In un bel pranzo estivo fra amici spunta anche questa magnum, ospite gradita e sorprendente.
Macchia dei Goti 1994: il Taurasi di Antonio Caggiano che ha fatto la storia
di Luciano Pignataro
Ci sono bottiglie che conservi senza neanche più sapere perché. Come questa della vendemmia 1994, la prima uscita del Macchia dei Goti di Antonio Caggiano, il produttore che ha fatto scoprire Taurasi agli amanti del Taurasi grazie alla costruzione di una cantina in pietra visitabile dal pubblico.
Probabilmente è l’ultima 1994 che era ancora tappata. In una precedente degustazione Al Campanaro di Alessandro Barletta a Taurasi avevo portato un po’ tutte le bottiglie degli anni ’90 che non ero stato capace di aprire, compresa questa. Risultato, in una cassetta dimenticata restano due 1997 e un Salae Domini 1994. Poi non ci saranno altri scritti a testimonianza di queste bottiglie.
Vecchia vigna di Caggiano |
Perché ne scrivo? Perché è anche stato il primo Taurasi passato in barrique, all’epoca una rivoluzione per questo areale abituato ai tonneaux, spesso neanche puliti molto bene fra una vendemmia e l’altra. La visita a Caggiano, all’epoca in Campania a scrivere di vino c’era solo il compianto Mimì Monzon, mi fece conoscere Moio prima di incontrarlo. Antonio mi parlò, girando nella vecchia vigna Salae Domini a un centinaio di metri dalla cantina ancora in costruzione, che l’attenzione di Moio cominciava dalla campagna, dalla pianta, cosa molto rara per un enologo a quei tempi. In Francia aveva appreso le tecniche di lavorazione, l’importanza della potatura verde e tutto quanto serve a far maturare perfettamente le uve.
Aglianico |
Spesso gli enologi sono visti come stregoni. Forse in passato, quando dovevano curare le grandi masse di uve non selezionate in arrivo nelle cantine sociali e dai grandi vinificatori poteva essere giusto generalizzare. Ma gli anni ’90 hanno portato la stretta relazione fra il grappolo e il vino come mai era accaduto sino a quel momento in Italia.
E l’ossessione di Moio per l’uva, oggi assolutamente inalterata, aveva tanto più ragione di essere con l’Aglianico, vino tardivo, molto tannico, i cui chicchi devono arrivare alla fermentazione assoluta liberi da ogni impurità.
Questo è stato il salto di qualità che ha trasformato il valore di questo vino da potenza in atto per dirla con Aristotele, ossia, liberata dalle vecchie pratiche di vinificazione, l’Aglianico arriva all’appuntamento in grado di essere finalmente leggibile e competitivo con le altre varietà.
Il Prof. Luigi Moio |
La rivoluzione di Moio è stata questa, e questa bottiglia ha segnato questo inizio. Naturalmente, all’epoca non esistevano studi e comparazioni possibili, se non i Taurasi di Mastroberardino e Struzziero che infatti furono usati per l’assegnazione nel 1993 della DOCG. Dopo 27 anni abbiamo dovuto liberare il vino dal tappo, completamente bagnato. Va detto che la conservazione della bottiglia non è stata perfetta perché tenuta in casa di città, sempre al buio e sempre coricata, ma sottoposta ai grandi caldi delle estati 2000, 2003, 2007, 2011 e 2017. Solo da un anno era stato fatto il trasferimento in una vera cantina. Nonostante questo, il vino è uscito perfetto, ha solo avuto bisogno di respirare profondamente per una quindicina di minuti prima di rilasciare sentori di frutta, ma soprattutto carrube e terziari di cuoio, cenere, caffè tostato, quasi bruciato. Al palato il vino si è comportato molto bene, ancora dotato di grandissima freschezza, ma su questo avevamo veramente pochi dubbi. Una chiusa precisa è stato il saluto di questo 1994 che, vale la pena di ricordarlo, non è stata una grande annata.
In conclusione, non c’è stato il wow, ma sicuramente è stata una bevuta di testimonianza del primo esperimento che ha aperto la strada a un nuovo modo di lavorare l’aglianico, protocolli che si sono arricchiti di una esperienza sempre più collettiva e che oggi regalano vini di grande longevità ma anche di buona bevibilità immediata.
