Bruno Clair - Chambolle-Musigny les Véroilles 2016


di Carlo Macchi

Chambolle-Musigny cioè eleganza e questo cru che domina dall’alto Les Bonnes Mares dovrebbe interpretarla al meglio. Invece l’ho trovato  nervoso e profondo, ampio ma con un carattere forte.


Naso ancor più spiazzante con sentori che vanno dal sangue alla mora. La Borgogna che ti sorprende.

Anteprima Brunello OFF: l'annata 2016 a Montalcino è davvero straordinaria?


di Carlo Macchi

Annata 2016 oramai alle stelle (molte più di 5 a sentire tanta stampa), Riserva 2015 osannata come mai, 141 cantine presenti, più di 400 vini in degustazione. Questi pochi dati fanno capire quanto bendidio ho avuto a disposizione nello scorso fine settimana e visto che mio padre diceva sempre che “nel troppo ci si rientra sempre”, in questa anteprima per soli 25 giornalisti mi ci sono proprio crogiolato. Infatti, se i vini erano tantissimi i giornalisti, per chiari motivi di Covid, non solo erano pochissimi ma ben distanziati, “tamponati” (abbiamo dovuto presentare un tampone negativo) e serviti da sommelier dotati di varie mascherine, anche in plexiglas.
Credo che il Consorzio abbia dovuto e dovrà superare ancora una serie notevole di problemi per organizzare quest’anteprima a tappe, che vedrà nei prossimi tre fine settimana succedersi blogger, influencer, sommelier, addetti ai lavori, opinion leader, sempre e comunque a gruppi di 25, in qualche caso anche con accessi ristretti a due sole ore.


Non c’è che dire, il mondo in un anno è cambiato tantissimo e allora mi è venuto da pensare a quanto e come sia cambiato il Brunello di Montalcino, non in un anno ma, per esempio, negli ultimi 20-25. 
Parto dagli assaggi della tanto osannata vendemmia 2016: indubbiamente un’ottima annata, già aperta e ben declinata, con tannini dolci ma a cui, per me, manca qualcosa. Cosa? Da una parte (in una parte dei vini) quella freschezza che, per esempio nel 2001 era quasi sempre presente e dall’altra la “ruvida dolcezza” dei tannini del sangiovese.


Accanto a queste due “mancanze” ci sono però tanti punti a favore per chi ama vini più pronti anche se importanti: notevole dolcezza tannica, equilibrio generale già di ottimo livello, legno sempre ben dosato. Inoltre, sarei cieco se non vedessi che oramai non esistono più da anni vini difettati a Montalcino, che la qualità media è altissima, che la piacevolezza è indubbia.


Molti punti positivi in un vino che però è anche molto cambiato, credo soprattutto a livello analitico: sono convinto infatti che se si confrontassero i pH dei vini di 20-25 anni fa, per non parlare delle acidità e del grado alcolico, con quelli dei vini attuali ci troveremmo di fronte a parametri molto diversi. Indubbiamente il riscaldamento globale ha dato una mano a fare Brunello più rotondi, “pronti con corpo”, apprezzabili in tempi più brevi, in definitiva più (mi si passi il termine) “internazionali” per un mercato sempre più globale che ama molto di più la rotondità, sopporta in un vino importante l’alcol non sempre contenuto e cerca di evitare la ruvidezza e gli spigoli.


A questo però dobbiamo aggiungere ulteriori considerazioni: ho fatto un conto veloce di quante aziende oramai presentino tra i loro prodotti una o più selezione (di vigna o di cantina) e sono arrivato circa alla metà dei produttori. Poi mi sono messo a dare un’occhiata a quanti producano una o più Riserva e qui il numero è salito e non di poco. Infine, ho fatto il calcolo di quante cantine non abbiano selezioni e Riserva e non sono andato oltre un 10%. 
Da una parte quindi il territorio di Montalcino ha impattato un cambio climatico non indifferente, che ha messo i produttori di fronte a problemi viticoli mai affrontati, dall’altra è esplosa da alcuni anni la “tendenza”, che oramai e diventata quasi un obbligo, delle Selezioni. Queste, specie con l’albo vigneti bloccato e con alcune delle vigne più vecchie che bisogna incominciare a ripiantare, toglie ottime uve (probabilmente le migliori) dal Brunello “base”. Se poi ci mettiamo che a monte (e devo dire finalmente!) tante cantine si sono messe a selezionare alla vendemmia le migliori uve che andranno nella Riserva, ci troviamo di fronte in diversi casi ad un quadro dove il Brunello “base” è la terza/quarta scelta dell’azienda. Se l’annata non è buona questi tre livelli si riducono a due o a uno, con selezioni e Riserva che finiscono nel Brunello “base” per rimpolparlo, ma quando l’annata è ottima, come la 2016, ci ritroviamo con tutti i livelli e quindi in diversi casi con vini buonissimi (perché i produttori sono diventati veramente bravi!) più facilmente abbordabili ma con meno “grip” al palato, già pronti, aperti, ampi, con tannini rotondi e alcolicità che spesso spicca. In passato invece, con clima, pH, acidità, tecnologie diverse e senza tante (ottime) selezioni, si trovavano vini con trama tannica più accentuata, acidità ben presenti, alcol più contenuto e tempi di maturazione molto allungati.


Per questo il mio giudizio sulla 2016 non è stato in linea con tanti colleghi
, perché mi riservo di capire la metodica evolutiva di diversi vini e perché vedo sempre di più innalzarsi lo scalino tra le Selezioni e i Brunello annata e vorrei veramente capire cosa questo comporta. Ripeto che oggi i Brunello sono molto più levigati e piacevoli che in passato e che questa è sicuramente una scelta commerciale vincente, ma permettetemi di avere nostalgia per un diverso modo di pensare questo grande vino.


