L’abbazia di Fontfroide è là in mezzo alle colline e ai boschi e alle vigne che stanno a una quindicina di chilometri da Narbonne, Languedoc, Sud della Francia. Ebbe periodi di gloria e di abbandono, com’è per tutte le cose del mondo, anche quelle che si rivolgono all’ultraterreno.
La gloria fu quella dell’epoca dei cistercensi, che furono lì dal 1145 ed espansero il potere dell’abbazia, fino ad arrivare a trentamila ettari di terre, da lì sin quasi alla Spagna, e nel 1334 un abate di Fontfroide divenne addirittura papa, col nome di Benedetto XII.
L’abbandono, progressivo, venne dopo la peste nera del 1348, che annientò la comunità e così l’abbazia decadde a commenda, e le famiglie incaricate della gestione pian piano presero possesso di parte degli edifici e i monaci si ridussero a una manciata, fino a restare appena sette nel 1594. Il crollo avvenne con la rivoluzione francese. Ci fu poi un tentativo di rifondazione nella seconda metà dell’Ottocento, ma durò poco, un mezzo secolo.
All’inizio del Novecento l’abbazia passò in mani private. Nel 1908 la comprò un artista, Gustave Fayet, e credo sia stata una fortuna, ché gli edifici furono così oggetto di continui restauri. Cosicché oggi Fontfroide è uno splendore. Garantisco che vale la pena andarci a fare una visita.
Il chiostro armonioso, la chiesa alta e maestosa (venti metri d’altezza, cinquantatrè di lunghezza) che evidenzia appieno l’idea architettonica cistercense, di passaggio fra il romanico e il gotico, il refettorio e il dormitorio dei conversi, ampi e silenti, la piccola ed elegante sala capitolare sono presenze architettoniche che narrano di remote vite monastiche ed esprimono più d’ogni parola, con la loro maestosità, la potenza che esercitò l’abbazia nei secoli andati. Il roseto, dietro la chiesa, nell’ex cimitero, è un angolo di fascinosa bellezza, coi suoi duemilacinquecento ceppi di rose. Ci si perde poi nel giardino terrazzato che copre un’intera collina, voluto sul finire del Cinquecento da Costanza Fregoso, nobildonna italiana, madre d’uno dei commendatari di Fontfroide.
Sì, certo, questo è comprensibilmente un luogo dalla forte connotazione turistica, ma l’abbazia incute rispetto, e dunque non ci si trovano orde schiamazzanti. Coi proventi delle visite si curano gli edifici e il parco, che sono tenuti splendidamente. Penso ci lavori un piccolo esercito di giardinieri e manutentori. Se ne vedono ovunque durante la visita.
E poi a Fontfroide ci si fa anche vino. Qui la vigna la si coltiva da secoli, ché lavorare e pregare era nell’idea monastica benedettina. I vigneti sono nei pianori ai margini della boscaglia di pini e delle macchie di cespugli di cisti e di eriche di quella che i francesi del Sud chiamano la garrigue. Stanno sulle argille e sulle sabbie generate dalla roccia arenaria. In tutto sono trentasei ettari, nella denominazione d’origine di Corbières, che è la più grande della Languedoc e se non sbaglio la quarta per volumi in Francia, o nell’igp del Vin de Pays d’Oc.
Per l’abbazia, le uve rosse, che reputo più interessanti in zona, rappresentano i due terzi dei vigneti. Le varietà rosse sono il syrah, il grenache noir, il mourvèdre, il cinsault, ma anche il merlot e il petit verdot. Le cultivar bianche sono la roussanne, la marsanne, il grenache blanc, il rollè, lo chardonnay e il muscat petits grains.
La cantina aderisce all’associazione dei Vigneron Indépendant francesi, il che dice chiaramente che qui tutte le fasi di produzione sono gestire direttamente e in loco, dalla vigna alla commercializzazione. C’è, dentro all’abbazia, un negozio dove i vini si possono anche assaggiare (quasi tutti). L’accoglienza è all’insegna della cortesia.
Dei vini dell’abbazia ne ho provati tre, tutti rossi, tutti dell’appellation Corbières. Ecco le mie impressioni.
Corbières Rouge Ocellus 2014 Abbaye de Fontfroide
È fatto per due terzi con le uve di syrah e il resto è grenache noir. Lì all’abbazia lo definiscono “la riche élégance des fruits rouges et des épices douces”. In effetti fruttini rossi e spezie dolci ce n’è. È comunque un vino che vuole la tavola e il cibo, d’uso direi quotidiano. Semplice e snello.
Corbières Rouge Laudamus 2014 Abbaye de Fontfroide
Qui la cuvée si fa più ampia, essendoci il 40% di uve di mourvèdre, più un 35% di syrah e il saldo comunque significativo di grenache noir. Il colore è un rubino bellissimo e cristallino, proprio da grenache, mi verrebbe da dire. Ha i fiori (e anche qui credo sia il grenache a farsi avanti) e le spezie, più che quella “plénitude des fruits mûrs” di cui dicono all’abbazia.
Corbières Rouge Deo Gratias 2011 Abbaye de Fontfroide
Ecco, questo rosso è presentato come “la quintessence du terroir de Fontfroide, en finesse”. Vero, in quanto a finezza è un bel vino. Un rosso assolutamente caratteristico del Sud francese. Fatto per due terzi col syrah e per il resto col grenache noir, passa un anno nel legno, che tuttavia non lascia tracce boisée. Insomma, il rovere manco l’avverti. Trovi invece un bel frutto, di bosco soprattutto, e una speziatura avvolgente e una freschezza che allunga la beva e la rende succosa e a tratti perfino quasi marina. Notevole.