In trent’anni sono stati fatti finalmente studi scientifici e non si è andati avanti per sentito dire, e abbiamo avuto spunti molto interessanti di Taurasi non necessariamente dediti ad accumulare e a concentrare materia, ma capacità di imboccare una via più essenziale, pensiamo alle prove di Antoine Gaita, agli stessi cru di Quintodecimo, e ovviamente a Mastroberardino che resta sempre un benchmark. Le riflessioni possibili sono davvero tante, perché anche i muscolosi Molettieri dei primi anni del nuovo millennio o i surmaturati di Perillo riescono a muovere bene oggi nel palato grazie alla inesauribile freschezza di questo vitigno.
Ma quel che conta, alla fine, è aver condiviso questa bottiglia storica con persone per le quali valeva la pena di stapparla. Ed è questo il senso ultimo dell’apertura, dunque della fine di ogni bottiglia di vino, qualunque sia la sua natura e il suo prezzo.
Best of Garantito IGP: dieci Pinot Nero altoatesini da scoprire e acquistare!
di Lorenzo Colombo
Abbiamo partecipato come commissari a diverse edizioni del Concorso Nazionale del Pinot Nero, se non andiamo errati a ben nove edizioni, non vi partecipiamo più da tre anni, ovvero da quando l’attuale regolamento del concorso prevedere che i commissari sino unicamente tecnici, ovvero enologi e enotecnici. Seppur Concorso “Nazionale” la maggior parte dei vini in competizione proviene dall’Alto Adige e nelle 20 edizione del Concorso quasi sempre i vini premiati appartengono a questa regione.
Castelfeder - Pinot Nero Riserva "Burgum Novum" (7° - 87,5/100): granato non molto intenso, luminoso. Intenso al naso, balsamico, spezie dolci, elegante, fresco, pulito. Fresco, delicato, succoso, elegante, mediamente strutturato, bel frutto, ciliegia, lunga la persistenza. Vino di finezza, non di potenza. 93-94
Kellerei Terlan - Pinot Noir Riserva "Monticol" (2° - 89,1/100): granato di media intensità con ricordi color rubino. Intenso al naso, speziato, note balsamiche, frutto rosso, pulito. Fresco e fruttato, speziatura delicata, elegante, bella vena acida, buon frutto, lunga la persistenza. 93
Kellerei Andrian - Blauburgunder Riserva "Anrar" (3° - 88,5/100): granato-rubino di media intensità. Buona intensità olfattiva, note floreali, fresco, frutta fresca, leggeri accenni speziati, elegante. Fresco e fruttato, media struttura, leggeri accenni speziati, buona persistenza su accenni di radici. Vino più d'eleganza che non di potenza. 90
K. Martini & Sohn – Blauburgunder "Palladium" (9° - 86,5/100): granato di media intensità. Note balsamiche e vanigliate, legno dolce, spezie dolci, buon frutto speziato. Fresco, fruttato, leggera nota piccante (pepato), discreta struttura, buona persistenza su sentori di bastoncino di liquirizia. 88-89
Kellerei Tramin - Pinot Nero "Maglen" (8° - 86,7/100): granato con riflessi color rubino di discreta intensità. Mediamente intenso al naso, legno percepibile, note balsamiche, speziato. Buona struttura, frutto scuro, speziatura dolce, bella vena acida, lunga la persistenza. 88-89
Weingut Tiefenbrunner Schlosskellerei Turmnof - Blauburgunder Riserva "Linticlarus" (3° - 88,5/100): rubino-granato di discreta intensità. Intenso al naso, speziato, frutto rosso maturo, pulito, buona eleganza. Fresco, di buona struttura, leggeri accenni piccanti, speziato, bella vena acida, chiude con buona persistenza su leggeri sentori di bastoncino di liquirizia. 88-89
Kellerei Bozen Gen. Landw. Ges. – Blauburgunder "Thalman" (9° - 86,5/100): granato di media intensità. Buona intensità olfattiva, note balsamiche e vanigliate, legno dolce. Fresco, bel frutto, note vanigliate, buona eleganza, succoso, lunga la persistenza. 88-89
Elena Walch - Pinot Nero "Ludwig" (1° - 90,3/100): rubino-granato luminoso di discreta intensità. Intenso al naso, balsamico, frutto rosso speziato, leggere note floreali, pulito, di buona eleganza. Fresco e succoso, bel frutto, accenni speziati, chiude con buona persistenza leggermente amaricante. 87
Malojer-Gummerhof - Blauburgunder Riserva (5° - 88,4/100): granato non molto intenso, luminoso. Buona intensità olfattiva, note balsamiche e vanigliate, bel frutto rosso, pulito, leggeri accenni floreali. Fresco e succoso, mediamente strutturato, succoso, buona la persistenza, chiude con leggeri sentori di radici. 87
Weingut Ignaz Niedrist - Blauburgunder "Vom Kalk" (6° - 88,2/100): granato di discreta intensità con ricordi color rubino. Buona intensità olfattiva, speziato, frutto scuro. Buona struttura, legno ancora in evidenza, leggere note tostate-affumicate, chiude leggermente amarognolo. 84-85
InvecchiatIGP: Marotti Campi – Lacrima di Morro d’Alba DOC “Rubico” 2007
Non ne conosco bene il motivo ma ci sono alcuni vini in Italia che per tradizione, ignoranza o poca pazienza, scegliete voi, si pensa debbano essere bevuti solo dopo pochi mesi la loro messa in commercio perché, altrimenti, “non tengono”.
