InvecchiatIGP – Az. Agr. Zof: Colli Orientali del Friuli Doc Schioppettino 2002


di Lorenzo Colombo

Lo Schioppettino è un vecchio vitigno friulano la cui sua diffusione è limitata alla parte orientale del Friuli-Venezia Giulia dove viene utilizzato nelle Doc Friuli Colli Orientali e Friuli Isonzo, e nelle Igt Trevenezie e Venezia Giulia.
La sua superficie vitata, seppur in crescita negli ultimi anni era limitata, secondo il censimento agricolo del 2010, a 154 ettari, mentre il corposo volume Which Winegrapes are Grown Where? dedicato a tutti i vitigni del mondo ne regista unicamente 87 ettari nel 2016, 67 dei quali situati in Friuli Venezia Giulia.
La sua presenza più significativa si registra nella zona di Prepotto, in particolare nella frazione di Albana, anche se è rintracciabile in tutta la media collina friulana, sconfina anche in Slovenia con particolare presenza nella Vipavska Dolina.
Sull’origine del nome ci sono molte supposizioni: quella di maggiore credito lega il termine schioppettino al piacevole effetto prodotto dall’uva matura quando viene masticata, che “scoppietta” per la buccia spessa e tesa, altri invece associano il nome allo “scoppiettìo” del vino al palato, dato che in passato era spesso leggermente frizzante. Tradizionalmente lo Schioppettino si beveva giovane – apprezzandone la marcata acidità, la lggera componente tannica e la contenuta struttura – ma molti produttori hanno dimostrato che il vitigno è capace di evolvere elegantemente con un moderato invecchiamento, sprigionando una bella fruttosità accompagnata da un’elegantissima vena speziata, che ricorda in particolare il pepe nero.


La storia dello Schioppettino – conosciuto anche con il nome di ribolla nera – è piuttosto singolare e prende avvio qualche secolo fa. Nell’Ottocento il Di Rovasenda citava una ribolla nera proveniente da Udine, mentre Marinelli – descrivendo agli inizi del Novecento la rinascita della viticoltura friulana dopo la fillossera – indicava tra i vitigni maggiormente coltivati la ribolla gialla (detta rebula in lingua slovena) e la ribolla nera, chiamata anche pokalza o Schioppettino. Nel passato il vitigno godeva di buona fama, tanto che nel 1907, il Consorzio antifilosserico friulano ne consigliava l’utilizzo per i reimpianti, confermandone così l’adattamento all’ambiente e, implicitamente, anche il pregio enologico.
Nel 1921 l’Associazione Agraria Friulana pubblicò nel suo bollettino un elenco delle varietà di viti coltivate in Friuli nel secolo precedente, fra cui si citava la Ribolla nera, con un’annotazione che la dichiarava originaria di Prepotto e la definiva “uva delicata”. Nella sua “Guida delle Prealpi Giulie” del 1912, Olinto Marinelli riferendosi al distretto di Cividale, scrisse: “… fra i maggiormente coltivati sono la Ribolla, il Refosco, il Refoscone, il Verduzzo, la Pokalça … da un documento del 1282 (F. Musoni, G. Sirch, per nozze Rieppi-Caucig. Cividale, tip. Fulvio 1910) si ricava che già in allora la conca di Albana-Prepotto era in gran parte vitata …”


Il vitigno viene citato anche dal Poggi, nel 1939 che così scriveva: “… vitigno che è coltivato quasi esclusivamente nel territorio collinare e pedecollinare del comune di Prepotto e specialmente nella sua frazione di Albana. La Ribolla nera, al di fuori del suo ambiente optimum, anche alla distanza di pochi chilometri, dà un vino che non possiede più quelle caratteristiche peculiari che lo rendono pregiato in quel di Prepotto col nome locale di Schioppettino …”


Lo Schioppettino però ha subìto anni fa una serie di soprusi – toccati anche ad altre varietà autoctone friulane, come il pignolo e il tazzelenghe – culminati nella sua messa fuori legge (nel senso di cancellazione dai registri delle varietà coltivabili, che di fatto proibiva l’impianto del vitigno) nel 1976 e deve la sua sopravvivenza agli abitanti del Comune di Prepotto, insorti dopo questa legge. Nel 1977 il Consiglio comunale di Prepotto si riunì in seduta straordinaria, con all’ordine del giorno la difesa dello Schioppettino che stava scomparendo, deliberando all’unanimità la richiesta che fosse inserito almeno nell’elenco dei vitigni autorizzati, cosa che avvenne nel giugno del 1977. Nel 1983 un regolamento CEE incluse lo incluse tra i vitigni raccomandati in provincia di Udine e nel 1987 è seguito il riconoscimento all’interno della Doc Colli Orientali del Friuli (ora Friuli Colli Orientali, FCO). Nell’ottobre 2011 la DOC "Colli Orientali del Friuli" ha cambiato nome in "Friuli Colli Orientali", contemporaneamente lo Schioppettino di Prepotto ne è diventato una sottozona situata nella parte sud-orientale della denominazione.

