Lo Champagne Armand de Brignac torna a far parlare di sè


Si è fatto conoscere dal grande pubblico qualche anno fa grazie a Jay-Z che gli ha fatto una gran bella pubblicità all'interno del video "Show Me What You Got".


Era il 2006 e il noto rapper aveva appena rotto il suo sodalizio con Louis Roederer (ed il Cristal) dopo aver ritenuto razzista un'intervista di Frédéric Rouzaud, direttore della storica Maison, che sulla pagine del settimanale "The Economist" aveva espresso la sua opinione sul binomio champagne/cultura hip-hop tanto di moda a quei tempi.
Dopo quasi cinque anni il nome Armand de Brignac torna di nuovo sulle cronache dei principali wine blog non tanto per la sua comprovata bontà, tutta da decifrare, quanto per l'ennesimo evento mondano a cui il marchio francese si è legato. 

A Las Vegas, in occasione della festa di Capodanno del campione UFC dei pesi massimi Cain Ramirez Velasquez, è stata infatti venduta, per la cifra record di 100.000 dollari, una bottiglia da 30 litri (36 Kg di peso) del famigerato Brut Gold Armand de Brignac. 


Il Brut Gold pare sia la colonna portante della casa vinicola francese. Nato per l'inaugurazione della casa di moda Andrè Courrègues, il Brut Gold è una bottiglia rivestita da una lamina dorata, decorata con quattro etichette di peltro che vengono attaccate a mano sulla superficie, poi avvolta in un vellutato cuscinetto con il simbolo dell'Armand de Brignac. Il Brut contiene una miscela multi-vendemmia composta per il 33% da Chardonnay, 33% da Pinot Nero e 33% da Pinot Meunier.

Ah, per chi ama i concorsi, la rivista “Fine Champagne” ha recentemente eletto il Brut Gold  il migliore champagne del mondo, tra una selezione di oltre 1000 case vinicole.

Beaufort, dove sei? Mi manchi!!!

James Suckling e il Brunello 2006


Che si trattasse dell’ennesima annata del secolo non avevo dubbi, la cosa che ancora ignoravo è che James Suckling somiglia tremendamente a Brunetta in biondo.

Nella foto Suckling che degusta il Brunello con il proprietario di Valdicava....

La foto terribile è tratta dal blog del noto critico che questa volta ci delizia con una serie di constatazioni sul Brunello 2006 che, come sappiamo, vedrà l’anteprima il prossimo Febbraio a Montalcino.
Visto che l’articolo è in inglese cercherò di riassumere brevemente le principali “chicche” sparate dal buon James.

Dopo circa 140 degustazioni Suckling ha notato che il Brunello di questa annata sembra cambiare nel bicchiere trasformandosi in un vino dai caratteri ricchi e scuri come solo un grande Pinot Nero sa fare….


Degustando assieme a Giacomo Neri il Brunello Tenuta Nuova 2006 ha potuto constatare con  meraviglia che il colore del vino passava da un viola brillante ad un porpora più scuro ed intenso. Una volta decantato il vino è come se fosse uscito il genio della bottiglia…

Vabbè, direte voi, si sa che Casanova di Neri ama i sangiovese ricchi e scuri…

Il vero sballo arriva dopo quando il nostro critico indipendente, invitato a casa della famiglia Frescobaldi, scrive che il vice presidente dell’azienda, il dottor Lamberto Frescobaldi, gli ha confidato che il Brunello 2006 rappresenta la migliore espressione di sangiovese che la sua famiglia ha prodotto fin da quando produce vino (700 anni…!!).

Lamberto Frescobaldi avrà anche esagerato ma, proprio perché  si è sbilanciato così tanto, Suckling attribuisce al loro Brunelllo ben 100 punti!!

E 100 punti pure a Casanova di Neri, visto che il suo Brunello è cangiante e hanno visto anche il genio.

La cosa che mi chiedo è: non è che il Brunetta mesciato si è lasciato un pochino prendere la mano? I pranzi con i produttori possono essere fuorvianti per i giornalisti indipendenti...


Le donne forti del vino: Alessia Capolino Perlingieri


Forti, dinamiche, risolute, le donne del vino dell’ultima generazione sono davvero una forza. Marina Cvetic, Cinzia Merli Campolmi, Maria Pia Berlucchi, Elena Fucci, Silvia Maestrellli, Elena Martusciello, Donatella Cinelli Colombini sono le punte di diamante di una squadra tutta al femminile che da qualche tempo può vantare anche la presenza della meridionale Alessia Capolino Perlingieri che, dopo una brillante carriera nel mondo della finanza milanese, ha deciso di far ripartire da zero l’azienda di famiglia costretta a chiudere nel 1992, quando si chiamava Volla, nonostante i tanti riconoscimenti avuti.

