di Stefano Tesi
Come noto non sono un amante né delle novità in sé. Né dell’assecondamento delle mode a prescindere. Né delle derive commerciali che di solito sono la conseguenza o l’origine di certe novità. E quindi ho assaggiato volentieri, ma molto laicamente, anzi con una punta di scetticismo, questo Settimocielo, Lambrusco Grasparossa Dop Rosè Brut Metodo Classico della Cantina Settecani di Castelvetro.
Del resto, e di contro, il mercato dice che, se il rischio andava corso, il momento era adesso. Come la vita. Ed eccomi a stappare questo rosato dall’effervescenza tipicamente lambruschiana e dal colore intenso e marcato – con le debite tare - altrettanto lambruschiano, diciamo “ciliegioso”.
Ciò che subito colpisce è la vivacità della bolla, sobria, fine e niente affatto volgare.
Foto: Kitchen Times |
Al naso il vino è suadente, asciutto ed elegante, quasi severo, con note rosacee che si prolungano senza corrompersi in strani cascami ed con una coda agrumata che si ritrova poi con nettezza al palato, dove l’acidità sguazza rendendolo l’assaggio vivo e sapido, sebbene non lunghissimo. Alla fine la bevuta è gratificante, intensa e soprattutto non banale.
In sostanza quella di uno spumante assai gastronomico e quindi, come tale, ancora una volta molto lambruschiano. Una sorta di sfida all’abbinamento: per non saper né leggere e né scrivere me lo sono bevuto, con gran soddisfazione, sulla frittata trippata, portata che in casa mia si fa d’estate. L’asciutto effetto-pulizia e quello dissetante hanno fatto presto terminare la bottiglia, il che è un ottimo segno, senza che per un attimo il vino nel bicchiere sia passato però in secondo piano. Un altro ottimo segno.
A boccia vuota leggo che il vino nasce da un antico clone di Grasparossa ritrovato a quasi 450 metri di altitudine e che fa 24 mesi sui lieviti. Acquistato dell’e-commerce dell’azienda, un cartone da 4 bottiglie costa 72 euro.
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