Il San Giorgio di Lungarotti, tra i mille esempi che si potevano fare, rappresenta senza dubbio lo specchio delle tendenze del mondo del vino italiano negli ultimi 25/30 anni del secolo scorso dove la ricerca di colore, struttura e "centesimi Parkeriani" sembrava decisamente più importante rispetto al concetto di territorialità che proprio in quel periodo è stato messo a dura prova anche grazie al successo dei c.d Supertuscan i quali, grazie all'ausilio di vitigni internazionali come merlot e cabernet sauvignon, garantivano un facile successo, mediatico e commerciale, grazie al perseguimento degli obiettivi di cui sopra.
Giorgio Lungarotti - Foto: http://www.pubblicitaitalia.com |
Giorgio Lungarotti, classe 1920 e solide radici a Torgiano (PG), era talmente lungimirante che già nel 1974 aveva pensato alla creazione di un "Superumbrian" a base di sangiovese, canaiolo e cabernet sauvignon che nel 1977 fu introdotto nel mercato col nome di San Giorgio a ricordo della tradizionale festa umbra in onore del Santo durante la quale, ancora oggi, vengono accesi falò propiziatori nelle vigne con gli scarti della potatura.
Il protocollo di vinificazione ed affinamento del San Giorgio seguiva quello dei suoi (blasonati) colleghi toscani: fermentazione in vasche d'acciaio, lunghe macerazioni sulle bucce, utilizzo di barrique nuove per per un anno e successivo riposo del vino in bottiglia per circa 36 mesi prima di essere commercializzato.
La verticale storica di San Giorgio organizzata a Roma poco tempo fa con alcuni amici mi ha fatto brutalmente comprendere passato, presente e futuro di questo vino la cui evoluzione temporale, come già detto, farà riflettere portando il discorso a livelli più alti e generali. Tutte le considerazioni finali al termine del post.
Lungarotti - San Giorgio 1985: l'uvaggio del vino, anche se non ho informazioni precise, prevede una prevalenza del sangiovese sul cabernet la quale risulta abbastanza palese al naso che offre sensazioni di fiori rossi disidratati, rabarbaro, ribes e soffi di tabacco e macchia mediterranea. Sorso morbido, soffice come un cuscino ed intenso come la luce di un mattino di primavera.
Lungarotti - San Giorgio 1986: rispetto al precedente ha un corredo aromatico più deciso dove fanno capolino, oltre alla parte floreale e fruttata, anche tutta una serie di sensazioni di cannella, noce moscata e tabacco da pipa. Al gusto è intenso, ancora dirompente e graffiante. Un fuoriclasse per gli anni che ha.
Lungarotti - San Giorgio 1987: l'annata non si ricorderà in Italia come una delle migliori ed infatti questa versione di San Giorgio risulta abbastanza anonima sia al naso che, soprattutto, al sorso che pur essendo dotato di un tannino ancora graffiante risulta troppo diluito e dalla scarsa persistenza.
Lungarotti - San Giorgio 1988 (50% cabernet sauvignon, 40% sangiovese e 10% canaiolo nero): non ho certezze ma, a partire da questo millesimo, si percepisce un primo cambiamento caratteriale del vino che sembra passare dalla fase adolescenziale a quella più "adulta" e matura. Questo 1988, infatti, è meno aperto e gioviale rispetto ai precedenti per via di una contrazione olfattiva abbastanza spiccata dove cominciano ad emergere sensazioni "nere" di frutta e spezie. Sorso sapido, rotondo e dotato di scia speziata.
Lungarotti - San Giorgio 1990: i colori del vino cominciano a farsi più intensi e decisi così come il corredo olfattivo che si fa austero, regale e dotato di eleganti profumi di cannella, liquirizia, eucalipto, ribes e tabacco. Avvolgente e di bella struttura, gioca la sua carta migliore sul finissimo equilibrio gustativo dotato di lunghissima scia sapida, quasi di cenere vulcanica.
Lungarotti - San Giorgio 1993: la mutazione sta prendendo forma e il baco sta diventando farfalla (o viceversa?). Nonostante un'annata non proprio esaltante il vino rimane inchiodato su se stesso e i suoi profumi somigliano a quelli di tanti tagli bordolesi italiani. Offre note di ribes, spezie scure, macchia mediterranea e liquirizia mentre, bevendolo, è pressoché impossibile non accorgersi dell'austero rigore del vino dotato di tanta morbidezza e fitto tannino.
Lungarotti - San Giorgio 1995: quando senti che la parte aromatica del vino è dominata dal vegetale sparato dal cabernet sauvignon capisci che il gioco è fatto e non si può tornare indietro. E' come ritornare a casa e trovare tua moglie a letto con l'amante. Come risolvere la situazione? Divorzio consensuale?
Lungarotti - San Giorgio 1997: decisamente consistente nella struttura e nel colore è ormai un vino dal facile impatto, più popolare che aristocratico, grazie alle note aromatiche dove la frutta nera (amarena), le spezie, il tabacco e il cioccolato al latte giocano un ruolo di assoluta supremazia. Sangiovese non pervenuto. In bocca è morbido, spregiudicato ma, alla fine, abbastanza prevedibile.
Lungarotti - San Giorgio 2000: riecco il vegetale, riecco il cabernet che di nuovo segna il vino in maniera decisa dotandolo di un'anima troppo monocorde e scontata per essere apprezzata dal sottoscritto. Al sorso, alla cieca, lo scambierei forse per un bel Bordeaux. Gli ho fatto un complimento?
Lungarotti - San Giorgio 2001: e quando meno te lo aspetti ecco che il santo, complice una grandissima annata, ti fa lo scherzetto regalandoti un vino di bellissima luminosità sia nel colore che, soprattutto, al naso dove ritorna finalmente terso, vivace, dotato di frutta rossa croccante, viola, rosa, erbe di montagna e lavanda. Al gusto il sangiovese torna padrone con una bocca vibrante attraversata da una costante spina acida ed avvolgente sapidità. Ma quanto mi piace?!
Al termine della verticale non posso non tirare le conclusioni su questo vino che, lo premetto, sono assolutamente in sintonia con quanto già scritto dal mio amico Jacopo Cossater su Enoiche Illusioni di qualche anno fa: il San Giorgio è esattamente la risposta umbra che Giorgio Lungarotti cercava al fine di contrastare lo strapotere dei Supertuscan. Il risultato, a distanza di anni, è stato centrato: questo taglio bordolese è diventato un vino dal forte respiro internazionale, elegante e di impatto immediato ma dell'Umbria, tranne forse i primi anni di produzione dove il sangiovese era preminente, non c'è traccia.
A chi cerca Torgiano nel bicchiere consiglio di bere un vecchio Vigna Monticchio di Lungarotti. Vecchio ho detto perchè anche là.......
Lungarotti - San Giorgio 1985: l'uvaggio del vino, anche se non ho informazioni precise, prevede una prevalenza del sangiovese sul cabernet la quale risulta abbastanza palese al naso che offre sensazioni di fiori rossi disidratati, rabarbaro, ribes e soffi di tabacco e macchia mediterranea. Sorso morbido, soffice come un cuscino ed intenso come la luce di un mattino di primavera.