Intervista al Prof. Luigi Moio che parla fuori dai denti di vino italiano e prospettive future - Delivery IGP


Intervista di Luciano Pignataro al prof. Luigi Moio, ordinario di enologia alla Federico II, produttore e vicepresidente OIV (Organizzazione internazionale della vigna e vino)

Il vino nella sua lunga storia ha conosciuto tante crisi, economiche, storiche, culturali. C'è una specificità di questa in corso?

Le crisi del passato hanno quasi sempre colpito la produzione. Alla fine del diciannovesimo secolo la fillossera, proveniente dall’America, distrusse una enorme quantità di vigneti. Quasi contemporaneamente, oidio e peronospora, due malattie entrambe causate da funghi, compromisero seriamente la coltivazione dell’uva. Poi la crisi del dopoguerra. Tutti periodi che hanno determinato una enorme contrazione della produzione. Circa trentacinque anni fa, in un mercato debole verso l’esportazione ma sufficientemente regolare sulla domanda interna, abbiamo vissuto la crisi epocale e tragica del metanolo, che però, incredibilmente, diventò un trampolino di lancio straordinario verso il successo globale del vino italiano. Dopo quel lontano 1986, che ricordo molto bene per le infinite analisi di vini che eseguii all’università, le parole d’ordine per il vino italiano diventarono: qualità e tracciabilità. Si cominciò a parlare sempre di più del legame tra i vitigni ed il territorio dando vita ad una eccezionale crescita qualitativa fino al successo straordinario degli ultimi anni. 
Oggi, in questa tempesta del Covid-19, lo scenario è completamente diverso. La qualità dei vini è elevatissima, le bottiglie sono sempre le stesse, ma improvvisamente ed inaspettatamente il mercato si è fermato e la domanda è precipitata. Il crollo, tuttavia, è differenziato. Con il canale Ho.re.ca. non più attivo come prima e l’annullamento di cerimonie, pranzi di lavoro, momenti conviviali esclusivi, la domanda di vini di pregio ha subito una significativa contrazione mentre quella di vini ordinari, giornalieri, di largo consumo, presenti soprattutto nella grande distribuzione, in alcuni casi, ha subito un notevole incremento. Stiamo vivendo una crisi che oltre alla elevata riduzione della domanda generale ha creato un forte disequilibrio tra i vari segmenti del mercato del vino che probabilmente provocherà un riposizionamento di una parte dell’offerta. 

Luigi Moio

Quali sono i punti deboli del sistema vino italiano che hanno aggravato la difficile situazione? 

Prima di tutto la mancanza di coordinamento tra gli istituti (pubblici e privati) per la promozione del vino e, in questa disperata fase che stiamo vivendo, una carenza di assistenza e sostegno alle aziende. Purtroppo le aziende vitivinicole italiane soffrono storicamente di un diffuso problema dimensionale (le imprese del vino italiano sono piccole), ciò crea non pochi ostacoli in una economia globalizzata, dove la massa critica è fondamentale. 
Un altro punto debole è, a mio avviso, il disordine tipico del modo del vino in tutte le sue componenti. Nel mercato esistono definiti segmenti (vini di largo consumo, vini premium, top wine, ecc.) ed oggi anche molteplici approcci produttivi quasi tutti orientati verso il biologico, termine che giustamente è diventato un marchio di una modalità di alimentarsi più sana e più naturale. Ovviamente tutti vogliono fare tutto senza indicare in modo chiaro e preciso quali sezioni del mercato si desidera occupare. Questo aumento del caos ha determinato anche uno straordinario ed anomalo affollamento di etichette che sono diventate davvero tantissime, in particolare in riferimento al numero delle etichette prodotte da una singola azienda. A tutti i costi si cerca una diversificazione immediata del prodotto per accontentare tutti, ma in realtà, ho la sensazione che si finisce per non accontentare nessuno. Il Covid ci ha fatto riflettere sul delirio di onnipotenza dell’uomo, il quale deve convincersi che non può fare tutto dappertutto, e anche nel mondo del vino è così! 


Ci sono i presupposti di una ripartenza? E su cosa si basano? 

Certo che ci sono i presupposti per una nuova e straordinaria affermazione del vino italiano nel mondo. Prima di tutto non bisogna perder la forza della nostra Italia che risiede nella sua straordinaria diversità. Il vino è diversità e l’Italia in questo particolare contesto è un paradigma planetario di diversità. In uno scenario mondiale in cui la diffusione sempre degli stessi pochi vitigni, cosiddetti internazionali, ha portato ad un livellamento identitario sotto il profilo sensoriale, i nostri vini ottenuti dai vitigni storici italiani, meglio conosciuti come autoctoni, hanno un vantaggio competitivo enorme anche per il fatto che la scelta degli appassionati si orienta su vini diversi e con una maggiore connotazione territoriale. Ci vuole però un po’ di coraggio e soprattutto una profonda conoscenza tecnica delle differenti varietà di uva e dei processi di vinificazione, i quali dovrebbero essere plasmati sulle caratteristiche dell’uva in modo da ottenere vini che esprimano al massimo il potenziale varietale dell’uva e dei luoghi di origine. Questa è la nostra grande forza e tutto ciò dopo il Covid, deve diventare ancora più valore. 
Inoltre, dopo questo periodo così particolare che ci ha completamente disorientati e confusi, è necessario dare ancora più forza all’enoturismo. Le cantine devono diventare attrattori culturali, bisogna metterle in rete in modo ordinato ed organizzato allo scopo di creare tutte le condizioni per poter fare una buona accoglienza. Oggi chi produce vino non può limitarsi solo al contenuto della bottiglia, è impensabile! Egli non solo dovrà vendere il vino ma anche il luogo in cui si realizza. Il turismo del vino abbinando il vino con il paesaggio genera bellezza. La vista dei vigneti, che danno ordine al paesaggio creando colori meravigliosi con l’alternanza delle stagioni, genera emozioni. Pertanto è necessario prepararsi bene ad accogliere gli appassionati per illustrare e raccontare loro la vita in vigna ed in cantina con estremo garbo, semplicità ed autenticità. 


Un altro punto non più differibile, alla luce dell’enorme crescita della sensibilità ambientale nella società, è l’attenzione ad un’agricoltura sempre più “green”, un’agricoltura “pulita” e “pura” nei confronti dell’ambiente, del suolo, della pianta, degli operatori e dei consumatori. Questi importanti aspetti è necessario affrontarli a livello di sistema e con adeguate conoscenze tecniche contemplando la sostenibilità ambientale di qualsiasi scelta lungo tutta la filiera vitivinicola, dall’uva alla bottiglia. Chiaramente lo stesso discorso vale in cantina dove tematiche come “ecowinery” ed una enologia che amo definire “leggera”, ossia una sorta di “milde-enology”, sono concetti non più procrastinabili che vanno affrontati con profonda umiltà e di conseguenza con l’aiuto della ricerca scientifica e della conoscenza. Non si possono raccontare storielle e favolette, è il momento di essere seri e responsabili, spiegando per bene che cosa è la viticoltura di qualità e che cosa è il vino di qualità. 

Questa crisi ha fatto ripensare i consumi del vino. Si sono rafforzati nuovi sistemi di vendita come l'e commerce e la Gdo. Questo spinge a ripensare anche la produzione nei prossimi anni?

È molto probabile che qualcosa cambierà ed anche in modo molto rapido. Quello che c’era non c’è più. Quando tutto passerà molte cose non saranno più le stesse a cominciare da noi. È necessario riflettere a fondo per intraprendere in fretta un nuovo cammino che consentirà alla nostra Italia del vino di rilanciarsi con nuovi progetti e rinnovate energie verso una sempre più forte affermazione sul piano nazionale ed internazionale. La storia narra che nei momenti di difficoltà nascono grandi opportunità. Nel caso del vino, come ho ricordato prima, è già accaduto trentacinque anni fa con la crisi che seguì lo scandalo del metanolo. Rapidamente l’intero comparto vitivinicolo si trasformò radicalmente portando il vino italiano a livelli di eccellenza qualitativa mai raggiunti prima. La stessa cosa deve emergere da questo brutto periodo che stiamo vivendo. Una crisi terribile che deve tramutarsi in una grande opportunità di rilancio affrontando tutte le tematiche attuali per adeguare l’intera filiera vitivinicola al mondo moderno. La pandemia ha rafforzato scelte che garantiscono maggiore salubrità ed in quest’ottica l’intera filiera produttiva deve assolutamente aumentare gli sforzi per garantire la sicurezza di tutti i consumatori e la sostenibilità ambientale. 
Una grande attenzione bisogna rivolgerla nei confronti dell’agricoltura biologica e sulle sue modalità di esecuzione. Anche in seno all’OIV il dibattito da anni è vivace e le tematiche sulla sostenibilità e sul biologico costituiscono gli assi principali del piano strategico per gli anni futuri. La sensibilità dell’opinione pubblica su questo punto è cresciuta tantissimo ed è impellente la necessità di adottare pratiche agronomiche più rispettose dell’ambiente e della fertilità dei suoli.
In tale ottica questa crisi potrebbe rivelarsi un formidabile acceleratore della conversione dell’intera viticoltura italiana in biologico, cominciando dalle denominazioni di maggior pregio e di maggiore valore. Un processo che, a mio avviso, dovrebbe coinvolgere l’intero paese in tempi rapidissimi in modo da permettere all’Italia del vino di aggiungere alla sua eccezionale originalità varietale e territoriale un altro importantissimo e fondamentale valore. Chiaramente un rinnovamento di tale portata dovrà interessare diversi aspetti dell’intera filiera. Per esempio, mi viene in mente la revisione delle rese massime di produzione soprattutto dove si producono elevate quantità di uva. È una delle tante azioni che è possibile mettere in campo in favore della sostenibilità ambientale, della salubrità e del miglioramento della qualità del potenziale enologico italiano. Bisogna riflettere sul fatto che in futuro non sarà più sufficiente produrre vini buoni, ma diventerà sempre più importante come vengono prodotti, ponendo la massima attenzione al rispetto degli equilibri ambientali ed ai valori etici. 

