InvecchiatIGP: Conti Capponi - Calcinaia Chianti Classico Doc 1969


di Stefano Tesi

Il tempo passa non solo per le bottiglie di vino, ma anche e soprattutto per gli uomini. E coll’avanzare dell’età ti trovi sempre più spesso a fare i conti con un passato in cui bevute, persone ed episodi della tua vita tendono a sovrapporsi.
Non ho potuto fare a meno di pensarci (e di ritrovarmici) lo scorso 23 maggio, quando la lotteria dei ricordi mi ha riprecipitato a Villa Calcinaia, nel Chianti Classico grevigiano, dove i Capponi festeggiavano il 500° dell’acquisto e dell’ininterrotta proprietà con una festa in grande stile, piena di aneddoti, di storia, di amici e di grandi nomi della Gallo Nero, dell’enologia e del giornalismo. Cinque secoli celebrati come si deve e anche col signorile disincanto che da sempre connota Tessa, Niccolò, Sebastiano e relative proli, odierni componenti dell’antica famiglia comitale. Ma per me che, da vecchio compare di bagordi, in quei posti ho cavalcato tanti anni fa le indimenticabili epopee giovanili che Pete Townshend ha liricamente definito teenage wasteland, il tuffo al cuore è stato doppio.


Ometterò comunque il racconto dei momenti lieti e scapigliati lì vissuti da teenager e che, se mi leggerà, Niccolò non avrà difficoltà a ricordare, e mi dilungherò invece sul Chianti Classico Doc 1969 stappato, tra altre vecchie bottiglie, per l’occasione.
Su come sia stato fatto, Sebastiano, che dal 1992 segue l’azienda personalmente, non si dilunga troppo: “Sangiovese 85% e altri vitigni complementari 15%, tini di castagno. Per il resto boh: non c’è traccia delle note di cantina”, precisa. L’etichetta annuncia 12,5° di alcool. Non ho assistito alla stappatura, quindi nulla posso dirvi in proposito.


La tenuta del colore, nonostante l’intorbidimento, è sorprendente. Al naso il vino è fatalmente evoluto e i sentori terziari sono pungenti, in prima linea: sottobosco, muschio, cuoio grasso e tartufi che lasciano poi spazio a echi di liquirizia e a lontane, suadenti note balsamiche. Anche in bocca l’età si fa sentire, ma le sorprese non mancano nemmeno qui grazie a qualche residuo di acidità, qualche nota succosa e qualche tannino superstite capaci di rendere il vino una sorta di fossile, un’esperienza da cristallizzare nella memoria, da tenere bene a mente come qualcosa appartenente a un Chianti Classico che non esiste più.

Villa Calcinaia

La definirei una bevuta elegiaca e didattica, prima ancora che celebrativa, e che comunque, cinquantacinque anni dopo, è ancora in grado di dare soddisfazioni. Un po’ come riascoltarsi i nastri del festival di Woodstock, che si svolse appena un paio di mesi prima di questa vendemmia.

Cantina Laimburg - Gewürztraminer Riserva Alto Adige DOC "Elyond" 2020


di Stefano Tesi

Devo ringraziare Andreas Kofler del Consorzio Vini Alto Adige per avermi fatto conoscere questo Gewürztraminer letteralmente esplosivo: una sequenza di fiori di campo, miele d’acacia, pietra focaia, olio minerale.


In bocca chiude con una profondità e un’eleganza capace di vincere qualsiasi pregiudizio.

La Terrazza di Leonina, mangiare bene ad Asciano con vista sulle Crete Senesi


di Stefano Tesi

Non so se la ragazza della porta accanto esista davvero, o sia solo il frutto di una deriva un po’ romantica della fantasia. Ma lo chef della porta accanto – nel senso che non solo cucina pressochè accanto a casa tua, ma ha nonni che a casa tua ci sono pure nati o quasi – invece esiste. Ed è pure in gamba.

Mirko Vaselli

Nel mio caso si chiama Mirko Vaselli, classe 1989, figlio d’arte (ristoratori e pizzaioli, quindi esperti di impasti e farine, gluten free per la precisione): è il cuoco della Terrazza del Castello di Leonina, il relais che porta il nome di questa magnifica località delle Crete Senesi, con vista accecante sulle celebri biancane. Uno di quei posti così belli ma anche così familiari e “vicini” che, alla fine, non ci vai mai. Finchè, come a me, non ti ci porta il lavoro.