L’azienda

L’Azienda Agricola Zof è situata a Corno di Rosazzo dove dispone di 15 ettari di vigneti costituiti sia dai tipici vitigni locali quali la Ribolla gialla, il Friulani, lo Schioppettino ed il Pignolo come pure dagli internazionali Pinot grigio, Sauvignon blanc, Merlot e Cabernet. 


Dal 1992 l’azienda è guidata da Daniele Zof che s’avvale della consulenza enologica di Donato Lanati. Sono 17 le etichette prodotte, tutte – tranne lo Spumante - commercializzate come Colli Orientali del Friuli Doc.

Il Vino

Il vino che andiamo ad assaggiare appartiene alla linea Classici costituita da nove vini, la scheda tecnica attuale recita che la vendemmia s’effettua a metà ottobre e che la fermentazione avviene in vasche d’acciaio con una macerazione di 15-20 giorni, il vino viene quindi posto ad affinarsi in botti di rovere d’Allier dove rimane sino al mese di luglio successivo, quando viene imbottigliato. Come spesso accade quando andiamo ad aprire bottiglie per le quali non si nutre grande fiducia avevamo preparato il vino di riserva, ma non ce n’è stato assolutamente bisogno, nonostante si presentasse con un color granato di buona intensità con unghia mattonata.


Pulito e di media intensità olfattiva, presenta sentori di frutta a bacca scura matura, ciliegia e prugna quasi in confettura e accenni di cannella, vaniglia e liquirizia.
Mediamente strutturato, un poco smagrito dal tempo, succoso, ancora fresco e vivo, con bella trama tannica e buona vena acida, sentori di liquirizia, radici e spezie dolci, leggeri accenni di pepe, buona la sua persistenza.

San Bernardo - Igt Montenetto di Brescia Marzemino 2022


di Lorenzo Colombo

E’ poco conosciuta l’IGT Montenetto, situata su un promontorio a Sud di Brescia; tra i vitigni che vi si coltivano si distingue il Marzemino utilizzato nel vino che andiamo ad assaggiare.


Fermentazione ed affinamento avvengono in acciaio per preservare i sentori floreali e di frutta fresca del vitigno.

Il Capo di Stato ed altri vini di Loredan Gasparin e Ronco Blanchis


di Lorenzo Colombo

Qualche anno fa, avevamo scritto in merito al Venegazzù - Cru Monopol della Doc Asolo Montello - di Loredan Gasparini andando a tracciarne la storia e riportando quanto ne scrisse nel lontano 1967 André Louis Simon nel suo Wines of the World nel capitolo dedicato ai vini del trevigiano “In questa zona è stato prodotto per decenni uno dei più fini vini d’Italia, il Venegazzù, del Conte Piero Loredan, fatto con Cabernet franc, Cabernet sauvignon, Merlot, Malbec e Petit verdot che viene invecchiato per tre anni in fusti”.

Per chi fosse interessato ecco qui l’articolo completo.

L’azienda Loredan Gasparini è stata fondata nel 1951 dal Conte Piero Loredan, discendente di Leonardo Loredan che fu Doge di Venezia. Dopo essere stato a Bordeaux il Conte decise di mettere a dimora sul Montello i vitigni colà incontrati, ovvero Cabernet sauvignon e Franc, Merlot e Malbec dai quali poi sarebbe nato dapprima il Venegazzù e successivamente il Capo di Stato.
Come specificato nel sopracitato articolo nel 1973 l’azienda viene acquistata da Giancarlo Palla il quale pensa che il territorio del Montello sia adatto anche alla produzione di vini spumanti, così acquista la Tenuta di Giavera del Montello e nel 1976 inizia a produrre, oltre al Prosecco, anche del Metodo Classico. Negli anni Novanta entra in gioco Lorenzo, figlio di Giancarlo che, dopo aver visitato le principali zone viticole del mondo, dà un nuovo indirizzo alla parte agronomica, coinvolgendo dapprima i preparatori d’uva Simonit e Sirch e successivamente adottando l’Indice Bigot per valutare il potenziale qualitativo dei vigneti.