Vitigno Lacrima |
Lorenzo Marotti Campi |
Io, che sono stato più fortunato di altre persone che ancora stanno scappando dai maremmani di casa Marotti Campi (ovviamente scherzo), ho avuto il piacere di degustare una bellissima verticale di Rubico e, tra le tante annate che a breve descriverò all’interno di un articolo ad hoc su Percorsi di Vino, ho scelto per la rubrica InvecchiatIGP di parlare di un Lacrima di Morro d’Alba di “appena” 14 anni.
Marotti Campi - Lacrima di Morro d’Alba DOC “Rubico” 2007: dopo aver controllato più volte l’etichetta e essermi fatto garantire da Lorenzo che prima del 7 non ci fosse il numero 1 modificato in 0, devo ammettere che questo Rubico mi ha fatto davvero sobbalzare sulla sedia perché sia al naso che alla bocca non aveva nulla che facesse presagire la sua età. Nulla. All’olfatto è ancora giovane e sfavillante nelle sue classiche sensazioni di visciola, mora, rosa, peonia, spezie nere su incipit di erbe balsamiche. Sorso assolutamente vivo, composto, equilibrato, non sfuma in note eteree e terrose ma ripropone continuamente un finale fruttato, sapido e goloso che, a distanza di mesi, ancora ricordo nitidamente.
E ora, come la mettiamo con queste false credenze? Intanto che pensate alla risposta definitiva il mio consiglio è di continuare a leggere
gli articoli di InvecchiatIGP!
Verrone Viticoltori - Vino Spumante Rosé Extra Dry "Le Mille Bolle"
Chi mi conosce sa che non
amo gli spumanti, metodo martinotti, soprattutto se extra dry. Motivo? Spesso
la “dolcezza” di questi vini che li rende quasi stucchevoli.
Ritorno in Umbria, a Decugnano dei Barbi, tra certezze e novità!
Sono tornato a Decugnano dei Barbi dopo sette anni e, rispetto alla mia ultima visita, che trovate descritta QUI, qualcosa purtroppo è cambiato visto che Enzo Barbi è rimasto solo alla guida dell’azienda visto che suo papà Claudio, nel 2019, è venuto a mancare. Altri aspetti invece, come ho potuto appurare nuovamente di persona, sono e rimarranno sempre immutati come, ad esempio, la determinazione della famiglia Barbi nell’essere un punto di riferimento per la produzione dell’Orvieto Classico Doc, dell’Orvieto Classico Muffa Nobile Doc, del Metodo Classico e di IGT Umbria bianchi e rossi.
Benvenuti in Umbria, a pochi chilometri dalla splendida Orvieto, più precisamente in Località Fossatello di Corbara, al confine con Toscana e Lazio, dove Decugnano dei Barbi sorge a 350 metri s.l.m., su terreni di epoca pliocenica, caratterizzati da sabbie gialle e conchiglie fossili visto che un tempo questo territorio non era altro che un fondale marino.
L’azienda si estende su 56 ettari di cui 32 vitati ricompresi nella DOC Orvieto. Le varietà coltivate sono: Grechetto, Procanico, Vermentino, Verdello, Chardonnay, Sauvignon blanc e Semillon per le uve a bacca bianca; Sangiovese, Montepulciano, Syrah, Cabernet Sauvignon, Merlot e Pinot Nero per quelle a bacca rossa. In vigna, da anni, non si utilizzano pesticidi, anti-botritici, diserbanti e concimi chimici ed è iniziata la conversione all’agricoltura biologica che terminerà nel 2024.
