Mariarita, Martina e Simona sono giovani e molto probabilmente avrebbero abbandonato anche loro il paese come hanno fatto tanti loro coetani se ne 2004 i loro genitori, Ettore e Aurelia, non avessero deciso di iniziare ad imbottigliare le uve che prima vendevano a terzi realizzando un guadagnano sempre più magro. Sette ettari sparsi in cinque vigneti nella mitica contrada Arianello, Lenze e Tognano che da il nome al cru aziendale, dai quali escono 35mila bottiglie.
La famiglia al completo |
La
fortuna e la sfortuna sono spesso due facce della stessa medaglia, per le
comunità come per gli uomini si alternano in un lampo e, finita la guerra,
queste zone si ritrovarono senza vigne e iniziò la seconda emigrazione: nel
1951 Lapio poteva vantare quasi tremila residenti, poi tutti i contadini
diventarono operai del Nord o minatori in Belgio. L'agricoltura rimase per
autoconsumo, per i più un reddito integrativo di chi era rimasto riuscendo a
trovare un posto pubblico o a crearsi una professione. Dalla terra si fuggiva,
ci si vergognava addirittura.
A
Lapio si coltivava soprattutto aglianico e furono i fratelli Antonio e Walter Mastroberardino ad intuire le "potenzialità bianche" di questo territorio subito dopo il terremoto del 1980 e a
spingere con i bianchi da Fiano custoditi in bottiglie renane che ancora oggi
stupiscono per la loro energia quando vengono stappati.
Negli
anni '90 cala il prezzo delle uve e alcuni conferitori diventano produttori.
Produttori famosi grazie alle guide come Clelia-Romano Colli di Lapio in questo
paese, Caggiano e Molettieri per il Taurasi, Benito Ferrara per il Greco di
Tufo. Dopo la prima ondata di metà decennio, esattamente dieci anni dopo,
complice l'euro, la crisi del mercato americano dopo la tragedia delle Torri
Gemelle, una nuova ondata di conferitori decise di iniziare ad etichettare per
difendere in qualche modo il proprio reddito. A Lapio si arrivano a contare
circa dieci nuove aziende in poco tempo. Il territorio cresce e proprio il Fiano, ma
anche in qualche modo il Taurasi qui sempre elegante e fine, diventano l'unico
motivo per restare a vivere all'ombra del Castello dei potenti Principi
Filangieri che, come tutta l'aristocrazia meridionale, ha succhiato il sangue
ai contadini del Sud per costruire i palazzi con i più alti portoni d'Europa a
Napoli.
Oggi
Simona si è laureata in Enologia e proprio quest'anno ha firmato interamente la
sua prima vendemmia. Quella che invece beviamo comodamente seduti nel Buco di Sorrento, lo stellato democratico di Peppe
Aversa, è firmato da Carmine Valentino che ha accompagnato la famiglia in
questo percorso dalla vigna alla bottiglia.
Non
temiamo più il passare del tempo quando stappiamo un bianco campano, Falanghina
e Fiano evolvono in maniera straordinaria rivelando alla fine il fumante e
irrequieto suolo vulcanico su cui vive il più grande accampamento umano
protocapitalista d'Europa. Il Greco sui tempi lunghissimi affanna, ma se
mantiene la freschezza diventa una laurea in mineralogia.
Pensavamo di trovare
dopo dieci anni idrocarburi a go go in questa bottiglia, invece escono,
perfetti, i frutti bianchi maturi del Fiano, la mela soprattutto, note di
zafferano, un piacevole rimando fumè non omologante che esalta invece il
fruttato. Un vino carico di energia, in cui l'acidità è ancora scissa e regala
una beva veloce e vibrante, fino a un finale lungo, lunghissimo, con una nota
amara tipica di questi vini che ripulisce perfettamente il palato. Un bianco
tonico e ricco di energia che ci tiene aggrappati al presente senza farci
neanche viaggiare nel tempo.
Dieci
anni cosa sono nei tempi lunghi della viticultura? Nulla, se non pensare che
questo bianco convenzionale è più sincero di tanti "naturali". Non è
vino, è un Fiano!!!
Rocca
del Principe, Contrada Arianello, 9. Tel. 0825.982435. www.roccadelprincipe.it.