di Carlo Macchi
Una giornata sicuramente molto particolare,
perché la degustazione di mercoledì
5 dicembre a Selvapiana, una delle cantine storiche della Rufina, non può essere
passata agli atti come una “normale degustazione”. Abbiamo assaggiato uno di
fila all’altro i tre capisaldi della denominazione, olio, vinsanto e vino,
facendoci un’idea veramente chiara e assolutamente positiva di questo
piccolo e vocato territorio, alle porte di Firenze, con tanta storia alle
spalle.
Per prima cosa abbiamo assaggiato in maniera
bendata ben 13 oli del 2018 di altrettanti
produttori della Rufina. Il risultato dell’assaggio è stato positivo: l’annata
non è certo eccezionale, gli oli hanno buoni profumi ma non molto intensi, che
puntano molto meno di altri anni verso la foglia di carciofo e si dipanano su
note più dolci, mentre il corpo è equilibrato ma non ha la potenza che molti chiedono
all’olio toscano. La media qualitativa si è comunque dimostrata alta e comunque
senza confronto con oli da supermercato.
Come vedete dalle foto erano tutti oli imbottigliati e questo ci
porta a parlare dei costi di un buon extravergine che, alla produzione, per un
serio produttore toscano non può essere inferiore agli 8-10 euro al litro.
Questo anche perché, come ci dice Federico Giuntini di Selvapiana “La resa non è uguale tutti
gli anni ma purtroppo i costi si. Inoltre la Rufina è al limite della zona di
coltivazione dell’olivo, con note positive per gli oli ma negative per le rese
e le difficoltà di lavorazione”. Quindi se ad un produttore costa 8-10 euro a quanto lo
dovrebbe rivendere per guadagnarci qualcosa? Per fortuna la raccolta 2018
è stata alla Rufina e in quasi tutta la Toscana abbondante, anche se è durata
molto più a lungo che in altri anni, con rese che, sempre alla Rufina sono
arrivate al massimo al 12-13%.
Praticamente tutti gli oli che vedete nella
foto sono di ottima qualità ma se volete sapere quello che mi è piaciuto di più
vi dirò che, a fine giornata, mi sono comprato 5 litri dell’extravergine di
Selvapiana.
Dopo gli oli siamo passati
ai vinsanto e, ve lo dico
senza peli sulla lingua, abbiamo goduto di brutto. Il Vinsanto è un vino
passito particolare: ha grande acidità, spesso coperta da alti residui zuccherini
ma che viene sempre fuori, dando nerbo e vitalità al prodotto. Al naso, specie
se matura per almeno 6-7 anni, ha gamme aromatiche che partono dalla frutta
matura e passano a quella secca, passita e candita, arrivando a gamme terziarie
che portano verso sentori di fungo e tartufo, il tutto con un sottofondo di
miele.
I Vinsanto che abbiamo degustato e di cui
troverete qui le schede di
degustazione, ci hanno impressionato per qualità e per assoluta classicità.
Sono vini che in qualche caso rischiano di non piacere perché incarnano la
burbera e spigolosa anima toscana. Questi della Rufina hanno mostrato anche
delle notevoli diversità olfattive, tutte però di assoluta pulizia, profondità,
complessità e soprattutto piacevolezza. Ho già detto in altra sede che sono
vini che non andrebbero bevuti ma santificati, perché rappresentano al meglio
una tipologia sempre meno consumata e stimata, quando invece è la quintessenza
della sapienza, pazienza e bravura che ci vuole per fare un grande vino.
Vi ho dato il link dove potrete vedere i
risultatiti degli assaggi ma due-tre chicche ve le passo subito: Il Vinsanto del Chianti
Rufina Occhio di Pernice (cioè da uve rosse) 2008, I Veroni, il Vinsanto del
Chianti Rufina Riserva 2011 di Lavacchio e il Vinsanto
del Chianti Rufina 2001 (non è un errore, c’è questo in commercio) di Frascole rappresentano
le varie e meravigliose anime di un unico corpo.
Un vecchio detto recita che “Tutti i salmi
finiscono in gloria” e così la nostra giornata di assaggi non poteva che
concludersi a tavola. Ma attenzione, una tavolata particolare perché la terza
degustazione era dedicata alle eccezionali possibilità di invecchiamento del
Chianti Rufina attraverso una serie di vecchie annate, una per cantina.
