Cambio disciplinare Rosso di Montalcino: c'è chi la pensa diversamente


Torno da Montalcino con molte certezze in più, sia sui Brunello 2006 sia sull'aria che si respira attorno alla modifica del disciplinare del Rosso di Montalcino. Sull'argomento posterò qualche video la prossima settimana.


Intanto su WineNews, magazine del vino con sede proprio a Montalcio, esce un articolo di un giornalista, tale Andrea Gabbrielli, che apre al cambiamento cercando di sminuire chi dice NO. Cosa scrive? Leggiamo.

Ma davvero è una novità dirompente la proposta di modifica del disciplinare del Rosso di Montalcino tanto da sollevare un così forte clamore mediatico? E addirittura da rimandare il confronto di altri tre mesi?
Quando a maggio 2010 fu eletto il nuovo cda del Consorzio del Brunello, tutti i candidati avevano sottoscritto un programma di lavoro presentato da Coldiretti, Confagricoltura e Cia nel quale si ribadiva che “il Brunello di Montalcino deve rimanere prodotto dalle sole uve sangiovese di Montalcino ...”. Nel secondo punto, invece, si diceva, espressamente, di “valutare la riorganizzazione del Rosso di Montalcino e del Sant’Antimo che parta da un’attenta analisi dello stato dei fatti”. Sull’onda di questa impostazione condivisa fu creato un gruppo di lavoro coordinato dal presidente della Commissione tecnica del Consorzio, Fabrizio Bindocci, ed a cui hanno partecipato diversi esponenti di grandi e piccole aziende di Montalcino.

Nell’impegno, durato diversi mesi, il confronto interno si è allargato ad altri interlocutori tra cui l’Università (professor Mattiacci, autore di uno fondamentale e profetico studio sulla realtà produttiva del montalcinese), i funzionari della Regione Toscana responsabili del settore vitivinicolo, l’Ispettorato Centrale della tutela della Qualità e Repressione Frodi per non parlare del Comitato Nazionale Vini del Ministero delle Politiche Agricole e, infine, molti importatori. Insomma, difficile da considerare questo impegno come svolto in assoluta clandestinità e d’altra parte la situazione del Rosso è da tempo sotto gli occhi di tutti: si vende poco e male. Da qui la necessità di trovare una nuova strada anche attraverso un nuovo disciplinare. 

La proposta infatti prevede tra l’altro la possibilità di utilizzare il sangiovese da un minimo dell’85% fino al 100% ed eventualmente di impiegare il 15% di altri vitigni, di utilizzare l’irrigazione di soccorso o la possibilità di impiegare chiusure alternative (Stelvin). Infine chi utilizzerà il 100% di sangiovese lo potrà indicare con un’apposita specifica in etichetta. Insomma renderlo un prodotto più appetibile, specialmente nei nuovi mercati.
Vale la pena di ricordare, a questo proposito, quanto in tempi non sospetti dichiarava il decano dei produttori di Montalcino nel 2008, Franco Biondi Santi, e successivamente ribadita in più occasioni: “Ora, piuttosto che parlare di modifica al disciplinare del Brunello Docg ... sarebbe da ripensare quello del Rosso di Montalcino Doc: non più un Sangiovese in purezza, ma un mix con altri vitigni coltivati a Montalcino, possibilmente pochi, in percentuali da studiare e da stabilire con chiarezza, che esprimerebbe comunque la tipicità del territorio ... E questa deve essere una possibilità da sfruttare, non una situazione da subire”.

Insomma, l’ipersensibilità su questo tema sembra davvero troppo eccessiva ma di sicuro ha assicurato grande visibilità a chi ha urlato più forte anche se non ha fornito nemmeno una possibilità in più al Rosso di Montalcino. Scriveva ieri Giuseppe De Rita come chiusura del suo editoriale sul Corriere della Sera “ ... umiltà collettiva che ha meno riscontri mediatici ma maggiore qualità etica rispetto alle troppe indignazioni che oggi tengono banco”. Forse bisognerebbe indignarsi di meno e offrire qualche soluzione in più. 

Posso  rispondere alla domanda iniziale? Sì, Andrea, è talmente importante che che quattro gatti stanno cercando di stravolgere l'identità di un vino e di un vitigno. Se non ci arriivi c'è qulacosa che non va!


Montalcino sto arrivando...


......ma non vado a Benvenuto Brunello, nessuna Anteprima per me stavolta, non sono giornalista, non mi invitano e non sono ammanicato con nessuno. Mi aspetta la dissidente Stella di Campalto e i ragazzi dell'Enoclub Siena. A presto.


E poi dici che il vino è speziato....


L'Istituto Agrario di San Michele all'Adige (Tn) ha scoperto che in alcuni vini e' presente il principale aroma del pepe nero: il rotundone.
Il composto, che si trova in buone quantita' anche in alcune spezie, quali rosmarino e maggiorana, e' stato identificato in concentrazioni elevatissime nei vini Vespolina, Schioppettino e Gruner Veltliner, come riportato questo mese sulla prestigiosa rivista internazionale "Rapid Communications in Mass Spectrometry", ma da ricerche in corso risulta presente in modo consistente anche nel Groppello di Revo'. 


Il gruppo di ricerca, coordinato da Fulvio Mattivi in collaborazione con gli scienziati Daniele Nanni dell'Universita' di Bologna e Leonardo Valenti dell'Universita' di Milano, ha sintetizzato il rotundone in laboratorio e messo a punto un metodo rapido e accurato per il suo dosaggio nei vini. Un risultato utile per comprendere il ruolo e gestire la presenza nel vino di un composto di straordinaria importanza sensoriale.
"La molecola e' stata individuata due anni fa da un team di ricercatori australiani nel vino Syrah -spiega Fulvio Mattivi, responsabile del Dipartimento Qualita' Alimentare e Nutrizione del Centro ricerca e innovazione-, dove determina appunto la tipica nota speziata di pepe. I risultati preliminari di una larga indagine tutt'ora in corso su vini italiani, austriaci e spagnoli supportano l'idea che il rotundone sia un componente semi-ubiquitario dell'aroma del vino, e che un numero consistente di vitigni autoctoni ed antichi, tra i quali il Groppello di Revo' in Trentino che risulta essere uno dei maggiormente speziati, sono caratterizzati dalla presenza di questo aroma a concentrazioni di forte impatto sensoriale".


