Alla scoperta del Cabernet Franc della Loira attraverso le sue otto AOC


di Lorenzo Colombo

Il Cabernet Franc, con 33.170 ettari (73% della superficie mondiale) è il settimo vitigno per estensione della Francia ed è l’uva a bacca rossa più diffusa nella Valle della Loira, ve ne sono infatti ben 14.000 ettari - la stessa estensione vitata che occupa nel bordolese - e costituisce il 56% della superficie vitata -dei vitigni a bacca rossa- della regione.


Nelle diverse regioni francesi assume diversi sinonimi, nella Valle della Loira è conosciuto anche come “Breton” ed è diffuso principalmente nelle regioni vitivinicole della Touraine (37%) e dell’Anjou-Saumur (24%).
Il vitigno viene utilizzato in numerose Aoc della regione sia per produrre vini rossi e rosé come pure per produrre vini spumanti (Fines Bulles).


Nel corso di una Masterclass, nell’ambito del press tour Val de Loire Millésime 2023 abbiamo avuto l’opportunità d’assaggiare otto vini - di altrettante Appellations - prodotti con questo vitigno così da poterne comprendere le diverse caratteristiche.


Ecco quant’abbiamo degustato con alcune brevi info sulle rispettive denominazioni (i vini sono elencati in ordine di preferenza):

Aoc Saint Nicolas de Bourgueil

Il territorio di quest’appellation è limitato al solo comune di Saint Nicolas de Bourgueil, nella Touraine occidentale, vi si possono produrre unicamente vini rossi (99%) e rosé solamente con Cabernet Franc (il disciplinare di produzione ammette sino al 10% di Cabernet sauvignon), la superficie vitata è di 1.100 ettari, i produttori sono 140 e la produzione annuale è di 8 milioni di bottiglie.
I vigneti sono situati sopra un terrazzo alluvionale, i suoli nelle zone più basse sono in genere sabbiosi e ghiaiosi, sopra i terrazzamenti si trova della pietra da costruzione calcarea ricoperta di sabbia.


Domaine du Mortier - Aoc Saint Nicolas de Bourgueil “Dionisos” 2020 

Le uve provengono da vigneti d’oltre 50 anni d’età situati su suolo argilloso-calcareo (Tuffeau), fermentazione in tini di legno ed affinamento in botti di rovere usate per 12 mesi. Profondissimo il colore, purpureo. Naso intenso ed elegante, frutto rosso, leggeri accenni di peperone. Fresco e strutturato, succoso, note piccanti di pepe, lunga la persistenza.


Aoc Anjou Brissac

Anche quest’appellation è riservata unicamente ai vini rossi prodotti solamente con Cabernet Franc e Cabernet sauvignon. Situata nell’Anjou, a Sud della città d’Angers, pur sviluppandosi sul territorio di 10 comuni vanta una superficie totale limitata a 110 ettari vitati, la produzione annuale è di 573.000 bottiglie, suddivise tra 30 produttori. I vigneti sono situati sopra un altopiano scistoso dove si trova anche quarzo, arenaria, limo, roccia vulcanica e talvolta anche sabbia.


Domaine des Rochelles - Aoc Anjou Brissac “Breton” 2019

Cabernet Franc in purezza provenienti da vigneti di 25 anni d’età situati nella Coteaux de l'Aubance, il suolo è composto da scisto verde e grigio e l’esposizione è a Nord-Ovest. Vinificazione ed affinamento si svolgono in vasche d’acciaio dove il vino sosta a maturare per un anno. Nota: Breton è il nome a volte utilizzato in Loira per indicare il Cabernet Franc. Color rubino di buona profondità. Pulito al naso, bel frutto, note balsamiche e di legno dolce. Mediamente strutturato, molto fresco, succoso, note minerali, bel frutto, lunga la sua persistenza.


Aoc Saumur-Champigny

La denominazione Saumur-Champigny è riservata unicamente ai vini rossi prodotti in otto comuni situati attorno a Saumur, queta città è stata la capitale degli Ugonotti sotto il regno di Enrico IV. I vigneti, che s’estendono su 1.550 ettari, sono sparsi a macchia di leopardo su suoli composti in genere da tufo gessoso, vi si possono produrre unicamente vini rossi dove la componente principale è il Cabernet Franc -che deve entrare per almeno l’85% nei vini - al quale possono essere aggiunti Cabernet Sauvignon e Pineau d’Aunis. La produzione annuale è di 11 milioni di bottiglie ed i produttori sono 130.