La Masseria sede dell'azienda
Ci troviamo nel Sannio beneventano, a Castelvenere, e Alessia ci aspetta nel cortile della sua splendida masseria fortificata, oggi finemente restaurata, che un tempo fungeva da ex stazione di posta per i cavalli.
La grande volontà di riportare le cose ai fasti del passato e l’aiuto di Stefano Chioccioli in cantina hanno dato nuova linfa all’azienda che, negli ultimi 15 anni, ha acquisito via via nuovi terreni e costruito una moderna cantina, raggiungendo attualmente l’estensioni di circa 40 ettari di cui circa 22 a grano, 13 a vigneto e 5 a ulivo.
I vigneti si trovano a Solopaca, ad un’altitudine compresa tra i 200 e i 300 metri, e su terreni prettamente argillosi Alessia coltiva solo uve autoctone che comprendono varietà a bacca bianca (Greco, Falanghina e Fiano) e varietà a bacca rossa (Aglianico, Piedirosso, Sangiovese e Sciascinoso).

La delegazione campana delle donne del vino. La prima a sx é Alessia. Foto tratta dal blog di Pignataro.
Durante il nostro mini tour abbiamo potuto apprezzare sia la cantina, completamente interrata e dotata, di tini troncoconici di legno di Allier, per la fermentazione dei rossi,  e dei classici fermentino di acciaio per i bianchi, sia la vecchia bottaia che è stata abilmente ristrutturata e che si trova appena sotto il pavimento della casa di Alexia.
Alessia Capolino Perlingieri ha una gamma di vini davvero interessanti e territoriali ma, se dovessi consigliarvene uno, la scelta almeno per me pare scontata: bevete lo Sciascì.


Due vitigni, sangiovese (60%) e sciascinoso (40%) che creano un’alchimia enologica di grande impatto, struttura e carica aromatica che si fondono dando vita ad un vino fatto di guizzi floreali e vinosi che al gusto rimane più fruttato e gradevolmente rustico, un mix che a me piace da impazzire e che rende la bevuta sincera e senza troppi fronzoli.


Vecchie annate? No, grazie!


Interessante l'indagine realizzata da WineNews.it che ha tastato il polso delle vendite delle vecchie annate di vino all'interno delle principali enoteche italiane.
Secondo la ricerca gli italiani  continuano a preferire vini non più vecchi di cinque, massimo dieci anni.

“In Italia, c’è ancora grande confusione - spiega Francesco Trimani della famosa enoteca di Roma - su questo tema. Si confondono i vini da asta, i vini maturi, le vecchie annate e i vini da collezione. Noi abbiamo da qualche tempo cominciato a sperimentare la vendita di vini maturi da bere, non necessariamente dai prezzi stellari. Se, per esempio, affianchiamo ad un Chianti Classico 2006 o 2007, le annate oggi in commercio, sei o sette annate precedenti, il consumatore sembra gradire questo tipo di possibilità e comincia anche a comprare millesimi più vecchi”.
 
Le vecchie annate sono un prodotto che trattiamo soltanto marginalmente - afferma Paola Longo dell’Enoteca Longo di Legnano (Milano) - e solamente nei casi in cui ci è richiesto espressamente per occasioni quali i compleanni”. 
Non ho notato - sottolinea Maurizio Cavalli dell’Enoteca Cavalli di Parma - un aumento recente di interesse né tanto meno un aumento di vendite di bottiglie di vecchie annate. La mia enoteca è specializzata in bollicine e su questa tipologia bottiglie di dieci, quindici anni si vendono piuttosto bene, ma si tratta di una tipologia particolare. Altra storia è se parliamo, per esempio di un Barolo di 30 anni. In questo caso - conclude Cavalli - le richieste sono decisamente minime”.
 
Mi sembra di notare piuttosto una tendenza contraria - afferma Nicola Picone, patron dell’Enoteca Picone di Palermo - un aumento cioè della richiesta di vini sempre più freschi, di facile beva e poco impegnativi. Insomma, le vecchie annate non sono propri prese in considerazione”. 
Anche per Roberto Canali dell’Enoteca Beresapere di Perugia la vendita di bottiglie di vecchie annate è “decisamente marginale e riservata soltanto a pochissimi intenditori”.
Il mercato dei vini costosi è in crisi - afferma Pio Daniele De Lorenzo dell’Enoteca Nuvola di Foggia - e, quindi, la richiesta di annate molto vecchie è debole se non quasi inesistente anche per vini come Barolo e Brunello. Se mai vengono ricercate vecchie annate di Amarone, ma, sostanzialmente, sono una quota di vendita del tutto marginale”. 


La vecchia annata, evidentemente, rappresenta, nel caso che non sia conservata in modo adeguato un rischio e, peraltro, un rischio molto spesso assai caro. E’ un po’ questa semplice constatazione che guida le parole di Giovanni Valentini dell’Enoteca Valentini che si trova nella Repubblica di San Marino: “non esiste una richiesta specifica verso le vecchie annate, ancora sentite come bottiglie “rischiose”. Solo per i compleanni qualcuno ci chiede una bottiglia di quaranta o trenta anni di età”. 

Non mi sembra - spiega Francesco Bonfio dell’Enoteca Piccolomini di Siena e presidente di Vinarius, l’associazione che raccoglie la maggioranza delle enoteche italiane - che ci sia una particolare attenzione per le vecchie annate. E’ un tipo di mercato che va un po’ al di fuori di quello delle enoteche. Si trova soprattutto su internet ed è animato da una ristretta elite. Continua, invece, la richiesta della bottiglia legata all’anno di nascita, ma è un fenomeno marginale”. 