Ultimo passo - almeno per ora - è stato l’acquisto nel 2001 dell’azienda Ronco Blanchis, situata a Mossa, nel Collio goriziano la cui conduzione enologica è affidata a Gianni Menotti, qui si coltivano esclusivamente vitigni a bacca bianca, Friulano, Malvasia, Ribolla Gialla, Pinot Grigio e Sauvignon. Attualmente l’azienda dispone di 60 ettari di vigneti nel Montello, 30 a Venegazzù e 30 a Giavera del Montello (quest’ultima tenuta era stata acquistata negli anni Settanta) per una produzione annuale di circa 400.000 bottiglie. A queste poi s’aggiungono le 50.000 bottiglie prodotte dai 12 ettari di vigneti del Collio.


Nella tenuta di Venegazzù si coltivano principalmente uve a bacca rossa, mentre quella situata a Giavera è destinata ai vitigni a bacca bianca, Glera in primis ed alla produzione di vini spumanti. Le etichette prodotte sono 13, sette di vini rossi, cinque spumanti ed un solo vino bianco.
Abbiamo avuto l’opportunità di assaggiare alcuni vini, in compagnia di Lorenzo Gasparini lo scorso 2 dicembre, eccoli, in ordine di servizio.

Docg Asolo Prosecco Superiore Extra Brut “Cuvée Indigena” 2023

Le uve, Glera in purezza, provengono da un vigneto messo a dimora nel 1975 la cui densità d’impianto è di 2.500 ceppi/ha e la cui resa è di 120 q.li/ha.
La sua produzione prevede una singola fermentazione, ovvero dopo una pigiatura soffice il mosto viene posto direttamente in piccole autoclavi dove rimane per circa sei mesi, la lenta fermentazione, che s’arresta spontaneamente, darà un vino che, a seconda delle annate, avrà un residuo zuccherino diverso e che, nel caso del vino in assaggio è inferiore ai 6 gr/l, collocandolo così nella tipologia degli Extra Brut. La fermentazione avviene utilizzando lieviti indigeni selezionati in azienda.


Color giallo paglierino di discreta intensità, l’effervescenza quasi non si nota nel bicchiere. Media la sua intensità olfattiva, percepiamo sentori di frutta a polpa gialla, mela e pesca gialla. Intenso al palato, cremoso, sapido e succoso, si ritrovano le tipiche note date dal vitigno, ovvero una pera Williams matura, lunga la sua persistenza. 

Collio Friulano 2022

Le uve provengono dai due ettari di vigna posti sulla collina di Blanchis dove il suolo è composto dalla tipica Ponca del Collio composta da marne eoceniche e arenarie, allevato a Guyot con una densità di 4.830 ceppi/ha dà una resa di 65 q.li/ha, per le particolari caratteristiche climatiche di questa vigna i grappoli vengono attaccati dalla Botrytis Cinerea che conferisce un particolare e riconoscibile sapore al vino. Fermentazione ed affinamento avvengono in vasche d’acciaio dove il vino sosta per sei mesi, 8.000 le bottiglie prodotte.


Color giallo paglierino luminoso. Mediamente intenso al naso, fresco, pulito, verticale, vi cogliamo sentori di frutta a polpa gialla e d’erbe officinali.
Dotato di buona struttura, asciutto e sapido, si colgono note di frutta a polpa gialla e di pesca sciroppata, buona la sua persistenza. Un vino particolar e notevole qualità.

Doc Montello Venegazzù “Della Casa” 2019

Primo vino prodotto dal Conte Loredan nel lontano 1951 è composto in maggior parte da Cabernet sauvignon (65%) con una buona presenza di Merlot (30%) e piccole percentuali di Cabernet franc (nell’annata 2019 non è stato utilizzato il Malbec, vitigno solitamente presente in piccola percentuale).
Le uve provengono da quattro distinti vigneti esposti a Nord-Sud a 110 metri d’altitudine su suoli ricchi di ferro, le vigne hanno 25 anni d’età e danno una resa di 90 q.li/ha. La fermentazione si svolge in vasche d’acciaio e l’affinamento avviene in botti di rovere di 25 e 50 ettolitri dove il vino sosta per 30 mesi.