La storia dei Barbi, in terra umbra, inizia alla fine degli anni '60 del secolo scorso quando il nonno di Enzo, che a quei tempi comprava e vendeva vino per il mercato della Lombardia, decise di acquistare per suo figlio Claudio (papà di Enzo) un pezzo di terreno nell'orvietano che in quel periodo era molto di moda. "Mio papà spesso di scontrava con mio nonno sul tema della qualità del vino così" - mi spiega Enzo sorridendo - "acquistargli tre ettari di terreno ad Orvieto ha significato lasciargli produrre il vino come voleva lui lasciando al tempo stesso in pace mio nonno che poteva proseguire il suo lavoro senza troppe scocciature!!". Decugnano ad inizi del 1970 era in vendita e la famiglia Barbi non c'ha pensato due volte ad acquistare la tenuta, a quel tempo in miseria, non solo per la bellezza del posto ma, soprattutto, per il terreno che, rispetto alla zona sud dell'orvietano, non è di tipo tufaceo ma, come abbiamo scritto in precedenza, di carattere marnoso e argilloso e ricco di fossili di ostriche e conchiglie di epoca pliocenica. "Sai Andrea" - commenta Enzo - "mio madre è amante dello Chablis e questa terra ricorda molto quel particolare terroir francese"
Era il 1973 quando Claudio Barbi acquistò il podere piantando, in sequenza, i vitigni storici dell'Orvieto Classico (trebbiano, malvasia e grechetto) e alcune piante di sangiovese e canaiolo iniziando un'intensa fase di sperimentazione, che riguardò anche la spumantizzazione delle uve dell'Orvieto, che prese forma nel 1978 quando comparvero sul mercato tre vini: il Decugnano bianco, il Decugnano rosso ed il primo metodo classico prodotto in terra umbra. Otto anni dopo, nel 1981, l'azienda propose sul mercato prima bottiglia italiana di vino da uve botrizzate: Pourriture Noble. Nessuno fino a quel momento si era accorto che la Botrytis Cinerea “attaccava” anche i vigneti di alcune zone dell'Orvietano.
Girando per l’azienda mi accorgo che, rispetto a sette anni fa, la cantina di vinificazione è rimasta più o meno la stessa ovvero popolata da vasche di fermentazione, tutte in acciaio, destinate ognuna ad uno specifico vigneto. L’unica novità vera in questo contesto è che, rispetto alla ultima visita, ora la supervisione enologica è seguita Riccardo Cotarella.
Metodo Classico “Brut” 2016: da uve chardonnay e pinot nero nasce questo metodo classico la cui seconda fermentazione è avvenuta in grotta dove le bottiglie sono rimaste ad una temperatura costante di 13°C per 42 mesi. La sboccatura del primo lotto è avvenuta a fine Ottobre 2020. Lo spumante, solcato da persistenti catenelle di carbonica, è caratterizzato dal contrappunto fra soavi note fruttate di pesca gialle e mela golden, gelsomino e persistenti richiami iodati. Strutturato con sapidità ben garbata e finale strutturato decisamente sorretto dall’effervescenza che richiama continuamento l’assaggio.
InvecchiatIGP: Capitoni - Orcia Doc “Frasi” 2006
di Lorenzo Colombo
UN MILLESIMO: UNA FRASE
“CIO’ CHE MIGLIORE E’,
CIO’ CHE MIGLIORE SARA’,
…SCELGO.”
E’ questa la “frase” riportata in etichetta per il vino del millesimo 2006. Ogni anno infatti Marco Capitoni riporta una diversa frase sull’etichetta del suo vino più conosciuto e famoso, l’Orcia Doc Frasi, prodotto con 90% di uve Sangiovese, più Canaiolo ed una piccola parte di Colorino, vino che fermenta in acciaio e s’affina per due anni in botti da 33 ettolitri.
Dalla capsula si scorge qualche segno di colatura, infatti fatica a staccarsi dal collo della bottiglia, la superficie del tappo ci pone qualche dubbio sulla tenuta del vino, dubbio confermato quando estraiamo il sughero, imbevuto di vino per buona parte della sua lunghezza.
E’ quindi arrivato il momento dell’assaggio!