C'è una incompatibilità strutturale tra vini di alto pregio e la Gdo in Italia?

L’incompatibilità esiste ed è forte se l’offerta è presentata interamente sui generici e sempre più affollati scaffali destinati al vino. In questo caso la confusione tra le innumerevoli tipologie di vino, il ridotto tempo di sosta dei potenziali acquirenti davanti alle bottiglie esposte, l’impossibilità di approfondire argomenti tecnici che portano alla scelta della bottiglia, svilirebbe il valore dei vini di pregio. Al contrario, laddove all’interno della struttura viene prevista una enoteca separata dall’intero contesto e destinata solo ai vini di elevata qualità con personale qualificato ad assistere i clienti, potrebbe esserci una convivenza.

Più in generale, come definire l'attuale situazione del vino in Italia? Quali le tendenze che stanno emergendo e quali modelli sono in declino?

Il vino italiano non è stato mai così buono come oggi. La qualità è cresciuta enormemente. Il problema è la confusione, che è tantissima. Proprio le cosiddette nuove tendenze, i molteplici modi di fare il vino, di proporlo, di raccontarlo, hanno generato un rumore di fondo che disorienta e confonde gli appassionati. Va benissimo cercare nuove strade, oppure riprendere sistemi del passato che, anche se dal punto di vista tecnico non son del tutto chiari, sono comprensibili per i motivi profondi legati al recupero delle origini ed alla ricerca di un contatto più intimo e personale con la terra. Tuttavia non posso sottrarmi dall’invitare a riflettere su alcuni concetti che ho già espresso in passato. Tollerare in modo indiscriminato, in nome di una presunta genuinità, qualsiasi interpretazione produttiva e qualsiasi alterazione sensoriale in un vino, annulla ogni coerenza varietale e territoriale. Purtroppo una ossidazione spinta, una forte riduzione o addirittura chiari sentori di acescenza sopprimono in modo palese ciò che si vuole comunicare attraverso una bottiglia di vino: la sua autenticità territoriale. È evidente che lo stesso identico risultato, ossia il mascheramento ed il depotenziamento della autenticità territoriale del vino, si ottiene anche con un eccesso di note odorose di legno, con una dominanza (in modo particolare nei vini bianchi) di esteri di fermentazione, con interventi invasivi di chiarifica e di filtrazioni molto spinte sui mosti e sui vini che possono ridurre il livello dei precursori d’aroma varietali che, nel libro “Il Respiro del Vino”, ho spiegato con la metafora dei palloncini zavorrati. Le tendenze che, invece, dovrebbero sempre di più emergere in futuro dovrebbero essere dirette davvero all’ottenimento di vini in cui si cerca di esprimere al massimo l’originalità territoriale. È questa l’arma vincente del vino italiano. Tuttavia, non bisogna solo parlarne per meri motivi commerciali, ma occorre percepirla realmente nel bicchiere. È fondamentale pertanto riconsiderare un principio agronomico primario, forse un po’ trascurato negli anni recenti, ossia, favorire l’interazione genotipo/ambiente che equivale a dire: coltivare la pianta che maggiormente si adatta al contesto pedoclimatico in cui si opera. La perfetta sintonia di una specifica cultivar di vite con l’ambiente pedoclimatico in cui vegeta fa si che la possibilità che i grappoli, una volta maturi abbiano tutti i parametri compositivi in equilibrio, sia molto più elevata. Di conseguenza anche il vino che si otterrà sarà armonico in tutti i suoi componenti ed il suo equilibrio sarà principalmente dovuto alla perfetta combinazione tra pianta, suolo e clima, che insieme all’uomo costituiscono la base del concetto di terroir. Se questa naturale armonia del vino non si verifica a causa di uno squilibrio compositivo del grappolo d’uva per una inadeguata sintonia tra pianta, suolo e clima, l’uomo deve intervenire molto di più per compensare, per correggere, per ricomporre un equilibrio. Ecco perché dico spesso che oramai oggi i vini buoni si fanno un po’ dappertutto nel mondo, ma i grandi vini non è possibile farli ovunque ma solo in quei luoghi in cui si verifica una assoluta interazione tra la pianta e l’ambiente pedoclimatico. 
Naturalmente per realizzare tutto ciò è necessario possedere conoscenze tecniche approfondite che abbracciano tutti i settori delle scienze agrarie e saper sempre dubitare: chi ha troppe certezze sulle proprie convinzioni rischia di smarrirsi. Conoscere bene le questioni complesse ci permette di porci delle domande, di ragionare, di prevenire e di conseguenza di intervenire il meno possibile per procedere, invece, in una azione di assistenza dei processi. 
Questi concetti costituiscono, da diversi anni, l’essenza dei miei corsi all’università, lo sanno molto bene i mei studenti ai quali cerco di trasmettere tutte le conoscenze possibili per poter pianificare sin dall’impianto del vigneto il potenziale enologico necessario all’ottenimento di un vino di terroir. 

Le guide tradizionali hanno ancora un senso? Di cosa avrebbe bisogno oggi il mondo del vino sul versante della comunicazione? 

Io amo la carta, adoro l’odore dei libri e mi piace tantissimo il contatto intimo con le pagine, per cui mi dispiacerebbe molto se le guide dovessero lentamente essere sostituite da strumenti mediali. Esse sono state fondamentali per l’affermazione del vino italiano, sia in Italia che nel resto del mondo, realizzando un straordinario lavoro di informazione capillare aiutando ad emergere tante piccole ed ottime realtà aziendali. Purtroppo il Covid sembra averne accelerato la sostituzione con altri mezzi di informazione semplicemente perché ha velocizzato enormemente il passaggio al digitale offrendo al mondo intero nuovi ed innovativi strumenti di comunicazione con i quali presto tutti hanno familiarizzato e di cui sicuramente pochi potranno fare a meno in futuro. Poter organizzare con estrema facilità meeting virtuali raggiungendo contemporaneamente più persone nei luoghi più disparati del mondo è una rivoluzione nella comunicazione ed è una grande nuova opportunità per le aziende perché possono raggiungere direttamente i loro importatori, i loro clienti, gli appassionati in generale, portandoli virtualmente nelle vigne, nella cantina ed in ogni luogo dei propri territori del vino. 
Le guide in uno scenario di questo tipo dovranno essere riconcepite. Probabilmente sarà necessario ampliare le informazioni sulle aziende esaminandone attentamente l’intera filiera sul campo, attraverso visite saltuarie altamente professionali e non chiedere semplicemente le informazioni alle aziende attraverso un modulo prestampato. Inoltre, oltre al contenuto del bicchiere, vanno assolutamente considerati attentamente e senza preconcetti anche altri aspetti, come: filosofia produttiva, organizzazione aziendale, gestione delle vigne, valori etici e morali, ecc. 


In merito poi alla specifica qualità espressiva dei vini, in particolare nel caso dei vini più pregiati, bisognerebbe fare un parallelo con almeno le annate più recenti in rapporto all’andamento climatico dell’annata, ciò allo scopo di fornire agli appassionati informazioni più precise sulla evoluzione sensoriale dei vini di maggior valore. Riguardo alla situazione attuale, effettivamente, forse non ha più senso leggere una ripetitiva e noiosa descrizione sensoriale del vino sintetizzata in un giudizio che, per via delle tante guide presenti sullo scenario nazionale, finisce con il creare ancora più confusione in quanto molto frequentemente sembra valere tutto ed il contrario di tutto.

Come sta cambiando Quintodecimo in questi mesi? Quali prospettive e quali obiettivi nuovi? 