Granato profondo e luminoso il colore. Buona la sua intensità olfattiva, un poco austero, frutta a bacca scura, speziato, sentori di sottobosco e radici, legno ancora un poco percepibile. Discretamente strutturato, asciutto, austero, trama tannica importante ma ben amalgamata, frutta a bacca scura, radici, spezie scure, legno ancora un poco da integrarsi, lunga la sua persistenza.

Doc Montello Venegazzù Superiore “Capo di Stato”

Nato nel 1964 è frutto di un blend tra Cabernet sauvignon, Merlot, Cabernet franc e Malbec, vitigni selezionati dai vigneti più vecchi tra i quali spicca la vigna denominata “Le 100 piante”, messa a dimora nel 1946. Le vigne si trovano a 110 metri d’altitudine su suoli ricchi di ferro e per questo denominati “ferreto”, la densità d’impianto è di 3.000 ceppi/ha per la vigna più vecchia e di 4.800 ceppi/ha per quella messa a dimora negli anni ’80, l’esposizione è Nord-Sud e la resa è di 65 q.li/ettaro. La vendemmia s’effettua da metà settembre ad inizio ottobre, a seconda delle varietà, l’affinamento del vino, per una durata di 30 mesi, si svolge per il 60% in botti da 25 ettolitri e per il 40% in barriques nuove.
Due le annate degustate di questo vino, assai diverse tra loro, note più calde e morbide nel vino del 2019 che pare più pronto (ci è piaciuto moltissimo), più austero e probabilmente non ancora perfettamente compiuto quello del 2017.


2019 – Profondissimo e luminoso il colore. Molto intenso al naso, balsamico, note dolci, spezie dolci e legno dolce, liquirizia, elegantissimo. Buona la sua struttura, succoso, frutta a bacca scura, spezie, bella trama tannica, sentori di liquirizia, perfetto l’equilibrio tra le varie componenti, lunga la persistenza. Vino dalla notevole qualità.


2017 – Profondissimo il colore, leggermente più intenso rispetto al precedente vino, ancora vivissimo, unghia purpurea. Più intenso anche all’olfatto, più austero, presenta note più scure, radici, spezie scure. Asciutto, austero, presenta leggere note selvatiche, legno ancora un poco in evidenza, lunga la persistenza.

La Sardegna di Vinodabere: 47 aziende ed oltre 200 vini a Roma il 18 e 19 gennaio per scoprire un vero e proprio piccolo continente


Per il terzo anno consecutivo torna La Sardegna di Vinodabere, evento nato per promuovere, e far scoprire a chi non le conosce, la varietà e la complessità vitivinicola di una regione che è un vero e proprio piccolo continente.


47 aziende con più di 200 vini in assaggio

Sabato 18 e domenica 19 gennaio, all’Hotel Belstay a Roma, sarà possibile incontrare ai banchi di assaggio numerosi produttori sardi (47 aziende), in rappresentanza delle tante aree (vere e proprie sub-regioni) dove si produce vino di qualità. Tra più di 200 referenze tra bianchi, rosati, rossi, vini dolci e ossidativi, e perfino bollicine, ci si potrà orientare per apprezzare, come merita, la ricchezza enologica della Sardegna, conoscere i vignaioli che la animano e sperimentare nel calice lo stato dell’arte della viticoltura sarda, giunta ormai a livelli di indiscutibile eccellenza.

Un viaggio attraverso i sensi, dunque, tra le produzioni provenienti dai territori di Alghero, Anglona, Gallura, Mamoiada, Mandrolisai, Ogliastra, Oliena, Orgosolo, Oristanese, Romangia, Sulcis e sud Sardegna, alcuni dei quali diventeranno i protagonisti delle masterclass in programma sabato 18 gennaio (presto maggiori dettagli sul sito vinodabere.it).

Programma

Sabato 18 Gennaio

dalle 13:30 alle 15:30

Apertura banchi di assaggio per operatori (ristoratori, agenti, distributori, enotecari, n.1 accredito per attività commerciale) con richiesta di accredito scrivendo una mail entro il 17 gennaio (e ricevendo poi conferma) a operatorivinodabere@gmail.com

Apertura banchi di assaggio per stampa con richiesta di accredito scrivendo una mail entro il 17 gennaio (e ricevendo poi conferma) a stampavinodabere@gmail.com

Apertura banchi di assaggio per sommelier e assaggiatori ONAV (con tessera in corso di validità da mostrare all’ingresso): kit di degustazione 25 euro.

dalle 15:30 alle 19:30

Apertura banchi di assaggio per il pubblico (kit di degustazione 30 euro con calice incluso), per sommelier e assaggiatori ONAV (con tessera in corso di validità da mostrare all’ingresso kit di degustazione 25 euro).

