Di Andrea Petrini
Lo ammetto, non sono un grande fan
dell’Amarone della Valpolicella, non amo molto i residui zuccherini nei vini (a
meno che non parliamo espressamente di vini da dessert) associati alle alte
gradazioni che spesso e volentieri mi fanno desistere dal bere dopo il secondo
sorso. I social, assieme alla mia innata curiosità, ogni tanto però fanno
traballare alcune mie certezze e l’incontro con Pietro Zardini, prima virtuale
e poi reale, mi ha per un certo senso rincuorato ed illuminato.
Pietro Zardini |
Pietro è uno dei tanti vignaioli attivi su Instagram la cui storia
professionale, dopo aver conseguito un diploma come perito agrario, inizia
negli anni ’90 quando inizia a lavorare con successo come consulente enologo
per importanti aziende vinicole della Valpolicella Classica. Nel 2000, però, la
svolta: il papà che aveva una piccola realtà vinicola decide che è tempo di
andare in pensione passando il testimone a Pietro che fece nasce la sua
azienda, la Pietro Zardini (il nome del nonno), iniziando a gestire i 7 ettari
di vigneti, di cui parte in affitto, al fine di produrre un vino tradizionale
abbandonando i canoni dell’enologia moderna che, come mi ha spiegato lo stesso
Zardini, può avere il grande rischio di dar vita a prodotti standardizzati,
privi di anima, e con un gusto “creato ad arte” per andare incontro alle
esigenze del consumatore.
Vigne |
Quello di Pietro, perciò, in tempi non
sospetti, fu un ritorno al passato, alla ricerca di vinificazioni fatte in
legno con follature a mano, l’appassimento senza condizionatori, i salassi, il
lungo affinamento in botte o in fusto non tostato, sperimentando l’uso
dell’anfora sui vini rossi, cosa che non era mai stata fatta prima in
Valpolicella Classica.
“I primi anni della mia azienda” – sottolinea Zardini – “furono
abbastanza duri, la tecnologia è molto comoda, e certi coadiuvanti ti fanno
risparmiare un sacco di lavoro, però il vino che ne usciva, mi ricordo bene,
avena un timbro diverso, le annate erano ben definite, i profumi erano molto
interessanti, ed i lunghi affinamenti davano un carattere inconfondibile molto
tradizionale soprattutto alla corvina. Nel 2005 nasce il mio primo Amarone
Riserva, il Leone Zardini che affina per 5 anni in legno e 1 in bottiglia. E’
entrato in commercio solo nel 2012 e, come si può notare, la sua etichetta
raffigura il mio babbo, a cui è dedicato il vino, mentre si accinge a lavorare
assieme al suo famoso trattore Landini tasta calda, comprato nel 1958”.
Prodotto da uve Corvina (70%), Rondinella (20%), Molinara (10%)
provenienti da vigneti di Monte Mattonara e Negrar, questo Amarone Riserva mi
ha stupito per la sua anima gentile, tradizionale e, soprattutto, per la sua
poca voglia di stupire e prendere parte a competizioni edonistiche che per DNA
non gli appartengono. E’ un vino profondo, certamente, ma spensierato, dai
tratti decisi ma sfaccettati come un quadro di Monet dove gli aromi di viola,
spezie orientali, legno di cedro e tabacco risultano in perfetta simmetria
donando al vino un equilibrio di rara eleganza che lo rende, vivaddio, di una
beva trascinante che non stanca mai il palato e l’anima del degustatore
nonostante i 16 gradi alcolici (!!!!).
Note tecniche: appassimento naturale senza condizionatori per 4 o
5 mesi. Vinificato in tino di legno con follature a mano per 6-8 settimane.
Pressato con un vecchio torchio manuale. Invecchiato per minimo 48 mesi in
botte grande e fusti da cinque ettolitri. Imbottigliato generalmente un anno
prima della commercializzazione.
Nessun commento:
Posta un commento