Quintodecimo si sta gradualmente completando. L’intera famiglia ed i nostri collaboratori sono tutti impegnati a perfezionare un progetto estremamente chiaro e molto lineare. Un desiderio prorompente maturato nella mia mente durante il lungo periodo trascorso in Borgogna, dal 1990 al 1994, in cui studiavo l’aroma dello Chardonnay e del Pinot Noir. Lì, nella culla di questi due straordinari vitigni, scoprii un mondo meraviglioso in completa sintonia con la mia visione del vino. Al ritorno in Campania la voglia di fare qualcosa di simile, di vivere in mezzo alle vigne e di produrre vini di grande qualità che siano una reale restituzione del territorio d’origine è stata irrefrenabile. Come ho già detto, mi è sempre stato chiaro che per realizzare vini di terroir è necessario porre la massima attenzione nella scelta della pianta che meglio si adatta al contesto pedoclimatico che la ospita. Dunque, avendo una formazione puramente agronomica, scelte come: clone, portinnesto, modalità di impianto, conduzione agricola, strategie di gestione del vigneto sono tutti aspetti basilari che da anni desideravo curare in modo maniacale per creare la magia dell’armonia tra vigna, suolo e ambiente. 
È chiaro che un tale disegno richiede molto tempo e tantissima pazienza. Agli inizi è stato necessario adattarsi. Infatti, a parte i vini rossi che sono stati sempre prodotti esclusivamente dalle vigne di Aglianico piantate nel 2001 a Mirabella Eclano intorno alla casa, per i bianchi abbiamo usufruito di pochi esclusivi e fedeli conferitori con i quali è stato instaurato un rapporto di collaborazione nelle scelte agronomiche per la gestione delle vigne. Ovviamente non era questo a cui aspiravo, ma per portare a termine il progetto con vigne di proprietà anche con il Fiano, il Greco e la Falanghina, era necessario attendere. La Falanghina, fortunatamente, la piantammo subito qualche anno dopo a Mirabella Eclano, per produrre il nostro Via del Campo. Molto più lunga, invece, è stata l’attesa per il Fiano ed il Greco perché volevo completare l’opera solo ed esclusivamente realizzando le vigne di Greco a Tufo e quelle di Fiano a Lapio. Sin dai tempi della frequentazione dell’istituto agrario di Avellino (a metà degli anni settanta) ho sempre considerato tra le zone di massima elezione dei vini Fiano e Greco, gli areali di Lapio e di Tufo. Era lì che volevo le mie vigne. Ho aspettato pazientemente ed in silenzio per molto tempo fino a che, pochi anni fa, il sogno si è concretizzato. 
Oggi, nella parte alta del comune di Tufo, a poca distanza dal paese, abbiamo una bellissima tenuta di circa quindici ettari coltivata a Greco dal quale produciamo il nostro Giallo d’Arles. A Lapio, invece, su circa sette ettari di terreno acquistati in località Arianiello, proprio all’ingresso del paese, stiamo completando gli impianti destinati alla produzione del nostro Exultet. Contemporaneamente abbiamo ultimato gli impianti delle vigne di Aglianico a Quintodecimo, dove produciamo i nostri tre vini rossi: Vigna Quintodecimo, Grande Cerzito e Terra d’Eclano. Nei primi mesi dell’anno, durante il lockdown totale, ed in quelli successivi, ci siamo interamente dedicati al completamento delle vigne. Oggi l’azienda è proprietaria di quaranta ettari, di cui trentadue vitati, ripartiti in tre nuclei: Mirabella Eclano, Lapio e Tufo. Tutti sono a conduzione biologica ed il prossimo anno si completerà il percorso per la certificazione. L’ambito progetto di produrre i nostri tre vini rossi ed i tre bianchi solo dalle uve di nostra proprietà, curando direttamente l’intera filiera dall’uva al vino, gradualmente e pazientemente si è completato. 

Quintodecimo

Ovviamente per la conduzione delle vigne interamente in biologico, applicando principi di sostenibilità ambientale, è necessaria una continuità d’azione ed una profonda conoscenza tecnica nel campo delle scienze agrarie. Per provvedere a questa fondamentale esigenza, da tre anni è entrato a tempo pieno in azienda un mio validissimo allievo, il dott. Simone Iannella, che oggi è responsabile e coordinatore di tutte le attività agronomiche fondamentali alla gestione delle vigne. Da tre anni, inoltre, è a tempo pieno in azienda anche mia figlia Chiara, laureata in scienze agrarie e specializzata in enologia a Bordeaux dove a conseguito il suo DNO. Chiara si divide tra la cantina e le vigne affiancando Simone. Mentre, da oramai sei anni, l’altra mia figlia Rosa, donna di lettere presa dal vino, si occupa dell’accoglienza e delle visite in azienda, dei social, dei rapporti con gli importatori e i clienti stranieri partecipando alle varie degustazioni che si tengono in giro per l’Italia e all’estero. Gli altri due figli, Michele e Alessandro, sono ancora impegnati nello studio ma mai come in questo periodo di pandemia, isolati a Quintodecimo, hanno vissuto pienamente l’azienda divertendosi anche loro a seguire le operazioni in campo per gli impianti delle vigne. 
In definitiva Quintodecimo è in continuo movimento semplicemente per perfezionarsi sempre di più. L’obiettivo è sempre lo stesso sin dall’inizio, non è mai cambiato, produrre ogni anno vini sempre più buoni che siano una fedele restituzione delle vigne di origine nel pieno rispetto della terra, dell’ambiente, degli uomini e di altissimi valori etici e culturali. 
Tale obiettivo, sin dal 2001, anno della fondazione di Quintodecimo è stato sempre condiviso con una persona per noi molto speciale, Pietro Pellegrini, il nostro distributore nazionale che ha aspettato pazientemente per ben cinque anni la nascita dell’azienda conoscendone ed approvandone sin dall’inizio l’idea portante. Con Pietro, durante quest’anno così particolare, ci siamo sentiti spesso ed anche incontrati più volte per pianificare il futuro di Quintodecimo e soprattutto la fase post-covid che, essenzialmente, prevede una serie di azioni finalizzate sempre ad un maggiore ed incisivo consolidamento dell’azienda sull’intero territorio italiano. Per concludere questa lunga chiacchierata cosa dire se non che io e Laura, che tanto ci siamo impegnati in tutti questi anni per rincorrere un sogno, siamo molto contenti per le tante belle soddisfazioni di questi primi vent’anni di Quintodecimo. Il prossimo anno, infatti, Quintodecimo compierà vent’anni e ci terremo tantissimo ad organizzare una festa per il ventennale, sperando che si ritorni presto alla normalità. 


In questo anno terribile, nel quale ci siamo sentiti tutti un po’ “sospesi”, entrambi abbiamo avuto modo di riflettere e guardarci allo specchio, mettendo in pausa la vita frenetica che facevamo. Chiusi in azienda, da privilegiati, l’abbiamo osservata ogni giorno, rendendoci conto di quante cose belle abbiamo fatto e di quanto sia affascinante il mondo del vino, se fatto in un certo modo, ossia prediligendo un approccio puramente agricolo. Speriamo che questa tremenda tempesta del Covid passi in fretta in modo tale da poter tutti insieme ritornare a vivere e ad inseguire con passione i propri sogni.

Intervista a Matilde Poggi, cuore veneto presso Le Fraghe ed anima FIVI - Delivery IGP

Anima e cuore di Le Fraghe, l’azienda agricola che gestisce in Veneto, e Presidente della FIVI (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti), Matilde Poggi è un’altra donna forte del vino italiano che, per la rubrica Delivery IGP, ha voluto dire la sua su questo momento pandemico. 


Buongiorno Matilde, anzitutto una domanda personale: come stai affrontando questa emergenza? 

Salve Andrea, sono fortunata perché sto bene e perché vivo in azienda e questo rende tutto più semplice. Posso continuare a lavorare anche se le cose sono molto cambiate anche qui. Il non riuscire a fare un programma perché tutto è così in forse è una novità pesante. Pochi contatti umani, vedo che purtroppo comincio ad abituarmi a questa cosa che dobbiamo stare lontani e non si può nemmeno stringersi la mano. 


Veniamo ora al tuo mestiere di vignaiola. Mi puoi dire come hai affrontato aziendalmente la situazione e quali sono state le ripercussioni sia da un punto di vista produttivo sia da un punto di vista commerciale? 

Il lavoro in azienda è continuato come sempre; durante il primo periodo di chiusura era il periodo della legatura e degli imbottigliamenti dei vini nuovi. Non abbiamo rallentato nulla e i programmi di lavoro sono andati avanti come previsto scommettendo che i mercati avrebbero sì rallentato ma non chiuso. In Italia ho cercato di contattare i clienti privati che erano stati nel punto vendita in azienda e ho fatto delle proposte a loro dedicate. Ho poi incrementato la nostra presenza sui canali online, pur non avendo un sito di vendita aziendale. Per l'estero le cose sono andate meglio, non abbiamo perso quote di mercato confrontando con i dati dell'anno scorso.

Siamo più o meno sulla stessa barca, ovvero molti Paesi sono stati e sono tuttora in lockdown, con situazione epidemica peggio della nostra, eppure l'estero ha premiato i nostri vini. Cosa ci manca a noi italiani? 