Nei vini Schioppettino e Vespolina sono state trovate concentrazioni di rotundone fino a 560 ng/L (nanogrammi per litro) che superano di 35 volte la soglia sensoriale, mentre nei vini bianchi Gruner Veltliner il rotundone e' presente con concentrazioni fino a 17 volte la soglia di percezione.

Il Groppello di Revo' e' un vitigno a bacca nera, con grappolo compatto, oggi coltivato da pochi appassionati coltivatori in valle di Non. Lo Schioppettino e' una varieta' nativa dei Colli Orientali del Friuli, utilizzata nella produzione di vini con una fortissima personalita', caratterizzati da fragranze speziate e con uno speciale sentore di pepe bianco.

Groppello di revò
Fonte: Agi.it

Cambio di disciplinare del Rosso di Montalcino: la parola al marketing


Agi.it ha pubblicato un interessante comunicato stampa che ci fa capire, ufficialmente, il perchè ieri si è deciso di rinviare l'assemblea sul cambio del disciplinare del Rosso di Montalcino.

Il Consiglio di Amministrazione del Consorzio , infatti, "preso atto che ad oggi non pare esservi una compiuta informazione sul lavoro svolto e sulle finalita' e le necessita' perseguite per la revisione del disciplinare del Rosso di Montalcino, ha ritenuto responsabile rinviare la votazione al fine di fornire maggiori e più compiuti approfondimenti. La votazione, prevista per oggi, che sara' oggetto di approfondimento e verrà riproposta entro tre mesi dalla data odierna, invitando tutti gli associati a fornire alla Commissione Tecnica ogni indicazione che possa essere ritenuta utile per migliorare una delle ricchezze del territorio". 

Ezio Rivella
Come ha sottolineato il Presidente del Consorzio Ezio Rivella "e' una decisione che ci lascia molto soddisfatti perche' la maggioranza ha giustamente valutato che per una materia cosi' delicata per il prodotto, il mercato ed il territorio fossero necessari ulteriori approfondimenti tecnici prima di pronunciarsi in modo definitivo in uno o nell'altro senso. Del resto l'eventuale cambio di disciplinare del Rosso di Montalcino era tra i punti da esplorare del mandato del nuovo Consiglio". 

Il Consiglio di amministrazione del Consorzio del Vino Brunello di Montalcino in questi mesi ha già lavorato per dare attuazione al programma sottoscritto dalle tre associazioni di categoria e da tutti i candidati al Consiglio di Amministrazione, al momento delle elezioni. Tale programma, al punto 2, prevede "la riorganizzazione del Rosso di Montalcino, al fine di attuare una seria politica di rilancio".

In tal senso e a tal fine sono stati interpellati il Prof. Mattiacci ordinario di marketing all'Universita' La Sapienza di Roma, nonche' le Autorita' regionali e nazionali preposte per l'approvazione dei disciplinari. Tutto ciò per la definizione e per la migliore attuazione di eventuali modifiche al Disciplinare del vino Rosso di Montalcino. Tale sforzo e impegnativo lavoro svolto dalla Commissione Tecnica e dal Consiglio del Consorzio tutto, ha lo scopo di dare maggiori prospettive commerciali a un vino che in questi anni ha "segnato il passo". La strategia del Consiglio e' quella di tutelare nella sua globalita' tutti i produttori a prescindere dalle dimensione aziendali e dalle strategie dei singoli. 


Quindi, da quanto emerge, Mattiacci e un altro gruppetto non identificato di persone, magari astemi, avranno in mano il destino di uno dei valori Montalcino? 

Ma siamo sicuri che questo vino abbia davvero "segnato il passo"? Conosco tanti produttori che fanno un Rosso di Montalcino così buono che viene venduto tutto senza problemi. 
Forse, per dirlo alla toscana, non vende chi fa "troiai" in cantina. Imparassero a lavorare meglio queste persone! 
Altro che geni del marketing  con le loro strategie buone solo per vendere gli assorbenti con lei ali!


Un'emozione chiamata Madeira Barbeito Malvasia 1875 – My grandfather collection


La storia del Madeira si perde nella notte dei tempi e, per molto versi, ricorda quella del Marsala.
Nel XVII secolo l’isola portoghese era considerata un porto di sosta importante per le navi mercantili dirette verso il nuovo mondo che, da queste parti, si rifornivano di cibo e bevande locali. Il vino, sistemato nelle stive della navi, doveva affrontare lunghi e caldi viaggi e, inevitabilmente, giungeva al termine del viaggio completamente imbevibile. 

Vecchia mappa di Madeira
 Con lo scopo di prevenire questo inconveniente, si pensò di aggiungere brandy al vino in modo da fargli sopportare le insidie del lungo viaggio. Il vino rimaneva nelle botti a maturare per mesi al caldo equatoriale delle stive delle navi, e l'azione conservante dell'alcol restituiva, alla fine del lungo viaggio, un ottimo vino, di carattere, totalmente diverso da quello di partenza. 
Era nato il mito Madeira, la cui pratica di farlo ossidare al caldo equatoriale divenne così imprescindibile che, all’epoca, i migliori Madeira erano proprio quelli che avevano viaggiato per mesi nelle stive di navi e che per questo venivano chiamati Vinhos de Roda, cioè vini che avevano compiuto un viaggio fino a tornare, arricchiti e impreziositi, nell'isola.

Oggi, ovviamente, il Madeira non viene più prodotto col riscaldamento delle botti nelle navi ma simulando lo stesso processo: il vino, infatti, per alcuni mesi viene sottoposto ad alte temperature (intorno ai 50 °C), utilizzando le c.d. estufas (stufe) che ossidano velocemente il vino convogliando costantemente aria equatoriale.

Vecchia immagine di una prima estufas
Si deve comunque osservare che il processo di riscaldamento per i Madeira più pregiati viene svolto senza l'ausilio delle estufas, e si svolge in modo naturale lasciando le botti in appositi locali posti sottotetto dove il torrido caldo dell'isola fa raggiungere temperature elevate. In queste condizioni, le botti vengono in genere lasciate per lunghi periodi di tempo, spesso anche per decine di anni, al termine del quale il vino viene trasferito in ambienti più freddi e quindi imbottigliato.