Bisogna essere chiari: il Brunello di Montalcino non è il solo su questa strada, altre grandi denominazioni si ritrovano quasi nella stessa condizione di “cambiamento”. Una su tutte il Barolo, che ha avuto le due ultime vendemmie (2015-2016, la 2017 verrà presentata a fine mese) con un andamento molto simile. In particolare, nella 2016 di Barolo, ottima sotto tanti versi, non ho trovato quella potenza tannica da nebbioli di razza che mi sarei aspettato da una grande vendemmia, ma una buona potenza con tannini dolci e vellutati, molto diversi da quelli che annate come la 1996, la 1999 o la 2001 mettevano in campo appena in commercio.


Quindi la vendemmia 2016 a Montalcino è figlia di vari cambiamenti che alla fine portano a disegnare un profilo diverso per il Brunello, in parte da esplorare per quanto riguarda non tanto la durata nel tempo ma i tempi e i modi con cui questa durata si potrà sviluppare.

Cantine Villa Dora e l'evoluzione nel tempo del suo Lacryma Christi del Vesuvio DOC Bianco “Vigna del Vulcano”

I vini vulcanici, negli ultimi tempi, stanno avendo un grande richiamo tra gli appassionati tanto che, nel 2012, è nata una vera e propria associazione per promuovere i c.d. “Volcanic Wines” attraverso degustazioni ed iniziative promozionali. Tra i tanti territori vulcanici italiani, che vanno da Soave a Pantelleria, probabilmente quello con le maggiori potenzialità di sviluppo e promozione si trova in Campania, nella zona del Vesuvio, vulcano ancora attivo che dal 1944 si trova in stato di quiescenza.


All’interno di questo areale, dove si pratica la viticoltura fin da tempi antichissimi e dove le viti sono talvolta ancora a piede franco, si trova una delle aziende più rappresentative del territorio:
Villa Dora. La sua storia nasce a Terzigno (NA), nel 1997, dal desiderio di Vincenzo Ambrosio che eredita dal nonno la passione per il vino del territorio al fine di orientare la produzione vitivinicola vesuviana verso standard qualitativi quanto più elevati possibile. Oggi, dopo oltre venti anni, quel sogno è diventato solida realtà grazie alla coltivazione, in regime biologico certificato dal CCPB di Bologna, di nove ettari di vigneti, tutti racchiusi tra le mura aziendali, coltivati sulla c.d. “schiuma di lava” mista a lapilli, ovvero l’insieme di rocce laviche derivanti dal susseguirsi delle eruzioni.

Vincenzo Ambrosio

I vigneti, per la maggior parte coltivati a pergola vesuviana e rigorosamente a piede franco, sono terrazzati su tre livelli, tutti esposti a sud-ovest con un’altitudine di 250-300 metri s.l.m., in un ambiente soleggiato e sempre ventilato, perfetto per la coltivazione di uve autoctone come piedirosso, aglianico, caprettone e falanghina, varietà antichissime tradizionalmente utilizzate per la produzione del Lacryma Christi del Vesuvio, il cui adattamento alle condizioni pedo-climatiche della zona è garantito da millenni di permanenza e di coltivazione.



Il motivo per cui amo particolarmente Villa Dora è legato al fatto che dal 2001, grazie all’ausilio di Roberto Cipresso, ha intrapreso un progetto assolutamente all’avanguardia per l’areale vesuviano e, in generale, per la Campania: produrre solo vini da invecchiamento, bianchi e rossi, con l’obiettivo di uscita sul mercato almeno dopo 2/3 anni la vendemmia.


Tra i vini prodotti più rappresentativi c’è sicuramente il Lacryma Christi del Vesuvio DOC Bianco “Vigna del Vulcano”, blend di caprettone e falanghina, che ho avuto il piacere di degustare, presso la FIS Roma, attraverso una verticale storica di undici annate guidata da Massimo Billetto.


Prima di entrare nel vivo della degustazione una precisazione dal punto di vista tecnico: caprettone e falanghina vengono fatte macerare in pressa per 6/8 ore in riduzione; fermentazione in acciaio con controllo della temperatura. Per la sola annata 2002 c’è breve passaggio in barrique di rovere francese per 3 mesi. Dopo una sosta in acciaio, sulle proprie fecce fini, per altri 6/8 mesi, il vino viene imbottigliato e poi commercializzato almeno tre anno dopo l’anno di vendemmia.


Lacryma Christi del Vesuvio DOC Bianco “Vigna del Vulcano” 2017
: una delle annate più calde degli ultimi 15 anni restituisce un vino articolato nell’olfatto con sentori affumicati e minerali che aprono la via a sensazioni di ginestra e spezie. Sorso contraddistinto da importante forza glicerica che viene spezzata in due da una carica acido/sapida davvero inebriante che fornisce, nonostante tutto, grande bevibilità al questo bianco ancora non uscito in commercio.

Lacryma Christi del Vesuvio DOC Bianco “Vigna del Vulcano” 2016: annata regolare e vino assolutamente diverso dal precedente grazie ad una maggiore estroversione. La mineralità vulcanica, timbro territoriale e costante di questo vino, stavolta gioca e viene quasi messa da parte da una carica fruttata e floreale di grande ampiezza che viene amplificata da una scia mentolata, di erbe aromatiche, molto pronunciata man mano che il questo bianco si apre con l’ossigenazione. Sorso elegantissimo, misurato, tipico ed armonico in ogni aspetto, con chiusura salmastra persistentissima.

Lacryma Christi del Vesuvio DOC Bianco “Vigna del Vulcano” 2015: annata più calda della media e un vino che si caratterizza per un panorama aromatico di pietra focaia ed erbe aromatiche impreziosito da the nero, spezie gialle, zafferano soprattutto, e sensazioni iodate. Quando accarezza il palato si rivela corposo e saporito anche se crolla leggermente a centro bocca non fornendo la consueta e lunga persistenza sapida.

Lacryma Christi del Vesuvio DOC Bianco “Vigna del Vulcano” 2014: annata contraddistinta, causa piogge e basse temperature, ad un calo della produzione del 25% in Campania. Il vino molto originale sembra essere impossessato da due anime. Al naso, infatti ha un bouquet aromatico molto matura che ricorda le spezie dolci, il frutto bianco sciroppato, la cera d’api e la canfora. Sembra una evoluzione olfattiva quasi da distillato. Al gusto, invece, sorprende per freschezza, dinamismo e tensione acido/sapida.