L'estero ha premiato i vini italiani anche per fattori estranei al Covid. Negli stati uniti ad esempio abbiamo perso meno di altri paesi essenzialmente per i dazi, che fortunatamente non ci hanno colpito. Se ci compariamo agli altri maggiori paesi di export dei vini italiani, essenzialmente le differenze sono nel sistema distributivo. In Italia il vino viene acquistato direttamente dal produttore, in enoteca o consumato fuori casa. Non eravamo fino a quest'anno tanto abituati all'acquisto di vino online, più diffuso in altri Paesi. A differenza del nostro Paese, in Francia l'acquisto di vino in GDO è molto frequente ed anche i nostri colleghi vignaioli indipendenti sono spesso presenti anche sugli scaffali della GDO. Il Covid diventerà un'opportunità di diversificazione anche per noi piccoli produttori. Abbiamo capito che è molto rischioso avere pochi canali di vendita.

Ti aspettavi questa seconda ondata di epidemia? Trovi minori o maggiori difficoltà lavorative rispetto alla prima? 

Mi aspettavo che ci sarebbe stato un ritorno in autunno ma non credevo sarebbe stato così pesante. Dal punto di vista lavorativo le difficoltà sono maggiori. In primis perché la pandemia si è avvicinata (ora ho anche dei collaboratori positivi mentre nella prima ondata si conosceva poca gente colpita) e poi anche perché l'atmosfera intorno a noi mi sembra più cupa. Se a marzo andavamo incontro all'estate ora ci aspetta un lungo inverno e ci sono troppe persone ed aziende in serie difficoltà. L'estero anche adesso ritira ma i ritmi sono rallentati rispetto alla primavera. Questo è forse anche dovuto alla tipologia di vino che produco, più adatta alla primavera/estate che all'inverno. 

Veniamo al tuo ruolo istituzionale all'interno della FIVI. puoi dirmi (puoi anche indicarmi un link) cosa ha fatto la FIVI per tutelare i vignaioli indipendenti in tempo di Covid? 

Fivi ha cercato il dialogo con le istituzioni per tutelare il lavoro del vignaiolo. In breve queste sono state le nostre richieste: 

1. Proroga di 12 mesi della scadenza delle autorizzazioni per nuovi impianti e reimpianti scadenti nel 2020. 

2. Proroga di 12 mesi per i termini di rendicontazione della misura OCM vino, PSR e Piani di riconversione e ristrutturazione vigneti.

3. Annullamento delle sanzioni previste perle aziende che non siano riuscite a concludere e a rendicontare i progetti OCM promozione.

4. Sospensione dei versamenti dei contributi previdenziali agricoli per 12 mesi unitamente a quelli dei versamenti di imposte, INPS ed Enpaia per i dipendenti delle aziende agricole.

5. Concessione di prestiti di conduzione o finanziamenti bancari a lungo termine con annullamento del tasso di interesse.

6. Annullamento della reintroduzione della tassa IMU sui fabbricati strumentali agricoli.

7. Aumento del limite delle bottiglie acquistabili da privati all’interno delle UE e possibilità di vendere direttamente a privati in Europa senza transitare da deposito fiscale. 

8. Fiscalità agevolata per il settore Horeca per l’acquisto del vino italiano.

9. Differimento del versamento dell'IVA al momento dell’incasso della fattura.

Abbiamo anche pensato che fosse un aiuto al vignaiolo comunicare quello che siamo e facciamo. Ecco che quindi abbiamo fatto un breve video in cui abbiamo animato il nostro logo, dandogli anche un nome, Ampelio.  Si può trovare a questo linkCrediamo che in questo momento di difficoltà nelle vendite sia premiante comunicare cosa c'è dietro a questo logo. Mi piace anche ricordare che più questo logo è visibile, più bottiglie girano con il logo FIVI, più si rafforza il nostro lavoro istituzionale. 

A livello FIVI, avete fatto molte proposte ma siete contenti delle "risposte" del vostro interlocutore istituzionale? C’è una proposta che davvero sperate possa essere accolta il prima possibile? 

Per noi vignaioli indipendenti la vendita diretta è molto importante. Le nostre sono piccole aziende familiari e promuoviamo molto la visita in cantina, abbiamo puntato molto sull'accoglienza. Come detto, avevamo chiesto al ministro Bellanova ma anche alla Commissione Europea di poter spedire direttamente ai privati senza doverci appoggiare ad un rappresentante fiscale, assolvendo iva e accisa del Paese di destinazione alla partenza del vino. La proposta non è stata fatta in tempo di Covid ma l'abbiamo riproposta in questa occasione. Ci sarebbe stata e sarebbe tuttora di grande aiuto; ci permetterebbe di spedire ai clienti europei, che normalmente visitano le nostre cantine, di mantenere aperto il canale di vendita anche quando i clienti sono a casa loro. L'istanza va fatta all'Europa ma chiediamo al ministro di fare pressioni perché l'iter legislativo sia veloce. Speriamo bene…. 

Secondo te tutte le misure adottate sono state sufficienti o si poteva fare qualcosa di più anche alla luce di questa seconda ondata? 

Sono state messe in campo risorse importanti ma le due misure principali, distillazione e riduzione volontaria delle rese non sono tanto adatte ai vignaioli indipendenti. Per le nostre aziende forse sarebbe stato più interessante lo stoccaggio privato che finalmente è stato proposto. Il contributo a fondo perduto parametrato alla perdita di fatturato che è stato concesso in primavera, anche se poche erano le risorse disponibili, va ad aiutare effettivamente chi ha difficoltà. Meglio questo che concedere contributi solo in base ai codici ateco senza vedere chi effettivamente sta perdendo. In questo momento per esempio i ristoranti sono chiusi in orario serale, quindi le vendite di vino dei vignaioli indipendenti si sono quasi azzerate. La ristorazione di qualità è uno dei nostri principali sbocchi commerciali. Il nostro codice ateco non fa parte del decreto Ristori, giustamente perché non siamo chiusi. Facciamo parte anche noi però della filiera ristorazione, andrebbe quindi dato un altro contributo parametrato alla perdita di fatturato che stiamo subendo in questo momento. 

Che consigli daresti ai tuoi colleghi per affrontare al meglio il futuro?

Dare consigli è sempre difficile, ma condivido volentieri quella che è la mia visione, che cerco di applicare nella mia azienda. Prima di tutto essere fedeli al proprio territorio e alla propria filosofia produttiva. Il momento è difficile ma se ne esce continuando a fare, ancora meglio, ciò che si è fatto finora, non inseguendo vini che in questo momento sono più di moda. Credo inoltre che saranno vincenti le aziende che sapranno migliorare ancora di più il rapporto con il proprio cliente. I clienti, insieme alle nostre vigne, sono il nostro patrimonio. Vanno seguiti ancora più di prima e magari è il momento per cambiare anche la distribuzione che deve essere sempre più nel senso di dare un servizio al cliente. Va inoltre investito molto sulla clientela privata, e sull'accoglienza in cantina. Il turismo del vino, in campagna, con ritmi più lenti sarà sempre più premiante.

Intervista a Tiziana Favi, chef del ristorante Namo di Tarquinia - Delivery IGP

di Roberto Giuliani

Il Lazio è pieno di luoghi che meritano di essere visitati, Tarquinia è certamente fra le località più interessanti e attraenti, situata in un punto strategico della provincia di Viterbo, a pochi chilometri dal mare. Qui risiede un piccolo, delizioso ristorante bottega, chiamato “Namo”, a mio avviso uno dei migliori locali della provincia, gestito da Tiziana Favi. Ho voluto intervistare Tiziana per questa rubrica, perché è una ragazza piena di passione per la cucina, ma direi per la vita, basta guardarla, scambiarci due parole, assaggiare i suoi piatti, per rendersene conto; proprio per questo ero curioso di sapere come sta affrontando questo difficilissimo periodo di pandemia. 


L’arrivo del Covid e il successivo lockdown imposto dal governo a marzo, che conseguenze hanno portato alla tua attività?

Abbiamo deciso di chiudere totalmente l’8 marzo, consapevoli che non avremmo potuto contenere e controllare la situazione con le poche informazioni che avevamo sul COVID-19. Abbiamo praticamente anticipato di un paio di giorni il provvedimento del Governo. Avendo una piccola realtà, avendo scelto di pagare i fornitori allo scarico e non avendo altri impegni finanziari da onorare oltre all’affitto e ai dipendenti, la scelta è stata quella di limitare i danni chiedendo la CIG per Giulia e Hassan e chiudendo totalmente senza effettuare il servizio di delivery che con un menu elaborato come il nostro andava necessariamente rivisto. Ho comunque mantenuto vivo il rapporto con i nostri clienti registrando videoricette per il pranzo di Pasqua e di Pasquetta e devo dire la verità i feedback sono stati positivi. Insieme ad altre cinque amiche imprenditrici locali abbiamo mantenuto viva la progettualità e gettato le basi per creare una rete tra produttori locali, allevatori e ristoratori con lo scopo di rilanciare il turismo in questa nostra bella cittadina, ricca di arte e di eccellenze. WETARQUINIA, un movimento di promozione del buono e bello che stiamo portando avanti con le nostre forze e nel quale crediamo molto. 