Estufas moderna
Ci sono quattro tipologia di Madeira distinte a seconda del tipo di uva usata per produrlo:

  • il Malmsey (Malvasia), il più dolce (indicato anche con il termine di ricco);
  • il Boal, semi-dolce (indicato anche con il termine di dolce);
  • il Verdelho, semi-secco (indicato anche con il termine di medio);
  • il Sercial, il più secco (indicato anche con il termine di secco).
Nei Madeira di minore pregio, spesso si utilizza anche il Tinta Negra, un uva a bacca rossa alloctona introdotta dopo l’epidemia della fillossera.
La scorsa settimana durante il Roma VinoExcellence 2011 si è svolta una bellissima verticale di Madeira Barbeito, una piccola azienda famigliare fondata nel lontano 1946 che, come vedremo, conserva nella sua cantina gemme senza tempo.  


In degustazione:

Barbeito Sercial Old Reserve 10YO: l’uva sercial offer dinamicità e spina acida al Madeira. Colore oro antico offre al naso piacevoli sensazioni di nocciola, mallo di noce e albicocca secca. Sorso caratterizzato da acidità evidente che mantiene la bocca pulita. Forse un po’ corto in bocca.

Barbeito VB – Lote 2 (cask 12 & 26), Medium Dry: blend di Verdelho e Boal che un po’ rompe la tradizione che vuole il vino monovitigno. Qua si riesce ad intuire la struttura dell’uva Boal (40%) e la freschezza del Verdello (60%). Naso interessante di noce, olio di mandorle, cera. Bocca di media lunghezza, fresca, elegante, chiusura su toni di legno pregiato.

Barbeito Boal – Old Reserve 10YO: quest’uva è sinonimo di struttura e grassezza. Naso caleidoscopico dove ritroviamo l’opulenza del caffè tostato, la cera, la crema di nocciola, il miele di castagno. Bocca glicerica ma non seduta, la freschezza è una caratteristica del Madeira che non rimane mai stucchevole. Grande persistenza finale.

Foto di Davide Cocco
Barbeito Malvasia 2000 – Single Cask 40°: vino con discreto residuo zuccherino. Ha aromi uva passa, canditi, frutta secca e una bella mineralità. Bocca elegante, misurata, più secca forse di una tipica Malvasia portoghese. Ottima la persistenza e la pulizia di bocca.

Barbeito Colheita 2002 – Canteiro – Single Cask 110 (my first Tinta Negra Single Cask): Ricardo Freitas, proprietario dell’azienda, ci dice che come per il Babeito VB, anche questo vino è una scommessa perché nessuno fino ad ora credeva nelle potenzialità dell’uva rossa Tinta Negra giudicata dai più buona solo per vini di basso rango. Come per il Pinot Nero nello Champagne, questo vitigno porta struttura e un naso giocato su aromi di caramella all’orzo, zucchero bruciato, noci dolci. Bocca di grande freschezza e scorrevolezza nonostante la tanta ciccia.

Barbeito Malvasia 20 YO – Lote 7199: la struttura del vino e la complessità gustativa cominciano a farsi estremamente interessanti. Naso resinoso, di erbe aromatiche, di cuoio, frutta secca, olii essenziali, cera per mobili antichi. Forse una punta di alcol che esce di troppo. Sento tantissimo il minerale vulcanico. Bocca dinamica, fervida, minerale. Grande corpo e grande persistenza finale.

Barbeito Malvasia 1920 (Private Collection from Favilla Vieira family): per la legge in vigore all’epoca questo vino ha subito un affinamento minimo di 20 anni anche se Ricardo ci assicura che è rimasto in botte per 90 anni. Come riporta l’etichetta questi grandi vini erano di proprietà di famiglie dell’isola che sceglievano di invecchiare il vino al fine di tramandarlo di generazione in generazione. Non sto a scrivere cosa significa odorare e bere un vino del genere, ogni descrittore che ci fa pensare al tempo che passa è abile e arruolato.

Barbeito Malvasia 1875 – My grandfather collection: avere tra le mani un vino di 150 anni è un’esperienza mistica, irripetibile, perchè vuol dire che hai in pugno la storia di tante persone che hanno amato questo vino talmente tanto da renderlo sacro e preservarlo da un mondo che cambiava e diventava sempre più profano. Un pezzo di storia che i miei sensi difficilmente dimenticheranno.

Foto di Davide Cocco

Fonte: Wikipedia e Diwine Taste

Rosso di Montalcino: rinviata l'assemblea per il cambio di disciplinare


Il mio corrispondente da Montalcino, dal nome top secret, mi ha appena informato che l'assemblea che avrebbe dovuto decretare la modifica del discliplinare del Rosso di Montalcino è stata appena rinviata.


 Notizia buona o cattiva?

Il vino in Toscana: è tutto oro quello che luccica?

Me la pongo spesso questa domanda, soprattutto a leggere cià che viene scritto alla vigilia delle tante anteprime del vino toscano dove, a ritmi frenetici, le varie agenzie di stampa stanno sfornando una serie di comunicati che cercano di dar lustro al vino italiano, toscano in primis.


Va tutto bene a Montalcino? Certamente sì visto che una ricerca condotta all’agenzia Klaus Davi & Co per la Frescobaldi ha confermato il Brunello di Montalcino come il vino più venduto nelle enoteche segnando, tra l’altro, un aumento delle esportazioni del 9% rispetto allo scorso anno. Ed ancora, secondo la classifica annuale delle 100 migliori bottiglie stilata dalla rivista americana Wine Spectator, il Brunello di Montalcino è sempre nelle prime posizioni dei vini migliori del mondo.
Sembra un mondo perfetto vero? Un mondo dove si dimentica che aziende come Antinori, Banfi, Pian delle Vigne, Fattoria dei Barbi Agricola Centolani (per irregolarità sul Rosso di Montalcino) e la stessa Frescobaldi hanno patteggiato pene per lo scandalo Brunellopoli.
Un mondo perfetto fatto di comunicati stampa rilasciati da un Consorzio che giudica le varie annate non secondo Natura ma secondo quel marketing che deve evitare che gli americani comprino altro quando il prodotto non è all’altezza.
Un mondo perfetto dove stanno attaccando il Rosso di Montalcino che, da bravo fratello minore, dovrà prendersi, speriamo di no, fino al 15% di quelle uve internazionali che qualcuno ha piantato e che non sa come far fruttare.


