InvecchiatIGP: Garofoli - Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore “Podium” 2013


di Lorenzo Colombo

Osservando la modalità di lavorazione di questo vino ci si può stupire per la sua semplicità. Vinificazione in acciaio, affinamento per 15 mesi sulle fecce fini negli stessi contenitori e sosta in bottiglia per quattro mesi prima della commercializzazione. Ci si chiede quindi come mai una vinificazione così semplice possa dare un vino in grado di reggere oltre dieci anni senza cedimento alcuno.

Dove sta il trucco? Se trucco c’è.

Nessun trucco, solamente raccolta delle uve a maturazione completa accuratamente selezionate da vigneti posti su suolo con abbondanza di argilla e sabbia e bassa resa per ettaro (79 q.li). Ed ovviamente grande cura in cantina. Sono 50 gli ettari di vigne dell’azienda Garofalo, fondata nel 1901 e gestita dalla quinta generazione della stessa famiglia, 1.300.000 le bottiglie prodotte annualmente, distribuite su sei linee produttive per un totale di 27 diverse etichette. Tra queste spiccano quelle dei Verdicchio dei Castelli di Jesi, ben cinque nella sola tipologia fermo ai quali s’aggiungono gli spumanti ed il passito.


Il vino da noi assaggiato per la rubrica InvecchiatIGP di questa settimana è il Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore “Podium” dell’annata 2013, descritto ad inizio articolo ed inserito nella Linea Selezioni. Un vino in grado di reggere il tempo in maniera impressionate, anche se il vitigno Verdicchio ci ha abituati a simili prestazioni. Entrato in commercio per la prima volta nel 1991, se ne producono annualmente 45.000 bottiglie.


L’etichetta dice: Longevità 6-10 anni e noi siamo al limite di quanto indicato, ma dopo l’assaggio siamo più che certi che questa bottiglia avrebbe potuto essere conservata in cantina per parecchio tempo (ma non ci pentiamo affatto d’averla bevuta).


Veniamo all’assaggio: il colore è oro intenso, come ci s’aspetta da un vino di simile età, quello che impressiona è la vivacità e la brillantezza.
Al naso non ci appare molto intenso, l’età ha certamente smorzato la sua esuberanza, ciò che cogliamo sono sentori di frutta tropicale e d’erbe officinali e fieno di montagna, inoltre si percepiscono sentori di frutta secca, mandorle,nocciole, noci appena schaiacciate.
Strutturato, succoso, sapido e balsamico, con buona vena acida e leggere note boisé, queste anche se in vino non ha mai conosciuto legno alcuno, sentori di frutta secca ed agrumi amari, lunghissima la persistenza.

La Costa - Igt Terre Lariene Verdese “860” 2019


di Lorenzo Colombo

Sono solamente 860 (da qui il nome) le bottiglie da 50 cl prodotte di questo vino da uve Verdese in purezza, dopo una macerazione per tre giorni sulle bucce il mosto fermenta in vasche d’acciaio ed il vino matura per un anno in barrique.


Fresco, asciutto, delicato, presenta sentori di mela cotogna

Locali belli e dove trovarli: Trattoria Al Porto di Clusane


di Lorenzo Colombo

Anni fa frequentavamo abbastanza spesso il Lago d’Iseo e la nostra tappa culinaria prevedeva sempre una sosta in uno dei locali che propongono il piatto tipico di questa zona, e precisamente di Clusane, ovvero la Tinca al forno con polenta. Negli ultimi tempi la nostra frequentazione s’è assai ridotta, l’ultima volta è stato nel febbraio 2021 quando abbiamo fatto tappa presso la Trattoria del Muliner.


Ci siano nuovamente stati - a Clusane - in un sabato di fine gennaio che in realtà presentava un clima più primaverile che non invernale, con un sole tiepido che invitava a passeggiare, e questa volta abbiamo optato per la Trattoria Al Porto, locale già frequentato in passato.


Situato di fronte al piccolo porticciolo di Clusane, in un caseggiato in pietra si fatica un poco a riconoscerlo come ristorante nonostante la grande insegna incastonata sulla facciata. Qui si viene principalmente per mangiare il pesce d’acqua dolce, anche se il nutrito menù propone anche piatti di terra che di mare.


Dicevamo di un menù focalizzato soprattutto sul pesce d’acqua dolce ecco a tal proposito cosa abbiamo trovato in carta: tra gli antipasti vengono proposti l’Antipasto di lago (sardina, pesciolino in carpione, salmerino, persico, luccio, coregone), l’Insalata di lago al vapore (luccio, persico, coregone, salmerino, gamberi di fiume), l’antipasto affumicato (anguilla, salmerino, trota, coregone), il salmerino agli aromi, le sardine di lago con polenta abbrustolita e la tartare di Salmerino. La nostra scelta è caduta su quest’ultimo piatto che abbiamo trovato assai interessante, delicato ma al contempo gustoso.


Tra i primi piatti, rimanendo sempre sul pesce d’acqua dolce, troviamo tra gli altri: spaghetti ai gamberi di lago, pappardelle al pesce di lago, tagliatelle con Sardine di lago, tagliolini con persico, tagliolini con bottarga di coregone, risotto di lago, riso alla creola con persico, ravioli al salmerino.
Abbiamo optato per gli spaghetti ai gamberi di lago e non poteva esserci scelta più felice, avendo trovato questo piatto davvero squisito, equilibrato, saporito, il migliore tra quanto assaggiato.


Passiamo ai secondi piatti sempre rimanendo in tema d’acqua dolce, ecco quindi anguilla al forno, filetti di pesce persico, pesce fritto di lago (pesciolini, gamberi di fiume, persico, coregone, trota), grigliata mista di lago (salmerino, trota alpina, coregone, storione), salmerino alla griglia, filetti di storione al limone, luccio alla clusanese, fritto gamberi di lago e, naturalmente, tinca al forno con polenta. Piatto quest’ultimo scopo principale del nostro venire a Clusane, c’è però un altro ingrediente che apprezziamo molto e che non è facilmente reperibile altrove, di tratta dei gamberi di fiume, non potevamo quindi mancare d’assaggiarli fritti in una delicata pastella con verdure -zucchine e carote- nella fattispecie e non ci siamo certamente pentiti della nostra scelta, anzi.


La tinca al forno è una preparazione tosta, dove il burro la fa sa padrone e può anche costituire un piatto unico servita com’è con la polenta, l’abbiamo trovata come ce l’aspettavamo, gustosa, con una speziatura giusta e non eccessiva.