Ho potuto così scoprire un ristorante raffinato e defilato, dallo stile sobrio, dove l’atmosfera induce anche i più rumorosi a tenere la voce bassa (nonostante la clientela sia prevalentemente straniera), e una cucina piena di entusiasmo e di inventiva, ma al tempo stesso radicata in modo quasi maniacale al territorio. E di conseguenza, visti i natali del cuoco, ai sapori della memoria, del desco familiare, delle tradizioni senesi profonde, delle reminiscenze dell’orto di casa e del tartufo bianco. Scevre però, per fortuna, dalle tentazioni del tipico a tutti i costi.

Carpaccio vegano

Si parte benissimo con un piatto vivace, dall’aspetto sgargiante e dal nome provocatorio: il carpaccio vegano, a base di rapa rossa, pinoli, maionese di soia e cipolla di Certaldo fritta. Si prosegue una battuta di scottona al pesto gelato e verdure marinate, portata di vera freschezza e reale fragranza. 

Battuta con verdure

Il gioco si fa piacevolmente duro col fusillone al sugo di ossobuco alla senese, pesto al dragoncello e polvere di prosciutto, capace di coniugare la leggerezza del gusto con la sostanza che ci si attende da un primo siffatto. Sa di ambiente domestico, ma dove si sapeva cucinare bene, anche il saporito e tenace pollo ruspante alla cacciatora, una vera scoperta in questa formula di equilibrio tra levità e sostanza. Si conclude poi facile, con una fantasia di cioccolata che ben si sposa con gli intriganti distillati che ci ammannisce il bravo maitre Vincenzo Sol. Il servizio, giustappunto, è infatti cortese e amichevole nelle giuste misure. La cantina più che discreta e con ricarichi onesti, il che non guasta. In menu degustazione tutto toscano costa a 65 euro, la spesa alla carta è sui 75 euro.


Chef Vaselli si affaccia con parsimonia ed è un tipo riservato, qualità purtroppo non frequente al giorno d’oggi. Ma alla fine un po’ si scioglie e ci racconta della gavetta cominciata nel pizzeria di famiglia durante gli anni della scuola alberghiera, un lungo tour di esperienze dalla Svizzera all’Abruzzo, del passaggio all’Antica Corte Pallavicina di Massimo Spigaroli, dell’esperienza sui mari a bordo di alcuni yacht extralusso, del ruolo da sous chef a Castel Monastero, sotto la supervisione di Gordon Ramsay, e del periodo passato all’Oasi di Follonica prima di (ri)approdare nelle native Crete Senesi, a Leonina.

Insomma, tutto tranne che un figliol prodigo e una scoperta bella quanto inattesa.

La Terrazza di Leonina

Castello Di Leonina Relais, Strada di Leonina, 5 - Asciano (Si)

Tel. 0577.716088-0577.716089

www.castelloleonina.com

InvecchiatIGP: Eubea - Aglianico del Vulture DOC "Riparossa" 2002


di Luciano Pignataro

I vini parlano al palato e all’anima. Dipende dalla suggestione, dai ricordi, dal momento, dal luogo in cui vengono bevuti. Ci può essere qualcosa di più commovente di bere un aglianico di 22 anni nel cuore dei Sassi di Matera? Man mano che gli anni passano sono sempre più alla ricerca di occasioni speciali da raccontare e il viaggio al Sud resta una delle esperienze ancora lontana dalle narrazioni commerciali che partono dal nonno e finiscono in euro. E la Basilicata forse è la regione che ha meno cambiato pelle da quando mi occupo di vino: per molti questo sarebbe uno svantaggio, per me è un elemento che dovrebbe trascinare qualsiasi narratore a precipitarsi fra castelli federiciani, boschi, pastori e sassi varcando i campi di grano lungo il Basento, il trampolino ideale per tuffarsi nello Jonio, a Metaponto.


In uno di questi trasferimenti, necessariamente in auto, ci fermiamo insieme alle care amiche e colleghe Antonella Amodio e Fabiola Pulieri nel ristorante di Vitantonio Lombardo, eroica stella che ha resistito nel cuore della città ancestrale e che troviamo in magnifica forma. La giornata è tiepida, l’inverno è ormai alle spalle ma l’estate ancora non ha cominciato a rompere i coglioni e cambiamo il programma che doveva portarci nella magnifica Taranto per Ego Festival decidendo di fermarci a pranzo da Batman e Robin, ossia Vitantonio e Donato Addesso, suo fido maitre e sommelier ormai da 12 anni che lo ha seguito dai tempi eroici di Locanda Severino a Caggiano.