Quindi il delivery non lo avete proprio utilizzato? Quando avete ripreso l’attività cosa è cambiato? Quali modifiche, eventuali, avete adottato? 

L’idea di un menu dedicato per il delivery ha preso forma solo quando il 18 maggio ci hanno permesso di riaprire. Nel frattempo abbiamo reintegrato Giulia e Hassan e pensato un menu delivery semplice, adatto a essere consumato a casa, naturalmente senza rinunciare alla nostra filosofia di ecosostenibilità, con contenitori compostabili, e promozione dei prodotti d’eccellenza del Territorio. Riaprire non è stato semplice. Le informazioni che ci arrivavano dalle associazioni di categoria erano confuse e i dpcm cambiavano continuamente. Sanificazione, igienizzazione, condizionatori sì, condizionatori no… Abbiamo aggiornato il dvr (documento di valutazione dei rischi, ndr), rimodulato le modalità di accesso di fornitori e scarico merci… complicatissimo accogliere di nuovo i nostri clienti in assoluta sicurezza. Per un locale piccolo come il nostro non è stato semplice ridurre i posti e mantenere il target qualitativo, ma abbiamo tenuto duro per un po’ poi la possibilità di utilizzare lo spazio esterno comunale per aumentare i coperti ci ha garantito di lavorare per tutta l’estate con gli stessi coperti di sempre. Molto turismo di prossimità ha premiato i piccoli Borghi, abbiamo lavorato bene anche se è stata un’Estate sospesa, faticosa, con pochi progetti per il futuro e pochi investimenti. 
Ma in tutta questa incertezza del domani, da inguaribile romantica, ho avvertito molta voglia di cambiamento. Secondo me ognuno di noi ha rivisto le proprie priorità. Sono una Cuoca dell’Alleanza di Slow Food. La promozione del Territorio, la scelta delle materie prime locali è il mio pane quotidiano e sono molto attenta ai comportamenti intorno a me. Questa pandemia ha rivoluzionato il modo di fare la spesa di molte persone, almeno nei piccoli borghi rurali come questo e voglio sperare che questa inversione di tendenza si consolidi nel tempo.


In che misura vi siete sentiti supportati dal governo? Avete ricevuto un sostegno economico? 

Un credito di imposta per gli affitti commerciali di marzo e aprile; due tranches da 600 euro ad aprile e maggio; un “ristoro” di circa 2000 euro a maggio e il secondo “ristoro” di 4300 euro adesso. Tutto questo ci ha permesso di pagare tasse e contributi evitandoci di sospendere pagamenti oggi che ci avrebbero pesato domani. Si poteva fare di più? Sicuramente sì! Forse differenziare gli aiuti in base alle difficoltà/necessità. Ho colleghi nelle grandi città che non hanno potuto riaprire a causa degli elevati costi di gestione. Da questo punto di vista mi sento fortunata ma rivendico la mia scelta di aver fatto del mio lavoro un mestiere guidato più dalla passione che dal guadagno, puntando alle relazioni umane, raccontando un Territorio attraverso i piatti. 

E adesso? 

Adesso la parola d’ordine è reinventarsi, soprattutto perché senza lo spazio esterno abbiamo a pieno regime 18 coperti. Stiamo costruendo il nuovo sito ma è già online la parte che riguarda il delivery. La novità sarà per il delivery del cenone di fine anno, infatti consegneremo (a chi si prenoterà entro il 20 dicembre) la linea completa per preparare la cena in autonomia, con un videotutorial che spiegherà come procedere nelle varie fasi, dalla rigenerazione all'impiattamento. Un modo per portare un po' di Namo a casa dei nostri clienti. Oltretutto le consegne potranno essere ritirate a partire dal 29, così potremo accontentare anche chi dovrà rientrare al proprio domicilio (fuori Tarquinia). Faremo corsi di cucina online che puntino molto al riciclo e al non spreco, attenti alla tutela delle biodiversità. Le prenotazioni, che stanno già arrivando, ci fanno ben sperare, tutto sommato si possono cambiare le abitudini e, se rinunciare alla cena in virtù del pranzo per evitare assembramenti può aiutarci a uscire da questo momento difficile, ben venga il pranzo! 

Tenuta Carretta - Langhe Nebbiolo Podio Podium Serrae 2018

di Roberto Giuliani

Amate il Nebbiolo e non potete permettervi un Barolo? Non c’è problema puntate su questo rosso dai profumi invitanti di viola, ciliegia e arancia candita, liquirizia, spezie fini. 


Gusto classico, con freschezza viva e bel ritorno fruttato, tannino ben fuso. Si trova online sotto i 15 euro, approfittatene!

Alla scoperta del Nebbione, il Metodo Classico 100% nebbiolo. Voi lo conoscete?

di Roberto Giuliani

Che il Piemonte sia una delle regioni che dànno lustro alla spumantistica italiana non ci sono dubbi, non solo ma è forse quella che più di ogni altra non si ferma mai e non si accontenta di ciò che ha già raggiunto. Ci sono sempre più aziende che si cimentano nella produzione di spumanti e un sempre maggior numero sta puntando sul nebbiolo, dal Novarese al Cuneese, ma nessuno aveva ancora pensato a dare vita a uno spumante metodo classico rigorosamente a base nebbiolo con un proprio disciplinare condiviso. 


L’idea è venuta nel 2004 a Sergio Molino, uno degli enologi più affermati che ben conosce questo straordinario vitigno e che, dopo opportune sperimentazioni, si è reso conto che la punta del grappolo, tagliata in fase pre-vendemmiale, contiene l’acidità ideale per produrre spumanti metodo classico, dosaggio zero (sono tollerati fino a 3 g/l) e con una sosta sui lieviti di almeno 40 mesi; non parliamo di grappoli qualsiasi, beninteso, ma di quelli provenienti da una vigna destinata a produrre un grande vino rosso da nebbiolo, certamente una novità assoluta, chi potrebbe mai immaginare che dalle stesse uve del Barolo, del Barbaresco o del Gattinara, si può far nascere anche uno spumante metodo classico? Questo tipo di operazione sul grappolo offre un vantaggio anche al futuro rosso aziendale, infatti, privato della punta - le cui caratteristiche sono più simili a quelle di un’uva bianca, più acida e con la buccia dal colore più tenue - il nebbiolo continuerà il suo percorso di maturazione con la parte migliore, immaginate questo lavoro ripetuto su tutto un vigneto!


Il progetto è piaciuto così tanto che nel 2010 sei produttori hanno deciso di aderire, costituendo un gruppo con obiettivi comuni, Enzo Boglietti (La Morra), Massimo Travaglini (Gattinara), Franco Conterno (Cascina Sciulun, Monforte d’Alba), Enrico Rivetto (Rivetto dal 1902, Serralunga d’Alba), Giorgio Viberti (Cascina Ballarin, La Morra) e Ivo Joly (La Kiuva, Arnad), unica cantina valdostana. 
Nel 2017 il gruppo ha fatto un ulteriore passo avanti costituendo l’Associazione Nebbione, con sede a Barolo in via Vittorio Emanuele 4, “per tutelare e valorizzare il vino spumante di qualità a base nebbiolo vinificato in bianco con il metodo classico, trasformato e imbottigliato nell’ambito territoriale di produzione del Nebbiolo”.

Ma cosa dice il disciplinare del Nebbione? 

La denominazione “Nebbione” (marchio registrato) è riservata al vino spumante bianco o rosato ottenuto esclusivamente con il metodo della rifermentazione in bottiglia (metodo classico) che risponde alle condizioni e ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione; attraverso questo documento si strutturano le regole base e si forniscono le linee guida per la produzione del Nebbione. Sottoscritto da tutti i produttori di Nebbione, è garante dei seguenti principi fondamentali: 

• solo aziende agricole o cooperative agricole 

• serietà nella coltivazione e attenta selezione delle punte dei grappoli 

• uve di provenienza: esclusivamente da vigneti iscritti negli albi doc e docg 

• vitigno di origine: Nebbiolo 100%, solo la punta sana dei grappoli (eventuali punte affette da disseccamento del rachide vanno scartate) 

• pressatura soffice delle punte: resa massima uva/mosto 50%, molto consigliato ridurre la resa al 35/40% destinando il restante ad altri vini 

• per la base bianca eventuale decolorazione del mosto tramite iperossigenazione 

• utilizzo del metodo della rifermentazione in bottiglia 

• prolungato contatto con i lieviti (minimo 40 mesi) 

• sboccatura pas dosé o con limitatissimo dosaggio (max 3 g/l) per rimanere nella tipologia extra brut 

• maturazione del prodotto finito (tappo in sughero) per almeno 3 mesi, consigliato un periodo minimo di 6 mesi. 
La permanenza sui lieviti è prolungata rispetto a prodotti simili sul mercato ad esclusivo vantaggio della qualità finale di ogni singola bottiglia di Nebbione. 