Vecchie annate? Ce le chiedono soltanto per i compleanni - sbotta Gianni Sarais dell’Enoteca Le Cantine Isola di Milano - non vedo francamente un aumento di richiesta di vini di vecchie annate. Se mai aumenta la richiesta di prodotti di tre o cinque anni al massimo”. 


C'è sempre l’eccezione che conferma la regola: “sì le richieste di annate vecchie, parlo di vini anche di trenta anni, sono aumentate, di pari passo con l’aumento della competenza dei miei clienti. Soprattutto, sono i vini francesi a ricevere maggiori richieste. Ma - conclude Luca Ghiotto dell’Enoteca Soavino di Soave (Verona) - anche se in espansione, si tratta sempre di una richiesta che proviene da una nicchia”.

Ma, concludo io, se le annate vecchie non si vendono non sarà perchè, più dell'ignoranza dei clienti,  i prezzi di vendita di queste bottiglie sono alle stelle? 

Fonte: Winews.it

Percorsi di...sapori trapanesi: ad Erice da Maria Grammatico


Oggi mi trasformo in food blogger e vi parlo un po’ delle delizie enogastronomiche della provincia di Trapani.
Iniziamo il viaggio da Erice, città mitica, si dice fondata da esuli troiani, posta sulla vetta dell’ omonimo Monte Erice, il nome deriva da Erix un personaggio mitologico, figlio di Afrodite e di Boote, ucciso da Ercole.
Ad Erice la visita comincia dalla Chiesa Madre, dedicata alla Vergine Assunta, che venne fatta costruire da Federico d’Aragona nel XIV sec. a scopo difensivo, come si può ben notare dalle forme massicce e dai merli che la decorano. La facciata presenta un rosone e un portico gotico aggiunto più tardi. L'interno è in stile neogotico. La torre campanaria si erge solitaria sulla sinistra, suddivisa in diversi livelli aperti da feritoie e belle bifore in stile chiaromontese.

Chiesa Madre

La torre
A qualche centinaia di metri dalla Chiesa, su Via Vittorio Emanuele, sorge uno dei tempio del gusto siciliani: la pasticceria Maria Grammatico.
Questa piccola grande donna ericina, classe 1940, ha una storia tutta particolare che vale la pena di far conoscere: all'età di undici anni entra al San Carlo, un istituto religioso di monache di clausura, che per sopravvivere ai duri anni del dopoguerra, produceva e vendeva dolci e biscotti preparati secondo antiche ricette. Maria rimane a lungo nel convento e nel frattempo, spiando le monache al lavoro, impara la loro antica arte pasticcera.

Maria Grammatico
Abbandonato il convento Maria decide di utilizzare quanto appreso e crea dapprima un negozietto provvisto soltanto di un forno a legna e, dopo lunghi anni di sacrifici, apre l’attuale pasticceria in via Vittorio Emanuele, seguita dopo qualche tempo dall'apertura della "Antica pasticceria del Convento", situata all'angolo della Piazzetta San Domenico.
Il suo piccolo laboratorio di pasticceria è rimasto quello di un tempo e, all’interno delle antiche vetrine in legno, c’è da perdersi tra frutta di marturana, mostaccioli, agnelli pasquali, dolci al liquore, cannoli e dolci di badia.





I dolci più popolari di Maria, e il mio palato ha capito ben presto perché, sono le Genovesi appena sfornate. Alla vista sembrano mini dischi volanti ripieni di crema pasticcera anche se i più esperti dicono che siano molto simili ai “minni di virgini” palermitani o le Panarelline di Genova che altro non sono se non tortine simili a queste (non solo nell’aspetto) ripiene di crema allo zabaglione.


La storia della vita di Maria Grammatico è stata raccontata in alcuni libri come "Bitter Almonds", scritto da Mary Taylor Simeti (pubblicato da William Morrow and Company Inc. di New York) e tradotto in italiano con il titolo di "Mandorle Amare" pubblicato da Flaccovio Editore, oppure in "Le Siciliane" di G. Pilati. All’interno di questo prezioso libro possiamo trovare ricetta interessante come quella per fare in casa le Genovesi. 

Prendete carta e penna.

Riscaldare il forno a 220° C.
Con le mani rotolare la pasta in salsicce di due cm di diametro. Tagliare in pezzi lunghi 8 cm, e stendere ciascuno con il matterello per formare rettangoli di 15 x 10 x ½ cm circa. Mettere 2 cucchiai di crema su metà d’ogni rettangolo, ripiegare l’altra metà, e premere tutto attorno ai bordi con le dita. Tagliare a cerchietto con uno stampino, un bicchiere o un tagliapasta. Posare su una teglia a distanza di circa 2,5 cm. Dorare nel forno circa 7 minuti.
Trasferire su una griglia e spolverare con zucchero a velo. È preferibile mangiarle mentre ancora tiepide.
Resa: circa 16 paste. 