Ovviamente non concepiamo un pasto senza la presenza di vino e la nostra scelta è caduta su un Franciacorta che apprezziamo molto, il Cru Perdu di Castello Bonomi, dell’annata 2018, un vino dall’incredibile sapidità che s’è rivelato un abbinamento perfetto per tutti i piatti scelti.


Un’ultima annotazione riguarda il costo di un simile pasto, più che onesto data la qualità di quanto assaggiato, in due persone, un antipasto, un primo piatto, due secondi acqua ed una bottiglia di Franciacorta ci portano ad una spesa attorno ai 100 euro. Dimenticavamo, c’è stato anche un dessert, una millefoglie davvero buona. Che dire se non che ci torneremo.

Vini da Terre Estreme sbarca a Roma il 25 e 26 Febbraio 2024


Si terrà, dal 25 al 26 Febbraio 2024, presso l’Hotel Palatino di Roma, in posizione centrale e strategica a due passi dal Colosseo, la tredicesima edizione (la seconda a Roma) di “Vini da Terre Estreme”, il più importante evento di promozione commerciale italiano, e non solo, che si pone l’obiettivo di valorizzare e comunicare la viticoltura eroica costruita nel corso dei secoli da sconosciuti contadini che per necessità hanno dovuto e saputo interpretare territori inospitali coltivando i loro vigneti in zone poco conosciute, geograficamente impervie, spesso all’interno di minuscoli fazzoletti di terra strappati alla montagna o al mare.


Dopo le tappe di Matera e Treviso, Vini da Terre Estreme ha deciso di rendere omaggio alla “città eterna”, una delle più attrattive del paese, e uno dei principali centri per il commercio e per il turismo nazionale e internazionale. Da sempre cosmopolita, per la sua storia e per la ricchezza delle sue tradizioni, Roma è palcoscenico ideale per presentare e far conoscere il frutto di una agricoltura con origini e storia secolari, tramandata di generazione in generazione: i “vini eroici”, vini straordinari, unici, in contrapposizione ai vini-fotocopia che imperversano in ogni angolo del pianeta. Senza contare che in Lazio, dagli antichi romani che conoscevano le tecniche per la coltivazione della vite e la vinificazione, resistono ancora vitigni autoctoni, oggi recuperati da piccole cantine che possono di diritto essere definite “eroiche”.


"Vini da Terre Estreme", realizzato da anni da Pilota Green e, nella sua tappa romana, coadiuvato da Andrea Petrini, wine blogger di Percorsi di Vino e responsabile eventi di Slow Food Roma, è rivolto sia a professionisti del settore (distributori, Ho.Re.Ca., media) che a semplici ma curiosi appassionati di vino che in questa tappa romana avranno l’opportunità di conoscere e degustare la miglior produzione di etichette eroiche, in un percorso ideale che attraversa la nostra Penisola e oltre, toccando anche la Grecia.


Nelle due giornate del 25 e 26 febbraio 2024 la manifestazione si dividerà tra degustazioni liberi ai banchi di assaggio alla presenza del vignaiolo e masterclass su prenotazione e a numero chiuso.

Programma

Domenica 25 Febbraio

Dalle 11.00 alle 19.30 (Orario Continuato)

Si aprono le due giornate di Workshop sui “Vini Eroici” con degustazione libera ai banchi assaggio. Evento dedicato al pubblico professionale e appassionati wine lover.

Ore 11.30

Masterclass aperta agli operatori professionali, wine lover e media.

“Il coraggio di essere unici: paesaggio Chilometrico Consapevole”.

Gli scenari di consapevolezza che partono dalla vigna: il recupero, i vitigni, le strategie per il futuro. Degustazione di dieci etichette eroiche delle “Cantine del Recupero”.

La Rete dei Vignaioli del Recupero è formata da custodi della terra, protagonisti in vigna e di racconti che sono cultura di luoghi e persone. Recuperano la tradizione in campo, riutilizzano i terreni e i vitigni abbandonati, sempre preservando e salvaguardando i territori e il paesaggio e la loro biodiversità. La Rete dei Vignaioli del Recupero è aperta ed inclusiva per tutti coloro che hanno un approccio consapevole e sostenibile, ed è naturale che sia formata da vignaioli di diversi luoghi, storie e percorsi, dai giovani appassionati come Andrea Peradotto, e il gruppo di Braccia Rese, fino ad affermati e riconosciuti viticoltori come Mauro Giardini, Francesco Bordini, Elisabetta Foradori e Mateja Gravner.


Guiderà la degustazione Carlo Catani, autore e presidente dell’Associazione Tempi di Recupero che, a seguire, presenterà il suo libro “Il chilometro consapevole”.
Numero chiuso su prenotazione – max 30 posti. Per informazioni info@pilotagreen.it

Ore 16.00

Masterclass aperta agli operatori professionali, wine lover e media.
“Il coraggio di essere unici: le bolle estreme d’annata”. 


Andrea Petrini guiderà la degustazione di dodici etichette di spumanti, metodi classici di vecchie annate, provenienti da dieci aree impervie della Penisola.
Numero chiuso su prenotazione – max 30 posti. Per informazioni info@pilotagreen.it

Lunedì 26 Febbraio

11.00 alle 19.30 (Orario Continuato)

Proseguimento Workshop sui “Vini Eroici” con degustazione libera ai banchi assaggio.

DOVE

Grand Hotel Palatino - Via Cavour 213/m (50 metri dalla fermata Metro B Cavour)