Vitantonio Lombardi

Si parla, si assaggia, si sta bene, chiediamo qualcosa di vecchio per godere sull’agnello che lo chef prepara in maniera eccezionale. Ed è così che Donato ci porta un fuori carta, il Riparossa 2002 dell’azienda Eubea a Ripacandida nel Vulture, la storica cantina oggi diretta da Eugenia Sasso, nipote del fondatore che la creò nel 1922 e che noi seguiamo dai tempi in cui il comando era del papà Francesco., detto Il professore, protagonista dell’aglianico vulturino da mezzo secolo. Eugenia, come il padre, è una persona riservata, concentrata sulla famiglia e sul lavoro, di altri tempi insomma. Come quest’aglianico che ci apre Donato superando la difficoltà di un tappo ormai compromesso.

Eugenia Sasso - Eubea

Ci sono due elementi che rendono straordinaria questa bevuta, a parte le circostanze descritte, ossia il momento, la compagnia, il cibo. Il primo è che l’annata 2002, qualcuno lo ricorderà, non è stata particolarmente favorevole per i rossi, anche al Sud. Fu l’anno, ad esempio, in cui Biondi Santi decise di non produrre Brunello e Mastroberardino di seguirlo saltando il Taurasi. Il secondo elemento è che il Riparossa era considerato un vino di ingresso, lavorato solo in acciaio, il più basso di una gamma che arrivava sino al Roinos, che il professore Sasso concepì con l’enologo sannita Angelo Pizzi. Tanto che nella mia guida dedicata ai vini della Basilicata del 2005 l’etichetta non era neanche citata.

L'areale dell'Aglianico del Vulture DOC

Bene, in questo caso bisogna avere pazienza e saper attendere, superare l’odore di ridotto lasciando all’Aglianico il tempo di ossigenarsi e di riprendersi. Piano piano il rosso ha iniziato a prendere fiato e a restituire al naso quelle sensazioni di foglia secca, carruba, cenere, persino rimandi di conserva di amarena e note di macchia mediterranea. Come sempre quando si tratta di Aglianico, è al palato che si gode di un ritmo energico e vivo, con una freschezza sicuramente domata dal tempo ma che mantiene il vino e ne fa una ragione per proseguire. In questa versione, spicca anche una complessiva eleganza e un colore che “gaglioppeggia”, segno di una estrazione non prolungata.


A dirla tutta, in un momento in cui l’Aglianico del Vulture procedeva a tappe spedite verso gli eccessi di estrazione e di surmaturazione, la sopravvivenza di questa versione la dice lunga su quale sarebbe stata, ed è ancora, la strada da imboccare quando si affronta questo vitigno così ostico, del resto non è un caso che proprio in questa direzione, a cominciare dal 2004, è andata Elena Fucci con il suo Titolo pluripremiato. Sorso dopo sorso la bottiglia finisce e ci mettiamo leggeri e contenti in auto verso la città dei due mare, un’ora di viaggio confortata da una esperienza perfetta.

Cantina di Santadi - Carignano del Sulcis Superiore 'Terre Brune' 2019


di Luciano Pignataro

Diceva Giacomo Tachis che quelli sardi sono vini della luce. Vero, il rosso vivo di questo grande classico che ha fatto storia è indescrivibile. 


Godiamo la fusione perfetta fra il frutto e il legno e ammiriamo l’eleganza e la finezza che rende questa beva assolutamente godibile e contemporanea dopo tanti anni.

Approfondimento sui bianchi vulcanici campani invecchiati degustati a Vitigno Italia


di Luciano Pignataro

Le tendenze di mercato parlano chiaro, almeno nell’emisfero occidentali: cresce il consumo di bianchi e di spumanti (e anche di rosati), in calo il consumo dei rossi. Calano altresì i vini economici, crescono quelli con valore aggiunto. E’ venuto così spontaneo sviluppare questo sillogismo aristotelico davanti alla nutrita platea di buyers stranieri di Vitigno Italia presentando loro il volto bianco della Campania, che supera ormai la metà del totale della produzione e sl tempo stesso puntare su vini ricchi di storia e di anni per dimostrare un assunto che noi già ben conosciamo e di cui abbiamo scritto numerose volte: il tempo è un grande alleato dei vini campani, soprattutto di quelli di aree vulcaniche.