Lacryma Christi del Vesuvio DOC Bianco “Vigna del Vulcano” 2013
: vendemmia decisamente bella, dove la qualità è andata a braccetto con la quantità. Al naso evoca sensazioni succose di agrumi e frutto della passione, poi esce la nota di sambuco, timo per virare, con l’ossigenazione nel bicchiere, verso una leggera terziarizzazione dove ritrovo le spezie dolci orientali e la noce. Al gusto è assolutamente coerente col naso, ha grinta e carattere con una capacità importante di riempire la bocca simile alla 2016. Molto interessante il contrasto dolce\amaro tra la frutta dolce e succosa e la sensazione minerale, quasi iodata, che va ad equilibrare il tutto.

Lacryma Christi del Vesuvio DOC Bianco “Vigna del Vulcano” 2009: vendemmia che può definirsi in Campania decisamente importante con diverse punte di eccellenza. Se qualcuno, dopo questo salto temporale di quattro anni, si aspettava un vino stanco e terziarizzato è sicuramente rimasto piacevolmente deluso perché questo Lacryma Christi del Vesuvio, dopo oltre dieci anni dalla sua vendemmia, sembra rinascere sempre più forte e deciso. Naso assolutamente integro, senza cedimenti, finemente minerale e avvolto da articolati sentori di resina, glicine, foglie di the e sensazioni di erboristeria e finocchietto selvatico. Il sapore è ancora ricco, vivace, accarezza ed avvolge come una coperta invernale tutte le papille gustative lasciando a noi degustatori un finale lungo e salino. Grande vino! Nota a margine: prima vendemmia di Fabio Mecca, attuale consulente enologo.

Lacryma Christi del Vesuvio DOC Bianco “Vigna del Vulcano” 2008: grazie ai continui ammodernamenti dei sesti di impianto e ai numerosi interventi in vigna ed in cantina votati alla qualità e voluti da Roberto Cipresso, qua al suo ultimo anno di consulenza, si è arrivati ad una 2008 decisamente originale con un profilo olfattivo e gustativo molto austero ed essenziale, quasi da grande bianco mitteleuropeo. I profumi del vino, infatti, richiamano la torba, il tabacco da pipa, il the nero, il floreale giallo secco e lo iodio. Al sorso è pieno, piacevole, salino, fresco e di grande persistenza salmastra. Un vino intimo, quasi da meditazione.


Lacryma Christi del Vesuvio DOC Bianco “Vigna del Vulcano” 2006
: un’annata abbastanza regole e un vino ancora vivace il cui profilo olfattivo, molto complesso, sembra una sorta di riassunto aromatico dei vini precedenti visto che ritrovo, non in maniera gridata, la frutta gialla esotica, le erbe aromatiche, le foglie di the, la pietra focaia, il sambuco, la ginestra, il tabacco da pipa e chi più ne ha più ne metta. Il sorso conferma eleganza, sapidità e avvolgenza. Forse il finale non è così travolgente ma con un vino così possiamo anche perdonare questa piccolissima pecca…

Lacryma Christi del Vesuvio DOC Bianco “Vigna del Vulcano” 2005: vendemmia di grande qualità e un vino dove si intercettano inizialmente aromi molti suadenti di crema pasticcera, lievito, cannella, zafferano per poi virare decisamente, grazie al giusto tempo di ossigenazione nel bicchiere, in profumi più rigorosi di idrocarburo e canfora. Al gusto è maturo, bilanciato, graffiante ancora di acidità e mirabolanti tensioni sapide nel finale.


Lacryma Christi del Vesuvio DOC Bianco “Vigna del Vulcano” 2003
: l’andamento anomalo di questa annata, caratterizzata da una prolungata siccità, ha dato vita ad un vino dove l’armatura olfattiva, decisamente compressa come capita spesso nelle annate calde, si muove tra effluvi di frutta gialla matura, speziatura dolce e sensazioni autunnali di noce e tabacco. Al gusto la struttura non è così incatenata come mi aspettavo, il vino sembra meno imbalsamato grazie ad un sorso condito da elementi speziati e minerali intervallatati da intarsi acidi che rendono la beva spedita e sorprendentemente vibrante.


Lacryma Christi del Vesuvio DOC Bianco “Vigna del Vulcano” 2002
: la vendemmia, come tutti sappiamo, è stata fredda e piovosa anche se in Campania, grazie ai suo tanti microclimi, è stata più clemente soprattutto sul Vesuvio dove le vecchie vigne hanno dato il loro valore aggiunto riuscendo ad autoregolarsi producendo poca uva ma di qualità. Il vino in questione ha un corredo olfattivo molto originale di uva macerata, infusi di erbe aromatiche, noce, cera d’api, terra rossa, humus, curry. Al gusto avvolge il palato con sensazioni decisamente morbide di yogurt e agrume candito che stemperano con sapore e decisione una lunga scia salmastra che, fortunatamente, tende tutto ad armonizzare.

La verticale completa. Foto di Roberto Greco


Cataldi Madonna - Terre Aquilane IGT Pecorino "Giulia" 2019


di Roberto Giuliani

“Vuoi un Pecorino?”

“No, sai che non posso mangiare formaggio.”


“Ma no, intendo vino, fatto con il Pecorino!”

“Scusa, ma cosa cambia? Sempre di formaggio si tratta…”.

“Il Pecorino è un’uva!”

“Ah… e di che sa?”

“Di ginestra, pesca, nocciola, mela, bello fresco, succoso, ed è biologico…”.

“E allora versa va!”.

Comm. G. B. Burlotto - Barolo Monvigliero 1999


di Roberto Giuliani

Ne è passato di vino nei calici da quando ho conosciuto Marina Burlotto, il marito Giuseppe Alessandria e loro figlio Fabio; questa storica azienda che possiamo incontrare sulla Via Vittorio Emanuele a Verduno, uno degli 11 comuni dove si produce Barolo, è stata fra le prime a farmi innamorare di questo straordinario vino di Langa.

