di Andrea Petrini
E’ abbastanza noto il mio scarso entusiasmo verso i vitigni alloctoni piantati in Italia soprattutto se il vino che ne deriva, come spesso accade, non è all’altezza delle previsioni del produttore che spesso si lascia infinocchiare dall’agronomo o dall’enologo di turno che lo spinge verso questa direzione.
Immaginerete, pertanto, quando di fronte a me è capitata, durante una cena stampa presso l’Enoteca La Torre di Roma, una bottiglia di petit verdot piantato sulle colline di Offida. In questo bellissimo areale marchigiano nei primi anni 2000, i coniugi Francesco e Marisa Bellini s’innamorano di queste terre in una delle loro tante trasferte in Italia dal Canada, dove vivono. Le loro famiglie affondano le radici in questa terra e la tentazione di creare un luogo che potesse valorizzarla nella sua vocazione più importante, avendo cura della loro memoria, si è trasformata in un investimento di assoluta importanza
“Volevamo produrre un vino che avremmo bevuto con la nostra famiglia e condiviso con gli amici, volevamo produrlo nelle Marche dove siamo nati. Ci sarebbe piaciuto avere una cantina che rispettasse la sua terra e quindi anche le nostre radici. È scavata nella collina per non deturpare le linee del paesaggio e ho puntato da subito sul biologico e sul fotovoltaico. Quando un giorno mi sono ritrovato a produrre un numero di bottiglie troppo più grande rispetto a quelle che potevamo bere, esattamente in quel momento, è nata l’azienda agricola Domodimonti”.
Per rendere reale questo progetto di vita, nel 2003, si piantano soprattutto a vitigni autoctoni come Passerina, Pecorino e Montepulciano, accompagnati da due internazionali di grande potenziale come Merlot e Petit Verdot. Non solo. Viene creata una bellissima cantina interrata con una bottaia che conta circa 140 barrique e 19 tonneaux che alla vista dei visitatori sembra essere un vero e proprio anfiteatro naturale in cui far riposare, ammirandone l’affinamento, il frutto del loro lavoro. Domodimonti, oggi, produce sette etichette: uno spumante charmat, due bianchi e quattro rossi tra cui un petit verdot in purezza chiamato Passione e Visione di cui ho potuto apprezzare l’annata 2010.
Appena messo il naso nel bicchiere ho capito subito che un altro mio piccolo grande pregiudizio sui vitigni alloctoni in Italia doveva essere (parzialmente) modificato in quanto il vino, che mi aspettavo baroccheggiante e abbastanza seduto, si è rivelato fin da subito integro e assolutamente elegante con aromi ancora perfettamente centrati su prugna, ribes nero, pennellate floreale e spezie dolci. In bocca dichiara equilibrio: la freschezza, ancora evidente, spinge ritorni fruttati e di humus mentre la morbidezza del vino ben si fonde con un accordo tannico perfettamente fuso con l’età.
Passione e Visione, nomen omen per un petit verdot marchigiano assolutamente carismatico ed inaspettato. Venite a degustare le nuove annate con me?
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