La tendenza e la tentazione, di presentare vini evoluti negli anni sta crescendo anche a livello commerciale oltre che culturale e non sono poche le aziende che puntano sul tempo come elemento qualificante dell’offerta.
Sono ancora pochi ad avere questa consapevolezza, ma questa prova generale ha saputo indicare in quale direzione definitiva devono andare gli sforzi dei produttori regionali che rappresentano una piccola nicchia nel panorama nazionale ma che al tempo stesso sono espressione di una biodiversità e di una qualità assolutamente interessante.
i bianchi di questa degustazione che ha aperto la terza e ultima giornata di Vitigno Italia hanno due segni che li caratterizzano: la longevità e l’essere il risultato di vitigni autoctoni, elemento che coinvolge la quasi totalità della produzione regionale campana grazie alla ricchezza di uve locali in commercio da sempre.

La Sibilla - Campi Flegrei Doc Cruna del Lago 2015 

I primi due vini sono dei Campi Flegrei e appartengono alla terza generazione di viticoltori al lavoro, quelli che hanno rivoluzionato la percezione della Falanghina, un tempo ritenuta vino di pronta beva. Più esperimenti hanno dimostrato invece la straordinaria mineralità di questi bianchi e i produttori più accorti hanno iniziato ad aspettare. Cruna Delago è un bianco che resta in cantina due anni prima di uscire, le note fumé e di zolfo sono preponderanti, perfetta la freschezza, integro il vino, lunghissimo e piacevole.

Cantina Astroni -  Falanghina Campi Flegrei Doc Vigna Astroni 2015 

Siamo nel cratere di un vulcano spento dello stesso areale, stavolta dentro il perimetro del comune di Napoli. Anche qui tiene banco la terza generazione con la quarta già impegnata. Gerardo Vernazzaro ha studiato a fondo la Falaghina arrivando a proporne una base, una territoriale, un cru (questo) e una da sperimentazione e invecchiamento. In questa versione il tipico vitigno flegreo si esprime al massimo valorizzando il frutto ben maturo attraverso le note evolute di idrocarburi e rimandi balsamici.

Villa Dora - Lacryma Christi del Vesuvio DOC Vigna del Vulcano

Rimaniamo in provincia di Napoli ma stavolta ci spostiamo sul Vesuvio. L’azienda della famiglia Ambrosio è stata la prima a credere fortemente sui tempi lunghi del bianco commercializzando anche diverse annate vecchie in una stessa cassetta e diventando così un mito per la sommellerie dei ristoranti stellati. Frutto e note minerali meno esuberanti dei due vini precedenti, ma eccezionale tenuta della beva che poggia su freschezza autentica e capacità di reggere un equilibrio elegante in maniera decisa sia al naso che all’olfatto.

Fattoria La Rivolta - Sannio Greco Doc 2016

Sono semplicemente strepitosi i bianchi di questa azienda di Torrecuso fondata da paolo Cotroneo. In questo caso non siamo in presenza di un vino che ha aspettato per uscire in commercio, ma semplicemente di un bianco che ha resistito al tempo guadagnando in complessità. Il Greco in genere ha un naso timido, marcato dallo zolfo solo se di Tufo, di frutta gialla in altri casi. Al palato invece esprime la sua freschezza e al tempo stesso di una struttura potente, quasi da rosso cviene da dire, una sensazione confermata da un estratto secco a quota 26 in questo caso. Vino nel pieno della maturità da esprimere su piatti decisamente strutturati

Tenuta Scuotto - Campania Fiano Oi Nì 2015 

L’enologo Angelo Valentino ci ha provato con un legno alsaziano e devo dire che all’inizio ero abbastanza perplesso non per la qualità ma per l’eccesso di note dolci al naso, a cui comunque faceva da contrappeso una buona beva scattante e agile, sapida e fresca. Nel corso degli anni è stata trovata la giusta quadra e adesso la sosta in legno, uno dei pochi casi per quanto riguarda i vini della Campania in generale e per il Fiano in particolare, fa da trampolino di lancio ad un vino che potrebbe benissimo fare il pirata in una batteria di Mersault

Di Meo -  Fiano di Avellino DOCG Alessandra 2013 

Un Fiano di undici anni, da poco in commercio che esprime la freschezza capace di esaltare la complessità olfattiva e gustativa. Note piacevolmente agrumate e di mela matura, primi sbuffi fumé, al palato una bocca piena, lunghissima, con una chiusura assolutamente affascinante. Il protocollo è decisamente semplice, lavorazione solo in acciaio. Sosta sulle fecce nobili sino all’imbottigliamento. Un piccolo grande capolavoro che, ne sono sicuro, potremo bere per i prossimi decenni godendo come i pazzi.