Per la pasta frolla 
La pasta frolla varia da cuoco a cuoco, soprattutto per quanto riguarda la quantità del grasso impiegato e la leggerezza o pesantezza che ne consegue. Quella di Maria, ricca senza essere pesante, si presta sia alle genovesi che alla crostata con ottimi risultati.
250 g di farina di grano duro
250 g di farina tipo 00
200 g di zucchero
200 g di burro o margarina, tagliato a pezzi
4 tuorli d’uovo
Qualche cucchiaio di acqua fredda
Mescolare le due qualità di farina e lo zucchero in una terrina grande. Aggiungere i pezzetti di burro e incorporare con una lama da pasticceria o con due coltelli. Incorporare i tuorli uno alla volta, e aggiungere tanta acqua quanto basta perché la pasta si riprenda. Versare su una superficie infarinata e formarne una palla. Maneggiare la pasta il meno possibile, altrimenti la pasta verrà dura. Avvolgere la palla con la pellicola e lasciarla riposare in frigo per almeno 30 minuti prima di stenderla. La pasta cruda si mantiene per una settimana nel frigo o per un mese nel freezer. Questa ricetta è sufficiente per foderare una teglia di 28-30 cm in diametro. 

Per la crema pasticcera 
Questa crema, semplice e delicata, serve soprattutto come ripieno per le genovesi, ma Maria l’adopera anche per crostate.
2 tuorli d’uova
150 g di zucchero
40 g amido (di grano o di mais)
½ litro di latte
Buccia di mezzo limone, grattugiata
In un tegame pesante, sbattere insieme i tuorli e lo zucchero con una frusta. Sciogliere l’amido in mezzo bicchiere del latte, poi aggiungerlo al latte rimanente, mescolando bene. Versare il tutto lentamente nel tegame con i tuorli, mescolando bene con la frusta.
Cuocere a fiamma bassa, mescolando continuamente, per 10-12 min. finché non diventi molto spesso, come un budino. Incorporare la buccia grattugiata.
Versare in una terrina e coprire con la pellicola, facendo si che la pellicola posi direttamente sulla crema, e lasciare raffreddare. Conservare in frigo per un massimo di 3 giorni. Se si dovesse separare, lavorare con la frusta finché non torni omogenea.
Resa: mezzo litro circa.


Se  non vi sentite troppo appesantiti dalla grande abbuffata di dolci ericini potete continuare la vostra passeggiata fino ad arrivare al Castello di Erice dal quale si può godere una splendida veduta che spazia dalla città di Trapani e le sue saline all’arcipelago delle Egadi ed attraverso l’agro ericino fino a Capo San Vito. Il castello venne fatto costruire nel XII secolo dai Normanni sulle vestigia di un preesistente tempio dedicato a Venere Ericina. 
Il maniero è protetto da possenti mura e da torri più avanzate, note come Torri del Balio, e i numerosi rimaneggamenti che lo hanno interessato nei secoli non hanno purtroppo conservato la costruzione fortificata originaria. Nel recinto del tempio ancor oggi esistente, divenuto coi Normanni la sede del Governatore, si riunivano i naviganti e tutti coloro volessero ingraziarsi Venere. 
Il cortile, o Themenos, è oggi tornato alla luce dopo il crollo di parte della fortezza normanna. Molto suggestiva anche la cordonata a gradoni della parte alta della roccaforte, da attribuirsi ad Antonio Palma nel Seicento.


Fonti: www.civiltaforchetta.it, www.mariagrammatico.it, www.wikipedia.it

Investire sul vino conviene ancora? I Fine Wine a giudizio degli esperti


Negli ultimi giorni sono usciti una serie di interessanti articoli sui Fine Wine ovvero sui vini di maggior pregio presenti sul mercato mondiale che, spesso, si comprano non per berli ma per specularci sopra (vedi voce investimento).
Paolo Repetto di Vinifera su NewsFood.com fa un bilancio del 2010 cercando di prevedere il futuro dei vini da investimento.
In primo luogo il 2010 è stato l'anno della definitiva consacrazione dell'estremo Oriente come nuova meta privilegiata delle grandi bottiglie, in particolare quelle provenienti da Bordeaux.
I nuovi ricchi cinesi da tempo stanno scalando le classifiche dei migliori acquirenti dei beni di lusso, e fra questi non potevano mancare le etichette di vini più prestigiose, il cui consumo è ormai considerato simbolo del nuovo status sociale raggiunto.
E' naturale che attualmente la loro attenzione sia focalizzata sui Premier Crus di Bordeaux, nell'ambito dei quali si annoverano molte delle più prestigiose etichette del mondo, e le cui caratteristiche sono facilmente apprezzabili anche dai palati neofiti.
Dopo una leggera fase di contrazione della domanda che caratterizzò il primo semestre del 2008, in concomitanza con l'emergere della crisi finanziaria internazionale, l'attenzione e la pressante domanda dei compratori asiatici ha letteralmente fatto decollare la domanda dei Fine Wine bordolesi negli ultimi 2 anni.