Vogliamo parlare del Chianti Classico? Il mondo perfetto vede un 2010 dal bilancio decisamente lusinghiero, che totalizza una crescita delle vendite che mediamente si attesta su un +21% rispetto al 2009. Un trend che fa ben sperare per il 2011 e che indica una ripresa che, se pure con tutta la prudenza del caso, sembra inarrestabile.

Se andiamo a parlare con i piccoli vignaioli, prendiamo ad esempio Paolo Cianferoni di Caparsa, ci accorgiamo che il mondo perfetto è anche fatto di tanta, troppa burocrazia, di tasse raddoppiate, di prezzi al ribasso per le uve, di inceneritori incombenti e di una manifestazione, il Chianti Classico Collection 2011, dove sarà possibile presentare un vino IGT per ogni azienda partecipante. Merlot e cabernet anche a Firenze per un evento che dovrebbe tutelare la tradizione e il buon nome della dicitura Chianti Classico. Effetto Montalcino?


Potrei continuare per un  bel po’ parlando del Nobile di Montepulciano sempre più vino da export (68% delle vendite all’estero nel 2009) e sempre più “assediato” dalla Ocm che non riporta la menzione «Nobile» tra le denominazioni, nonostante la docg senese fosse già presente nei precedenti regolamenti UE.
Oppure dell’Amarone? Sempre più uguale a se stesso e senza quella parolina “Valpolicella” che gli conferiva un minimo di territorialità.

Il mondo perfetto del marchio Italia che va a gonfie vele forse si è dimenticato del ministro per le Politiche Agricole, Giancarlo Galan, che pochi giorni fa ha dato notizia dell’approvazione del decreto che  consentirà il ricorso alla distillazione di crisi non soltanto per i vini comuni ma anche per le produzioni di qualità (vini a denominazione di origine e ad indicazione geografica), cui la misura era precedentemente preclusa, con l'impegno di procedere, nella campagna successiva a quella in cui si effettua la distillazione, alla riduzione di almeno il 20% delle rese della produzione coinvolta.

Qualcosa non mi torna!

Il Top delle guide dei vini 2011


Interessante articolo apparso su Civiltà del Bere che fa un sunto dei vari premii che le Guide del Vino hanno attribuito nel 2011. Leggiamo insieme.

L’ingresso di una nuova Guida, Slow Wine, attenta a territorio e ambiente, non cambia il panorama dei vini-top. Si confermano eccezionali Sassicaia e Riserva del Fondatore Giulio Ferrari. Al vertice anche Radici Taurasi Riserva e Barolo Le Rocche del Falletto
4 vini hanno ottenuto la citazione d’eccellenza su tutte le 6 Guide:
  • Campania: Mastroberardino Radici, Taurasi Riserva Docg 2004
  • Piemonte: Giacosa Bruno Le Rocche del Falletto, Barolo Riserva Docg 2004
  • Toscana: Tenuta San Guido Sassicaia, Bolgheri Sassicaia Doc 2007
  • Trentino-Alto Adige: Ferrari-Fratelli Lunelli Giulio Ferrari Riserva del Fondatore, Brut Trentodoc 2001
13 vini hanno ottenuto la citazione d’eccellenza su 5 delle 6 Guide
  • Abruzzo: Cataldi Madonna Luigi Tonì, Montepulciano d’Abruzzo Doc 2007
  • Basilicata: Fucci Elena Titolo, Aglianico del Vulture Doc 2008
  • Lombardia: Ca’ del Bosco Cuvée Annamaria Clementi, Franciacorta Docg 2003
  • Marche: Oasi degli Angeli Kurni, Igt Marche Rosso 2008
  • Piemonte: Conterno Giacomo Barolo Monfortino Riserva Docg 2002; Gaja Barbaresco Docg 2007; Sandrone Luciano Barolo Cannubi Boschis Docg 2006
  • Sardegna: Argiolas Turriga, Igt Isola dei Nuraghi 2006
  • Toscana: Isole e Olena Cepparello, Igt Toscana Rosso 2007; Petrolo Galatrona, Igt Toscana Rosso 2008; 
  • Trentino-Alto Adige: Cantina Caldaro Castel Giovanelli – Serenade, Goldmuskateller Alto Adige Passito Doc 2007; Foradori Granato, Igt Vigneti delle Dolomiti Rosso 2007
  • Veneto: Allegrini Amarone della Valpolicella Classico Doc 2006.


Nel placido mare delle Guide enologiche italiane irrompe un nuovo protagonista di non poco conto: Slow Food, che con la sua capillare rete di soci è stato capace, dopo la scissione dal Gambero Rosso con cui aveva firmato la Guida Vini d’Italia sino all’anno precedente, di realizzare e diffondere in pochi mesi una propria pubblicazione, complessa e basata sui principi storici del sodalizio di Bra, il cui slogan è “buono, pulito e giusto”. Ecco allora che ai vini-frutto, ai tre bicchieri, ai cinque grappoli… si affiancano i “Vini Slow”, bottiglie che oltre a una qualità eccellente hanno mostrato particolare attenzione a territorio, storia e ambiente. E le colonne del nostro Top delle Guide da cinque sono diventate sei.
 