Villa Matilde - Falerno del Massico Doc Vigna Caracci 2008 

Non finisce di stupire questa annata del Caracci, uno dei bianchi più eleganti della Campania, in questo caso passato in legno. La riproviamo nel pieno della sua maturità espressiva, dotata ancora di una freschezza incontenibile ma soprattutto di grande complessità olfattiva: dal miele alla pasticceria, alla frutta sciroppata sino ad un piacevole rimando fumé. Il vino è in una fase in cui deve essere accompagnato, non accompagnare il cibo. Ha sicuramente raggiunto il suo nadir, è al massimo delle sue potenzialità, quando cioè il tempo è un prezioso alleato e non un elemento al quale bisogna resistere. Il sorso è sapido, il finale lungo e potente, assolutamente amaro rivelando così la sua origine vulcanica. Insomma, un piccolo grande capolavoro.

Da Roma a Capri: Vico, la pizzeria di Enzo Coccia, sbarca all’hotel “La Residenza”


VICO è l’incontro tra la contemporaneità della pizza di Enzo Coccia e l’eleganza, la discrezione e la raffinatezza insita alla famiglia De Angelis, proprietaria di hotel di lusso in Italia e all’estero. Da questo incontro, nel luglio del 2023 è nata la pizzeria VICO di Roma, un progetto di grande successo tanto che, a partire dall’8 di Giugno, questo binomio tra lusso e cultura mediterranea verrà “esportato” anche a Capri dove i De Angelis posseggono il loro boutique hotel “La Residenza”, il secondo complesso alberghiero più grande dell’isola dell’arcipelago Campano.


A differenza di Roma che sorge in un palazzo storico, la pizzeria Vico Capri, condotta dal Maestro Enzo Coccia assieme ai figli Andrea e Marco, si svilupperà totalmente all’esterno, nel giardino superiore dell’hotel, dove l’ospite verrà accolto e coccolato tra archi di bouganville, aiuole fiorite e comode sedute nei toni del bianco e verde.


Capri – spiega Enzo Coccia - sarà per noi una grande bella sfida, in termine di esperienza, lavoro e gratificazioni. È un piccolo sogno che si avvera, avremo la possibilità di far conoscere la pizza napoletana a una platea internazionale. E questo ci riempie di gioia e di orgoglio. Sicuramente incontreremo delle difficoltà anche perché si tratta di una prima esperienza di tipo stagionale su un’isola con tutte le problematiche connesse a esempio all’approvvigionamento, ai collegamenti, etc. Ma siamo certi che il nostro know-how sia proprio il valore aggiunto grazie al quale supereremo ogni cosa”.

LA PROPOSTA GASTRONOMICA DI VICO CAPRI

Il menu avrà un filo conduttore che lo lega al progetto di Roma. Per stuzzicare l’appetito i Piscitielli, piccoli calzoncini fritti, dal classico con salame napoletano alla provola e pepe, dalla versione con cuore di baccalà, pomodoro corbarino, olive nere di Gaeta, provola a quella con ricotta, fiori di zucca, pancetta, pecorino, e le Montanarine, come la Faraglioni con zucchine marinate, tonno affumicato e zest di arancia, la Centrella con stracciata di bufala, ‘nduja di spigola, foglia di limone o La Violetta con crema di melanzane, melenzane a funghetto, pecorino e basilico. Ci saranno le pizze tradizionali, dalla Marinara alla Margherita, dalla Rucola e Crudo alla Vegetariana, dalla 4 Formaggi alla Diavola ma anche un must di VICO Roma, la pizza Nerano, oltre ad alcune pizze inedite che utilizzeranno i prodotti dell’isola.