Un'etichetta su tutte è stata la vera star del mercato, il primo vino tra i cinque Premier Cru Classée del Medoc, ovvero il leggendario Chateau Lafite Rothschild.
Dalla fine del 2009 e per tutto il 2010, Lafite ha avuto una domanda talmente elevata da parte del mercato cinese da renderlo quasi introvabile, e determinandone un aumento di valore quantificabile in un 90% in due anni e circa 1000% dal 2000 ad oggi.
Naturalmente Lafite non è stato il solo oggetto del desiderio dei nuovi mercati, ma tutti gli altri grandi vini francesi hanno beneficiato di un sostanzioso aumento delle richieste, tanto che l'indice Liv-ex, la borsa internazionale dei Fine Wine, chiuderà l'anno in grandissima crescita.
Il secondo fattore che ha particolarmente favorito il settore è stata la grande vendemmia del 2009, da molti considerata una delle migliori di sempre a memoria d'uomo, e la cui vendita en primeur nell'estate del 2010 è stata un enorme successo.


Quest'anno la campagna di vendita en primeur ha avuto inizio nel mese di giugno, un paio di mesi più tardi rispetto alla normale consuetudine, e la frenetica domanda da parte dei principali mercati di riferimento ha fatto in modo che i valori delle più celebrate etichette di Bordeaux abbiano raggiunto quotazioni impensabili sino a pochi mesi fa, mediamente raddoppiate rispetto ai certificati di vendita relativi all'ultima straordinaria annata, la 2005.
Il risultato delle aspettative sulla campagna primeur 2009 ha però determinato un incontrollato aumento di prezzo sulle etichette "minori", trascinati dalle quotazioni dei vini più inseguiti, e la bontà dell'investimento su queste ultime sarà da dimostrare nei prossimi anni.

A conferma di tutto questo, le case d'asta internazionali specializzate nei Fine Wine, Christie's e Sotheby's in testa, hanno registrato nel 2010 il loro record in termini di fatturato, in particolare nelle loro sedi di Hong Kong, Londra, New York e Ginevra.
Ciliegina sulla torta, l'andamento climatico del 2010 in Francia ha permesso quest'anno a Bordeaux una vendemmia di tale qualità che è già stata paragonata alle annate 2005 e 2009, ed amici che hanno partecipato alla vendemmia ed alle vinificazioni mi hanno confermato tali sensazioni.
Se nella primavera del prossimo anno gli assaggi dalle botti di questa annata (ai quali avrò la fortuna di partecipare) confermeranno le attese, la campagne di vendita dei primeur 2010 si preannuncia già un successo. 


Le premesse per un 2011 positivo per il settore dei Fine Wine sembrano quindi esserci tutte, ma in un mondo che ha dimostrato di saper cambiare rapidamente, è necessario sapersi muovere con attenzione. Come sempre il mio consiglio è quello di non improvvissare, perché l'investimento sui vini pregiati richiede sempre più competenze che non possono essere compensate solo dalla passione o dall'intuito.
Sulla base degli accadimenti degli ultimi mesi e dei segnali del mercato, ecco cosa mi aspetto dal 2011:
1. Mouton Rothschild, Latour, Margaux, Haut Brion, Cheval Blanc e Ausone vedranno una costante crescita delle loro quotazioni, spinte dalla richiesta del mercato asiatico. In particolare Mouton si appresta a diventare protagonista del mercato nel 2011 e 2012.
2. Lafite vedrà una stabilizzazione dei prezzi ed un ridimensionamento delle attuali valutazioni "stellari", ma senza un drastico calo dei prezzi.
3. L'annata 2000 dei top di Bordeaux emergerà in tutta la sua eccellenza e sarà attivamente ricercata, con conseguente aumento delle sue quotazioni.
4. Chateau d'Yquem irromperà sul mercato asiatico con importanti plusvalenze sulle sue attuali stime, in particolare per l'anna 2007.
5. I cosidetti "2em vins"dei Premier Crus di Bordeaux vedranno aumentare sensibilmente la loro richiesta, e raggiungeranno quotazioni inimmaginabili sino alla fine del 2009.
6. La domanda pressante sui grandi Borgogna e Champagne da parte del mercato asiatico non si farà sentire sino alla metà del 2012, comprare questi vini nel 2011 potrebbe rivelarsi un ottimo affare.
7. I prezzi dei Primeur 2010 di Bordeaux relativamente ai 1er Cru Classé saranno così elevati da demotivare all'acquisto gli storici mercati europei e statunitensi. Nel 2013 la maggioranza delle casse di questi vini si troveranno nel sud est asiatico.
8. Molte aziende di Bordeaux che non rientrano nella cosiddetta "prima fascia" entreranno in crisi a causa dell'eccessivo aumento di prezzo dei loro vini, sull'onda della campagna primeur 2009-2010 e del fermento del mercato mondiale. I magazzini colmi dei négociants potrebbero determinare una svendita di alcune etichette, con possibili infauste conseguenze sulle valutazioni di molti vini.
9. I grandi vini italiani inizieranno a farsi sempre più strada tra i wine lovers e gli investitori, anche grazie al crescente apprezzamento della cucina italiana in tutto il mondo. Su tutti sarà Sassicaia il portabandiera, per il quale prevedo ottime performance finanziarie nel prossimo anno.