Verduno. Foto: Langhe.net

Verduno (Vërdun in piemontese) è un piccolo comune in provincia di Cuneo con poco più di 500 abitanti, ovviamente tranquillo e probabilmente spiazzante per un cittadino, ma basta salire al belvedere per rendersi conto di trovarsi di fronte un panorama fra i più affascinanti di tutte le Langhe.

Il Cru Monvigliero, in arancione

Qui dimorano alcuni cru (oggi Menzioni Geografiche Aggiuntive) di assoluto rilievo, come Neirane, Massara, Breri, San Lorenzo, Pisapola e soprattutto Monvigliero, 25 ettari la cui formazione geologica è caratterizzata dalle Marne di Sant’Agata Fossili in forma laminata, a un’altitudine che va dai 220 ai 310 metri, dove il nebbiolo occupa più del 90%, affiancato da barbera, dolcetto e pelaverga, quest’ultimo vitigno di notevole importanza che si è guadagnato la Doc Verduno Pelaverga.

Fabio Alessandria - Foto: Ais Lombardia

Il Monvigliero, come tutti i grandi cru, nelle migliori annate esprime una straordinaria eleganza, la 1999 è sicuramente fra queste e la versione di Burlotto è da sempre la mia preferita. Riassaggiarla a distanza di 22 anni dalla vendemmia mi suscita una certa emozione, ormai erano almeno 5 anni che non degustavo più questo millesimo.

Ovviamente il colore è un granato-aranciato, ma questo non deve stupire perché il vino nasce già con un granato pronunciato, in ogni caso è limpidissimo e non manca di una rassicurante luminosità.


Doverosamente lo lascio respirare per parecchi minuti, in modo da ripulirsi da qualsiasi riduzione, ed eccolo fiero mostrare un corredo espressivo raffinato, dove emergono con straordinaria decisione due note che lo caratterizzano in modo inequivocabile: l’oliva e l’arancia. Seguono profumi di prugna, ciliegia sotto spirito, tabacco, cuoio, sottobosco, liquirizia, cenere ed erbe aromatiche essiccate.

All’assaggio colpisce per la freschezza e balsamicità che riesce ancora a esternare, rendendo il sorso piacevolissimo e per nulla stanco, la componente terziaria non rivela cedimenti ossidativi ma esprime una notevole coesione; un tocco di austerità in un contesto squisitamente comunicativo. E ha ancora tanta strada davanti a sé…

Simona Natale:”Il bello e il buono ci salveranno da questa crisi”! - Delivery IGP

Per questa ultima puntata di Delivery IGP ho voluto intervistare una bravissima imprenditrice del sud Italia, Simona Natale che, assieme a suo marito Gianfranco Fino, tanto stanno dando alla viticoltura della loro Puglia. Simona e Gianfranco sono da anni dei visionari e, nonostante la crisi pandemica, non smettono di investire nei loro sogni!

Gianfranco e Simona Fino

Buongiorno Simona, anzitutto una domanda personale: come stai affrontando questa emergenza?

Lo facciamo come tutti, adattandoci ad una vita fatta di lavoro e zero viaggi. Da una esistenza sempre a mille in giro per il mondo a zero.Ci siamo comunque dedicati al cantiere della muova cantina è questo non è stato per niente negativo. Abbiamo fatto la scelta di fermarci, niente e-commerce, niente delivery. Noi lavoriamo con l’Horeca che è il settore più colpito e quindi non ci sembrava giusto percorrere altre strade.

Hai parlato di viaggi di lavoro. Cosa ti manca di quell’aspetto che ora è in stand-by?

Sicuramente gli abbracci, quel bagno di folla che ci dava la forza di non fermarci mai, quella sensazione di casa con i colleghi, quel modo di vivere un po’ girovago, che comunque mi dava tantissime emozioni.

Ti aspettavi questa nuova ondata di epidemia? Come la stai affrontando aziendalmente?

Ovviamente tutti abbiamo sperato di non vivere questa nuova fase che sembra non finire più. Stiamo combattendo per non fermarci. Ci spaventa solo il blocco del cantiere per la nuova cantina, non saremmo in grado di sopportarlo dopo tutti gli sforzi che abbiamo fatto.

Secondo te il nostro Governo ha preso tutte le misure adottate sono state sufficienti o si poteva fare qualcosa di più anche alla luce di questa seconda ondata?

Il Governo ci prova ma questa cosa è arrivata nelle nostre vite come un uragano. Nessuna Nazione era pronta a fronteggiarla. Avremmo tutti voluto non vivere questa guerra con un nemico così subdolo, ma allo Stato chiediamo solo che ci aiuti per ciò che concerne il costo del lavoro, che è un valore altissimo da sostenere per tutti noi,  soprattutto per aziende come la nostra in cui è impossibile meccanizzare il lavoro agricolo, sia dal punto di vista filosofico che oggettivo, vista la nostra viticoltura così particolare.
Da noi in Puglia, poi, tra COVID e Xilella , l’impatto economico è stato davvero pesante, soprattutto se parliamo di piccole aziende agricole. C’è sicuramente bisogno di sostegno e di aiuti importanti a livello nazionale, ma soprattutto regionale.

Usciamo un po' dal discorso virus e parliamo di territorio, del tuo territorio. Che periodo sta vivendo il Primitivo di Manduria e, in generale la Puglia?

Secondo me ancora, nonostante tutta la situazione internazionale, siamo in un territorio privilegiato, innanzitutto climaticamente; infatti abbiamo solo dieci giorni all'anno veramente brutti... poi la Puglia si è sempre difesa anche da un punto di vista turistico con un rapporto qualità prezzo enormemente interessante. Quindi un territorio bellissimo, 800 Km di coste, una proposta assolutamente varia e comunque tutti luoghi in cui si mangia e si beve bene, per cui abbiamo tantissimo da offrire. Come comunicazione siamo ancora una delle regioni più interessanti del mondo e lo dicono anche i media.

La scelta di lasciare il consorzio, nel 2017 da cosa è dipesa e se siete ancora convinti che sia la cosa giusta

Stiamo meditando di rientrare nel Consorzio rimanendo sempre della nostra idea di non rivendicare la DOC, almeno fino a quando non sarà imposto l’imbottigliamento in zona.

