di Carlo Macchi
Il fatto di essere vecchi ha pochissimi vantaggi ma uno è sicuramente quello di “aver presenziato” , alla fine degli anni ’80, all’esplosione di questo chardonnay e pinot bianco (se non sbaglio però le prime annate era solo chardonnay) fermentato e maturato in legno piccolo. Infatti Il Batàr di Querciabella è sicuramente uno dei bianchi toscani più famosi, un vero è proprio Supertuscan bianco sin dalla prima annata nel 1988. Come per ogni grande vino, specie negli anni in cui polemiche tra tradizionalisti e innovatori si sprecavano, si crearono due schieramenti: da una parte chi vedeva in questo vino la via italiana ai grandi bianchi borgognoni (allora non tanto di moda) chi invece lo accusava di essere un vino pretenzioso, dove il legno marcava troppo il vino.
Non siamo qui adesso per dire chi aveva ragione o torto, anche perché a Querciabella se ne sono sempre ampiamente strafregati, continuando per la loro strada che è passata anche attraverso la conversione alla biodinamica all’alba del nuovo secolo. Dicevo che la prima annata è stata la 1988, bevuta molti anni fa rimanendone impressionato, ma allora fare grandi bianchi in Toscana era un po’ come camminare sulle acque, un miracolo. Poi l’ho incontrato altre volte, con giudizi alterni: sia verso la fine del secolo che nei primi anni del nuovo mi era sembrato una brutta copia molto legnosa delle prime edizioni, mentre con il passare degli anni mi erano arrivate voci di un suo “alleggerimento” sul fronte dei legni e della struttura.
Per questo quando in cantina mi sono imbattuto in questo 2012 non c’ho pensato un minuto e l’ho portato in casa. Certo valutare un bianco di un’annata tra le più calde di questo caldo secolo a dieci anni dall’uscita non è certo fargli un favore ma ricordate il vecchio detto “Quando il gioco si fa duro i duri entrano in gioco”?. Con il Batàr 2012 è successo proprio questo.
Il colore era quasi dorato e il naso all’inizio quasi recalcitrante a dare segnali di vita. Ma era solo un attimo di snobbismo enoico, il farsi attendere di una bella donna che fa parte di ogni serata che si rispetti. Così dopo un po’ sono cominciate ad uscire note di crema, vaniglia accanto e sempre più intensi aromi di frutta bianca. Poi è stato il momento delle erbe e delle spezie e mano a mano che il vino si apriva e si scaldava si fondevano le sensazioni, senza però mai diventare aggressive o troppo marcate. “Eleganza, eleganza, eleganza” sembrava suggerirmi il vino. Certo è che niente denotava aromi cotti o maturi e tutto era giocato su un registro non certo urlato ma sussurrato.
Ma il meglio mi aspettava in bocca, con una sapidità quasi debordante accanto a un corpo importante ma non certo “pantagruelico”. Il legno dava segnali di vita, ma solo per indicare la strada, il resto lo facevano una freschezza soffusa e una persistenza notevole. Dava l’impressione di un vino leggero ma invece in bocca non finiva mai.
Insomma, questo Batard 2012 mi ha fatto capire che, per dirla con una battuta che “è l’eleganza del pinot bianco che traccia il solco, ma è la forza dello chardonnay che lo difende”.
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