Cominciamo col dire che, sebbene i criteri selettivi di Slow Food siano peculiari e abbiano individuato addirittura 243 etichette “esclusive” (quelli che noi definiamo cuori solitari, i vini eccellenti secondo una sola Guida), il nuovo vademecum enoico non ha creato notevoli sconquassi al vertice, e quindi i vini-top sono pressappoco quelli di sempre. 
Anche analizzando le etichette che hanno mancato l’en plein per un solo voto, non risulta che Slow Food abbia cambiato il panorama dei vini italiani più apprezzati. Si confermano al vertice la leggenda Sassicaia della Tenuta San Guido, annata 2007, e la Riserva del Fondatore Giulio Ferrari 2001 dell’omonima Casa spumantistica trentina; raggiungono l’ambito e raro plauso unanime anche la Riserva di Radici Taurasi Mastroberardino (2004) e il Barolo Riserva 2004 Le Rocche del Falletto firmato da Bruno Giacosa.
Anche per quest’edizione ci discostiamo dalle notizie date in anteprima da altre testate. Il sito di WineNews, ad esempio, comunicava che quest’anno un solo vino mette d’accordo tutte le Guide. È doveroso spiegare perché, dal nostro osservatorio, la situazione è un po’ diversa. Dipende tutto, onestamente, dai criteri di valutazione di Luca Maroni e dal peso che si vuole dare ai suoi punteggi. Il portale citato, probabilmente, ha utilizzato un primo elenco di Maroni, riguardante una selezione dei “migliori”, divulgato dalla LM edizioni a novembre. Però il critico romano sostiene che l’ottimo sia rappresentato dai vini-frutto, da lui inventati, che partono da 84/100. Sono moltissimi, 7.633, ed è per questo che, per rendere il giudizio “omogeneo”, cioè paragonabile a quello delle altre Guide, noi abbiamo ritenuto di includere nel Top delle Guide solo i Migliori vini pubblicati nell’Annuario di Luca Maroni che partono dai 90/100, e sono 465 (sono 390 i cinque grappoli, 402 i tre bicchieri, 415 i super tre stelle della Guida Veronelli ecc.). Inoltre, come spieghiamo a pag. 100, se un vino mette tutti d’accordo, tranne Maroni, ma è comunque un vino-frutto (da 84/100 in su), lo segnaliamo tra i top-wine.


Ecco quindi affiancarsi al Radici Riserva Mastroberardino (95/100) il Sassicaia, che ha collezionato tutti i giudizi di eccellenza dalle altre Guide e pure i 90/100 da Maroni. Infine, Le Rocche del Falletto di Bruno Giacosa e Giulio Ferrari Riserva, che sono vini-frutto anche se non entrano nel primo elenco diffuso dalla LM edizioni.
Solo quattro etichette, dunque, su 1.734 premiate dalle Guide hanno saputo accontentare tutti. Un gradino sotto, con il ragguardevole risultato di 5 eccellenze su sei Guide, ci sono 13 vini: il Montepulciano d’Abruzzo Tonì 2007 di Cataldi Madonna, l’Amarone 2006 di Allegrini, due Barolo, un Barbaresco, due SuperTuscan, un Franciacorta (la Cuvée Annamaria Clementi 2003 di Ca’ del Bosco), un Aglianico del Vulture, il marchigiano Kurni 2008, il Turriga 2006, il trentino Granato di Foradori e il passito altoatesino Serenade della Cantina Caldaro.
Per chi ama le statistiche, sommando i vini da 5 e quelli da 6 eccellenze scopriamo che rappresentano solo lo 0,98% dell’universo eccellente nel 2011; se vogliamo allargare l’osservazione sino a includere i vini che sono stati premiati da due Guide, essi sono il 22,09% del totale. Dunque il 77,91% delle etichette-top sono la scelta distintiva di una sola pubblicazione. 
Questo nostro censimento è tradizionalmente suddiviso in due capitoli: quello dei vini e quello delle aziende. La seconda parte consente di monitorare le scelte stilistiche, o strategiche se vogliamo, delle Guide, e di riflettere sulla produzione vinicola italiana in senso più ampio. Se le etichette-top sono quattro, le griffes che (anche per vini diversi) hanno messo tutti d’accordo sono nove: oltre ovviamente alle quattro che producono i vini citati sopra, si registra la presenza dell’abruzzese Masciarelli, della franciacortina Ca’ del Bosco, dei piemontesi Gaja e Sandrone, e della toscana Petrolo. Le cocche, le Cantine che presentano vertici di qualità solo per una Guida, sono 605 su 1.054 aziende, il 57,4%, un risultato ampio ma è evidente che sulla scelta dei produttori vinicoli da premiare c’è meno “dispersione” rispetto alle singole etichette.

 
Come sempre, il principe della soggettività è Luca Maroni: l’83,65% dei vini che hanno ottenuto un punteggio superiore ai 90/100 è sua esclusiva scelta non condivisa da nessun’altra Guida. Subito dopo, in questo senso, c’è la nuova Slow Wine, con il 60% circa di vini premiati solo da questa. In effetti, sono le due pubblicazioni che denunciano sin dalla prefazione un criterio di giudizio particolare: per Maroni l’indice del vino-frutto (con un suo assioma per cui un vino possa essere considerato tale) e per Slow Wine la pretesa di particolari attenzioni ambientali o etiche.
Come si sono comportate le Guide di fronte alle solite questioni regionali? Chi “vince” tra le due eterne contendenti (vedere tabella a pag. 114)? Il Piemonte. Con 354 vini eccellenti (il 20,4%) stacca la Toscana, che può vantarne 315 (il 18,16%). Una differenza di 39 può essere spiegata con il “peccato originale” di Slow Food, il cui cuore batte a Bra (Cuneo). Per la cronaca, l’anno scorso in testa c’era la Toscana con 25 vini di vantaggio, mentre il Piemonte aveva perso per strada 96 etichette-top. Insomma, quest’anno si è capovolta la situazione. Al terzo posto (131 vini, corrispondenti al 7,55% del totale) si conferma il Trentino-Alto Adige, regione piccola ma ad alta concentrazione qualitativa, grazie ai vignaioli del Sudtirolo, con i loro Pinot nero e Gewürztraminer, e ai sempre più amati e conosciuti Trentodoc. Al quarto il Veneto, 128 vini (7,38%). Fanalino di coda è il piccolo Molise, con 4 etichette eccellenti, una in meno di un anno fa.