Tornando all'indice l'Liv-ex, la borsa internazionale dei vini pregiati, questo indicatore nel 2010 ha stabilito che, negli ultimo dodici mesi, i Fine Wine di Bordeaux sono risultati un investimento più redditizio dell’oro, del petrolio e delle azioni.
L’indice Liv-Ex Fine Wine 50, che monitora i premier cru di Bordeaux nell’andamento del loro valore su dieci diverse annate, ha fissato in un +57% la loro crescita in valore nel 2010, rompendo la barriere dei 400 punti a dicembre.
Nel 2010 l’oro è aumentato di valore del 35%, il petrolio del 20% e i principali indici azionari, S & P 500 e FTSE 100, sono saliti rispettivamente del 13% e dell’11%.
Secondo l’analisi di Liv-Ex questi aumenti, come spiegava anche Repetto, sono da ricollegare principalmente alla domanda eccezionalmente forte domanda dei mercati asiatici, Cina e Hong Kong in particolare.

Alla luce di tutto questo sapete che penso? Avrò magari pochi soldi in tasca ma io il vino me lo bevo e.....sticazzi del Lafite!

Fonti: www.newsfood.com e www.decanter.com via Winenews.it

Tendenze 2011: le "Eno-Nozze"


Leggendo il sito WineNews ho scoperto che quest'anno la tendenza per gli enosnob sarà il matrimonio in cantina.
Barrique come tavoli, bottiglie vuote come porta-candele, tappi di sughero come segnaposto. E vini pregiati come bomboniere. 
Le nozze in cantina, tendenza tutta californiana,  sbarcano in Europa, per un connubio tra uno dei momenti più importanti della vita ed il nettare di Bacco, tra simbolismo religioso e simbolismo di gioia e di festa.


Perché celebrare il “rito laico”, quello del ricevimento, pranzo o cena che sia, nel “classico” ristorante, quando si può scegliere una location più “d’atmosfera”, come appunto una cantina, e personalizzare al massimo l’esperienza, magari con l’aiuto di sommelier o vignerons? 
Da Sonoma e Napa Valley allo Château La Font du Broc (Francia), con il suo chiostro con colonne di marmo di Carrara e la sontuosa cantina. O all’Adega Regional de Colares (Portogallo), dalla sala pavimentata in pietra circondata da enormi botti di rovere. 


“Last, but not the least”, l’Italia: qui è l’Umbria a farla da padrona, con la cantina Caprai, la sua splendida location ed il suo Sagrantino di Montefalco. Decisamente un matrimonio “diverso” che non rinuncia alla sacralità del momento, tra i luoghi sacri di Assisi ed i “luoghi sacri” del vino ...


Fonte: WineNews.it

Con questo freddo mi merito un Vin Brulè


Non so voi ma io, come si dice a Roma, con questo freddo sto battendo le brocche e il miglior modo di scaldarsi con un bicchiere in mano è rappresentato dal Vin Brulè, una bevanda calda a base di vino rosso (brulè significa infatti vino bruciato) che ha davvero molte proprietà benefiche: è corroborante, riscaldante e disinfettante, molto utile per i malanni di stagione. Ma non solo! Poeticamente il Vin Brulè ha il potere di riscaldare anche gli animi; molti infatti gli artisti di strada che negli anni passati sulle strade parigine si accompagnavano ad un bicchiere di caldo vino dolce.


Le origini del Vin Brulè si perdono nella notte dei tempi visto che ho scoperto che non è altro che un derivato del Conditum Paradoxum, un vino speziato romano la cui antica ricetta è stata trascritta nelle pagine del Re Coquinaria di Apicio.

I. CONDITVM PARADOXVM:
Conditi paradoxi compositio: mellis pondo XV in aeneum vas mittuntur, praemissis vini sextariis duobus, ut in coctura mellis vinum decoquas. quod igni lento et aridis lignis calefactum, commotum ferula dum coquitur, si effervere coeperit, vini rore compescitur , praeter quod subtracto igni in se redit. cum perfrixerit, rursus accenditur. hoc secundo ac tertio fiet, ac tum demum remotum a foco post pridie despumatur. tum ‹mittes› piperis uncias IV iam triti, masticis scripulos III, folii et croci dragmae singulae, dactilorum ossibus torridis quinque, isdemque dactilis vino mollitis, intercedente prius suffusione vini de suo modo ac numero, ut tritura lenis habeatur. his omnibus paratis supermittis vini lenis sextaria XVIII. carbones perfecto aderunt [duo milia]. 

Ecco la traduzione:

“Siano versati in un vaso di bronzo un quarto di vino e due cucchiai di miele, in modo che, mentre il miele bolle, il vino diminuisca di volume. Scaldalo a fuoco lento; gira il tutto finchè prenderà il bollore; quando comincerà a salire, trattienilo versando altro vino. Una volta freddo fallo scaldare di nuovo. Ripeti per altre due volte. Il giorno dopo lo schiumerai. Aggiungi allora 120g di pepe, poco pistacchio, cannella e zafferano, cinque ossi arrostiti di datteri; trita cinque datteri che dal giorno precedente avrai posto nel vino per farli ammorbidire. Fatto ciò versa due litri circa di vino giovane”.