Per il 2021 cosa ti aspetti?

Spero che il mondo riparta, non solo da un punto di vista economico, ma umano. Tutti noi, in tutto il mondo, abbiamo bisogno di tornare a vivere. Credimi, è più un auspicio umano che commerciale, vorrei solo vedere la gente tornare a vivere una vita normale.

La Pandemia cosa ha cambiato e cosa cambierà nel mondo del vino?

Credo che nel mondo del vino la Pandemia non abbia cambiato nulla in più di ciò che ha cambiato in tutto il mondo. Sicuramente è cambiata la comunicazione che è pari a quella del mondo del food; i due mondi si sono completamente bloccati, oggi stiamo reinventando un sistema di comunicazione, ma io più che sul "on-line" sono calata nel mondo one to one, delle degustazioni che richiedono un contatto umano.

Che consigli daresti ai tuoi colleghi per affrontare al meglio il futuro?

Ai colleghi auguro di rimanere in salute, dobbiamo continuare a crederci. Non bisogna abbassare l’attenzione sulla qualità o lanciarsi in operazioni commerciali spregiudicate che servirebbero solo ad ingenerare confusione nel mercato. Io credo che “il bello ed il buono ci salveranno”.

L'Italia ha il suo primo Master of Wine: Gabriele Gorelli

Il The Institute of Masters of Wine, la più autorevole ed antica organizzazione dedicata alla conoscenza ed al commercio del vino, accoglie tra i suoi ranghi il primo rappresentante italiano di sempre. A scalare l'Olimpo della storica associazione inglese, vera e proprio ONU del vino, capace di catalizzare rapporti ed interessi di alto livello, di natura economica e culturale, è Gabriele Gorelli. Classe 1984, nato e cresciuto a Montalcino, terra del Brunello, cui è legato da profonde radici familiari, negli anni ha costruito un enorme bagaglio di conoscenze in campo enoico. Che spaziano dalla viticoltura alla comunicazione e all'economia, facendone uno stimato brand builder di aziende enoiche, importatori e grandi ristoranti. Senza mai perdere di vista il fine ultimo di un percorso iniziato nel 2014, che l'ha visto crescere ed affermarsi come uno dei punti di riferimento nella comunicazione del vino italiano all'estero.


I Masters of Wine nel mondo, così, diventano 418, meno delle persone mai state nello spazio, una élite che intreccia rapporti e competenze ai livelli più alti. Per questo è tanto importante, per l'Italia, avere un proprio rappresentante. Un ambasciatore al servizio di tutti, capace di portare un contributo nuovo e decisivo nelle dinamiche che muovono i gangli del commercio e dell'educazione al vino. Un “tavolo” da cui l'Italia, il Paese con la più antica, ricca e complessa tradizione enoica al mondo, è stata sin qui assente, al quale adesso è pronta a sedersi. Senza alcun timore riverenziale, perché il successo dei Masters of Wine risiede prima di tutto nella capacità di approfondire ed ampliare le conoscenze, valorizzando le differenze e le peculiarità, di cui il Belpaese non è secondo a nessuno.

“Il ruolo dei Masters of Wine, storicamente, non è certo quello di piegare la produzione del vino al gusto imperante. Al contrario, è quello di rendere accessibile e comprensibile a tutti le eccellenze, valorizzandole e creando valore aggiunto lungo tutta la filiera”, commenta Gabriele Gorelli, che tra le altre cose ha curato la sezione italiana della Sotheby’s Wine Encyclopedia 2020. “È fondamentale che un Paese complesso come l'Italia, da un punto di vista ampelografico, storico, stilistico, possa contare su un ambasciatore che lo rappresenti in ambito internazionale. Ancora oggi, nonostante il sapere enciclopedico degli anglosassoni, resistono convinzioni e pregiudizi sedimentati nei decenni, che restituiscono un'immagine distorta di quello che è il patrimonio enologico italiano. Perciò è fondamentale che ci sia qualcuno pronto a mettersi a disposizione dell'intera filiera, con la credibilità, l'autorità, ma anche il tono di voce ed il linguaggio adeguati, per rappresentare e raccontare l'Italia ed i suoi vini nel complesso universo del trade internazionale”, aggiunge Gabriele Gorelli.

Che oggi ha chiuso un cerchio, con una tesi sperimentale su un argomento tecnico sempre più attuale, ossia la lotta ai precipitati di quercetina nel vino imbottigliato:“Quercetin precipitation in Brunello di Montalcino. What are the organic fining methods to prevent this phenomenon occurring in bottle?”. Alle spalle, un percorso impegnativo, iniziato nel 2014, quando Firenze accolse il quadriennale Symposium del The Institute of Masters of Wine. Un'apertura all'Italia che spinse tanti professionisti del vino a tentare la scalata, partendo, nel 2015, con lo “Stage One”, primo grande scoglio. Superato al termine del tradizionale seminario, ospitato in quell'occasione a Rust, in

Austria: 12 vini alla cieca e due essay, che hanno spalancato a Gabriele le porte dello “Stage Two”. Il 2016 e il 2017 sono stati gli anni della formazione e dell'internazionalizzazione, alla scoperta delle principali regioni vitivinicole mondiali. Un biennio scandito dai viaggi, dalle relazioni professionali e personali, dallo studio dei grandi temi della viticoltura e dell'enologia mondiale: in sostanza, le fondamenta su cui costruire la credibilità di un Master of Wine.