Si tratta di un disciplinare a uso interno, ma non per questo meno importante, poche regole ben delineate, il cui scopo principe è ottenere spumanti metodo classico di elevato livello, esclusivamente da nebbiolo.  Il progetto ha riscosso sempre più successo, tanto che hanno aderito nuove aziende anche da altre aree dove dimora il nebbiolo, ma dovremo aspettare ancora un po’ per degustare i loro spumanti, al momento sono tutti “work in progress”. Ma intanto posso raccontarvi quelli delle 6 aziende fondatrici, tanto per farvi un’idea…

Metodo Classico Extra Brut Traverse Rosé - La Kiuva; gradazione: 13,5% vol.

Parte del vino trascorre 6 mesi in legno. Ben 60 mesi sui lieviti. Il colore è del tutto particolare, non richiama sfumature rosate ma più l’oro che vira verso l’arancio. Profuma di lieviti, pane, albicocca, pesca, ciliegia, fragolina di bosco e arancia candita, cannella; al palato è intenso, molto stimolante, con un frutto vivo ben sorretto dall’acidità, lungo e avvolgente, aromatico, davvero piacevole.


Metodo Classico Extra Brut Punte dei Tre Ciabot - Cascina Ballarin; gradazione: 13,5% vol.

Oltre 48 mesi sui lieviti. Ha un colore che punta al dorato, brillante grazie all’ottima serie di colonnine che si formano nel calice. Interessante trama olfattiva, più dolce, richiama la liqueur, è giocato su una sottile vena ossidativa nella quale si fonde il frutto, in parte anche agrumato, su uno sfondo di lieviti. In bocca conferma una decisa rotondità che addolcisce le sensazioni fruttate, non manca di vena sapida e di lunghezza. Uno stile indubbiamente particolare.


Metodo Classico Extra Brut na Punta - Franco Conterno Cascina Sciulun; gradazione 12,5% vol.

Vino base parzialmente maturato in legno. Sosta sui lieviti variabile da 50 a 60 mesi. Da segnalare che in realtà questo è un metodo ancestrale, ovvero della doppia fermentazione, senza ulteriore aggiunta di zuccheri; questo permette di mantenere la gradazione alcolica su livelli contenuti. Paglierino intenso, profumi floreali di ginestra, biancospino, poi ginseng, cedro, susina, una punta di mallo di noce, lieve tostatura. Bocca generosa ma con quell’austera indole nebbiolesca che non lascia dubbi, si percepisce persino una sottile vena tannica, mentre l’acidità spicca dando al sorso una dinamica verticale.


Metodo Classico Dosaggio Zero Kaskal - Rivetto; gradazione 13,5% vol.

La bottiglia in mio possesso ha sostato sui lieviti 45 mesi, con sboccatura a fine 2019, ma so che in cantina Enrico Rivetto ha altri Kaskal con svariati anni in più di permanenza sui lieviti, non so se sia già arrivato a 120 mesi, ma l’obiettivo è sicuramente quello. Per ora “accontentiamoci” di questo, un dosaggio zero dal colore paglierino medio (a testimoniare l’assenza di liqueur) e profumi di grande eleganza, un gioco bellissimo di fiori, mandorle, agrumi maturi, crosta di pane, venature minerali, che ritroviamo fedelmente al palato, in un ambiente magnificamente equilibrato, con l’acidità ben fusa con il frutto, una persistenza notevole e un allungo sapido che invoglia a berne ancora.


Metodo Classico Brut Nature - Enzo Boglietti; gradazione 12,5% vol.

Esisteva già un Metodo Classico Rosé in casa di Enzo, Linda e Matteo Boglietti, ora abbiamo anche questo Brut Nature, rigorosamente nebbiolo, un'anteprima che ha fatto "solo" 34 mesi di permanenza sui lieviti, si tratta di un 2016 che ha subito un dégorgement piccolo di prova, quindi non definitivo, infatti in cantina ci sono ancora sui lieviti 3000 bottiglie che usciranno il prossimo anno. Questo ha un perlage fitto e colore paglierino intenso, un bouquet particolare che richiama il fieno, il pane sfornato, la frutta agrumata parzialmente candita, mista ad erbe aromatiche, l’albicocca, sfumature di pera Williams; bocca che rivela un delicato gioco ossidativo che esalta la nota fruttata e dà una falsa sensazione evoluta, in realtà è un brut rigoroso, austero, ma con una punta giocosa che lascia tracce di miele e una sensazione avvolgente, con una chiusura piacevolmente sapida. Una bolla di nebbiolo, senza dubbio.


Metodo Classico Dosaggio Zero Nebolé 2014 - Travaglini; gradazione 12,5% vol.

Ci spostiamo a Gattinara, nel nord Piemonte, da una delle aziende storiche del territorio; il Nebolé subisce la fermentazione con un ceppo di lieviti raro, il Castelli, proveniente da Epernay, un’alternativa a quei pochi ceppi che vengono utilizzati solitamente per il metodo Champenoise. La durata a contatto con i lieviti è di almeno 46 mesi (ma si stanno sperimentando anche 60, 72, 84, 92 e 108 mesi…). Ha colore paglierino tenue, trama olfattiva elegante e fortemente minerale, il frutto è meno “sparato”, gioca sottile e pulito, parliamo di pesca bianca, ananas, cedro, richiami al fogliame, all’humus. Al gusto è più aperto, finissimo nell’incedere fruttato, puntuale e preciso in ogni suo aspetto, intriso di una bella energia che viene saggiamente dosata, l’eleganza è proprio data da questo equilibrio di microelementi, senza sbavatura. Un bel bere davvero.



Riccardo Gabriele: le pubbliche relazione del vino al tempo del Covid-19 - Delivery IGP

di Lorenzo Colombo

Nella rubrica Delivery IGP, che ha visto la sua nascita solamente un paio di settimane fa, con lo scopo di sentire dalla diretta voce degli interessati le problematiche e le soluzioni adottate per sopperire alle difficoltà causate dalla pandemia dovuta al Covid, avete sinora letto interviste fatta da noi Giovani Promettenti a produttori di vini e ristoratori. 


Ci pare giusto far sentire anche la voce di un’altra categoria interessata al mondo del vino, quella degli Uffici Stampa e di tutti coloro che si occupano di comunicare il vino ai vari operatori di settore. 
Cosa ci poteva essere di meglio se non iniziare con una persona che conosciamo da molti anni, da quando in pratica ha iniziato il suo percorso professionale nel mondo del vino. Stiamo parlando di Riccardo Gabriele, fondatore e titolare dell’agenzia PR – Comunicare il vino. 


Ciao Riccardo, raccontami quando e come hai iniziato questa tua attività. 

Verso la fine degli anni novanta ero caporedattore in un mensile della provincia di Livorno, agli inizi degli anni 2000 si stavano preparando degli articoli di economia riguardanti i SEL (Sistemi Economici Locali), un comparto importante dell’economia livornese era data dal vino e precisamente da una denominazione che ormai da qualche anno stava facendo parlare di se in tutto il mondo, ovvero la Doc Bolgheri.
Ebbi così l’occasione di approcciarmi in modo professionale al mondo del vino che già, per la verità m’interessava molto anche se dal punto di vista di puro consumatore e la prima intervista la feci proprio con il Marchese Incisa della Rocchetta.

Poi?

Decisi così di approfondire l’argomento, frequentando dapprima i corsi di Slow Food e quindi quelli per diventare sommelier e nel 2006 decisi di dedicarmi completamente al mondo del vino aprendo una mia agenzia.

Com’è strutturata l’agenzia PR – Comunicare il vino e praticamente di cosa si occupa?

La cosa è molto semplice, in pratica PR - Comunicare il vino è un’agenzia con uno staff specializzato nei vari campi della comunicazione. Dai rapporti con la stampa all’organizzazione d’eventi; della preparazione di cartelle stampa e storytelling, alla grafica, dalla fotografia a quant’altro serva alla realizzazione di uno specifico progetto. La nostra è una Media Relation Agency, ovvero ci occupiamo di Relazioni pubbliche: in parole semplici far conoscere e riconoscere l’azienda nostra cliente ed i suoi vini agli operatori ed ai professionisti del settore, stampa specialistica e buyers. Il nostro lavoro non riguarda invece il consumatore finale. 

Posso sapere quanti clienti hai in portafoglio e di quali settori?

Essendo un’agenzia specializzata gestiamo la comunicazione di 42 clienti, tutte aziende vitivinicole, a parte un’azienda produttrice di bicchieri per la quale però ci occupiamo unicamente dell’estero.


Veniamo ai problemi legati all’epidemia da Coronavirus. Cosa è cambiato nel Tuo lavoro? Quali strumenti e strategie hai dovuto applicare?