Il bello era che la degustazione si è svolta a
tavola, pranzando, proprio per capire se oltre alle possibilità di
invecchiamento questi grandi rossi hanno anche la giusta elasticità,
freschezza, adattabilità gastronomica oppure se sono solo dei bei monoliti da
gustare ma da non portare in tavola. Inoltre, last but not least, la
degustazione non solo non era bendata ma a tavola c’erano anche i produttori,
con cui abbiamo scambiato pareri su ogni vino che veniva degustato.
Eccovi, prima di tutto la lista dei vini, tanto
per farvi sbavare un po’, nell’ordine praticamente casuale in cui sono stati
serviti.
Marchese
Gondi Villa Bossi Riserva 2001
Castello di Nipozzano Chianti Rufina Riserva Montesodi 1999
Fattoria il Capitano, Chianti Rufina Riserva 2013
Frascole, Chianti Rufina Riserva 2006
Colognole Chianti Rufina Riserva del Don 2006
Travignoli Toscana IGT Tegolaia 2005
Fattoria di Grignano Chianti Rufina RiservaPoggio Gualtieri 2000
Fattoria di Lavacchio Chianti Rufina Riserva Ludii 2007
I Veroni Chianti Rufina Riserva 2010
Castello del Trebbio, Chianti Rufina Riserva Lastricato 2004
Il Pozzo Chianti Rufina Riserva 2004
Selvapiana, Chianti Rufina Riserva Bucerchiale 1995
Niente male, non trovate?
Ma veniamo ai
risultati di questa particolare e gustosissima degustazione.
La prima nota
riguarda la qualità dei vini: tutti quelli degustati erano in condizioni
perfette (due tappi a parte) e, a detta degli stessi produttori, hanno mostrato
le loro reali caratteristiche. Chi pensa che una vecchia annata della Rufina
sia un vino comunque in declino, doveva essere a tavola con noi! Ognuno metteva
in tavola la sua giovinezza, sia con una freschezza acida brillante e patinata,
sia con una tannicità viva ma elegante, sia con complessità aromatiche non
soltanto legate al mondo degli aromi terziari.
Una continua
sorpresa, pensando che avevamo a tavola anche vini di 23 anni e che comunque la
media era nettamente superiore ai 10.
Personalmente ho nuovamente constatato che i grandi
sangiovese invecchiando raggiungono finezze che li avvicinano ai migliori
Pinot Nero: hanno una setosità al palato ed un mix di gioventù ed esperienza al
naso che non può non farti innamorare. Poi magari si declinano in maniera
diversa: con la grande potenza espressiva della Riserva del Don 2006 di
Colognole o con la suadente freschezza della Riserva di Frascole 2006 o con la
ancor monolitica presenza del Lastricato
del Castello del Trebbio 2004 o con il regale aplomb del Bucerchiale 1995 di Selvapiana, però tutti hanno
quella matrice, quella madre generosa chiamata sangiovese, che li accomuna e li
accompagna nel tempo.
Devo
ammettere che qualche produttore avrebbe potuto odiarmi, visto che alcuni
di questi vini sono stati abbinati a tortini di verdura o comunque a piatti non
certo adatti alla loro nobiltà, ma alla fine siamo riusciti a dimostrare che le
vecchie annate della Rufina sono perfettamente godibili a tavola, anche su
piatti non proprio studiati a tavolino.
Scommetto che a
questo punto volete sapere quelli che mi sono piaciuti di più: vi garantisco
che non è stato facile scegliere, ma se dovessi fare un podio metterei al terzo
posto il Ludii
2007 di Lavacchio, al secondo la Riserva del Don 2006 di Colognole e
al primo sua maestà Bucerchiale 1995 di Selvapiana.
Tutti
gli altri però restano a pari (e alto) merito alla base di questo podio
ipotetico.
A
fine pranzo, vista la bontà dei vini e in molti casi la disponibilità ancora
discreta di bottiglie, è nata l’idea di esportare, in ristoranti o enoteche
amiche di altre zone d’Italia, l’opportunità di conoscere, degustare e
apprezzare le grandi possibilità delle vecchie annate della Rufina, magari
assaggiando a fine pasto un grande Vinsanto della Rufina e naturalmente
preparando piatti con l’extravergine locale.
Insomma, chi se
la sente di godere come abbiamo fatto noi il 5 dicembre, alzi la mano, anzi,
alzi il telefono e chiami il Consorzio del Chianti Rufina.