Domaine Des Sanzay- Aoc Saumur - Champigny “Vielles Vignes” 2020 

Cabernet Franc da viti di oltre 50 anni d’età, allevate su suolo argilloso-calcareo, fermentazione in tini senza aggiunta di lieviti selezionati, affinamento in botti per 12 mesi. Rubino purpureo di buona intensità. Buona l’intensità olfattiva, bel frutto, leggere note selvatiche. Dotato di buona struttura, fresco, accenni di pepe, leggere note verdi, buona la persistenza. 


Aoc Saumur Puy-Notre-Dame

Sebbene l’area di produzione dell’Aoc Aoc Saumur Puy-Notre-Dame s’estenda sul territorio di ben 17 comuni situati una ventina di chilometri a sud di Saumur, l’area vitata di quest’appellation è solamente di 60 ettari principalmente situati nei tre comuni di Puy Notre Dame, Vaudelnay e Brossay a 80 metri d’altitudine su suoli calcarei composti da tufo. Anche questa denominazione prevede unicamente la produzione di vini rossi dove la componente principale è il Cabernet Franc al quale può essere aggiunto sino al 15% di Cabernet Sauvignon. Sono 320.000 le bottiglie prodotte e 30 sono i produttori.


Domaine Saint Landor - Aoc Saumur Puy-Notre-Dame “L’Obligè” 2019 

Cabernet Franc in purezza, i vigneti si trovano su suolo argilloso-calcareo e la resa è di 40 ettolitri/ha. Affinamento in barriques nuove per 15-18 mesi. Rubino intenso e luminoso. Frutto rosso maturo e dolce, ciliegia, balsamico. Fresco e succoso, con bella trama tannica, accenni vegetali, buona vena acida, buona la persistenza. 


Aoc Anjou

Quella di Anjou è un’Aoc regionale che s’estende sul territorio di ben 151 comuni, la stragrande maggioranza dei quali (128) situati nel Maine-et-Loire. Qui, su 1.500 ettari di vigneti, si possono produrre sia vini rossi (65% della produzione), bianchi (30%) e Fines bulles (5%).
I vini rossi possono essere prodotti con Cabernet Franc, Cabernet sauvignon, Gamay, Pineau d’Aunis e Grolleau, questi due ultimi vitigni possono essere utilizzati per un massimo dl 10%. Data la vastità dell’area vi si trovano suoli diversi anche se a grandi linee possono essere raggruppati in due tipologie chiamati Anjou Noir e Anjou Blanc, la prima area, che è anche la più vasta è composta in genere da scisti scuri, mentre la seconda e composta da “tuffeau”, ovvero tufo gessoso. La produzione annuale è di 9.200.000 bottiglie ed i produttori sono 400.


Château de Passavant - Aoc Anjou Rouge 2021

90% Cabernet Franc e 10% Grolleau allevati su suoli composti da degradazioni di scisto verde, vinificazione ed affinamento per circa sei mesi in vasche d’acciaio. Color rubino-granato. Bel naso, intenso, fresco, pulito, frutta rossa fresca, ciliegia, leggere note speziate. Mediamente strutturato, succoso, bel frutto, accenni piccanti, buona la persistenza. Vino non molto complesso ma di piacevolissima beva.


Aoc Chinon

L’area dell’Aoc s’estende sul territorio di 26 comuni su entrambe le sponde della Vienne alla sua confluenza nella Loira, sono 2.350 gli ettari a vigneti suddivisi tra 200 produttori. La produzione annuale è di 12.400.000 bottiglie, per l’85% si tratta di vini rossi, il 10% rosé e solamente il 4% di vini bianchi.
Il vitigno principale è il Cabernet Franc che può essere coadiuvato nella produzione di vini rossi e rosé dal Cabernet sauvignon, mentre i vini bianchi sono prodotti con lo Chenin Blanc.


Vi si possono trovare tre principali tipi di suoli: ghiaia e sabbia nei terrazzi alluvionali ai margini della Vienne, tufo giallo sulle colline, e argille, selce e sabbia sugli altipiani mentre il clima è di natura oceanica con le colline, orientate a Est ed ovest che godono di un ottimo soleggiamento, condizione ideale per i vigneti di Cabernet Franc.