Questo il quadro generale e se analizziamo le preferenze regionali Guida per Guida scopriamo che solo Luca Maroni mette la Toscana, anziché il Piemonte, al vertice ed è l’unico a dare particolare rilievo al Lazio (14 eccellenze). Inoltre, altra curiosità, mentre le pubblicazioni “spalmano” medaglie e premi tra tante regioni in maniera più o meno equilibrata, la Guida Veronelli è iperfocalizzata su Piemonte (135 vini eccellenti) e Toscana (121), cioè 256 su 415 vini premiati, forse per via del radicamento in queste regioni dei due curatori, Daniel Thomases e Gigi Brozzoni.
 
Nel nostro Top delle Guide, tra le varie informazioni pubblicate, non manca il numero di bottiglie prodotte di ciascun vino: non sono, a dire il vero, tutte “chicche introvabili”. Guardando il vertice (6 o 5 eccellenze) a parte tre (attorno alle 6.000 bottiglie) sono tutti vini oltre le 10.000 bottiglie e il Sassicaia 220.000. Quest’ultimo è decisamente una Blue Chip del vino, come abbiamo definito le etichette pluripremiate a grande diffusione. Ne abbiamo estratto una tabella (pag. 106), per rendere onore a chi riesce a coniugare quantità e qualità. Quest’anno il Marina Cvetic S. Martino Rosso (400.000) scalza dalla vetta il Tignanello (340.000). Terzo nella classifica delle Blue Chips è il Duca Sanfelice Cirò Riserva di Librandi (300.000).


Fonte: Civiltà del Bere

Il pane cunzato di Scopello. Abbasso i gastrofighetti!


Scopello è davvero magnifica, soprattutto a Gennaio quando non c’è la folla di Agosto che priva il pittoresco golfo di Castellammare di tutta la sua magia.
Scodello è un piccolo borgo sorto verso la fine del settecento attorno al baglio, sul sito di un precedente casale arabo. In basso, nella stupenda cala limitata dai faraglioni e protetta da vecchie torri di avvistamento, si trova la tonnara, conosciuta da tempo immemorabile (è citata in documenti del 1200) ed attiva fino a pochi anni addietro, con il baglio, gli edifici e i magazzini dove si possono ammirare le muciare, i palischermi, i caicchi, le sciabiche, tutte imbarcazioni utilizzate per la pesca del tonno, e la deliziosa chiesetta.  Visitare questi posti merita il viaggio in Sicilia.

La tonnara di Scopello
Passeggiando per le poche viuzze di Scopello sarà facile trovare il post per cui tanti turisti, e non solo, giungono da queste parti: l’antico forno. Qua il tempo sembra essersi fermato perché tutto richiama la tradizione contadina siciliana e il gastrofighettismo è lontano anni luce.
Questo piccolo localino artigiano è famoso per il suo pane, non un prodotto imbellettato con odori o colori chic, ma un pane “semplice”, caldo, con una bella crosta marrone e la mollica che ti parla di giusta lievitazione. Chi lo desidera, e cioè tutti i clienti, possono richiedere il famoso pane cunzato: il filone di pane viene tagliato a metà in senso longitudinale e condito con olio, sale, origano, pomodoro a fette, scaglie di formaggio e acciughe; viene quindi ricomposto e poi diviso in varie porzioni che l'acquirente comprerà. Porzioni grandi come la sua bontà.



Prima di servirlo, se il cliente lo desidera, la porzione di pane cunzato viene messo in forno per pochissimo tempo affinché si riscaldi. Una volta fuori dal negozio la cosa più mistica che possiamo fare è mangiare il panino all’ombra di bellissimi alberi di fichi all’intendo in un piccolo cortile antistante il forno.  Ovviamente potete anche farvi incartare il pane cunzato per poterlo consumare in una delle meravigliose spiagge della zona o in uno dei luoghi deputati al pic-nic all’interno della vicinissima riserva dello Zingaro.


Come da foto, una porzione di questa bontà costa due euro e mezzo. Con una birra arriviamo a circa 4 euro. Alla faccia dei gastrofighetti di Tricolore!


Il futuro del vino secondo Robert Parker


Il noto guru del vino durante lo scorso "Boroli Wine Forum”si è lasciato andare ad una serie di spunti di riflessione sul futuro del vino mondiale.

  
Robert Parker ha ipotizzato dieci scenari:
  1. l’utilizzo dei siti specializzati diventerà di uso comune, diffondendo in maniera più democratica ogni genere di informazione; 
  2. scoppieranno vere e proprie guerre per aggiudicarsi i vini migliori: grazie alla pressione dei nuovi mercati come Asia, Sud America e Europa centrale e dell’Est, una cassa di grande Bordeaux che oggi costa 4.000 dollari toccherà i 10.000; 
  3. la Francia avrà un ridimensionamento: la globalizzazione del vino avrà conseguenze disastrose per questo Paese, e se il 5% dei produttori continuerà a mettere sul mercato vini top, molti falliranno; 
  4. i tappi spariranno: entro il 2015 la maggioranza delle bottiglie non avrà più tappi di sughero ma tappi a vite; 
  5. la Spagna sarà la nuova star dell’industria e, sempre entro il 2015, le regioni più quotate saranno Torno, Jumila e Priorat; 
  6. esploderà il Malbec: tra 10 anni la grandezza dei vini argentini prodotti con uva Malbec sarà riconosciuta da tutti;
  7. la Costa Centrale della California governerà l’America, e la regione di Santa Barbara soppianterà la Napa Valley; 
  8. il Centro-Sud Italia aumenterà di prestigio: Umbria, Basilicata, Sardegna e Sicilia diventeranno sempre più famose; 
  9. ci sarà un numero sempre maggiore di buoni vini e buon prezzo, soprattutto di produzione europea e australiana; 
  10. la parola d’ordine sarà diversità: avremo vini di qualità dai Paesi più inaspettati come Bulgaria, Romania, Russia, Messico, Cina, Giappone, Turchia, Libano e, forse, perfino dall’India.

Saremo pronti a bere il vino cinese o russo che, ancora oggi, riscontra notevoli problemi di sofisticazione? Le piccole cantine della Basilicata potranno reggere il passo con i mercati internazionali? E' la fine del vino artigianale?

A voi la parola!