Per esempio ci sarà la Jovis con provola di bufala campana D.O.P., alici fresche, peperoncino, menta, zest di limone grattugiato, origano e olio extravergine d’oliva D.O.P Penisola Sorrentina, la Il Cunto del Mediterraneo con fior di latte di Agerola, pomodorini del Piennolo del Vesuvio D.O.P., melanzane a funghetto e ventresca di pesce spada, la Monte Solaro con cipolla rossa di Tropea marinata al finocchietto, mozzarella di bufala campana D.O.P., ventresca di tonno, pesto di prezzemolo e limone, la Focaccia Caprese con pomodori di Sorrento, mozzarella di bufala campana D.O.P., origano, olio extravergine d’oliva e basilico, La Certosa con stracciata di bufala, prosciutto crudo e grissini e, ovviamente, la Grotta Azzurra con pesto di basilico, pomodori arrostiti, ‘nduja di spigola, mozzarella di bufala campana D.O.P.


COCKTAIL E CARTA VINI

VICO Capri apre le sue porte agli appassionati della mixology. Sarà possibile, infatti, scoprire e miscelare due esperienze diverse: le pizze di Coccia e i cocktail, fatti con miscele e ingredienti particolari, del Salotto 42 di Roma. Presente una piccola ma interessante carta dei vini di circa 120 referenze, grandi etichette come piccole cantine, selezionate per sottolineare la versatilità della proposta gastronomica.

InvecchiatIGP : Lis Neris - Friuli Isonzo Pinot Grigio Gris 2008


di Carlo Macchi

Se c’è un vitigno bianco di nobili natali che in Italia non viene considerato mai o quasi mai adatto per l’invecchiamento questo è il pinot grigio. I motivi sono molteplici ma quasi tutti riconducibili all’uso commerciale (indubbiamente positivo, visti i risultati numerici) che viene fatto di questo vino/vitigno, utilizzato al 99% per vini facili da bere giovanissimi. Per questo ogni tanto è bene sfatare delle credenze, come quella appunto che il pinot grigio non è adatto per fare vini da lungo invecchiamento.


Il Gris di Lis Neris è uno dei vini più adatti per questo nobile scopo. Siamo in Isonzo, terra di pianura o al massimo ondulata ma con caratteristiche particolari, sia per il terreno che in qualche punto sembra il letto ciottoloso di un torrente, che per i venti e le escursioni termiche che la contraddistinguono. Il Gris è da molti anni un riferimento per chi vuol vedere come può maturare un pinot grigio, ma ammetto che andare fino al 2008 poteva essere un azzardo.

Alvaro Pecorari

L’annata viene presentata così sul sito dell’azienda di Alvaro Pecorari: “La prima parte della stagione è stata più piovosa del solito; ma dalla fine di luglio sole, ventilazione e sbalzo termico si sono fatti sentire. Il frutto e il carattere dei vini sono di buon livello. In generale l’annata è superiore alla precedente.”
Leggendo queste righe non è che si facciano salti di gioia: la 2008 non è certo stata una grande annata, forse abbastanza fresca ma sicuramente migliore della canicolare 2007. Comunque quando una cantina, sul suo sito, ti fa un piccolo report delle ultime 25/30 vendemmie bisogna solo ringraziare e fare tanto di cappello perché vuol dire che ha storia e non ha paura a presentarla.


Il Gris matura in tonneau per quasi un anno ed è un vino, se penso ad alcune annate recenti ancora molto inespresse, fatto per essere invecchiato. Una cosa mi ha subito colpito, l’utilizzo un tappo tecnico (nel 2008!!!) per un vino del genere, che è stata una bella scommessa e, dopo aver gustato il vino, posso dire scommessa vincente.


Colore dorato brillante molto giovanile. Naso all’inizio chiuso ma già si pregustano note che vanno dalle erbe officinali , alla paglia, a lievi sentori tostati. Poi vengono fuori note minerali a fianco di sentori agrumati, ma è proprio la pietra focaia che “marca il territorio” in maniera importante.


Avete presente i vini verticali? Questo non lo è! E largo, pieno, elegante. Non mostra potenza ma riempie il palato e lo rende “cicciuto” per tanto tempo. Lascia una bocca pulita, equilibrata e fin dal primo sorso si capisce perfettamente che non è in fase calante ma ha ancora molto da dire. Sicuramente ai 16 anni attuali ce ne aggiungerei altri 5 come momento perfetto per la beva.
Quindi il Pinot grigio è un vitigno da vini giovani? Certo! Se lo pianti per produrre 200 quintali e rotti a ettaro, ma nel momento in cui qualche produttore avesse più coraggio e abbandonasse la voluta semplicità l’Italia avrebbe un vitigno da grande invecchiamento invece che da grande produzione. Alvaro Pecorari è sempre lì per confermarlo.