La scusa era quella di intervistare Michel Rolland, uno dei consulenti dell'azienda, ma in realtà il mio viaggio fino a Cabalbio, Maremma Toscana, aveva come unico scopo quello di placare la mia grande curiosità sull'azienda Monteverro di cui in molti mi aveva parlato in passato in modo entusiastico.
E' un a bella mattina di primavera quando, oltrepassando il grande cancello di entrata, veniamo accolti da Georg Weber e sua moglie Julia che, sorridenti e un filo emozionati, ci aspettano ai piedi di una scalinata dove fa bella mostra di sé la statua di un cinghiale, re incontrastato della Maremma, la cui presenza è così tenace in questo territorio da avere dato il nome a Monteverro, dove “verro” da queste parti è sinonimo di cinghiale maschio.
L'azienda, di recente costituzione, è nata solo nel 2003 quando Georg Weber, tedesco di Monaco di Baviera e discendente di una importante famiglia dedita alla commercializzazione di articoli da giardino, decide di investire in questo delizioso angolo di Toscana con l'intento di perseguire il suo sogno da wine lover ovvero ricreare nel nostro Paese vini che potessero competere con i grandi Bordeaux che, quando era studente Mba in Svizzera, gli rapirono cuore e anima. Georg, incoraggiato dalla sua famiglia, cominciò pertanto ad effettuare tutta una serie di analisi e valutazioni tecniche dei migliori terroir del mondo, da Bordeaux fino alla Napa Valley passando per Australia e Bolgheri per cercare il posto perfetto che alla fine, dopo tre anni di intenso lavoro preliminare, prese le forme dell'areale di Capalbio perchè, come ama spesso ripetere, a parità di condizioni ha preferito scegliere un territorio ancora abbastanza incontaminato dove iniziare da zero una nuova avventura.
Con Georg e sua moglie montiamo sul fuoristrada e andiamo a fare un giro rapido di tutta la Tenuta che attualmente si estende per 50 ettari ad un’altitudine sul livello del mare che dai 30 metri sale dolcemente fino agli 80. Siamo solo a cinque chilometri dal Tirreno, all’orizzonte si staglia verso ovest la grande sagoma del Monte Argentario, mentre a sud-est è pianura, ultima propaggine di Toscana al confine con il Lazio. Tutto intorno olivi, seminativi macchia mediterranea e anche un delizioso e romantico laghetto, seminascosto dagli alberi a basso fusto, che permette di irrigare i vigneti in caso di siccità.
Oggi Georg e Julia gestiscono circa 27 ettari di vigne, tutte accorpate tra i 30 e i 70 metri s.l.m., dove prevale il Cabernet Sauvignon e, a seguire, Cabernet Franc, Merlot, Syrah, Grenache e Petit Verdot e Chardonnay. Un sistema di drenaggio integrato nella vigna in fase di impianto permette al terreno di liberarsi delle acque superflue, uno dei problemi che spesso interessa i suoli argillosi nella media profondità, rischiando di alterare lo sviluppo naturale della pianta.
Alla cura del vigneto ci pensano Michel Duclos, uno dei grandi esperti di potatura, e Lydia e Claude Bourguignon, nomi di riferimento nel mondo dell’agricoltura consapevole che a Monteverro, mi confida Georg, prenderà a breve la strada del biologico certificato.
Terminiamo il giro delle vigne e, dopo aver parcheggiato il fuoristrada all'esterno di un edificio parzialmente interrato e in linea con l'ambiente circostante, iniziamo il giro della cantina che parte con la scoperta della zona di raccolta delle uve che dopo la vendemmia, che inizia generalmente ad agosto con lo chardonay, sono sottoposte a raffreddamento e, successivamente, poste su due tavoli di cernita nell’ampio corridoio che porta alla tinaia, in cui sono presenti 45 vasche di fermentazione da 50 ettolitri ciascuna dove ogni singolo appezzamento viene suddiviso in micro parcelle secondo il grado di maturazione delle uve e delle loro diverse caratteristiche organolettiche, che a loro volta dipendono dalle differenze pur relativamente sensibili del terreno.
Al termine della fermentazione, svolta tramite l'uso di lieviti indigeni e attraverso l'ausilio anche barrique aperte, il vino, attraverso il principio di gravità, passa per caduta all'interno della maestosa cantina di maturazione dove sono presenti 500 barrique e due grandi serbatoi ovoidali in cemento che nel 2010 Matthieu Taunay, il giovane enologo aziendale con studi in Borgogna e Champagne, ha voluto acquistare per conservare freschezza e finezza del frutto del Syrah e del Grenache destinati al Tinata nonché dello Chardonnay.
Giriamo un po' per la cantina, degustiamo i vari vini in affinamento direttamente dalle barrique, e alla fine ci accorgiamo che alle nostre spalle si apre una grande finestra con affaccio sulla sala di degustazione aziendale dove tutto il team di consulenti enologi di Monteverro, composto oltre che da Matthieu Taunay anche da Michel Rolland e Jean Hoefliger, sta lavorando ai tagli dei vari vini rossi dell'azienda che ben presto andremo a degustare assieme ai due bianchi a base di vermentino e chardonnay.