Apertura banchi di assaggio per operatori (ristoratori, agenti, distributori, enotecari, n.1 accredito per attività commerciale) con richiesta di accredito scrivendo una mail entro il 17 gennaio (e ricevendo poi conferma) a operatorivinodabere@gmail.com

Apertura banchi di assaggio per stampa con richiesta di accredito scrivendo una mail entro il 17 gennaio (e ricevendo poi conferma) a stampavinodabere@gmail.com

Domenica 19 gennaio

Dalle 10:30 alle 13:30

Apertura banchi di assaggio per operatori (ristoratori, agenti, distributori, enotecari, n.1 accredito per attività commerciale) con richiesta di accredito scrivendo una mail entro il 17 gennaio (e ricevendo poi conferma) a operatorivinodabere@gmail.com

Apertura banchi di assaggio per stampa con richiesta di accredito scrivendo una mail entro il 17 gennaio (e ricevendo poi conferma) a stampavinodabere@gmail.com

Apertura banchi di assaggio per sommelier e assaggiatori ONAV (con tessera in corso di validità da mostrare all’ingresso): kit di degustazione 25 euro.

dalle 13:30 alle 19:00

Apertura banchi di assaggio per il pubblico (kit di degustazione 30 euro con calice incluso), per sommelier e assaggiatori ONAV (con tessera in corso di validità da mostrare all’ingresso kit di degustazione 25 euro).

Apertura banchi di assaggio per operatori (ristoratori, agenti, distributori, enotecari, n.1 accredito per attività commerciale) con richiesta di accredito scrivendo una mail entro il 17 gennaio (e ricevendo poi conferma) a operatorivinodabere@gmail.com

Apertura banchi di assaggio per stampa con richiesta di accredito scrivendo una mail entro il 17 gennaio (e ricevendo poi conferma) a stampavinodabere@gmail.com

Per conoscere le aziende ed i vini presenti nei banchi di assaggio e per ogni altra informazione sull’evento collegatevi qui.

Vinodabere (www.vinodabere.it) è una testata giornalistica on line che da anni promuove con i suoi articoli e con i suoi eventi la cultura enogastronomica, dando visibilità a realtà già note e storiche come a quelle nuove e da scoprire. I territori, i vini e le specialità gastronomiche della Sardegna sono sempre stati, sin dalla sua nascita, al centro dell’attenzione della testata giornalistica Vinodabere e del suo direttore Maurizio Valeriani. La Guida ai Migliori Vini della Sardegna (link), giunta alla settima edizione, pubblicata on line tra agosto e settembre 2024, ha visto un numero di letture incredibile (oltre 500 mila).

InvecchiatIGP: Tenuta Montauto - Maremma Toscana DOC Gessaia 2011


di Stefano Tesi

Prendi la macchina e, passando da vie traverse, fai un lungo viaggio fino ai dintorni di Manciano, tra le colline ondulate della Maremma interna, per assaggiare i Poggio del Crine, ossia il Pinot Nero e il Sauvignon Toscana Igt da vigne vecchie della Tenuta Montauto (sì, ne valeva oggettivamente la pena), quasi nascosta tra i boschi e le pieghe di una campagna profonda. Quella dell'azienda, oggi condotta da Riccardo Lepri, viticoltore di terza generazione, è una curiosa storia di tradizioni, di intuizioni, di applicazione imprenditoriale e di destini incrociati che, avendo spazio, andrebbe raccontata a parte.


Tu arrivi e fai diligentemente il tuo mestiere, saltabeccando tra una decina di campioni molto intriganti e cercando di non distrarti al pensiero che dopo, terminato il lavoro, ti metterai a tavola in relax e di campioni ne assaggerai anche altri, abbinati però ai piatti di Valeria Piccini, alias Caino.


A un certo punto, tuttavia, quasi alla fine della seduta di degustazione - e con una certa nonchalance - ti versano nel bicchiere il Gessaia Maremma Toscana Doc. Spiegano che è il Sauvignon aziendale “d’ingresso”, come si usa dire. Quello dell’annata 2023 attualmente in commercio, per capirsi, è un prodotto ottimo e godibile che costa meno di 20 euro. Solo che quello che ti trovi davanti non è più in vendita da un pezzo: è infatti del 2011 e non è ciò che ti aspetti.