Info: infopilotagreen.it


Per acquistare i ticket online: https://app.nowr.in/events/1652856

LISTA AZIENDE PRESENTI

PIEMONTE

AZ. AGR. DOMANDA – Calosso Asti

LOMBARDIA

IL GABBIANO – Sondrio

LIGURIA

TENUTA MAFFONE - Pieve di Teco Imperia

CONTE GHERARDO DEGLI AZZONI AVOGADRO – Liguria di Ponente

VENETO

SANDRO DE BRUNO – Montecchia di Crosara Verona

ABBAZIA DI FOLLINA – Follina Treviso

TRENTINO

AGRICOLA MOS – Val di Cembra Trento

FRIULI

GIOVANNI DRI IL RONCAT – Ramandolo Udine

GASPARE BUSCEMI – Cormons Gorizia

CAV. EMIRO BORTOLUSSO – Carlino Udine

CANTINE DEL RECUPERO

VILLA VENTI – Romagna

VIGNE DI SAN LORENZO - Romagna

VILLA PAPIANO - Romagna

PIAN DI STANTINO – Romagna

RIECINE – Toscana

LAZIO

CASALE DEL GIGLIO – Le Ferriere Latina

CANTINA LE MACCHIE – Castelfranco Rieti

ABRUZZO

SOC. AGR. F.LLI BIAGI - Vigneti del Gran Sasso

CAMPANIA

DELLA VALLE- JAPPELLI – Casertavecchia Caserta

CALABRIA

CORNO VALANO – Corigliano Rossano Cosenza

BASILICATA

NIMA – Melfi Potenza

LUIGI LAURIA – Chiaromonte Potenza

SICILIA

TENUTE LOMBARDO – Caltanissetta

DESTRO VINI – Randazzo Catania

SALVATORE D’AMICO – Leni Isola di Salina

SARDEGNA

VIGNE MUZANU - Mamoiada Nuoro

GRECIA

CONTE GHERARDO DEGLI AZZONI AVOGADRO – Isola di Malvasia

InvecchiatIGP: Felsina - Fontalloro 2009


di Stefano Tesi

Doveva essere una sorta di verticale-orizzontale delle annate 2009 e 2019 dei tre grandi vini a base Sangiovese 100% di Felsina, cantina tra le più rappresentative della Berardenga (500 ettari, dei quali 72 vitati), proprio a cavalcioni tra le denominazioni del Chianti Classico e del Chianti Colli Senesi: il Rancia Chianti Classico Riserva, il Colonia Chianti Classico Gran Selezione e il Fontalloro Toscana Igt.


Ma quando eravamo curvi sui bicchieri, impegnati nel discettare sul confronto (in cui, a mio modesto parere, il nerbo dei 2019 si è fatto in generale preferire, seppure non di molto, alla maturità appena velata dei vini più vecchi), ecco spuntare dal cilindro del patron Giovanni Poggiali un Fontalloro 1999 che ha subito messo tutti d’accordo. Si tratta, come noto, di un’etichetta-bandiera dell’azienda, prodotta sotto la guida di Franco Bernabei fin dall’esordio enoico di Felsina nel 1983 (la tenuta, all’epoca a vocazione cerealicola, era stata comprata nel 1966 dal nonno di Giovanni, Domenico). L’uva di Sangiovese proviene in questo caso da tre diversi vigneti di proprietà ubicati dall’una (Poggio al Sole, versante Chianti Classico) e dall’altra parte (Casalino e Arcidossino, versante Colli Senesi) del confine tra le due docg.


Il nome del vino, spiega Poggiali, può essere spiegato in due modi diversi. Quello più poetico dice che esso derivi dall’antica fonte che si trova nel bosco sovrastante il vigneto di Poggio al Sole, non lontano dalla sorgente del fiume Ombrone, dove i raggi solari provocano suggestivi riflessi di luce dorata. Quella più geografica è che Poggio al Sole è il reale toponimo del vigneto che, però, in loco è chiamato da sempre Fontalloro.


In ogni caso, se a Felsina (e non solo) la 1999 è considerata tra le migliori annate della seconda metà del secolo scorso, la bottiglia che stiamo assaggiando ce lo conferma.


Il colore è integro, compatto, scuro e profondo. Al naso il vino regala un’austerità calda, composta, terragna, oltremodo territoriale e coerente, senza rinunciare però a un guizzo di frutto e di residua freschezza che, a ben pensarci, risultano abbastanza stupefacenti in un rosso vecchio un quarto di secolo. Questa festa saggia, sobria e assennata continua al palato con una solennità asciutta, severamente vellutata, sapida, arricchita da un tannino maturo e da una nota appena polverosa che ravviva il sorso, esaltandone la lunghezza e gli accenni balsamici sparpagliati qua e là.

Che dire? Una bottiglia d’altri tempi? Un grande vecchio?

Direi più che altro una bottiglia che, il tempo, l’ha saputo cavalcare.

Fatto che ci rincuora un po’ tutti.

Tenuta Buon Tempo - Rosso di Montalcino DOC 2022



di Stefano Tesi

Da vigne coltivate a bio a Castelnuovo dell’Abate, sul versante sud-est di Montalcino, ecco un Rosso goduriosissimo, fermentato spontaneamente in acciaio e affinato in cemento, dal naso ricco, profondo e fruttato e dalla bocca ampio fresca, agile, nevrile, sapida, pulitissima.

Credit: Urano Cupisti

Vino a dir poco edonistico!!

Scipio: Toscana Bianco IGT "Giudizio" 2022


di Stefano Tesi

L’elmo dell’inno di Mameli stavolta non c’entra: Scipio, al secolo Mario, è proprio il produttore di questo sorprendente vino, che ho scoperto praticamente per caso fermandomi random tra i banchi del recente Wine&Siena.
L’azienda è giovanissima, nata nel 2022, e coltiva vecchi vigneti di varietà autoctone – da 40 fino a 100 anni di età, quasi la metà a piede franco, garantiscono il titolare e il suo braccio destro, Agostino Bilancini - rintracciati qua e là sui suoli vulcanico-tufacei di Pitigliano. L’uva è raccolta a mano e poi vinificata nella cantina di San Quirico di Sorano, a meno di due km in linea d’aria dal confine laziale. Maremma profonda. O Alta Tuscia, se preferiamo. 


Le mie prima esperienze di vinificazioni amatoriali – spiega Scipio – sono iniziate nelle antiche cantine monumentali scavate nel tufo, con la supervisione di amici enologi. La svolta è avvenuta però grazie all’incontro con Gaspare Buscemi, tra i maggiori maestri dell’enologia artigianale. E’ grazie alla sua spinta che è nata l’azienda”.

Delle quattro etichette che ho assaggiato alla kermesse senese, il “Poggio del Grillo” 2022 (Procanico rosa al 95% e Ansonica), il “Selva Cerrina” 2021 (bianco da tavola, dal 2022 divenuto “Giudizio”), il “Meletello” 2022 (Sangiovese 60% e Ciliegiolo) e il “Giudizio” 2022 (Procanico, Malvasia, Verdello, Ansonica e altri), quello che più mi ha colpito è l’ultimo, un sorso davvero inusuale e gratificante.