Domaine Fabien Demois - Aoc Chinon “Domaine de la Doulaye” 2020

Da viti di 45 anni d’età, parziale affinamento del vino in tini e botti per un anno. Colore tra il rubino profondo ed il purpureo. Frutta rossa matura, ciliegia, fresco, pulito, piacevole. Discreta struttura, buona trama tannica, piacevoli note verdi, accenni di peperone, leggere note piccanti, buona la sua persistenza. 


Aoc Saumur

L’area dell’Appellation Saumur comprende il territorio di 27 comuni nel Maine-et-Loire, 9 nella Vienne e 2 nella Deux-Sèvres per un totale di 2.330 ettari di vigneti.
570 ettari sono destinati alla produzione di vini rossi che sono il 20% del totale prodotto, 380 ettari sono quelli destinati ai vini bianchi (15%) e 110 ettari sono quelli riservati ai vini Rosé (4%) tutta la parte rimanete viene utilizzata per produrre i Fines Bulles, ovvero i vini spumanti che coprono il 61% dei 17 milioni di bottiglie totali prodotti annualmente nell’Aoc Saumur.


I vigneti sono diffusi a macchia di leopardo su suolo composta da cumuli gessosi di tufo (Craie) o scistoso (Anjou noir), il clima è temperato oceanico con i vigneti più distanti dal fiume che s’avvalgono d’un clima più continentale. Nella produzione dei vini rossi s’utilizza principalmente Cabernef Franc (minimo 70%) mentre gli altri vitigni sono Cabernet Sauvignon et Pineau d’Aunis. Per i Rosé entrano in gioco nuovamente Cabernet Franc et Cabernet Sauvignon mentre il vitigno utilizzato per i vini bianchi è lo Chenin Blanc.


Per la produzione dei vini spumanti (sia bianchi che rosé) i vitigni che possono essere utilizzati sono numerosi: Chenin Blanc (qui chiamato anche Pineau de la Loire – minimo 60% negli spumanti bianchi), Chardonnay, SauvignonBblanc, Cabernet Franc (minimo 60% negli spumanti rosè), Cabernet sauvignon, Gamay, Grolleau gris, Grolleau, Pineau d’Aunis, Pinot Noir.

 Domaine de la Paleine - Aoc Saumur Rouge “La Paleine” 2020

Le uve provengono dalla zona di Le Puy-Notre-Dame, il suolo sul quale si trova il vigneto – condotto in regime biodinamico- è composto da roccia marnosa, marna gialla e ocra e le viti hanno un’età media di 25 anni. La fermentazione si svolge con lieviti indigeni. Color rubino, profondo e compatto. Frutto rosso maturo, spezie dolci.
Frutto maturo, tannino leggermente asciugante, leggere note verdi, buona la persistenza. 


Aoc Bourgueil

L’Aoc Bourgueil si sviluppa sul territorio di otto comuni dell'Indre-et-Loire, la superficie vitata è di 1.400 ettari, le aziende vinicole sono 120 e la produzione annuale è di circa 65.000 ettolitri. Il vigneto di Bourgueil è composto da due diversi suoli, quello più vicino alla Loira è costituito da sabbia e ciottoli, chiamati localmente “Graves” mentre i suoli più collinari sono costituiti da argilla e calcare fine “Tuffeaux”. Si possono produrre unicamente ini rossi e rosé con Cabernet Franc, è inoltre ammesso un massimo del 10% di Cabernet Sauvignon.



Domaine Nau - Aoc Bourgueil 2021

Rubino di buona intensità. Frutto rosso più maturo del precedente vino, accenni di spezie dolci. Discretamente strutturato, accenni vegetali (si sente bene il vitigno), chiude leggermente amarognolo e con un tannino un poco verde.

InvecchiatIGP: Sergio Zingarelli - Chianti Classico Gran Selezione 2011


di Stefano Tesi

A volte capita di avere molte ricorrenze da festeggiare. E di recente a Rocca delle Macie – la fattoria chiantigiana fondata dal produttore cinematografico Italo Zingarelli nel 1973 - ne avevano una caterva.