Innanzitutto il vino ha un bel colore di oro carico, ma nemmeno troppo.

La sorpresa aumenta quando ci metti il naso dentro: avverti subito una nota intensa e profonda, con un marcato sentore pepato, una varietalità affinata, anzi direi rastremata o resa perfino acuminata dagli anni, nonchè una vitalità generale che, considerata l’età del vino, era abbastanza imprevedibile. In bocca il sorso non è lunghissimo, ma ha una sapidità e un’acidità che lo sostengono, rendendo la bevuta tesa, coinvolgente, quasi eterea.


A dimostrazione (lo so, è un refrain di noi IGP) che, se si sa aspettare o, più banalmente, ci si dimentica di averli, certi bianchi sono in grado di rallegrarti lo spirito anche dopo molti anni di sonno tra le scansie più nascoste della cantina. Fino a qualche tempo fa, chi mai l'avrebbe sostenuto?

Val di Suga - Brunello di Montalcino docg Poggio al Granchio 2020


di Stefano Tesi

Sempre della serie “quelli buoni si assaggiano anche fuori dall’anteprima”, eccone uno fatto in tini troncoconici da 60 hl: bouquet pulito, asciutto, penetrante, in bocca agilissimo, vivace ma solido, come il cru da cui proviene, a 400 mt sul versante sud-est di Montalcino. 


Bevuto (e goduto) col filetto di manzo.


Posti del cuore: ristorante San Martino 26 a San Gimignano


di Stefano Tesi

Ci sono ristoranti – soprattutto i cosiddetti gourmet, o peggio ancora stellati – dei quali è più difficile dire se, a causa della loro smania di voler essere originali a tutti i costi o di pretendersi “esperienziali”, sia più noioso mangiarci o recensirli. Posso dire con sollievo che il San Martino 26, nella pur turisticissima San Gimignano, non appartiene a nessuna delle due categorie. Ed è anzi un locale in cui, nonostante tutte le premesse e i possibili pregiudizi, mi sono divertito. Cosa che in questi tempi di tavole "inteccherite" e di cuochi saputelli, oppure di mense becere e di chef troppo rumorosi, non è cosa da poco.

Elvis e Ardit

Mi sono divertito perché, primo, la cucina del giovane albanese Elvis Dedil, che da poco più di un anno ha rilevato i mestoli del fondatore e conterraneo Ardit Curri, ora passato in sala e in direzione, è brillante, vivace, scanzonata, sfrontata al punto da saper sorridere di sè e di non prendersi troppo sul serio, sebbene sia serissima e attenta, almeno quanto è schivo chi sta ai fornelli. E, secondo, i piatti del menu non si nascondono dietro a parole tonitruanti ma riservano la sorpresa alla sostanza. 

Pasta semi di mela

Sorpresa vera, di sapori precisi, a volte intensi, altre delicati e però solari, diretti, mai sbiaditi o troppo melange. Anche quando, ossia praticamente sempre, non cercano di ostentare il glamour, ma lo propongono. L’idea del ristorante infatti è quella – pericolosissima, se affidata a mani non più che abili – della contaminazione e dell’inventiva, a volte con qualche appiglio, ma solo formale, alla tradizione. Niente paraventi, insomma, davanti alla mano felice di Elvis (omen nomen: una cucina raffinata, ma rock and roll?), che senza troppe remore inventa ed esperimenta: buonissimo, per fare degli esempi, il lampredotto di calamari col loro garum, la salsa verde e l’obbligatorio panino di contorno, assai godibile la pasta “semi di mela” (un formato abbastanza inusuale) con la salsa di baccalà in pastella e il suo latte aromatizzato alle erbette, equilibrato, ma vivo e compatto, il gusto del rombo in salsa marinaiole e verza.

Lampredotto di Calamari


La toscanità, assicura Ardit, anziché simulata nelle portate è riservata alle materie prime, tutte provenienti dalla regione. Il menu è stagionale, ovviamente, e prevede la scelta alla carta o due formule di degustazione (pardòn, non ce la faccio a chiamarli percorsi, termine che riservo al trekking e al cicloturismo) da cinque o sette portate, rispettivamente a 95 e 115 euro.
L’ambiente è intimo e sobrio, appena venti coperti, nessuna atmosfera chiassosa. Servizio sorridente ma riservato, il che non guasta.

Interno

Merita una nota la cantina: oltre 700 etichette di mezza Europa, compresi quasi 200 Champagne e parecchie bottiglie fuori passo, che accrescono il divertimento.