Fatto con pressatura diretta di uve trattate solo con rame e zolfo, fermentazione spontanea e affinamento in acciaio, questo bianco dal colore dorato carico offre un ventaglio olfattivo vastissimo, cangiante e delicato, che alterna sentori di fiori di acacia, pietra e sassi, una punta di acciarino, accenni di miele, fieno e erbe di campo, restando capace di mantenersi in equilibrio su una sobria eleganza. 
La musica non cambia in bocca, ove pulizia e la compostezza assecondano un palato inusuale, mutevole, ora a tratti pastoso, ora gentile, mai sfuggente, lungo ma senza noia, vivo ma senza banalità. Ho saputo che ne fanno meno di 7mila bottiglie, ma se la strada è questa (e non le finiscono prima) ne risentiremo parlare presto.

InvecchiatIGP: Di Meo - Fiano di Avellino DOCG "Colle dei Cerri" 2008


di Luciano Pignataro

Ho avuto modo di scriverlo in più di una occasione, ma vale sempre la pena di ricordarlo non solo perché repetita iuvant ma, soprattutto, perché la memoria collettiva si sta smaterializzando come il calcolatore HAL in 2001 Odissea nello Spazio. Era ormai il lontanissimo 1993 quando ebbi l’occasione, proprio nella cantina di Roberto e Generoso Di Meo, di provare dei vini bianchi dimenticati da alcuni anni scoprendo la bontà del Fiano di Avellino "evoluto". 


Ci è voluto tanto per avere produttori che uscissero in commercio con qualche vendemmia di ritardo, il primo fu Mastroberardino con il suo More Maiorum, all’inizio degli anni ’90, poi nel 1997 Antoine Gaita e Guido Marsella partirono con una annata di ritardo, seguiti poi piano piano da parecchi altri produttori.
Dopo 20 anni di attesa finalmente è stato riconosciuto il termine Riserva al Fiano di Avellino. Roberto Di Meo ha iniziato ha commercializzare i vini facendoli sostare molto a lungo sulle fecce e negli ultimi anni la reputazione dei suoi vini è enormemente cresciuta, ormai è accreditato nei migliori ristoranti sempre più assetati di bianchi invecchiati.
A differenza del Greco Vittorio e dei Fiano Alessandra ed Erminia, il Colle dei Cerri 2008, fresco di uscita, è un Fiano che fermenta e si eleva in tonneaux senza conoscere l’acciaio perché poi attende altri tre anni in bottiglia prima di essere messi in commercio.


Si tratta di uno dei pochi Cru che può vantare l’Irpinia, nasce dall’omonima vigna piantata nel 1995 a Salza Irpina dove ha sede l’azienda. Il risultato finale, al punto che potrebbe confondere molti appassionati della Borgogna. Il naso esprime un’ampia complessità in cui riconosciamo la frutta matura, le note ancora fresche balsamiche, sbuffi di pasticceria che ritroviamo anche al palato con molta chiarezza. Qui il vino si esprime con molta forza ed eleganza al tempo stesso, il sorso, freschissimo, è arricchito da una buona struttura, alcole e legno appaiono perfettamente bilanciati. Un grandissimo vino destinato a camminare ancora per molti anni.

Terra di Seta - Chianti Classico Gran Selezione "Assai" 2018


di Luciano Pignataro

Figlio di una visione moderna e illuminata della viticultura che rispetta la terra, questo sangiovese di Castelnuovo Berardenga travolge il naso con i suoi profumi mediterranei, note balsamiche e di ciliegia.


Al palato è dissetante, dai tannini ben risolti, fresco, assolutamente bevibile e felicemente abbinabile.

Antoine Gaita e i suoi ultimi tre grandi Taurasi


di Luciano Pignataro

Nel gennaio 2015 Antoine Gaita ci lasciò per sempre. Ancora oggi, a distanza di quasi dieci anni, possiamo godere dei suoi ragionamenti sul vino puntando sulla sua ultima annata lavorata, il Taurasi 2009 che la figlia Serena e la moglie Diamante hanno voluto chiamare Ad Ultimum.


Taurasi? Ma Antoine non è stato un grande produttore di Fiano? Sicuramente, ci ha lasciato una scia di grandissime annate tra il 1997 e il 2013, l’ultima che porta effettivamente la sua firma sul totale della lavorazione perché, nel 2014, riuscì solo a seguire la vendemmia.

Serena Gaita e Diamante Renna

Due anni prima in un video di 13 minuti di cui alleghiamo il link (https://www.lucianopignataro.it/a/video-antoine-gaita-taurasi-fiano/82792/) spiega perfettamente a Lello Tornatore la sua visione del Taurasi che potremmo sintetizzare in un titolo del tipo: “Cogli l’attimo”. In questa chiacchierata, nata per caso, Antoine smantella completamente alcuni luoghi comuni che all’epoca circolavano, portando alla ribalta la sua visione decisamente francese, da vero vigneron, che consiste nel legarsi al concetto di Cru, che in Irpinia, al tempo, non esistevano e non esistono, oggi, sul piano formale, e in gran parte anche sostanziale, tranne alcune eccezioni (esempio, i vigneti di Contrada Arianello a Lapio per il Fiano). In sintesi, per lui i tre grandi areali che concorrono alla formazione di un grande Taurasi sono Montemarano, zona di uve cariche e di vini potenti, Paternopoli, dove siano in altezza e le uve maturano più lentamente regalando freschezza e, in mezzo, Castelfranci. I parametri produttivi di riferimento che cita sono quelli di Luigi Tecce e Michele Perillo. E Taurasi? Per Antoine è un caso a sé stante, nascono più in equilibrio nella parte bassa della DOCG.


Per Antoine il Taurasi è dunque frutto del blend fra le uve di questi territori irpini che devono essere bilanciate in base alle annate calde, proprio alla francese, senza le solite regole scritte e codificate in percentuali che regolarmente vengono poi aggirate in Italia. Annata calda, il pendolo volge ad una maggiore quantità di uva di Paternopoli, annata fredda, verso Montemarano. La dose di Castelfranci dipende poi dal gusto, se piace o meno più fruttato.
Antoine in questa stessa intervista relativizza anche il concetto di tempo perché, dice, il vino ha sempre qualcosa da darti, come le persone, dipende da quello che cerchi e che desideri.
Il risultato di queste osservazioni sono state tre grandissime interpretazioni del Taurasi di Villa Diamante che attualmente sono vendute sui 50 euro ma che per me non hanno prezzo per la loro assoluta e totale bevibilità, eleganza, freschezza, longevità. Originalità.

Partiamo dall’ultima, Ad Ultimum Taurasi Riserva 2009.