Passano dieci minuti e con Georg raggiungiamo questi guru dell'enologia mondiale che, terminato il loro lavoro da alchimisti, ci aspettano per degustare tutti assieme le nuove annate dei vini di Monteverro la cui prima vendemmia risale al 2008.
Come preannunciato partiamo dai bianchi e il primo vino che ci viene versato è il Vermentino di Monteverro 2014. Figlio di una vinificazione in acciaio e di un affinamento per sei mesi sulle fecce è un vino estremamente fresco e diretto e dalla beva compulsiva grazie alla sua acidità "agrumata" che lo rende perfetto nell'accompagnamento di prodotti ittici. Noi, ad esempio, lo abbiamo abbinato alla frittura di calamari e ci stava benone!
Il Monteverro Chardonnay 2013 viene invece affinato per 14 mesi in barrique di rovere francese (50%
della produzione con 40% di legno nuovo) mentre l'altra metà viene messa a riposare in cemento nei tipici contenitori a forma di uovo che abbiamo visto in precedenza in cantina. Lo stile di questo vino ricalca molti bianchi della Borgogna: naso giocato su aromi di frutta gialla matura, vaniglia e nocciola tostata mentre al palato di conferma di classe ed equilibrio con una netta nota marina che va a confondersi con suadenti note speziate ed affumicate.
Passiamo al primo rosso della gamma che prende il nome di Terre di Monteverro che degustiamo nell'annata 2013 e 2012. Frutto di un blend di Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot e Petit Verdot, questo rosso viene fermentato in acciao e barrique e affinato per 20 mesi in legno piccolo di cui il 60% di primo passaggio. L'annata 2013 del Terre di Monteverro si caratterizza per una bella freschezza di base esaltata da aromi di macchia mediterranea e fiori rossi di campo. Al gusto è vibrante, teso e di buona sapidità.
Il 2012, invece, si fa notare per la sua struttura e il suo stile maggiormente fruttato. Sorso caldo, di grande equilibrio e dotato di tannino finemente estratto che regge alla grande un finale pulito e di grande eleganza.
L'altro rosso prodotto da Georg è il Tinata, degustato sempre nelle annate 2013 e 2012, che rappresenta il frutto di un blend di Syrah (70%) e Grenache (30%) piantati all'interno di una piccola parcella di vigneto adiacente un bosco composto con al centro una vecchia quercia centenaria. L'uva, una volta pressata, viene fermentata in acciaio e barrique e il vino, una volta ottenuto, viene affinato 16 mesi in barrique di rovere francese per il 70% della produzione mentre per il restante 30% è prevista una maturazione in cemento all'interno degli ormai già visti contenitori a uovo.
Il Tinata 2013 si caratterizza per la sua anima mediterranea e per un sorso contraddistinto da scorrevolezza e leggiadria mentre il Tinata 2012, seguendo le stesse sorti del Terre di Monteverro pari annata, ha un corpo più imponente dove spezie nere, tabacco e erbe aromatiche definiscono un quadro aromatico molto coinvolgente. La bocca è avvolgente, il tannino rotondo e ben integrato e la freschezza e la sapidità del vino ben supportano un finale caldo e decisamente persistente. Piccola curiosità finale: questo vino è una dedica di Georg Weber a sua madre, Cristina detta Tina, grande appassionata di Syrah.
Mentre scambio qualche parere con Rolland sui vini finora bevuti, sperando che il mio francese sia meglio del suo inglese, arriva in degustazione il Monteverro, il vino bandiera dell'azienda che, in linea più che teorica, rappresenta quel vino in stile bordolese che Georf aveva in mente di produrre fin da tempi del suo master in Svizzera. Questo rosso, frutto di un'abile cuvée di uve Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot e Petit Verdot, rigorosamente selezionate in fase di vendemmia e provenienti dalle migliori parcelle della tenuta. La fermentazione avviene in acciaio inox e barrique e il vino, una volta ottenuto, viene affinato per 24 mesi in legno piccolo di rovere francese di cui l'80% è di primo passaggio.
Il Monteverro 2013 è decisamente accattivante grazie alle sensazioni di ciliegia nera, confettura di more, cardamomo, china e sottobosco che vanno a disegnare un corredo olfattivo di morbidezza e soavità che riscontro anche bevendo questo vino che avendo una grana tannica di tutto rispetto, avvolge il palato come una sciarpa calda e carezzevole. La persistenza finale è lunghissima e speziata.
Il Monteverro 2012 ha invece il passo più scattante e una armonia strutturale decisamente sopra la media. Niente muscoli perciò, ma tanta eleganza e freschezza grazie ad una sapiente gestione del legno che regala suggestioni di spezie nere, erbe aromatiche, fiori secchi e lavanda mentre al sorso la preziosa e finissima intelaiatura tannica viene perfettamente orchestrata dalla squillante sapidità e dalla freschezza del vino che rende la beva assolutamente compulsiva.
Termino la visita a Monteverro con una bella intervista a Michel Rolland che potete leggere a questo link e con una promessa: rivederci tutti assieme almeno una volta l'anno per valutare la crescita qualitativa di questi vini che, pur non essendo alla portata di tutte le tasche, rappresentano sicuramente una eccellenza tutta italiana da esportare nel mondo.
Prosit!