Sergio Zingarelli

Hanno cominciato nel 2021 per il mezzo secolo di “Trinità”, il caposaldo del genere “western & sganassoni”, hanno continuato per i dieci lustri del suo sequel, quel “Continuavano a chiamarlo Trinità” del 1972 tuttora detentore del record assoluto di incassi, e hanno appena finito col cinquantenario dell’azienda, ora guidata dal figlio di Italo, Sergio, e dalla sua famiglia. Un’autentica maratona celebrativa che ha dato origine a pregevoli tomi illustrati, a un museo rurale dedicato all’epopea trinitaria, a bottiglie commemorative e a una pioggia di aneddoti che a raccontarli tutti ci vorrebbe un altro volume.


All’ultimo appuntamento non poteva però mancare una degustazione tecnica di uno dei vini aziendali di punta, il Chianti Classico Gran Selezione Sergio Zingarelli. O meglio una verticale di dieci annate, dalla 2010 alla 2019, condotta dal patron e dall’enologo Lorenzo Landi. Si tratta di un cru: le uve provengono dal vigneto Le Terrazze, presso il centro aziendale, su terreni di alberese che tendono a far ritardare la maturazione dei grappoli e a favorire la freschezza e la concentrazione, dando così un prodotto austero e longevo. Prodotto fino al 2013 con un taglio di Sangiovese al 90% e Colorino, dal 2014 è fatto invece con solo Sangiovese


Anni fa ci aveva impressionato l’annata 2012, ma non avevamo mai avuto l’opportunità di assaggiare la 2011, un millesimo climaticamente non troppo ondivago, con una primavera mite, piogge tra maggio e giugno, un’estate nella media e un’esplosione di caldo siccitoso dalla metà di agosto, con una vendemmia leggermente anticipata.


Il risultato è un vino dal rubino caldo e intenso, con un’unghia appena aranciata. Al naso è pieno, composto ed elegante, profondo, con un frutto ben presente e una lontana nota resinosa che rimane impressa nella mente e torna anche al palato, dove il vino assume austerità, verticalità e un’ampiezza che, però, non vira in ridondanza. Una Gran Selezione importante, quindi, che tuttavia si mantiene nei canoni di una piacevolezza severa e coerente alla vocazione delle uve e del territorio. Dovendo dargli un punteggio, che per abitudine non do mai se non a mio uso e consumo interno, direi che questo 2011 si piazza tra i primi tre della decina. E che sarebbe interessante riassaggiarlo tra un ulteriore lustro.

The Coffeetails Experience: successo per il Maestro di Mixology Dennis Zoppi al DoubleTree by Hilton Rome Monti


Cosa c’entrano drink, mixology e caffè? Lo ha ben spiegato Dennis Zoppi, la stella Cremonese dei cocktail creativi, che venerdì 7 luglio ha deliziato con la sua vena artistica gli ospiti del Mùn, il Rooftop Cocktail Bar all’ottavo piano dell’Hotel DoubleTree by Hilton Rome Monti.


Zoppi e Lavazza

Noto a livello nazionale per le esperienze multisensoriali che regala con i propri cocktail, Zoppi è stato scelto da Lavazza come ambassador grazie al suo innato amore per il caffè e alla continua ricerca per farlo diventare un vero e proprio ingrediente di mixology. E la scelta di Lavazza non è affatto casuale: il tentativo di allungare “l’orario del caffè” anche al dopo cena è iniziato con l’invenzione dei Coffeetails, drink unconventional a base di caffè.
Se la cosa può lasciare perplessi, ci ha pensato Zoppi a far ricredere la platea dell’evento, presentando due Ceffeetails inediti: Carbon Dioxide e Air. Il primo creato con vermouth bianco, burro di cacao, bitter rouge, acqua e, ovviamente, Lavazza Brasil; il secondo, Air, creato con salsa di pomodoro, bitter rouge e l’immancabile cold brew Kafa. "Adoro stupire i miei ospiti con gusti, profumi e decorazioni non convenzionali” ha raccontato Zoppi “il mio è egoismo, perché nulla mi appaga di più che vedere il loro stupore e sorriso, donare un po’ di felicità attraverso i miei cocktail, fa sentire più felice anche me, questo è il mio mezzo per esprimermi". E a stupire ci è riuscito davvero: basti sapere che, grazie ad una speciale stampante, è riuscito a personalizzare i cocktail dei vari partecipanti stampando le loro foto sui drink!