Scrive la figlia Serena sul sito aziendale : “La voglia di mio padre di produrre Taurasi lo portò ad elaborare un progetto che prevedeva di realizzare ogni anno un vino che fosse espressione di un territorio. Attualmente in vendita c’è il Libero Pensiero, prodotto nel 2008 da una vigna di Castelfranci. L’ultimo Taurasi di mio padre, del 2009, proviene da Montemarano”.
Il progetto di Antoine era dunque procedere per gradi, vinificando in purezza le diverse zone anno dopo anno per poi arrivare ad una sintesi, sintesi che non è mai arrivata a causa della sua scomparsa. Ad ogni annata aveva dato tempo, proprio per capire l’evoluzione, da vero artigiano che non si fa condizionare dal mercato.
Ad Ultimum è un vino di potenza, un Cassius Clay che saltella attorno all’avversario, lunghissimo, fresco, dai tannini pienamente e abilmente risolti.


Abbiamo poi il Taurasi Riserva Libero Pensiero 2008. Un nome allora lanciato in polemica con le commissioni di assaggio delle doc che gli avevano chiesto di rivedere il suo Fiano Clos d’Haut. Lo abbiamo bevuto di recente e abbiamo trovato quello che ci aspettavamo ma anche molto di più: un vino assolutamente infinito, di valore assoluto, in grado di competere con i grandi, la strada possibile dell’Aglianico che non deve vergognarsi del frutto pur senza rinunciare alla freschezza e ai tannini. Il Libero Pensiero è un vino che ormai non vuole più alcun abbinamento.


Infine il Pater Nobilis Taurasi Riserva 2007 di Paternopoli. Annata calda, forse per questo Antoine decise di partire dal punto più alto della denominazione regalandoci forse il Taurasi più fine e ricco di sempre. Vino di una attualità sconcertante, per certi versi simile a un Barbaresco di Rizzi.


Tre vini indimenticabili che dimostrano la capacità progettuale di Antoine e sottolineano la grandissima perdita che ha subito il mondo del vino con la sua scomparsa. Elastico come un francese nel cambiare protocolli, poco disposto ai compromessi come un irpino. Può sembrare un ossimoro, ma non lo è: la sua inflessibilità riguardava la libertà del viticoltore di poter sperimentare come e quanto gli pare ma al tempo stessi dichiarando con onestà assoluta quello che realizza nella produzione del vino. La elasticità sta nel cavalcare l’annata con un surf senza incaponirsi sui protocolli e al tempo stesso decidere in quale direzione muoversi senza farsi travolgere dalle onde. Nessuno come lui è stato interventista e al tempo stesso rispettoso della natura e delle condizioni pedoclimatiche.
Al di là delle differenze, la 2008 e la 2009 (annata piovosa e terribile per l’aglianico a causa di un ottobre pieno di pioggia) più concentrate della 2007, tutte e tre le esecuzioni restano uniche nel suo genere e rivelano la stessa mano.


Un grande, grandissimo vigneron, che per fortuna ha trovato nella figlia e nella moglie la volontà esecutrice del suo testamento enologico.

InvecchiatIGP: Scarpa - Barbera d’Asti i Bricchi di Castelrocchero 1996


di Carlo Macchi

Si scrive Scarpa ma si legge Barbera. Fu amore a prima vista fin dal lontano 1991, quando la loro Bogliona 1986 mi marchiò a fuoco con un’acidità che mise a dura prova la mia dentatura. Però fu un colpo di fulmine e da allora per me Scarpa, rimasta fedele alle sue idee grazie a quel grande personaggio di Carlo Castino che ha tenuto dritta la barra dell’anima austera e inossidabile dei loro vini, è sinonimo di grande Barbera.


Oggi il timone è passato in mano a Silvio Trinchero, che non si sogna minimamente di deragliare dalla via tracciata a suo tempo. Se si scrive Scarpa ma si legge Barbera, si traduce Bogliona, una Barbera D’Asti (oggi superiore) che unisce la grande austerità ad un corpo importante e una complessità che si forma negli anni. 


Visitando Scarpa è quasi obbligatorio assaggiare la Bogliona, magari assieme a praticamente tutta la gamma aziendale, ma il vino di cui vi voglio parlare è un altro, quello che un tempo si chiamava Barbera d’Asti Bricchi di Castelrocchero, e oggi semplicemente Barbera I Bricchi.

Silvio Trinchero

Terreni argillosi tra Castelrocchero e Acqui Terme, attorno ai 400 metri portano ad un’espressione classica del vitigno. Talmente classica che l’interpretazione della 1996 mi ha lasciato veramente stupito per nitidezza di frutto e incredibile freschezza. Un Barbera, maturata in legni grandi, di quasi 30 anni, che ha ancora molto da dire.


Il colore in primis, ancora rubino brillante, ti prepara ad un inaspettato mix di giovinezza e complessità: infatti il naso parte su sentori di tabacco e cuoio per poi, dopo qualche minuto nel bicchiere, virare verso frutta rossa e erbe officinali. Sotto a tutto quello che un tempo si chiamava goudron e che oggi possiamo tradurre con intelligente uso del legno e equilibrio aromatico. In bocca (non avevo dubbi!) freschezza a iosa, grazie ad un acidità quasi ferrigna che “dirige le danze” ma lascia anche spazio alla tannicità soffusa ma birichina della Barbera. Ovviamente la lunghezza al palato è importante. 
Un vino che dimostra come il tempo, per le grandi Barbera d’Asti, non sia un problema ma un’opportunità.

Hatzidakis - Assyrtiko Nyxtepi 2021


di Carlo Macchi

L’assyrtiko è l’uva regina in Grecia e Santorini è un luogo unico per la viticoltura. Questo giovanissimo Assyrtiko lo dimostra con una freschezza principesca e un naso da favola, dove frutta secca si sposa a sentori di erbe officinali. Potente e lungo il finale. 


Hatzidakis è sempre più una certezza!

Donatella Cinelli Colombini: “Montalcino è la palestra dove si formano gli olimpionici del vino.”


di Carlo Macchi

Iniziamo la serie di interviste di Winesurf dedicate alle donne del mondo del vino, con Donatella Cinelli Colombini, vulcanica produttrice sia a Montalcino che in Val d’Orcia, tra le creatrici di importanti associazioni come il Turismo del vino e le Donne del vino. L’intervista ci ha portato a toccare temi generali e personali, con alcuni aneddoti veramente incredibili.
Winesurf. “Partiamo da tua madre che scrisse un libro dal titolo “Il vino fa le gambe belle” e narra storie di 60/70 anni fa, quando ancora il vino non era quel fenomeno quasi di massa che è oggi. Da allora quali credi siano stati i principali cambiamenti nel mondo del vino in generale e nel territorio del Brunello in particolare?”