Il colore è granato profondo e compatto, l’unghia tende all’aranciato, una corretta definizione potrebbe essere “color prugna cotta”. Mediamente intenso al naso, ampio, complesso e delicato, si coglie il sottobosco, con note d’humus e di foglie bagnate, il tabacco dolce, il frutto scuro (ciliegia e prugna matura) venato da speziature dolci, le note balsamiche e gli accenni di cuoio.
La famiglia di Marco è sempre stata dedita all’agricoltura, nei 50 ettari del loro Podere Sedime si coltivava grano, seminativi, oltre ad avere oliveti e vigneti. Fu Marco, a metà degli anni Novanta a sviluppare la parte vitivinicola e ad imbottigliare il primo vino nel 2001, ora gli ettari vitati sono sei, per una produzione di 20.000 bottiglie/anno delle quali circa 4.000 di Frasi.
Vigne |
Planeta - Etna Bianco Doc 2017
di Lorenzo Colombo
Da uve Carricante allevate a 700 metri d’altitudine sul versante nord dell’Etna, su suoli costituiti da sabbie laviche, nasce questo vino strutturato e morbido, connotato da sentori di frutta gialla matura, note tropicali ed accenni idrocarburici.
La vinificazione prevede che una piccola parte del mosto fermenti in tonneaux.
C’è il Vermouth e poi c’è il Vermouth di Torino IG
di Lorenzo Colombo
Con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del decreto ministeriale 1826 del 22 marzo 2017, il Vermouth di Torino viene riconosciuto come Indicazione Geografica, è questo l’ultimo atto di un lungo percorso volto al riconoscimento dell’unicità di questo prodotto. La prima normativa riguardante il Vermouth è datata 1933 ed andava a stabilire la sua gradazione alcolica minima, il suo tenore zuccherino e la percentuale in volume del vino base e delle sostanze aggiunte.
I produttori italiani si riunirono quindi in un tavolo comune, ad Asti e grazie anche al sostegno della Federvini si arrivò alla legge italiana inviata quindi per la ratifica alla Commissione Europea per giungere infine al riconoscimento dell’Indicazione geografica del Vermouth di Torino.
Nel 2017 nasce quindi l’Istituto del Vermouth di Torino e due anni dopo viene costituito il Consorzio del Vermouth di Torino.
Il disciplinare di produzione del Vermouth di Torino prevede quattro tipologie di prodotto, basate sul colore (Bianco, Ambrato, Rosato o Rosso), altra distinzione tra i prodotti è data dal suo grado di dolcezza che presenta tre livelli: Extra Dry (meno di 30 g/l di zucchero, Dry (meno di 50 g/l) e dolce, riservato ai Vermouth con un tenore zuccherino d’oltre 130 g/l. La sua gradazione alcolica dev’essere compresa tra il 16% ed il 22% vol., è inoltre prevista la tipologia Superiore che prevede l’utilizzo di almeno il 50% di vino prodotto in Piemonte, come pure prodotte in regione debbono essere le sostanze aromatizzanti, per questa tipologia la gradazione minima sale al 17% vol.
E’ quindi seguita una degustazione guidata (a bottiglie coperte) della principali tipologie di Vermouth di Torino spiegandone caratteristiche ed utilizzo, sono così stati presentati un Vermouth Dry, uno Bianco, uno Ambrato ed uno Rosso. Questa degustazione è stata condotta da un esperto di mixology e questo c’è un poco dispiaciuto perché avremmo preferito che fosse data maggior importanza al Vermouth di Torino in quanto tale, e non come ingrediente (seppur basilare ed importante) di una bevanda miscelata.
Bordiga - Vermouth di Torino Bianco: dal naso intenso, speziato ed elegante; intenso e morbido alla bocca con sentori piccanti che rimandano nettamente allo zenzero, lunga la sua persistenza.
Drapò – Vermouth di Torino Rosato: discretamente intenso al naso, agrumato con sentori di scorza d’arancio e leggeri accenni di spezie dolci; fresco alla bocca dove si ripropongono le note agrumate che rimandano al pompelmo, lunga la persistenza.
Del Professore - Classico Vermouth di Torino Ambrato: dal color giallo-dorato luminoso, intenso ed elegante al naso dove si colgono sentori di radici e d’erbe aromatiche; fresco ed agrumato alla bocca, con accenni piccanti di zenzero e lunga persistenza.
Tosti 1820 – Taurinorum Vermouth di Torino Superiore Ambrato: color ambrato luminoso, discretamente intenso al naso dove si percepiscono sentori di caramella all’orzo; intenso alla bocca, di nuovo si coglie la caramella all’orzo oltre a sentori di radici dolci e di cannella, buona la sua persistenza.