Breathe: la nuova cocktail list del Mùn Rooftop Cocktail Bar

Ad affiancare Zoppi durante la serata del 7 luglio sono stati i barman professionisti del Mùn, che hanno presentato in anteprima i drink della nuova Cocktail List del locale romano, creata da Lorenzo Verrucci. “Non parliamo del semplice assaggio di un drink ben fatto, si tratta di un viaggio attraverso ecosistemi e luoghi inesplorati.” racconta Antonio de Meo, Mixologist e Food&Beverage Supervisor “con la nostra nuova drink list parliamo agli spiriti avventurosi, a chi sogna di tuffarsi negli oceani, di esplorare deserti, giungle e foreste sconosciute. Si tratta di respirare (Breathe ndr) e sperimentare attraverso i sapori nuovi scenari, con un occhio alla sostenibilità”.


“Di certo non mancherà una componente giocosa e completamente inaspettata, dove potrebbe essere la sorte a decidere il vostro drink” interviene infine Simone Menga, Hotel Manager. Ma non ci svela di più, sembra che dovremo essere noi a scoprire cosa ha in serbo per i propri ospiti, da Agosto 2023, il Mùn.

I prossimi eventi

Il DoubleTree by Hilton Rome Monti continua a far parlare di sé: i prossimi eventi in programma riguardano un serie di Cene per la serie “Chef Sotto le Stelle”, in collaborazione con Lavazza e con Identity Brand & Business. Nuovi Chef Stellati lasceranno per una notte le proprie cucine pe calcare la scena dell’Hotel romano. I prossimi appuntamenti verranno presto svelati sui canali della struttura. (www.dtromemonti.com)

Il DoubleTree by Hilton Rome Monti

Siamo a Roma, nel quartiere Monti, alle spalle di Santa Maria Maggiore e proprio nel punto di ingresso di uno dei rioni più iconici della capitale. Il DoubleTree by Hilton Rome Monti si affaccia su Piazza dell’Esquilino e dal quartiere prende pienamente ispirazione, un mix di contemporaneità glamour e stile industriale, ma anche una grande scommessa su una variegata offerta ristorativa, aperta sia agli ospiti che al pubblico esterno, con il MiT Food & Coffee Brewery giovane e vivace bistrot con patio sulla piazza; il Mamalia accogliente ristorante con cucina a vista, che propone tradizione italiana e romana rivisitate in chiave moderna dal resident chef, per concludere poi con una ascesa all’ottavo piano dove troviamo il Mùn Rooftop Cocktail Bar con vista sulla cupola della Basilica di Santa Maria Maggiore e un’atmosfera rilassante e lontana dal caos romano.

Approfondimento sui vini della Val Venosta


di Stefano Tesi

Quando frequenti un posto per pochi giorni all’anno, ma per molti anni (supponiamo cinquanta), è inevitabile subire l’effetto di quella che si potrebbe chiamare la familiarità cadenzata. Ossia la sensazione di confortante intimità che tuttavia non ti impedisce di notare, di volta in volta, i cambiamenti dettati nei luoghi e nelle persone dal fatale trascorrere del tempo. Un po’ come succede osservando trasformarsi in uomo il nipotino incontrato per decenni solo alle feste comandate.
Ho avuto esattamente quest’impressione quando, giorni fa, ho celebrato il mio giubileo d’oro (1973-2023!) con Castelbello, magnifico fortilizio con comunità, meleti e ovviamente vigneti annessi, nel mezzo alla Val Venosta.


L’occasione me l’ha offerta l’instancabile Sonja Egger-Trafoier, amica di antica data nonché celebre donna del vino e sommelier del prospiciente Kuppelrain, il gran ristorante stellato che la famiglia Trafojer, organizzando e invitandomi alla Vinschgauer Wienpresentation, ossia alla presentazione di venti piccoli vignaioli di eccellenza valligiani ospitata proprio nelle sale del castello già appartenuto ai conti Von Hendl.


L’esperienza è stata illuminante per riavvolgere il film di mezzo secolo di paesaggi, architetture, economie e, naturalmente, vini. La bassa Val Venosta, trentacinque km da Pacines a Silandro, è punteggiata di vigneti distribuiti tra i 500 e i 1000 metri di quota e beneficiati da un clima asciutto, con forti escursioni termiche. Vi si coltivano principalmente Riesling, Pinot bianco, Pinot nero, Schiava e Gewürztraminer, ma il ventaglio come è ovvio è molto più ampio, piwi compresi. Assaio ristretta, per ragioni fisiche ed economiche, è invece la maglia fondiaria, con una forte parcellizzazione equamente divisa tra vigne e meleti. Questi ultimi un po’ in ribasso a dire il vero, dopo che sono finite le vacche grasse dei redditi: un ettaro dei secondi costa comunque ancora 80mila euro circa, a fronte dei 50mila richiesti per i primi.