Donatella Cinelli Colombini
In generale nel mondo del vino le zone che producono vino imbottigliato di alto profilo e le cantine di alto livello sono cresciute moltissimo, coinvolgendo anche aree che prima non erano così famose e ampliando così la possibilità di diventare imbottigliatori e esportatori anche a piccole realtà, col risultato che il numero di cantine di eccellenza è ulteriormente aumentato. A Montalcino la situazione è stata simile, nel senso che siamo passati da un piccolo numero di cantine prevalentemente di “indigeni” ad una popolazione molto più numerosa di quasi 300 cantine, dove ci sono persone da tutto il mondo e di natura molto diversa: da ultramiliardari (ce ne sono tre) a grandissime società tipo Rosewood a Castiglion del Bosco, colosso nel settore alberghiero, a Constellation, fino a piccoli appassionati spesso molto ricchi, che hanno realizzato il sogno di avere una cantina a Montalcino. Poi ci sono quelli come me.”

W. Che ormai sono una netta minoranza?

D.C.C. “Sono molto meno di prima diciamo che gli “alloctoni” saranno attorno al 65/70% più o meno.”

W. “Hai detto una cosa che mi ha stupito: 300 cantine attive, produttrici, con marchi: una marea su un comune piccolissimo, ma andiamo alla seconda domanda. La vecchia frase dietro a un grande uomo c’è una grande donna è ormai strausata e anche la battuta che dietro ad una grande donna c’è una grande colf. Ma dietro ad una grande donna come te chi c’è?”

D.C.C. “Ma quale grande donna? Comunque indubbiamente mio marito Carlo è stato una figura importante. Mi ha sempre sostenuto senza mai essere invidioso. Mi ha aiutato tanto, non solo concretamente per la parte finanziaria ma anche psicologicamente, perché sapere che c’è una persona che ha fiducia in te, all’inizio, è veramente importante.”

W. “All’inizio soltanto, dopo no?

D.C.C. “Anche dopo, credo. Dopo si acquisisce anche più fiducia ma all’inizio ti vengono dubbi del tipo: Ora metterò sul lastrico tutta la famiglia?

W. “2008 brunellopoli, crisi americana dei subprime, poi disputa tra 100% sangiovese o no: tanti errori dal punto di vista della comunicazione e problemi di mercato. Nonostante questo il Brunello, da allora, è cresciuto in maniera esponenziale, perché?”

D.C.C. “Brunellopoli l’ho vissuta in modo strano perché nel 2008 ero Assessore al Turismo a Siena. Dal punto di vista politico in Toscana in quel momento eravamo senza assessore regionale e con al governo Berlusconi, di altro schieramento politico. La Provincia e la Camera di Commercio ricevevano ispezioni quasi tutti i giorni. Mi trovavo sul fronte istituzionale, con riunioni dove mi proponevano liste, che non capivo da dove venissero fuori, di aziende che non erano conformi. Inoltre il Ministro Zaia voleva chiudere la questioni a tutti i costi perché temeva che la situazione del Brunello portasse a bloccare tutte le esportazioni di vino negli Stati Uniti. Ci sono stati momenti molto difficili, come quando ci fu il sequestro da Banfi, che proprio non sapevi cosa fare. Pensa che il giorno dopo il Palio arrivarono in elicottero Zaia e l’Ambasciatore Americano. Zaia andò dal Procuratore della Repubblica e dato che ero Vicepresidente dell’Enoteca Italiana, fui incaricata di intrattenere l’Ambasciatore, che era convinto che fosse un complotto dei comunisti contro gli interessi americani. Oggi sembrano novelle. Ma rimane il fatto che Brunellopoli è stata forse una fortuna, perché ha spinto i produttori a impegnarsi nei vigneti molto di più, così da ottenere dei grandi risultati. Poi c’è stata anche la “spintarella” del cambiamento climatico che ha dato una bella mano. Ci sono comunque due concomitanze che portano alla fortuna del Brunello: una quantità piccola e circoscritta di bottiglie (si parla di massimo 9 milioni) ma molto prestigiosa, così da attrarre capitali e ambizioni. Montalcino è come un centro sportivo di alto livello, dove formano quelli che vanno alle Olimpiadi: tu che sei un talento vai lì ad allenarti perché sai che poi otterrai molto di più in termini di risultati.

W. “Domanda dovuta: il mondo del vino è più maschilista adesso o negli anni ottanta/novanta del secolo scorso?”

D.C.C. “Era molto più maschilista prima anche perché oggi ci sono molte più donne nel mondo del vino. Se partiamo dai dati che abbiamo adesso in mano le donne guidano circa un terzo delle cantine italiane, per precisione il 28%. Percentuale che corrisponde anche a quella delle aziende agricole dirette da donne. Se andiamo a vedere i dati generali dell’agricoltura la superficie di aziende dirette da donne è il 21%, perché mediamente le aziende guidate da donne sono più piccole di quelle maschili, ma questo 21% produce il 28% del PIL agricolo, quindi sono più performanti di quelle maschili. Se parliamo invece solo delle aziende vinicole vediamo che in vigna e in cantina le donne sono circa il 14%, quindi sono minoritarie sia nei numeri che nei ruoli. Invece dove le donne sono molti forti è nei settori nuovi: nel commerciale sono un po’ più del 50% (addetti e manager), nel marketing e nella comunicazione sono la stragrande maggioranza, oltre il 70% e così nel turismo enoico. Questo fa si che crescendo nei settori strategici, quelli dove il vino è più vicino al consumatore finale, sono cresciute di importanza e di retribuzioni e di quelle che potremmo definire prospettive politiche.”

W. “Ma al punto di vista di mentalità generale oggi il mondo del vino è più aperto verso le donne o è sempre rimasto al passato?”

D.C.C. “Dato che tra i consumatori di fine wines è cresciuta notevolmente la quota femminile questo porta ad un ribilanciamento nel settore produttivo. Abbiamo dati statunitensi dove la remunerazione è un dollaro all’uomo e 90 centesimi alle donne, ma nel wine businness ci sono 96 centesimi alle donne per un dollaro di retribuzione maschile: è il settore più vicino al gender equity.