In effetti è cambiato moltissimo il modo di lavorare, ricordo che sono rientrato dagli Stati Uniti lo scorso 5 marzo e dopo pochi giorni c’è stata la chiusura totale. Abbiamo quindi dovuto rivedere tutta la comunicazione, studiando nuove strategie adatte al particolare momento di crisi, con un approccio digitale. Abbiamo, ad esempio, messo a punto un groupage con relativo magazzino dove raccogliere le campionature delle varie aziende. Altre considerazioni sono rivolte ai tradizionali pranzi con la stampa con la presenza dei produttori, eventi che ben conosci. Questi sono stati sostituiti da pranzi virtuali, ovvero i vini vengono inviati a casa dei vari giornalisti/blogger e la degustazione viene svolta in remoto ed a seguire tramite delivery il pranzo viene consegnato direttamente dal ristoratore a casa dei partecipanti.

Come sono state le risposte da parte dei Tuoi clienti per questa nuova modalità di comunicazione?

Ottime direi, tanto che dal mese di dicembre, queste presentazioni con pranzi in remoto, verranno messi in atto non solamente a Milano e Roma, com’è stato sinora, ma anche a New York, Singapore e Hong Kong. 

Quali altre soluzioni hai trovato? 

Abbiamo effettuato molte presentazioni virtuali di aziende e vini, utilizzando le varie piattaforme disponibili ed anche molte degustazioni sono state effettuate in questa nuova modalità. 

Hai avuto altre richieste particolari da parte della tua clientela? 

In molti ci hanno chiesto di sviluppare e gestire la parte Social dell’azienda, abbiamo sviluppato ed in alcuni casi creato i siti Internet aziendali, ci siamo occupati di implementare o realizzare siti di e-commerce.

Quando sarà passato questo difficile momento cosa cambierà per quanto riguarda il Tuo lavoro? 

Io ritengo che il contatto diretto con i vari attori della filiera sia importantissimo, quindi nell’ambito del possibile tornerò a viaggiare molto per incontrare le persone, senza però trascurare la parte digitale che reputo sarà sempre più importante.

Ultima domanda, durante questo periodo di forzata reclusione hai pensato di diversificare o ampliare la Tua attività?

Per prima cosa ho approfittato del maggior tempo a disposizione per rimettermi a studiare, frequentando -in remoto- i corsi WSET, inoltre ho trasformato la mia passione per i distillati in una nuova branca del mio lavoro dedicata agli Spirits.

Radikon: oltre il mito


11 Settembre 2016

Questa data non è casuale, quel giorno noi tutti appassionati abbiamo perso una grande personaggio del mondo del vino, un gigante della viticoltura italiana che solo una malattia infame poteva portarci via. 

Il suo nome? Stanko Radikon

Stanko Radikon - Foto: Decanter.com

Da quel giorno in poi Saša, suo figlio, ha preso in mano le redini dell’azienda agricola con molto coraggio perché, se è vero che già affiancava da anni suo papà, è anche vero che l’eredità è di quelle pesanti e bisogna avere spalle grandi, in tutti i sensi, per continuare e, possibilmente, migliorare ciò che all’apparenza potrebbe sembrare inscalfibile. Per mille motivi, perciò, ero ansioso di passare a trovare Saša, nella sua Oslavia, là dove la ribolla gialla trova il suo terroir di elezione e dove lavora un altro mito del vino italiano: Josko Gravner. 

Padre e Figlio

Saša mi aspetta nel vigneto storico della proprietà, che ha una superficie di circa tre ettari, acquistato nel 1923, assieme all’annessa casa colonica, dal suo bisnonno Franz Mikulus (papà di suo nonna) che al tempo coltivava prevalentemente ortaggi e alberi da frutto. Il vino, allora, era ancora una produzione marginale e bisogna aspettare suo nonno Edoardo Radikon, originario di Podsabotin (Slovenia), un paesino a tre chilometri da Oslavia, affinché si iniziasse a coltivare vigna e produrre vino seriamente anche grazie alla creazione della prima cantina a nome Radikon. Nel 1977, ad Edoardo, succede suo figlio Stanko che imbottiglierà il suo primo vino una decina di anni dopo riscoprendo, a partire da metà anni ‘90, le lunghe macerazioni sulle bucce, contestualmente all’abbandono della chimica, dando vita assieme ad altri vignaioli del territorio ad un nuovo corso del vino italiano.


I 3 ettari di una volta oggi sono diventati quasi 18, tra proprietà e affitto, dove sono piantate viti di ribolla, friulano, sauvignon blanc, pinot grigio, chardonnay, merlot e pignolo. 

Vigna storica - Foto: Luciano Pignataro

I terreni vengono lavorati in maniera semplice, quasi arcaica: l’erba viene sfalciata e i sarmenti e le vinacce sono gli unici nutrimenti per la ponca, terreno composto da marna e arenaria, ricco di sali e macroelementi, tipico di questa zona del Collio. Anche in vigna si cerca la massima naturalità possibile e i trattamenti, a base di solo rame e zolfo, vengono effettuati solo quando strettamente necessario. 

La casa colonica e la cantina esterna- Foto: Luciano Pignataro

Visto che dal punto di vista agronomico, rispetto al passato, nulla è apparentemente cambiato, ho domandato a Saša se anche in cantina tutto era rimasto immutato o se, dopo la morte di suo papà, c’erano state delle evoluzioni in modo che i vini, come giusto che sia, somigliassero più alla sua personalità e al suo modo di interpretare il territorio. 

La sua risposta è stata eloquente: ”Da quando papà è mancato faccio il vino nella stessa maniera ma non nello stesso identico modo. Io e lui, fortunatamente, avevamo gusto ed idee simili sul concetto di vino ma io penso che bisogna sempre evolversi nel nostro lavoro altrimenti rimaniamo semplici esecutori di ricette. Nel dettaglio, perciò, rispetto al passato, ho cambiato le barrique con botti più grandi da 6 HL, minori follature durante la fermentazione ma, soprattutto, i tini vengono chiusi per evitare il contatto con l’ossigeno. Questo, vorrei sottolineare, era già condiviso da mio papà ma per vari motivi non era mai stato messo in atto”. 


Da un punto di vista strettamente tecnico, ­una volta in cantina le uve, vendemmiate manualmente e pigiodiraspate, svolgono fermentazione spontanea e macerazione per 3/4 mesi in tini troncoconici di rovere chiusi. A termine fermentazione, per i bianchi, segue svinatura e affinamento in botti di rovere dai 25 ai 35 hl per 36 mesi con alcuni travasi se necessari. Per i rossi, invece, l’affinamento in barrique usate può durare almeno 5 anni a cui seguono ulteriori 5 anni di maturazione in bottiglia prima di uscire sul mercato. 


Questo vale per la linea Blu mentre per la linea “S”, che nasce con l’obiettivo di avvicinare per gradi i consumatori al mondo dei vini macerati senza catapultarli subito nei loro “eccessi”, i tempi di macerazione (8\10 giorni) ed affinamento (12 mesi di botte grande più altri 4 di bottiglia) sono ovviamente più ristretti al fine di far prevalere in questi vini la fragranza fruttata rendendo l’approccio gustativo più amichevole e simile a ciò che mediamente già si conosce. 


Con Saša, dopo un giro nella cantina privata dove sono conservate tutte le annate storiche dell’azienda, ci dirigiamo verso la sala di degustazione che incanta l’ampia vetrata con affaccio panoramico sui vigneti. E cominciamo a stappare… 



Radikon – Slatinik 2018
(chardonnay e friulano): Saša lo considera come l’approccio più immediato e didascalico al mondo dei suoi vini macerati. E’ un vino di spessore ma al tempo stesso conserva proporzione ed eleganza. Sa di agrumi canditi, resina e ferro ed incanta per un sorso sinuoso, vibrante, che sfuma in ricordi di salgemma. 


Radikon – Pinot Grigio “Sivi” 2018 (pinot grigio): dallo splendido color ramato questo pinot grigio in purezza indossa senza problemi la casacca di un grande rosato il cui boquet olfattivo passa dai piccoli frutti rossi al rabarbaro fino ad arrivare al pepe rosa e alla terra rossa. Sorso vigoroso, graffiante, declinato con eleganza in quanto privo di ossidazioni e sbavature. Il tannino c’è, graffia leggermente e fa da sponda ad un finale dove il frutto croccante e la maestosa sapidità si fondono rendendo questo vino un perfetto jolly a tavola. Saša dice di provarlo col coniglio cotto al forno. 


Radikon – Oslavje 2013 (chardonnay, sauvignon e pinot grigio): vino simbolo di un territorio e della filosofia Radikon, è un orange wine dalla complessità e dalla personalità davvero importanti. E’ estremo, fa gare a sé, non ha la pretesa di entrare nelle corde di tutti i degustatori, difficile, come ammette lo stesso Saša, trovarsi davanti ad un vino capace di coniugare sanzioni olfattive e gustative che sono agli opposti. Difficile trovare un vino elegante ma vigoroso, verticale ma al tempo stesso voluminoso e avvolgente, nervoso ma equilibrato. L’impianto olfattivo è un costante richiamo alla mela cotogna, all’albicocca disidratata, al burro di arachide, alle spezie gialle orientali, al timo, alla terra rossa bagnata dalla pioggia. Sorso sorprendente per bilanciamento tra le durezze acido-sapide e la percezione tannica. Inutile parlare di lunghezza gustativa poichè il vino, grazie alla sua veemente mineralità, ha una beva interminabile con costanti richiami di frutta gialla matura. 