E la disponibilità è zero o quasi, anche perché, se la tradizione viticola venostana è antica, lo è meno la scelta di imbottigliare i vini, che in tempi più recenti ha assecondato la rinascita della vocazione turistico-qualitativa della valle, orientata all’ospitalità di eccellenza e alle produzioni di nicchia.


Districarsi tra i novantatré campioni in degustazione ai banchi non era facile e fare delle scelte è stato necessario, senza contare le copiose distrazioni offerte dagli spettacolari affacci del castello. L’impressione generale, anche rispetto a degustazioni del passato prossimo, è stata comunque di una netta crescita qualitativa media, senza cadute o quasi, e anche di una accresciuta personalità, che senza penalizzare la piacevolezza o la freschezza della beva tende a evidenziare meglio lo stile e la filosofia di ogni singolo produttore.
Ecco, dunque, una selezione ragionata dei nostri migliori assaggi tra gli oltre 60 compiuti.

Kerner 2022 Alto Adige IGT, Weingut Engelberg, Sluderno: piacevolezza e complessità, naso screziato e denso, bocca ampia e composta.


Riesling 2021 Alto Adige Val Venosta DOC, Oberschlossbauer, Juval: pietra focaia potente e quasi pungente, bel sorso sapido, verticale, vivo.

Pinot bianco “Ria” 2022, Alto Adige Val Venosta DOC, Ansits Mairhof, Parcines: naso fragrante e nervoso, in bocca è piacevole anche grazie a un finale amarognolo.

Muller Thurgau 2022, Alto Adige Val Venosta DOC Hanns Sinkmoser zu Jufal, Weingut & Hofbrennerei Castel Juval Onterortl: la grande finezza all’olfatto non tradisce la varietalità e si trasforma in eleganza al sorso.

Pinot bianco 2020, Alto Adige Val Venosta DOC Hanns Sinkmoser zu Jufal, Weingut & Hofbrennerei Castel Juval Onterortl: al naso è preciso e gentile, con netto sentore di nocciola, mentre in bocca è sapido, lungo, asciutto.

Riesling Weingarten Windbichel 2018, Alto Adige Val Venosta DOC Hanns Sinkmoser zu Jufal, Weingut & Hofbrennerei Castel Juval Onterortl: cru elegantissimo che al naso sa di pietra assolata e in bocca è di intensa complessità.

Riesling Weingarten Windbichel 2021, Alto Adige Val Venosta DOC Hanns Sinkmoser zu Jufal, Weingut & Hofbrennerei Castel Juval Onterortl: un vino profondo, la cui varietalità screziata di accenni piccanti rimbalza dal naso alla bocca.

Riesling 2021, Alto Adige Val Venosta DOC, Lehengut, Gailsaun: le esplicite note varietali non turbano ed anzi esaltano le sottili note di flora selvatica. Bio.

Chardonnay 2021, Alto Adige IGT, Josmoar, Castelbello: il passaggio in legno dona al vino delicate note di toffees e una bocca ricca e corposa, ma non invadente.

Marmor Weiss Eschkolot 2021 Magnum, Hof Castelatsch, Tschengls: Solaris, Muscaris, Souvignier gris coltivati su vigneti cosparsi di polvere di marmo: composito, fuori dagli schemi, denso e screziato, da assaggiare.

Pinot nero “Loma” 2020, Alto Adige Val Venosta DOC, Moarhof, Castelbello: bell’equilibrio di croccantezza ed eleganza, ha un naso gentile e una bocca diretta, pulita.

Pinot Nero 2020 Riserva, Alto Adige Doc, Josmoar, Castelbello: le vigne ventannali e un parziale affinamento in legno danno al vino un’eleganza rotonda, a tratti compatta, che in bocca si rilascia piano ma poi dura a lungo.