Peliti’s - Vermouth di Torino Rosso: color granato, mediamente intenso al naso dove presenta leggere note di radici e corteccia; succoso e piacevolmente amaricante al palato, caramella al rabarbaro.
Arudi - Vermouth di Torino Rosso: color granato luminoso, Intenso al naso, con sentori di radice di genziana e rabarbaro; netti sentori di radici alla bocca (sembra un amaro), lunga la sua persistenza.
Drapò – Tuvè Vermouth di Torino Rosso: color granato, intenso e balsamico al naso dove cogliamo spezie dolci, cannella e noce moscata; di buona struttura, leggermente piccante (pepe), chiude su sentori di rabarbaro.
InvecchiatIGP: Col Vetoraz - Valdobbiadene Brut DOCG 2010
di Stefano Tesi
Le bollicine disperse in qualche angolo della cantina sono un classico per chiunque si diletti in cose di vino. E ogni volta che si ritrova qualche “giacimento”, la reazione è sempre la stessa. Duplice. La prima è: “accidenti, non mi ricordavo per niente di questa bottiglia, come è finita qui? Sennò l’avrei bevuta prima”. La seconda, invece, è più drastica: “sarà ancora buona?”.
Ovviamente, non resta che provare.
Quando ho rimosso la capsula e la gabbia di questo Col Vetoraz Valdobbiadene Brut DOCG 2010 (fatto in autoclave, con 8% di residuo zuccherino) e ho messo mano al tappo, qualche timore in effetti l’ho avuto: diciamo che appariva piuttosto stagionato, con tutte le potenziali conseguenze.
Ero curiosissimo di provare le sensazioni olfattive.
Le attese note di mela, frutti bianchi e agrumi hanno lasciato il posto a una lenta sequenza di miele di acacia, toffees e datteri immersa in una diffusa atmosfera di incenso, di cera e – per chi ha presenti certi ambienti – di sacrestia.
Casale dello Sparviero - Chianti Classico DOCG 2019
di Stefano Tesi
In quest’afoso luglio, se bevuto appena più fresco si fa dissetante e mantiene tutta la sua invitante fragranza, senza perdere nulla dell’agile robustezza.
A Volterra, alla scoperta dei vini di Monterosola!
di Stefano Tesi
Chi fa questo mestiere non deve mai fermarsi alle apparenze, anche se a volte queste sembrano messe lì per non farti guardare oltre. Non è certamente il caso di Monterosola, l’azienda volterrana che sono riuscito a visitare qualche settimana fa dopo infiniti tira e molla pandemici.
Bene anche l’Indomito 2016, Toscana IGT al 75% di Syrah e al 25% di Cabernet Sauvignon, vino molto centrato e compatto, elegante e piacevole al naso, con una bocca opulenta, goduriosa, importante ma non – fondamentale! - noiosa nè prevedibile.
Ci sono piaciuti un po’ meno, per la mera questione stilistica legata all’uso massiccio del legno, il Corpo Notte 2016, Toscana IGT al 70% di Sangiovese e al 30% di Cabernet Sauvignon, e il Canto della Civetta, Toscana IGT Merlot al 100%.
Merita invece di essere atteso il Crescendo 2016, Toscana IGT al 100% Sangiovese che, sebbene per impostazione e struttura ricalchi e forse perfino superi i due precedenti, ha le qualità per ingentilirsi e mettere a freno certi eccessi.
Decisamente più agili i bianchi.
Il Cassero 2019, IGT Toscana al 100% di Vermentino, ha un bel naso pulito e varietale, a tratti quasi pungente, mentre in bocca è salato, molto netto, solido e piacevole.
Più evoluto e complesso il Per Mare 2018, Toscana IGT al 100% Viognier: un oro limpidissimo e brillante per un naso delicato, appena metallico, accenni di pietra focaia e olio minerale, mentre in bocca ha un lungo finale amarognolo.
Sullo stesso livello si colloca il Primo Passo 2018, Toscana IGT al 40% Grechetto, al 40% Incrocio Manzoni e al 20% Viognier, con un naso elegante e asciutto ma discretamente fruttato, mentre al sorso rivela grande lunghezza, bella acidità e una sapidità che sconfina nell’amarognolo.
Chi passa da Volterra ci faccia un pensierino: si può fermarsi, degustare, visitare ed acquistare direttamente.
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