Radikon – Ribolla Gialla 2013 (ribolla gialla): se chiedi a cento appassionati quale è il vino simbolo dei Radikon, probabilmente il 90% prenderà la ribolla gialla come punto di riferimento. Ed è normale, perché questo vitigno ed Oslavia sono un tutt’uno, sono radicati a vicenda in un rapporto quasi simbiotico che col tempo e la giusta consapevolezza si è spinto ai margini di una orgogliosa rivendicazione di unicità qualitativa dato che, da un paio di anni, sei produttori della zona, tra cui Radikon, hanno proposto di elevare la ribolla di Oslavia a DOCG. Questa Ribolla Gialla, una delle ultime prodotte ancora da Stanko, si esprime su suadenti sensazioni di pasticceria da forno, nocciola, nespola, purea di mela, miele di castagno, burro di arachidi, iodio. Al gusto l’avvolgenza e il morbido abbraccio iniziale del vino sono subito equilibrati dai toni freschi e minerali del vino. Indescrivibile il finale lungo, corrispondente, elegante di questa ribolla che esplode nel retrogusto in maniera vigorosa con i suoi ricordi di frutta esotica e sensazioni salmastre. 


Radikon – RS 2018 (merlot, pignolo): se volete un approccio ai grandi rossi di Radikon, dovete allora iniziare da questo blend ricco di richiami aromatici di frutta rossa croccante, viola appassita, china, terra umida e sbuffi ematici. Sorso di grande piacevolezza in cui un corpo ben proporzionato si concede una lunga chiusura che richiama le sensazioni fruttate e floreali.


Radikon – Merlot 2003 (merlot): i grandi rossi di Radikon, per quanto ho capito io, hanno una caratteristica stilistica abbastanza importante che, probabilmente grazie al lungo tempo di affinamento prima in botte e poi in bottiglia, ha a che fare con un aggettivo molto conosciuto da noi sommelier: etereo. Tale parola, declinata nel merlot di Radikon, nulla ha a che fare con l’etere composto chimico, con rimandi perciò a sensazioni di vernice o solventi, ma ha una connessione diretta al concetto di etere per gli antichi ovvero sia alla parte più alta, pura e luminosa dello spazio che nella fisica aristotelica costituiva l’incorruttibile quinto elemento di cui sono costituiti le sfere e i corpi celesti, dal cielo della luna a quello delle stelle fisse. Pertanto, se questa è la mia interpretazione, scordavi di esser davanti ad un vino muscoloso e scalpitante in quanto questo merlot 2003 ha più le caratteristiche della purezza, della spiritualità e dell’astrattezza sia aromatica che gustativa. Ci sono solo soffi aromatici di frutta rossa disidratata, solo echi di erbe officinali e risonanze salmastre. Prendete un sorso, chiudete i vostri occhi e resettate le vostre convinzioni sui grandi rossi da invecchiamento. 


Radikon – Pignoli 2008 (pignolo): il pignolo è come una orchestra un po’ caotica e ribelle alla quale serve un grande direttore per dare armonia ed eleganza alla sinfonia complessiva. Il vino, prodotto solo nelle annate 2004, 2007 e 2008, ha un bouquet aromatico che ricorda le marasche macerate, il tabacco da pipa, il macis, il pepe nero, la grafite, la noce. Una appagante vena fresca va ad equilibrare magistralmente gli sbuffi alcolici del vino creando una fusione gustativa unica dopo il tannino, perfettamente fuso, accarezza il palato. Il finale, dotato di eleganti e suggestivi effluvi minerali, è praticamente infinito. 

Enoteca Bruni: il virus porta anche opportunità - Delivery IGP

di Stefano Tesi

Fino a qualche tempo fa l’Enoteca Bruni di Firenze (già nota come Enoteca Fiorentina) era un negozio per happy few internazionali di giorno e un ristorante gourmet di sera, con oltre 2500 etichette di piccole e ricercate produzioni e la carta dei vini naturali più ampia d’Europa. 


Alla guida, i fratelli
 Stefano e Alberto Bruni. Il primo appassionato di vini rari e consulente enoico, il secondo sommelier, cortador specializzato nel taglio a mano di prosciutti di pregio ed esperto di formaggi. Ai fornelli il giovane Daniele Nuti, esperienze con Heinz Beck a Londra e già executive chef all’Hotel Valadier di Roma. “Era” nel senso che il Covid ha costretto anche loro ad adeguarsi cercando nuove piste. Ma non tutto il male è venuto per nuocere.


Siete un wine restaurant con la cantina zeppa di vini dei vignerons e per il quarto anno consecutivo inclusi tra i 10 “tre bottiglie” della Guida del Gambero Rosso: come e con quali differenze sono stati affrontati, da una struttura del genere, il primo e il secondo lockdown?

Nel primo lockdown abbiamo chiuso il ristorante con due giorni di anticipo rispetto alle direttive nazionali, con molto rammarico visto che gennaio e febbraio stavano andando molto bene. Con il secondo blocco siamo stati aperti per il servizio nel solo orario consentito, ma abbiamo notato come il centro storico di Firenze sia stato svuotato dall’emergenza sanitaria e risulti pressochè disabitato. Spariti i professionisti, i manager e i viaggiatori gourmet che compongono la nostra clientela tipica del pranzo. Una situazione pessima. 

Avete valutato se fare delivery e asporto? Che tipo di clientela si rivolge adesso a un luogo di elite come il vostro, di norma frequentato da un pubblico straniero o comunque extratoscano?

Ovviamente non abbiamo potuto effettuare delivery dei piatti cucinati da Daniele, portate sofisticate e pensate per un consumo immediato in abbinamento coi vini, quindi del tutto inadatti sia all'asporto che al trasporto. Mancando l’ambiente, le temperature, il servizio, i profumi e parole che secondo noi rendono il piatto completo, soprattutto quando lo si abbina ad un vino di vigneron dai sapori dimenticati, magari sconosciuto ai più, tutto il “gioco” viene a cadere.
Abbiamo però rafforzato molto il sito internet con la vendita online di vino, consolidando così la clientela storica italiana e creandone di nuova un po’ in tutto il mondo, soprattutto nei paesi del nord Europa e in Giappone, paesi all’avanguardia nella ricerca enogastronomica.

La vostra offerta è frutto di una scelta radicale: solo vini di piccoli e fidati produttori. In che modo viene promosso in questi mesi un assortimento così particolare?

E’ il lato buono, anzi diciamo il meno peggiore, della faccenda. Questi mesi ci hanno dato infatti la possibilità di trovare l’introvabile. Da produttori che solitamente potevano destinarci solamente 12 bottiglie l’anno siamo riusciti in alcuni casi a comprarne anche il doppio, complici sicuramente le disdette di altri clienti assegnatari. In sostanza, nel 2020 abbiamo aumentato di circa 2000 bottiglie la nostra cantina. Questo siamo convinti ci porterà grande richiamo al momento delle riaperture, poiché la carta dei vini sarà ancora più ampia, profonda e variegata. Il pratica, durante il lockdown abbiamo investito nel futuro.


Quest’esperienza, a parte gli ovvi disagi e danni economici, vi ha dato qualche sorpresa o occasioni di crescita commerciale o professionale?

Durante i lockdown abbiamo utilizzato il tempo per rinnovare completamente molte cose, come la nostra "mise en place” e ottimizzare i dettagli. Abbiamo anche creato un orto che ci permettesse di utilizzare frutta e verdura autoprodotta e, insieme a Daniele, studiato piatti che esaltassero i vegetali e la loro stagionalità. Abbiamo pure stretto rapporti con piccoli allevatori locali per massimizzare la sostenibilità della nostra cucina.

Si può sapere qualcosa in più sull’opzione della Mystery Box, la cassetta delle meraviglie da ordinare online per ricevere a casa sei bottiglie a sorpresa? Qual è il meccanismo?

Le Mystery Box sono studiate per facilitare la scelta di 6 bottiglie tra la miriade di etichette a disposizione. Il cliente ordina e noi selezioniamo per lui. Ci sono quattro fasce di prezzo. Tutte scontate del 20% rispetto al prezzo originale, per incentivare i nuovi clienti ad avvicinarsi a questo mondo, dato che una volta provato non lo lasciano più. Ci teniamo a sottolineare che, una volta ricevuto il box, i clienti possono chiederci abbinamenti e ulteriori informazioni sulle bottiglie ricevute. Noi siamo ben lieti di rispondere. Il meccanismo è semplicissimo: si accede al sito www.enotecabruni.it nella sezione shop e si ordina in pochi click effettuando il pagamento comodamente online.