Pinot nero “Eustachius” 2015 Riserva Magnum, Alto Adige DOC, Schlossweingut Stachlburg, Parcines: vecchie vigne a bassa resa e un equilibrato passaggio in legno danno a questo vino una solennità e un’eleganza che non lo privano di agilità, finezza, godibilità.

Debbo sempre a Sonya il privilegio di aver goduto della versione magnum dei due vini già assaggiati in formato normale. 

Et de hoc, satis!

A Pancia Piena, lo street food fiorentino tra lampredotto e champagne


La tradizione del “cibo da strada” in Italia esiste e resiste da secoli, fortissima in alcune zone, andando a tratteggiare nel profondo non solo la storia gastronomica, ma in generale la fisionomia stessa di alcuni luoghi. Firenze ne è un esempio e la piccola realtà di “A pancia Piena” rappresenta l’evoluzione contemporanea del conservare tradizioni andando ad aggiungere, con ingegno e qualità, alternative gourmet e, soprattutto, una proposta di vini di alto livello che spaziano dallo Champagne ai vini toscani locali.


Truck-chiosco lungo la statale che attraversa il piccolo borgo delle Sieci in provincia di Firenze, Iuri Ronchi ed Emanuele Nenci, soci e fondatori di “A Pancia Piena”, hanno fatto crescere nel tempo una proposta gastronomica di tutto rispetto, aggiungendo al tradizionale panino al Lampredotto, rivisitato anche in differenti gustose versioni, deliziosi primi piatti e una selezione accurata di vini. Questo percorso di ricerca di innovazione della “cucina da strada”, pur conservando la precisa identità dello street food, li ha portati a conquistare di recente il titolo di Campioni Regionali Toscani nella guida del Gambero Rosso Street Food 2024. “Un’emozione incredibile visto il ricco panorama toscano che vanta nello street food una tradizione che si perde nei secoli mantenuta in vita grazie a tantissimi chioschi”, dichiarano Iuri ed Emanuele.


Diciannove anni fa, la nostra amicizia e la voglia di creare qualcosa insieme ci ha portato a realizzare A Pancia Piena. Uno street food, senza pretese, ma che offrisse qualità, prodotti di stagione e che con semplicità parlasse con schiettezza e “toscanità”, un luogo dove entrambi, mettendoci ai fornelli potessimo offrire ristoro a chi passava per le Sieci”, racconta Iuri Ronchi.


Mantenere in vita la cucina povera toscana è sempre stato il loro obiettivo e farla apprezzare anche ai più giovani per conservare la memoria sul gusto di un tempo che ha fatto grande la storia della cucina toscana. Oltre a trippa, bollito e lampredotto, panini dall’alto profilo qualitativo con l’utilizzo creativo di ingrediente locali. Fatica l’inverno e fatica l’estate ma sempre con il sorriso sulle labbra perché offrire ristoro è per loro offrire molto di più.


Ingrediente segreto del successo un’ineguagliabile simpatia e ironia tipica toscana, anche nella scelta dei nomi dei panini, che li ha portati ad essere conosciuti e amati. Andare a mangiare “A Pancia Piena” per molti è andare da amici, sentirsi a casa. “La nostra clientela è composta da persone che si muovono per lavoro, passanti di ogni genere e tipo, persone del luogo che ci conoscono e che sono nostri clienti e amici da quando abbiamo parcheggiato qui la prima volta” continua Iuri. “Poi, per noi, funziona tanto il passa parola. È comune sentirci dire da un cliente che è lì perché lo ha consigliato un amico. Passa parola che, nel tempo, ha portato anche ad una clientela che appositamente si muove per venire qui e questa è certamente una grande soddisfazione”.


Ma non solo panini o piatti gourmet, la particolarità che rende forse unico questo Food Truck è la possibilità di abbinare ai piatti un’ampia scelta di vini al calice, un’enoteca all’aria aperta che accontenta i degustatori più esigenti, dallo Champagne ai vini locali come il Chianti Rufina: “Negli anni in cui partiva il progetto di “A Pancia Piena”, cresceva anche la mia passione per il vino – spiega Emanuele Nenci – mi fu regalata da un amico una bottiglia di Montesodi che all’epoca fu davvero una scoperta. Da lì ho iniziato a cercare di assaggiare più Sangiovese possibile, andando con il tempo a costruirmi una piccola cantina composta dai principali IGT e denominazioni della toscana. Poi nel 2008 ho fatto il mio primo viaggio in Borgogna e Champagne e dà lì è partito tutto, ho scoperto decisamente un nuovo gusto, un nuovo stile di fare vino che mi ha letteralmente conquistato e in questo mio viaggio ho portato anche Iuri.”