Nel 2018, così, Gabriele diventa il primo italiano a superare la parte pratica dello “Stage Two”, il secondo step dell'esame finale, in cui il candidato analizza e racconta 36 vini, degustandoli alla cieca, in tre batterie da 12 durante tre giorni, in cui ha un ruolo apicale la comunicazione. È fondamentale, specie nei tredici essay della parte teorica, contestualizzare le conoscenze teoriche di viticoltura, enologia, controllo qualità e mercato in un ambito pratico, prestando attenzione alla sostenibilità economica, alle dimensioni aziendali, al regime agricolo. “Un Master of Wine - aggiunge Gabriele Gorelli - non deve ‘indovinare’ i vini, ma dimostrare di averli compresi. Può sbagliare a riconoscere la varietà e la provenienza, entro certi limiti, ma è richiesta una grande sensibilità nel valutare lo stile produttivo e, soprattutto, la qualità. Ogni batteria di vini è un saggio che il candidato è chiamato a scrivere riguardo a provenienza, varietà, metodo di produzione, posizionamento nella piramide qualitativa e collocamento commerciale. La descrizione del vino segue una logica che porta a dare delle conclusioni, è un piccolo essay in cui si devono usare capacità analitica ed efficacia comunicativa. L'obiettivo è dimostrare che si ha un bagaglio di conoscenze abbastanza importante da poter rispondere ai quesiti posti, mettendo in fila i propri argomenti e producendo un saggio bilanciato nelle opinioni, realistico e ben motivato”, chiosa il neo Master of Wine Gabriele Gorelli. Gli inglesi, pur non avendo millenni di storia alle spalle, come produttori, sanno essere pragmatici e metodici, e basare le proprie scelte su indicatori oggettivi. In conclusione, è questo il plus che un Master of Wine garantisce: il metodo di lavoro, l'organizzazione e la gestione strategica dei problemi

The Institute of Masters of Wine

Il The Institute of Masters of Wine è un'organizzazione fondata nel 1953, i cui membri, si legge sul sito https://www.mastersofwine.org, sono i Masters of Wine. La cui missione è promuovere l'eccellenza, la condivisione e la conoscenza tra i diversi settori della comunità globale del vino.
I Masters of Wine dimostrano la loro conoscenza di tutti gli aspetti del vino superando l'esame finale, riconosciuto a livello mondiale per il suo rigore ed i suoi standard esigenti. Esame che prevede una serie di papers teorici e degustazioni alla cieca, oltre ad un progetto di ricerca individuale che possa contribuire alla comprensione del mondo del vino.
Dopo aver superato l'esame, i Masters of Wine sono tenuti a firmare un codice di condotta, prima di potersi fregiare del titolo di Master of Wine, e utilizzare le iniziali “MW”. Il codice di condotta richiede ai Masters of Wine di agire con onestà e integrità, e di utilizzare ogni opportunità per condividere la propria conoscenza del vino con gli altri. Oltre 450 persone sono diventate Masters of Wine da quando ha avuto luogo il primo esame, nel 1953, e oggi il The Institute of Masters of Wine rappresenta l'ambizione più alta per i professionisti del vino di tutto il mondo.

Gabriele Gorelli

Classe 1984, Gabriele Gorelli è un wine expert, designer e brand builder nato e cresciuto a Montalcino, in Toscana. Le sue radici nel vino possono essere fatte risalire al nonno, che è stato il più piccolo produttore di Brunello di Montalcino. Dopo gli studi linguistici e una forte passione per il marketing, nel 2004 Gabriele ha fondato Brookshaw&Gorelli, un'agenzia di design specializzata nella visual communication del vino. Nel 2015 ha fondato una società di consulenza per la vendita e il marketing di vino all'estero, KH Wines, con clienti che vanno dalle cantine agli importatori ai ristoranti di alto livello. Partecipa regolarmente a concorsi enologici nazionali e internazionali in qualità di presentatore e giudice. Gabriele parla italiano, inglese e francese con una conoscenza di base della lingua tedesca. Pur essendo un avido viaggiatore, Gabriele ama disconnettersi e ricaricare le batterie con il trail running e la pratica dell'Ashtanga Yoga.

Il Feuduccio – Pecorino delle Colline Teatine IGT 2018


La tenuta Il Feuduccio è ad Orsogna, nel cuore del Parco Territoriale dell’Annunziata, e dai suoi vigneti di alta collina, posti ad oltre 400 metri s.l.m., nasce questo splendido Pecorino dai toni minerali e agrumati e dalla lunga persistenza sapida. 


Lontano mille anni luce da certe versioni al gusto papaya e frutta della passione…….

Tenuta I Gelsi: il Vulture nel bicchiere

Tenuta I Gelsi nasce nel 2003 per valorizzare il patrimonio viticolo della famiglia Potito in quello che è uno degli angoli più suggestivi della Basilicata per bellezza naturalistica e paesaggistica. Il nome si ispira al viale di ingresso della cantina, puntellato a destra e sinistra da centenari alberi di gelso utilizzati per l'allevamento del baco da seta (allevamento molto presente in zona fin dalla metà del XIV secolo). Ruggiero Potito è la colonna aziendale, vignaiolo di grande esperienza che ha affinato le sue conoscenze soprattutto delle vigne attraverso scambi di informazioni con i più importanti consulenti agronomici ed enologici italiani.


Siamo a Rionero in Vulture (PZ), nella frazione Monticchio Bagni, a due passi dai celebri laghi di origine vulcanica e dalle fonti dove sgorgano alcune delle acque minerali e oligominerali più apprezzate del Bel Paese. E’ il versante del Vulture che si affaccia sulle colline dell’Irpinia, a circa 400 metri di altitudine, tra l’altopiano calitrano e la Valle dell’Ofanto, dove le ceneri e i lapilli vulcanici si mescolano a giaciture argilloso-calcaree di medio impasto.


La superficie aziendale si estende su circa dieci ettari di vigneto, quasi tutti ubicati nel comune di Rionero in Vulture e potati a cordone speronato doppio. La varietà dominante è naturalmente l’Aglianico, coltivato in tre parcelle: ai tre ettari che circondano la cantina, chiamato “Vigneto I Gelsi”, piantati nel 2004, se ne aggiungono quattro in un unico corpo denominato “Vigneto Ferrovia” piantato nel 2005, sul versante che volge verso Melfi. I vigneti piantati ad Aglianico sono completati da una vecchia vigna di circa cinquanta anni (un ettaro) denominata “Vigneto Calaturi”, dal quale nasce l’omonimo cru di Aglianico del Vulture DOCG, ubicata su un poggio ad un chilometro dalla cantina. il quadro delle vigne aziendali e perfezionato due ettari dedicato alla Malvasia, la varietà a bacca bianca tradizionalmente coltivata nel comprensorio vulturino.