Il sito di cucina Giallo Zafferano ci insegna come fare un ottimo Vin Brulè moderno:

Per preparare il vin brulè preparate tutte le spezie che vi serviranno per la preparazione, quindi tagliate sottilmente la scorza del limone e dell'arancia, senza prendere anche la parte bianca, che renderebbe amara la preparazione (2). In un tegame di acciaio dai bordi non troppo alti, versate lo zucchero (3)


unite la scorza degli agrumi, le spezie (4-5) e in ultimo versate il vino rosso corposo (6)
Ponete la pentola sul fuoco e portate lentamente ad ebollizione: fate bollire a fuoco basso per 5 minuti mescolando fino al completo scioglimento dello zucchero (7); a questo punto avvicinate una fiamma alla superficie del vino, facendo molta attenzione a non scottarvi: l’alcol contenuto nel vino prenderà fuoco, e voi dovete lasciarlo fiammeggiante fino al completo spegnimento (8)


Quando il fuoco si sarà spento, filtrate il vin brulè con un colino a maglie fittissime e servitelo fumante (9).

Il tasso alcolico minimo del vin brulè è del 7%. Chiaramente da un vino di bassa qualità non deriverà un vin brulè troppo buono. Per questo è sempre meglio usare del vino di ottima qualità, speziarlo e non addolcirlo troppo.
Come alternativa per i bambini e gli astemi, viene servito presso tutti i mercatini di Natale anche del succo di mela caldo, anch’esso speziato con la cannella e i chiodi di garofano.

A Trapani e dintorni tra vino, cous cous e busiate!



Cinque giorni in terra di Sicilia, visiterò Trapani, Marsala, Mazara del Vallo fino ad arrivare alla costa nord di San Vito Lo Capo e la Riserva dello Zingaro che, ci scommetto, anche in inverno mi riserverà colori e profumi sensazionali.

Riserva dello Zingaro
Segesta
Busiate allo scoglio
Cous Cous di San Vito lo Capo
  Un tour che mi porterà a visitare due cantine di eccellenza: Marco De Bartoli e Antonino Barraco. A presto per un resoconto dettagliato.

Andrea

Buon 2011 con Percorsi Di Vino


Ognuno di noi oggi si meriterebbe di bere questo:


A tutti i lettori del blog, lo staff di Percorsi Di Vino, cioè io e Stefy :-)), vi augura un 

FELICE 2011




Botti di fine anno: Ka Mancinè e il Rossese di Dolceacqua


Si ritorna alle origini, al nome del mio blog, a quel percorso che dovrebbe condurre tutti, io e i miei pochi lettori, a raggiungere la serenità edonistica che ci può fornire una buona bottiglia di vino, non un prodotto qualunque, ma il figlio della Terra e del Sudore. 

Per fine anno voglio regarvi una chicca.

Vi racconto un rosato, una tipologia poco capita che, stagionalmente, riscuote un certo successo solo in estate per via della moda del momento.
Oggi vi porto in Liguria, a Soldano (IM), all’interno della piccolissima azienda Ka Mancinè dove Maurizio Anfosso, ex rappresentante, ha realizzato il sogno della sua vita: creare il suo Rossese di Dolceacqua ridando vigore alle vigne storiche di proprietà (alcune dei primi del '900 coltivate ad alberello) site all’interno della zona “Galeae” (Galera in dialetto ligure), cioè nel luogo dove storicamente venivano portati e fatti lavorare i prigionieri saraceni catturati durante le battaglie d'Almeria (1147) e Tortosa (1148).


Maurizio Anfosso è un tutt’uno con Ka Mancinè, vigna e cantina vengono gestite personalmente col solo aiuto dei propri parenti durante la vendemmia.
Pochissime le bottiglie prodotte. Nel 2006, il suo “anno zero”, il suo vino, realizzato in 1.500 unità, ha subito conquistato premi e critica ed oggi, a quasi cinque anni, trovare una sua bottiglia è davvero difficile, tutta la sua produzione è contingentata e, ovviamente, venduta tutta “en primeur”.

Maurizio Anfosso e...famiglia
Lo Sciakk 2009, VdT rosato, è il risultato di una cura e di una gestione maniacale sia del vigneto (resa 30 q/ha) sia della vinificazione (in bianco con lieviti autoctoni per 20 giorni) del Rossese che nel bicchiere si esprime, per la tipologia, ai massimi livelli.
Se guardi dove sono posizionate le vigne capisci subito che hai di fronte un vino mediterraneo, la frutta rossa croccante dopo un veemente inizio lascia il posto alla macchia mediterranea, il naso ci conduce in un sentiero dove mirto, ginepro, alloro, corbezzolo e lentisco rappresentano sensazioni che catturano la mente e l’anima.
Bevo lo Sciakk, una, due, tre volte, non smetto di poggiare le labbra sul bicchiere, la freschezza del sorso e il fine equilibrio mi trascinano in un vortice color rosa che faccio fatica a contenere.


L’unico rammarico? Aver saputo che Maurizio abbia prodotto nel 2009 solo 733 bottiglie (!!). 
Io per il 2011 ho già fatto la mia prenotazione. L’ultimo che arriva chiude la porta.