W. “Qual è stato il commento o la frase più maschilista che ti hanno rivolto nel tuo ruolo di produttrice di vino?”

D.C.C. “E’ brutto dirlo perché riguarda il settore di mio marito, quello delle banche, ma quando una donna, accompagnata da un uomo, parla con un responsabile di una banca, quello guarda l’uomo e la esclude quasi automaticamente.

W. “Premio Casato Prime donne: credi che nel mondo del vino ci sia abbastanza cultura o lo vedi come un mondo che usa poco o niente messaggi culturali?”

D.C.C. “In generale i giovani studiano poco, imparano con altri strumenti, non con lo studio come noi possiamo intendere e ho dei dubbi sulla sopravvivenza del concetto di cultura come la intendiamo noi, cioè sull’approfondire il concetto di essere umano, sul senso della vita.

W. “Una visione molto umanistica.”

D.C.C. “Oggi come oggi tendenzialmente c’è un livello culturale molto più “spiccio” e si vede bene nel turismo: se andiamo a vedere quali sono i luoghi più ricercati per visite non troviamo i musei ma luoghi che in qualche modo rappresentano delle esperienze: per esempio il più ricercato e quello che in Baviera viene chiamato “Castello di Ludwig” (Castello di Neuschwanstein. n.d.r.). In Asia sono molto ricercati luoghi che celebrano fumetti e cartoons. Su un altro registro mi ha colpito che uno dei luoghi più visitati in Olanda sia la casa di Anna Frank, quindi un luogo dove c’è una storia importante alle spalle.”

W. “E nel mondo del vino, dal punto di vista culturale, tutto questo cosa diventa?”

D.C.C. “Il mio giudizio è piuttosto negativo: si studia poco, s legge poco, si vanno a vedere le cantine di altri cercando però più una chiave di successo che uno stile del fare. Studiare come faceva Giacomo Tachis per intendersi, uomo che ha studiato tutta la vita, è un approccio ormai abbandonato.”

W. “A questo proposito, Il giornalismo enoico in Italia fa più cultura, informazione, o comunicazione?”

D.C.C. (ci pensa un po’) “Fa comunicazione!

W. “Sul totale quanto conta la comunicazione 80%? 90%?”

D.C.C. “Il grosso è composto da degustazioni di vino, punteggi, descrizioni di vini, luoghi, persone.

W. “Invece che differenze vedi tra il giornalismo enoico italiano e quello estero?”

D.C.C. “All’estero c’è una fetta importante di giornalisti che vengono dal giornalismo, come la Monica Larner o da lauree in letteratura come la Kerin o ‘Keefe. Poi ci sono quelli specializzati nel settore della distribuzione vendita del vino che è un po’ il taglio dei Master of Sommelier.

W. “Donne del vino e Turismo del vino, due associazioni a cui hai dato e stai dando molto. Quale di queste due entità oggi reputi più importante in questo momento?”

D.C.C. “In questo momento direi il Turismo del vino, se però ingrana la marcia! Siamo in un momento molto, molto complicato: basta andare a Venezia o in Piazza della Signoria a Firenze anche solo una volta per rendersi conto di quanto le città siano assediate e asfissiate dall’overtourism. Bisogna riuscire in ogni modo a trasformare il turismo da ricchezza diffusa a ricchezza sostenibile, che non trasformi i luoghi in delle Disneyland di loro stessi. L’enogastronomia ha un ruolo determinante in questo, ma solo nel momento in cui faremo spaghetti al pomodoro perfetti più che inventarci un piatto improbabile con cinquanta ingredienti quasi introvabili. Non è una cosa intuitiva e semplice da fare, però trasformare i ristoranti in posti rappresentativi della cultura materiale del luogo è fattibile e porterà una ricchezza sicura per un ciclo di anni lunghissimo ma, ripeto, non è per niente semplice. Il turismo è una macchina veloce, è un business almeno 6 volte più grande rispetto al vino, siamo a circa 1500 miliardi contro 250. Per dare un’idea Expedia e Booking spendono su Google 10 miliardi di dollari all’anno di advertising. Si parla di un miliardo e mezzo d viaggiatori, che costituiscono un’opportunità ma anche un rischio. Per esempio Montalcino è cambiata tanto ed è sul limite di diventare un “turistificio”, la Disneyland del Brunello. Per arginare questo fenomeno bisogna intervenire subito e non mi sembra, a livello politico, che la nostra ministro Santanchè sia in grado di farlo.

W. “Qual è il vino che ti ha reso più orgogliosa?”

D.C.C. “Sicuramente il Cenerentola.”

W. “Un’annata particolare o il Cenerentola come idea fatta vino?”

D.C.C. “Il Cenerentola non è ancora quello che voglio io: stiamo lavorando molto al miglioramento dei vigneti ma qui (al podere il Colle a Trequanda n.d.r.) è molto più difficile fare vino rispetto a Montalcino, dove il terreno è più semplice da capire. Qua è molto più complicato, a partire dal trovare i portainnesti giusti. Per arrivare dove voglio io ci vorranno ancora degli anni.

W. “E invece il vino che non avresti mai voluto fare?”

D.C.C. (Ci pensa un po’) “Questa è un po’ una cosa mia: non amo i vini dolci e i rosati.

W. “I consumi diminuiscono, specie per i vini rossi, specie negli Stati Uniti: qual è secondo te la ricetta giusta per far bere più vino rosso nei prossimi anni?”

D.C.C. “Bisogna fare un passo indietro: secondo me quando l’uva arriva in cantina non bisogna toccarla più. Dobbiamo lavorare in vigna per ottenere quelle caratteristiche per un vino che sia vicino al consumatore moderno. Faccio ancora un passo indietro: si dice, e credo sia vero, che il vino è un’espressione culturale, come la musica: quando noi ascoltiamo la registrazione di un brano, per esempio, di Beethoven, capiamo immediatamente se è una registrazione di cinquanta anni fa o di venti o è attuale. Beethoven è sempre lo stesso ma è suonato in un modo diverso. Col vino è lo stesso: oggi noi abbiamo davanti consumatori che mangiano meno salato, meno dolce, meno grasso, in quantità inferiori e in maniera più fusion. Bisogna riuscire ad arrivare nella vigna e non in cantina a vini che siano adatti a questo tipo di consumatore. Questo vuol dire che quando io ci metto un giorno per convincere l’agronomo che il terreno con la giacitura perfetta, che è sempre stato nei suoi sogni, non va più bene è una grande fatica. Oggi il sole è diverso, la temperatura è diversa e bisogna pensare ad un luogo e un modo diverso di piantare le vigne, ad un portainnesto diverso, ad un modo diverso di coltivare la vigna.