Vini Naturali a Roma 2011: piccolo appunti di degustazione


Premessa: nel vino, a mio modesto parere, non c’è differenza tra naturale e convenzionale, l’unica cosa che conta è la bontà del prodotto finale, caratteristica che spesso si può ritrovare in entrambe le categorie senza farne una questione ideologica. Detto ciò è anche vero che nella categoria dei “naturali” spesso si ritrovano molti dei produttori più interessanti del panorama enologico italiano, gli stessi che lo scorso fine settimana hanno animato la terza edizione di Vini Naturali a Roma.

La sala prima dell'affollamento
Butto giù qualche appunto di degustazione preso tra la folla (a proposito serve un cambio di location) di sabato:

Bonavita

Rosato 2010: bella scia fresca, mediterranea, in bocca è leggiadro, sinuoso, balsamico. Da aspettare perché appena imbottigliato.

Faro 2007: piccolo grande vino dotato di straordinario equilibrio gustativo caratterizzato da una scia aromatica giocata sull’eleganza floreale, la fervida mineralità e la bella potenza del frutto mediterraneo.

Bonavita
La Visciola

Ju Quartu 2009: il loro primo cru di Cesanese. Prodotto da uve in regime biodinamico da un anno. Sorprende per il colore rubino scarico, quasi granato, e per l’impatto aromatico legato alla frutta rossa croccante e le spezie. Bocca magra. Buona bevibilità.

Vignali 2009: secondo cru di Cesanese da vigne in regime biodinamico da circa tre anni. Naso più profondo del precedente e, soprattutto, bocca più fervida e coerente.

Vigna Mozzatta 2009: terzo cru di Cesanese da vigne in biodinamica da sempre. Naso giocato su sentori di frutta rossa croccante a cui si aggiungono la mora di rovo e tutta una serie di ritorni di spezie e radici. Bocca fresca, ampia, forse manca un po’ la progressione finale a questi vini.

Camillo Donati

Malvasia Secco Frizzante 2009: potrebbe essere scambiata per una birra artigianale moderna. Anche lo stesso produttore ama chiamarla così. Naso agrumato, lievitoso. Bocca dinamica, fresca, retrogusto amarognolo. Un vino estivo.

Il mio Trebbiano 2009: naso che mi ha ricordato, da lontano, un vecchio Valentini. Leggermente ridotto, si apre tra mineralità e frutta. Bocca fresca che forse scappa via un po’ troppo presto.

Campi di Fonterenza

Le candide gemelle Padovani non devono trarvi in inganno perché dietro quei tratti gentili nascondono una forza senza pari. La stessa che ritrovo nei loro vini.

Rosso di Montalcino 2008: è un pugile, diciamo un mediomassimo, che sorso dopo sorso vince liberando tutta la sua forza interiore.

Brunello di Montalcino 2006: anteprima dell’Anteprima. Floreale, balsamico, ha una bocca ancora irriverente e rustica che dovrà essere domata da un bravo circense.

Podere Le Boncie

Chianti Classico Le Trame 2007: nota di riduzione che nascondono una trama olfattiva fatta di fiori rossi, frutta e tante spezie gialle. Noce moscata su tutte. Bocca appagante ed elegante.

Chianti Classico Le Trame 2008: difficile non dire che si tratta di un altro piccolo capolavoro di Giovanna Morganti.

Ar.Pe.Pe

Stella Retica 2000: naso profondo, minerale, con accenni di violetta, erbe di montagna e frutta croccante. Bocca matura, piena, manca un po’ di scatto a centro bocca. Chiude sapido, minerale, con una scia finale di grande freschezza.

Alessandro Dettori
Tenute Dettori

Dettori 2007: è l’archetipo del Cannonau di Sardegna che piace ad Alessandro Dettori. Potente, con i suoi 18%, è un vino che stupisce letteralmente per la freschezza che stempera la nota alcolica e che permette di bere una bottiglia senza problemi. Piccolo capolavoro di territorio.

Moscadeddu: grande vino che fa venire in menti i colori gialli del mediterraneo.

Foradori

Vigneto Sgarzon 2009: rinasce il vino da questo vigneto storico. Questa annata è quasi virtuale, prodotta solo un magnum. Teroldego affinato in anfore. Foradori come Gravner? I risultati sono sorprendenti

Giovanni Montisci

Barrosu Riserva 2008: basta dare uno sguardo alla vecchia vigna ad alberello di Giovanni per capire che il suo Cannonau è il frutto dell’immutata cultura contadina di Mamoiada, provincia di Nuoro. 

Barrosu Riserva 2008
‘A VITA

'A VITA - Cirò Rosso Classico Superiore 2009: come trasformare in succo emozionale l’anima elegante del Gaglioppo. Grazie Francesco.

San Fereolo

San Fereolo Dolcetto 2007: Tanto complesso ed armonico che, mentre lo bevi e ti rimetti a pace col mondo, pensi:”Ma quelli di prima che erano?”.

Ciro Picariello

Fiano di Avellino 2007: l’archetipo del Fiano per me ed un esempio per tutta la viticoltura campana.

Zì Filicella 2008: da vigne centenarie di Aglianico nasce questo vino dalla bocca tutt’altro che austera e che, grazie ad un tannino vellutato, riesce a farsi bere a secchi. Magari non sarà la massima espressione del vitigno però…me piace!

Nino Barraco

Catarratto 2006: grande espressione di come questo vitigno può evolvere nel tempo. Sapido e fresco al punto giusto. Bravo Nino che continui a crederci.

Due noti ricercati del web!
Stella di Campalto

Rosso di Montalcino 2008: un piccolo grande sangiovese che spicca per freschezza fruttata e verace tannicità. Ancora giovanissimo ma promettente come un piccolo Beethoven.

Brunello di Montalcino 2005: l’annata non sarà delle migliori ma Stella come al solito riesce alchemicamente a trasformare il metallo in oro. Naso che ricorda un prato di fiori rossi. Vino profondo ed intenso che ha smaltito molto del legno che lo segnava appena uscito. 

Segnalo il blog di Daniela Senza Panna che parla dell'evento!


Gli American Wine Blogger alla conquista dell'Italia. E noi?


Mi candido fin da ora: wine blogger italiano cerca cantine californiane per giro di degustazioni e scoperta dell territorio. In cambio offro tanti articoli sul vino. Magari ce cascano, come si dice a Roma....

