativa grazie ad un pugno di viticoltori flegrei, Giuseppe
Fortunato di Contrada salandra, Raffaele Moccia di Agnanum, Vincenzo di Meo
della Sibilla e Gerardo Vernazzaro di Cantine Astroni primi fra tutti.
Oggi parliamo di Tenuta Camaldoli, il vino
su cui Gerardo ha puntato tutto, con un passaggio in legno. Alt, fermi, non vi
spaventate. Non è un tentativo di fare l’Aglianico dei poveri, ma di cercare di
recuperare pratiche antiche poggiando sulla conoscenza moderna senza
stravolgere il senso di questo vino che è fresco, dai tannini sottili, dal
profumo di geranio e di frutta rossa fresca, salato e minerale in bocca con una
chiusura quasi amarognola.
Cantine Astroni nasce da Varchetta, oltre cento anni di vinificazione
sul cratere degli Astroni, una deller iserve naturali più spettacolari che i
Borbone deciso di salvaguardare rinforzando il muro già in precedenza eretto
dagli aragonesi. Dentro il cratere una delle ultime tracce di foresta europea.
Il presidio viticolo è spettacolare, sulla collina dei Camaldoli, un tempo
luogo di preferito per la Pasquetta, c’è la più grande estensione di questo
vigneto, il suolo è sabbia nera frutto delle eruzioni degli ultimi cinquemila
anni su una base di tufo giallo tipcia di questo areale. Per chi non lo
sapesse, i Campi Flegrei sono una sorta di frullato ottenuto dall’attività di
un centinaio di vulcani. Non a caso gli antichi romani pensavano che qui fosse
l’ingresso dell’Inferno.
In questo territorio onirico, dove tracce di masserie costruite
duemila anni fa si intrecciano con palazzoni di cemento in stile anni ’60
l’armonia è proposta proprio dal vigneto. Quasi un vigile urbano che regola il
traffico caotico delle costruzioni fermate dal mare.
Gerardo, come gli altri suoi colleghi, è riuscito a cogliere
l’anima allegra di questo vitigno, di questo vino. Un vino di beva allegra, da
spendere senza ritegno come abbiamo fatto noi su ragù, coniglio alla cacciatora
e anche su capretto, un vino della tavola felice, di accompagnamento, da bere
senza stanchi rituali ammosciapalle.
Sì, lo studio è stato necessario, ma forse
il segreto oggi è riportare il vino nella sua dimensione conviviale, senza
voler fare populismo enologico.
Naturalmente non vogliamo esagerare nel tessere le lodi di
questo vino, ma la modernità del Piedirosso, in questa espressione di Tenuta
Camaldoli che viene travasato in botte di castagno e in due tipi di rovere
francese (media e bassa tostature), si esprime con la gioa balsamica del naso
ben fusa ai sentori tipici di geranio, con una beva leggera e vivace, veloce,
di buono spirito. Insomma, non è greve ed è molto preciso.
La 2011 è forse l’annata più incerta, la 2012 è nel pieno della
sua maturità espressiva, la 2013 secondo me è un grandissimo vino da serbare
ancora un annetto.
Il Piedirosso non ha bisogno del tempo dell’Aglianico, ma nell’assestamento ci
guadagna e con il buon protocollo messo a punto da Gerardo, capa a chicco
d’uva, è in grado di competere con molti rossi della categoria. Anche illustri.
Solo che invece del petto d’anatra laccato ci mangio una bella frittata di
maccheroni. Alè.
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