W. “Comunque non è che si possa mettere, come dice il mio caro amico Peter Dipoli, un cric sotto i vigneti e alzarli.”

D.C.C. “Ma le puoi ripiantare in un posto diverso, mentre mi sembra che gli agronomi continuino ad amare luoghi con le stesse caratteristiche del passato.”

W. “Poco tempo fa abbiamo fatto qui da te una bellissima degustazione di passiti, vini certamente non molto consumati in questi anni: secondo te quale tipologia vedi veramente in crisi e quale avrà il futuro più roseo?”

D.C.C “Vin Santo e vini dolci passiti sono in grossissimo affanno per molti motivi, però abbiamo il dovere di difenderli. Credo invece che se noi lavoriamo bene, ma proprio bene, stando attenti a molti fattori, in primis acidità, vedo in Toscana una prospettiva anche per i vini bianchi.

W. “Stati Uniti, Inghilterra, Germania, Giappone, Cina: dove è più facile vendere vino?”

D.C.C. “Negli Stati Uniti!

W. “E perché?”

D.C.C. “L’Inghilterra, dopo la Brexit, sta andando incontro ad una crisi ancora più grave di quella attuale. La Cina è un mercato dove un produttore non guadagna mai perché ti chiedono aiuti e incentivi continuamente, ma quando smetti di darglieli ti tocca a cambiare importatore. Il Giappone è un mercato forte, molto forte, ma è anche un mercato storico: quindi ci si lavora bene ma bisognava entrarci 25-30 anni fa. In Germania… hanno cinque modi per dire sconto.”

W. “Qual è l’insegnamento che hai trasmesso a tua figlia Violante e ti rende più orgogliosa”

D.C.C. “Credo di averle trasmesso, oltre alla convinzione dell’importanza di lavorare con serietà e impegno, anche credere che non basta lavorare per sé ma bisogna anche impegnarsi per gli altri, dedicarsi all’associazionismo, fare un passo indietro quando c’è chi ha bisogno di aiuto. Sapere che il proprio successo non si misura in soldi o in bottiglie vendute ma nel sapere che hai fatto la differenza anche per gli altri.

W. “Invece qual è il difetto peggiore che le hai trasmesso?”

D.C.C “Diciamo che, come me, è un po’… brusca, non è molto femminile nel senso tradizionale del termine.

W. “Se volessi comprare un’azienda di vino in quale territorio la sceglieresti?

D.C.C “Ci sono due zone che mi affascinano molto, per motivi diversi: la prima è le Marche e sono anche una fanatica supporter di Ampelio Bucci. Secondo me il Verdicchio può avere dei potenziali di invecchiamento straordinari e anche dei potenziali di miglioramento straordinari. Un’altra zona che mi affascina molto è il Vulture, perché a me piacciono le zone vulcaniche alte. In questo senso anche se la zona dell’Etna mi piace molto avrei però molta paura, almeno dando ascolto a quanto si sente dire e si legge relativamente alla criminalità organizzata sull'isola. Nel Vulture invece non penso ci sia questo problema e inoltre l’aglianico è un vitigno che amo.”

W. “Cosa bevi a tavola, il vino di Trequanda o di Montalcino?”

D.C.C “A tavola non beviamo mai i nostri vini. Preferisco i bianchi perché con un rosso mi sembrerebbe di essere al lavoro. Mi ha veramente impressionato il Timorasso: sembrava ci fosse solo Walter Massa e invece ho trovato tanti produttori che fanno ottimi vini. Altra zona che mi ha colpito è la Côtes du Rhône, dove sono stata di recente: credevo che fare Syrah fosse semplice, tipo produrre Cabernet Sauvignon e invece quando ci siamo trovati a degustarne tanti mi sono resa conto che arrivare a produrre ad altissimi livelli è difficilissimo. Per esempio il livello di Chave è completamente diverso da tanti altri vini che abbiamo assaggiato. Per certi versi mi impressionano tanti vini spagnoli. Alla fine da noi, di una zona estera, finisci per assaggiare sempre le solite cose ma poi quando la visiti ti rendi conto delle grandi diversità, di come sia un universo molto complicato e avresti bisogno di tanto tempo per capirla. Certe volte scopri dei vini incredibili, come quelli da vigneti centenari dell’Argentina: vini eccezionali che danno delle grandissime emozioni. Certe volte assaggiando in maniera bendata determinate zone alla fine ti accorgi che hai preferito è un vino che ha una grande reputazione

W. “In questo caso non ti viene da pensare che, in un territorio che non conosciamo bene, ci piacciono più i vini che abbiamo già assaggiato in altre occasioni. Che, insomma, la memoria ci faccia preferire qualcosa di già “ascoltato”?”

D.C.C “Quasi sempre è così. Aggiungo che noi bisogna riabituarci ad usare più l’olfatto: le soglie di percezione nostre sono migliori di quelle dei cosiddetti nasi elettronici. Noi ci fidiamo troppo poco del naso e troppo della bocca.

W. “Sono d’accordissimo e devo dire che mia moglie ha un naso finissimo, incredibile.”

D.C.C. “Pensa invece che mio marito, durante il covid, si era abituato agli acquisti online: trovandosi di fronte a scelte sconfinate comprava le cose più strane, per esempio i vini dell’Himalaya oppure fenomeni di marketing di caratura mondiale come quel vino australiano che ha sull’etichetta facce di 19 ergastolani: metti davanti all’etichetta il cellulare con Q-code e loro parlano. Però è un vino cattivissimo!"

W. “Adesso devi fare la delatrice: dimmi i nomi di alcune importanti donne del mondo del vino che, secondo te, dovrei intervistare.”

D.C.C “Tra le nuove generazioni Elisabetta Pala, che ha lasciato l’azienda di famiglia e si è creata la sua cantina: vini di un altro pianeta. Poi dovresti intervistare Elena Fucci, che all’inizio ha avuto un coraggio da leone. Poi, Silvia Fuselli, che da calciatrice in Serie A è diventata vignaiola a Bolgheri. Su un livello diverso ti consiglio di intervistare Roberta Corrà, Direttore Generale di GIV: è una fuoriclasse. Poi la Ruenza Sant’Andrea, presidente del Consorzio Vini di Romagna, anche lei bravissima, e la nuova enologa dell’Ornellaia, Denise Cosentino.