Tutto questa inutile ed ironica premessa iniziale è legata alla notizia, apparsa su WineNews, relativa alla decisione del Consorzio dei Colli Orientali del Friuli-Ramandolo di invitare a casa propria sei tra i più conosciuti bloggers del vino statunitensi. 
Jeremy Parzen, Samantha Dugan, Alfonso Cevola, David McDuff, Nicolas Contenta e Wayne Young, gireranno in lungo e in largo tra le cantine dei Colli Orientali, dal 7 all’11 febbraio. E, soprattutto, scriveranno. I “magnifici sei” pubblicheranno impressioni e recensioni sul blog creato appositamente per questo evento e che, negli Stati Uniti, ha già suscitato interesse e registrato numerose visite. (info: www.cof2011.com).


La “democratizzazione” dei media su internet - sottolinea il presidente dei Colli Orientali, Pierluigi Comelli - ha fatto crescere in maniera esponenziale il numero di blog che si occupano di vino (sono oltre 220 solo quelli in lingua inglese). Per le cantine con piccoli budget promozionali, si tratta di un’opportunità importante per farsi conoscere nel mondo, spendendo pochissimo”.
Jeremy Parzen, che gestisce il blog Do Bianchi (dobianchi.com) è segnalato all’interno dei 10 top wine blogs mondiali in lingua inglese. Parla principalmente di vini italiani, non tralasciando il cibo e il contorno storico culturale. Do Bianchi, che spesso tocca anche il migliaio di contatti giornalieri, cerca di offrire “una prospettiva umanistica nel mondo del cibo e del vino italiano”. 

Samanta Dugan
Anche i blog di Samanta Dugan, Samantha Sans Dosage (sansdosage.blogspot.com); David McDuff, McDuff’s Food and Wine Trail (mcduffwine.blogspot.com) e Alfonso Cevola, On the Wine Trail in Italy (acevola.blogspot.com), appaiono tra i primi 50 wine blogs del mondo nella speciale classifica di www.postrank.com. Wayne Young fa parte dello staff dell’azienda Bastianich, mentre Nicolas Contenta è una giovane blogger che, con il suo stile liberale e spiritoso, è capace di sintonizzarsi con i “nuovi” consumatori. 


E' chiaro che tutto ciò impone al wine blogger italiano una serie di riflessioni. Anzitutto mi domando cosa ci stiamo a fare, che ruolo abbiamo, se davvero siamo utili alla causa del nostro amato Paese, se realmente siamo efficaci nel raccontare la cultura enologica del nostro territorio oppure, come spesso accade, siamo considerati solo carne da macello buona solo per incrementare la polemica  italiana?
Il fatto che vengano gli americani mi spinge a pensare che la lingua italiana abbia dei limiti di comunicazione, dovremmo iniziare a scrivere in inglese o spagnolo ma, alla fine, realmente il vino italiano, quello diversamente Banfi o Casanova di Neri, è conosciuto ed apprezzato al di fuori del nostro confine?
A qualche asiatico interessa Ka Manciné? Sa cos'è  il Rossese di Dolceacqua? O meglio che sull'etichetta ci sia scritto Lafite e chi si è visto visto?
Il discorso potrebbe essere vasto, potrei andare avanti per ore. Non c'è scoramente in me ma tanta voglia di andare avanti ed essere utile al vino della mia Terra. Signori noi siamo qua, gratis, avanti usateci!

Prosit a Roma: un viaggio nella storia del cibo e del vino


Pubblico il comunicato stampa di questa bella iniziativa portata avanti da amici sommelier.



Del grande patrimonio culturale che la civiltà classica ci ha lasciato, e che tutt'ora informa la nostra vita civile e quotidiana, forse ciò che più difficilmente possiamo rivivere  è quel complesso di profumi e sapori che formavano la grande tradizione gastronomica dell'antichità. Per questo, circondati da omologanti manifestazioni e promozioni in tema di vino e cibo, noi dell'Associazione Romana Sommelier abbiamo pensato che il tentativo di un recupero, onesto e corretto, di quel patrimonio potesse costituire una sfida con la quale cimentarsi, nel tentativo di ricreare quei sapori e quei profumi che le fonti letterarie antiche ci suggeriscono.
Per questo abbiamo ideato PROSIT, evento manifestazione che desidera non solo ricostruire sperimentalmente le principali bevande a base di vino prodotte nell'antichità greco-romana, ma anche e soprattutto promuovere quei prodotti enogastronomici artigianali del territorio laziale e romano che costituiscono, assieme alla vocazione turistica, l'originalità culturale della città di Roma.

Abbiamo quindi pensato di articolare la manifestazione secondo il modello del viaggio. Un itinerario che permetta al degustatore, all'appassionato, al socio e a colui che desideri diventarlo, o anche al semplice curioso, l'avvicinamento a quel caleidoscopio di sapori e profumi che caratterizzava il vino nell'antichità. Per questo PROSIT è strutturata come esperienza polisensoriale: accanto alle bevande più diffuse nell'antichità e nel medioevo, totalmente inusuali per il palato moderno come il mulsum o l'idromele, le aziende vitivinicole partecipanti consentiranno la degustazione dei vini con i quali quelle bevande sono ottenute, mentre l'assaggio dei prodotti gastronomici d'eccellenza (miele, salumi, formaggi, dolci, olii ecc.), presentati dai produttori stessi, continuatori di quelle antiche tradizioni preparatorie, e dei piatti dell'antica tradizione romana sarà accompagnato da musica e immagini che contribuiranno a ricreare la dimensione del viaggio temporale.

Desideriamo ricordare che PROSIT è un evento  ideato e realizzato dall’associazione culturale  ARS (Associazione Romana Sommelier),  con  il patrocinio dell’ARSIAL, la collaborazione  delle Biblioteche di Roma, dell’ASICIAO  e del Museo Virtuale 3DRewind Rome, che si svolgerà sabato 5 e domenica 6 febbraio 2011, dalle 15.00 alle 20.00, nei Saloni di Palazzo Brancaccio, ambiente altamente evocativo collocato nel cuore di Roma.