Il vigneto
Il vigneto

Le foto sono tratte da www.vinoalvino.org e www.sole-liguria.com

Rosso del Soprano 2005 - Azienda Agricola Palari di Salvatore Geraci


Quando l’ho conosciuto lo scorso anno al Vinitaly, insieme a Simona Fino ed Elena Fucci, era l’unico del nostro tavolo ad avere lo sguardo perso nel vuoto, i suoi occhi tradivano una mente che stava vagando altrove, forse era tornato nella sua villa a Palari, forse stava pensando al prossimo restauro.
Salvatore Geraci, verso la fine degli anni ’80 era conosciuto a Messina e dintorni per la sua bravura come architetto e per la sua passione politica (fu assessore provinciale alla Cultura e al Turismo) e sono sicuro che se gli avessero predetto un futuro da vignaiolo di successo si sarebbe fatto di certo una risata sebbene fosse cresciuto a pane arrostito imbevuto col vino di famiglia.

Salvatore Geraci
Di quei tempi, però, avere un’amicizia con Gino Veronelli era “rischioso” perché fu proprio il Maestro, parlandogli della doc Faro, a quei tempi ormai quasi dimenticata, a suggerirgli di farla rivivere.
Geraci ci pensò su solo un attimo, solo il tempo di considerare le vigne di famiglia e Veronelli gli presentò Donato Lanati.

«Veronelli mi mise in contatto con Donato Lanati, enologo piemontese. Era a Pantelleria e lo convinsi a fermarsi da me qualche giorno, prima del rientro. Si arrampicò su per le vigne, prese dei campioni di terra da analizzare, si guardò intorno. Penso che lì, proprio nella vigna, grazie alla bellezza del posto, i suoi dubbi si siano piano piano andati dissolvendo. Ma su un punto Lanati era fermo: quello di fare un grande vino. Da 4 ettari, disse, o si fa un grande vino o non si fa niente. E d’altronde anch’io non avevo nemmeno per un attimo considerato l’idea di fare un vino tanto per fare. Certo dire adesso che mi aspettavo che sarebbe andata come è andata...».

La scommessa era iniziata anche se c’era un “piccolo” problema ancora da risolvere: la cantina. L’impellente necessità fa trasformare la settecentesca villa di famiglia, Villa Geraci, in un luogo dove le vasche di fermentazione, le barrique francesi e i magazzini di stoccaggio prendono il posto dei mobili di antiquariato e delle tante stanze da letto per gli ospiti.

La Cantina
La pazzia e il business fanno sì che nel giro di un anno il vitigno di Santo Stefano Briga comincio a produrre le prime bottiglie di Faro Palari. Era il 1990, l’inizio della nuova era per la Doc Faro.
Questo Natale ho voluto stappare il secondo vino di Geraci, il Rosso del Soprano (nerello, mascalese, nocera, cappuccio, galatea) che, vivendo all’ombra della fama del Faro Palari, dal mio punto di vista è ingiustamente poco conosciuto ed apprezzato. 


Ho aperto l’annata 2005 con molto timore, sei anni sulle spalle possono essere tanti per molti grandi vini, figuriamoci per il “vino base”di un’azienda anche se blasonata come questa. La sorpresa è ritrovarsi nel bicchiere un vino maturo e dalla grande bevibilità, un rosso tutt’altro che stanco caratterizzato da sensazioni di frutta di rovo, spezie nere e rosa selvatica.
Al palato rivela struttura, morbidezza e un lieve finale balsamico che, speranzoso, cerca di farti dimenticare dei parenti di là in salotto che si stanno sgargarozzando un Ronco da paura.
Unico neo? Il prezzo, se fosse leggermente minore (siamo mediamente sulle 15 euro in enoteca) renderebbe più popolare questo vino.

Foto: Arte Gastronomica e sito aziendale

Chiude E-blogs, la rivista europea dei blog di Wikio


Purtroppo mi sto sempre più rendendo conto che, di questi tempi, le idee più interessanti spesso devono essere messi da parte per mancanza di fondi o interesse. Uno di questi progetti era E-Blogs, la rivista europea dei blogger che Wikio stava portando avanti con coraggio da qualche mese.


E-blogs si prefissava di mostrare “il meglio” della blogosfera europea selezionando post di qualità in 5 Paesi e 5 lingue: Italiano, Tedesco, Spagnolo, Inglese, Francese,  per farli poi tradurre nelle stesse 5 lingue. L’idea originale era quella di offrire uno sguardo inedito e quotidiano degli europei, una sorta di “corriere internazionale” dei blog dove dare risalto alle arrabbiature, ai sogni e ai desideri dei ragazzi euopei.
Anche Percorsi Di Vino era stato scelto come blog ufficiale della rivista visto che molti articoli apparsi sul mio sito sono stati tradotti egregiamente in cinque lingue.
Perchè tutto questo finisce? Selezionare contenuti, adattarli per ogni Paese, farli tradurre dai traduttori remunerati e infine diffonderli in 5 lingue su 5 Paesi… Tutto ciò costa denaro. Molto denaro. 
E-Blogs non haincontrato l’eco, l’audience che Wikio si aspettava. Una sfida persa per mancanza di visitatori e quindi di potenziale pubblicitario per remunerare questo lavoro che contava una squadra di 40 traduttori professionisti.

La redazione
Siamo in un’economia di mercato e Wikio è una società privata. Chi paga tutto questo?
Ringrazio tutti i ragazzi che hanno creduto in questo progetto e dico loro di buttarsi nel gossip, sicuramente là ci sono tante persone che leggono. Siamo o non siamo nell'era del Grande Fratello?