Dal 2018 la Tenuta ha iniziato un nuovo percorso, non ancora terminato, che ha determinato già una serie di cambiamenti significativi: dalla direzione enologica a quella agronomica, ora affidata ad uno dei tecnici più talentuosi d’Italia Dott. Enologo Sebastiano Fortunato, fino ad arrivare alla nascita del progetto bollicine che vede l’azienda impegnata anche nella produzione di vini spumanti utilizzando sia il Metodo Charmat (Brut Bianco e Brut Rosé) che il Metodo Classico (I Cinque Cerri) con soli vitigni autoctoni. Il totale di bottiglie prodotte, per quanto riguarda i vini fermi, si aggira attorno alle 60.000 unità, mentre sono circa 30.000 le bottiglie di spumante, sia metodo charmat che metodo classico, che l’azienda produce annualmente.

Cantina


Durante la manifestazione Beviamoci Sud, svoltasi a Roma, ho potuto degustare quasi tutta la produzione della famiglia Polito e, le seguenti, sono le mie note di degustazione:


Tenuta I Gelsi – Spumante Metodo Classico “Cinque Cerri” 2017
(100% aglianico): caratterizzato da perlage fine, questo spumante si fa apprezzare al naso per una chiara espressione minerale a cui seguono slanci di fiori bianchi, agrumi, pesca e pan brioche. Teso all’assaggio, dalla spiccata sinergia acido-sapida e caratterizzato da un finale leggermente ammandorlato. Interessante espressione di aglianico spumantizzato che consiglio come aperitivo. Nota tecnica: vinificato ed affinato in acciaio. Presa di spuma in bottiglia, sboccatura dopo 12 mesi sui lieviti e successivo affinamento in bottiglia per almeno altri 6 mesi.


Tenuta I Gelsi – Gelso Bianco Basilicata IGP 2019
(100% malvasia): in un territorio giustamente consacrato al vitigno lucano per eccellenza, cioè l’Aglianico, la Malvasia è tradizionalmente una delle poche varietà a bacca bianca coltivate, specialmente nelle vigne più fredde ed acclivi, dove l’Aglianico ha difficoltà a maturare in maniera efficace. Il vino ha un profilo aromatico molto delicato, ha fragranze di mineralità vulcanica, mela golden, salvia e gelsomino. Il gusto è segnato dall’apporto di acidità, quasi agrumata, e da ritorni intensi di sapidità vulcanica. Il finale è piuttosto salino, intenso. Nota tecnica: vinificazione e affinamento in acciaio.


Tenuta i Gelsi - Basilicata Rosso IGT Gelso Rosso 2019
(100% aglianico): il piccolino di casa, come lo chiamo io, è un vino proveniente dalle vigne aziendali più giovani e, a mio giudizio, proprio ad un pubblico giovanile, scusate il giro di parole, è destinato questo aglianico vinificato per rendere l’approccio con questo vitigno, soventemente austero, più facile e sbarazzino e quindi destinato ad un pubblico anche di neofiti. Piacevolmente fruttato, scattante, senza eccessi tannici e di insistita freschezza è il classico vino quotidiano che dovrebbe accompagnare la tavola di molti italiani. Nota tecnica: vinificazione in acciaio e affinamento, sempre in acciaio, per sei mesi sulle fecce fini.


Tenuta i Gelsi - Aglianico del Vulture DOC “Casello 105” 2017
(100% aglianico): proveniente dai migliori grappoli del vigneto “Ferrovia”, questo vino rappresenta ovviamente un step successivo rispetto a quello precedente. Si apprezza, infatti, una maggiore complessità olfattiva grazie ad un ventaglio aromatico dove si riconoscono le more selvatiche, il gelso, viola che fanno da contorno ad un timbro territoriale di grafite e ferro. La non forzata astrigenza tannica e il moderato contenuto alcolico (13,5%) lo rendono scorrevole ed equilibrato tanto da richiamare continuamente il sorso. Nota tecnica: vinificazione in acciaio mentre la maturazione, per il 50% continua in acciaio mentre il restante 50% avviene in anfora Tava per 12 mesi. Infine, dopo l’imbottigliamento, affina altri 12 mesi in bottiglia.


Tenuta I Gelsi – Aglianico del Vulture Superiore DOCG “Calaturi” 2015
(100% aglianico): il Cru aziendale, che nasce da un ettaro di vigneto di circa mezzo secolo, non può che essere il vino più importante e complesso della gamma dei vini di Tenuta I Gelsi. E’ l’Aglianico delle grandi occasioni, il vino che ti incanta appena metti il naso nel bicchiere e rimani incantato dal turbinio aromatico che rimanda alla frutta scura e matura, al rosmarino, alla viola appassita, al ginepro con guizzi di pepe rosa e terra rossa. In bocca le componenti gustative sono una vera e propria summa di autorevolezza e piacere; persistenza nettamente minerale e di meravigliosa lunghezza. Nota tecnica: vinificazione in acciaio e affinamento in bo­tti di rovere di Slavonia da 10 ettolitri per circa 18 mesi ed in bo­ttiglia fino al quarto anno dalla vendemmia.

Intervista a Francesco Iacono, direttore di ONAV - Delivery IGP


di Lorenzo Colombo

Dopo aver intervistato, per la rubrica Delivery IGP, produttori di vino, direttori di consorzi, enotecari, ristoratori, distributori, comunicatori, diamo ora la parola alle associazioni che si occupano di diffondere la cultura del vino.


Eccoci, quindi, a dialogare con
Francesco Iacono, direttore di ONAV (Organizzazione Nazionale Assaggiatori di Vino).

Ciao Francesco, inizia col presentarti, cioè illustraci in poche parole il tuo C.V.

Dopo la laurea, ottenuta nel 1983, ho iniziato a lavorare come ricercatore presso l’Università di Piacenza e presso l’ex Istituto di San Michele all’Adige (oggi Fondazione E. Mach), dove sono rimasto sino al 1999. Nel 2000 ho contribuito alla fondazione dell’azienda Fratelli Muratori che ho diretto sino a maggio 2018, da giugno dello stesso anno sono diventato il direttore di ONAV.

Come ha vissuto ONAV il periodo successivo al primo lockdown?

Come tutti quanti siamo stati colti alla sprovvista, ma sin da subito ci siamo attivati per mantenere il contatto con i nostri soci in un periodo nel quale non si potevano organizzare iniziative in presenza. Quindi già dai primi di marzo abbiamo attivato dei contest -come ad esempio #ilvinociunisce che prevedeva l’invio di brevi filmati, da parte dei soci, duranti i quali si presentava e si degustava un vino- da condividere con i nostri iscritti, che hanno avuto notevole interesse. Altri esempi di contest attivati sono stati #onavraccontacovid che prevedeva l’invio e la condivisione delle proprie esperienze durante il periodo di lockdown e #scattodivino, una specie di concorso fotografico legato ovviamente al mondo del vino. Abbiamo quindi messo mano ai social, che sino ad allora avevamo un poco trascurato e che erano principalmente utilizzati dalle varie delegazioni, potenziando sia Facebook che Instagram a livello nazionale.

Per quanto riguarda la formazione quali strumenti avete messo in atto?

Abbiamo attivato numerosi webinar, sia gratuiti che a pagamento, con notevole partecipazione da parte degli associati, relativi a diversi argomenti, come i diversi sistemi di tappatura del vino, il commercio del vino al tempo del covid, il vino tra naturalità e terroir e così via affinando sempre più gli argomenti sino a giungere al ciclo #lascienzaciracconta con relatori del calibro del Prof. Vincenzo Gerbi, presidente del comitato scientifico ONAV, il prof. Luigi Moio, l’enologa Graziana Grassini, il prof. Osvaldo Failla,il prof. Attilio Scienza, il prof. Mario Fregoni ed altri.
Nel frattempo abbiamo rispolverato un progetto di e-learning che da qualche tempo era nel cassetto e lo abbiamo attuato in collaborazione WhiteManager, una società specializzata nel settore del “digital training”. Si tratta di un corso -dal titolo #vinodentro- da tenersi in remoto che prevede 21 lezioni delle quali 16 pre-registrate con docenti selezionati e cinque in collegamento diretto durante le quali il docente conduce la degustazione dei vini e ne spiega le caratteristiche. Il corso infatti prevede l’assaggio di 21 vini che vengono inviati ai corsisti in bottiglie da 50 ml. Realizzati con travasi sotto atmosfera controllate (gas inerte).
Lanciato lo scorso 15 dicembre il corso, con numero massimo di partecipanti fissato in 50 per ciascuna classe, sta ottenendo un successo persino superiore alle aspettative, sinora infatti abbiamo già riempito 4 classi e abbiamo apertole iscrizioni alla 5ª. Il primo corso è iniziato lo scorso 29 gennaio, mentre in febbraio ed ai primi di marzo seguiranno gli altri: alla fine di questo percorso, per i partecipanti che lo vorranno, ci sarà la possibilità, frequentando due specifiche lezione del corso istituzionale in presenza, e sostenendo l’esame, di ottenere la qualifica di Assaggiatore.

Durante il lungo periodo di forzata inattività come vi siete comportati con i dipendenti?

Servendo meno personale in ufficio abbiamo utilizzato le loro ferie residue e poi lo strumento della CIG, riducendo la presenza in ufficio a quattro giorni a settimana.

Nel breve periodo intercorso tra i due lockdown c’è stata una ripresa di incontri in presenza?

Certamente, durante l’estate abbiamo cercato di chiudere tutti i corsi iniziati e forzatamente sospesi e le varie delegazioni hanno ripreso la loro normale attività legata alle mensili serate formative, purtroppo però, come dici, è stato un periodo piuttosto breve.

Progetti per il futuro?

In attesa di potere ripartire con corsi e serate in presenza abbiamo attivato una nuova serie di webinar che ci accompagneranno per tutto il 2021. Venerdì 5 febbraio è iniziato IVenerdìDelProfessorFregoni, un Corso di viticoltura in dieci incontri che proseguirà, a cadenza mensile per tutto l’anno, mentre è in partenza il quarto ciclo di LaScienzaRacconta, realizzato in collaborazione con l’Università di Piacenza, ovvero una serie di quattro incontri con partenza lunedì 22 febbraio, con cadenza settimanale.
Terminato quest’ultimo ciclo, sempre al lunedì avrà inizio una nuova serie di webinar chiamati #vino&terroir che prevede 4 argomenti costituiti da 5 webinar ciascuno. Ogni ciclo è dedicato ad uno specifico argomento: il Nebbiolo, il Sangiovese, i Vini dei Vulcani, i Vini Rosati, prevedendo l’assaggio di 20 vini che verranno spediti a casa dei partecipanti in campioni da 50 ml.
Non è ancora finita, perché poi seguirà un nuovo ciclo di incontri con #lascienzaracconta questa volta in collaborazione con l’Università di Milano. Insomma, di carne al fuoco ce n’è e non si può certamente dire che i nostri associati resteranno a bocca asciutta.

Ultima domanda, che riguarda per l’appunto gli associati. Ci sono state notevoli defezioni da parte dei soci a causa della mancata attività in presenza di corsi e serate, lo scorso anno? E come sta andando la campagna rinnovi quest’anno?

È inutile negare quanto è avvenuto per tutte le associazioni che si occupano di vino ed anche d’altro naturalmente, ovvero un prevedibile calo degli associati, che per quanto ci riguarda è collocabile attorno al 12%, mentre i rinnovi stanno andando bene ed al momento siamo attorno al 50% e prevediamo che, con la serie di iniziative messe in atto, questa percentuale non potrà che crescere.

Cima - Candia dei Colli Apuani Vermentino Nero DOC 2017


di Lorenzo Colombo

Il Vermentino nero è un vitigno che trova il suo habitat principalmente sui Colli Apuani, a rischio scomparsa è stato riscoperto tra la fine degli anni ottanta ed i primi novanta. 


La versione fornitaci da Cima è caratterizzata da intense note di frutti rossi e da spezie dolci. 
Fresco e croccante alla bocca presenta un tannino deciso ed una buona vena acida.

http://www.aziendagricolacima.com