Essere sulla rotonda significa continuare ad evolvere sempre senza fermarsi mai. Come dice Emanuele infatti, “ci sentiamo due persone aperte alle novità e al cambiamento. La nostra amicizia, che potremmo definire un matrimonio, ci ha portato davvero lontano, rispetto a quello che pensavamo. Credo che questo camioncino sia la nostra identità, questa rotonda è come casa, e se è vero che la mente e la volontà sono la forza più grande che possediamo, guardando da qui, lì dove c’è la rotonda c’è il mare e dietro ci sono le dolomiti… Forse ci ingrandiremo, forse svilupperemo nuovi progetti, di certo non c’è niente, ma una cosa è certa: per noi aver sconvolto le regole del “cibo da strada” con una selezione di vini tipica di un ristorante è stato rivoluzionario e questa rivoluzione non finirà mai”.

InvecchiatIGP: Avignonesi Merlot di Toscana IGT Toro "Desiderio" 1995


di Luciano Pignataro

Ci potrebbero essere forti sospetti su questa scheda, ossia che sia dettata da un atteggiamento snob (perché parlare del merlot di una azienda famosa per il Sangiovese e per il Nobile di Montelpuciano?) o da semplice esibizionismo visto che parliamo di un vino di quasi 30 anni fa.
Invece vuole essere solo il racconto ai lettori che seguono il nostro giovane gruppo di una bevuta inaspettata e straordinaria, rubata alla splendida cantina di Nino Di Costanzo, patron del bistellato Dani Maison a Ischia.


Prima di tutto, togliamoci la curiosità del nome un po’ kitsch, per Desiderio è davvero il nome di un toro da 16 quintali vissuto oltre un secolo fa presso la fattoria Le Capezzine di Avignonesi che, a dire della famiglia, avrebbe dettato le regole nella definizione genetica moderna della razza Chianina.
Ricordavo di una buona annata in Toscana 1995, più di qualcuno fece la previsione di una annata longeva. E questo Merlot, che tra l’altro l’azienda ha ripreso chiamandolo semplicemente Desiderio, conferma la previsione di quanti scommisero sulla durata dei rossi.


Il rosso ci viene offerto dal sommelier del ristorante dopo una entusiasmante batteria di bianchi locali, tra cui un Forastera 2009 che fino all’ultimo poteva essere il protagonista del mio turno del sabato di Invecchiato.
Poi ho optato per il Merlot perché altri bianchi invecchiati, sapidi e con note di idrocarburi certamente ne troverò a Ischia, mentre questa bottiglia vanta pochissimi esemplari in circolazione e quindi merita la memoria scritta da affidare al grande minestrone web.


I vini di fronte al tempo o resistono o migliorando. Quindi iniziamo con il dire che sicuramente questo Toro Desiderio ha migliorato: ce lo rivela subito il colore, un rosso rubino carico ben lontano dal solito mattonato che in genere i rossi regalano dopo tanti decenni di vita in bottiglia. 
Il naso ha sprizzato energia a go go, dalla frutta matura e croccante ancora presente, alle note di tabacco, caffè, carruba, un po’ di cenere. Siamo in presenza di un grande vino complesso, una bottiglia in cui il Merlot sale in cattedra senza discussioni e afferma la sua assoluta predisposizione a piacere oltre ogni misura, oltre ogni aspettativa, a prescindere da dove viene. Perché il segreto, per questo come per altri vitigni, è sempre nel giusto dosaggio del legno e ci appare straordinaria la misura usata in questo caso proprio mentre in Italia imperversava il cosiddetto gusto internazionale. La fusione tra frutto e legno è magica, perfetta, come pure la corrispondenza raggiunta, supponiamo sin dai primi anni trattandosi di Merlot, tra naso e bocca. 


Infatti al palato le note balsamiche si materializzano nella freschezza, nella verve di una beva dissetante, si dissetante e siamo spiazzati dalla modernità di concezione di un rosso pensato e imbottigliato 28 anni fa.
Un grande vino che siamo contenti di aver tracannato senza pietà sino all’ultima goccia. Sulla parmigiana di agnello di Nino poi…è cche vo’ dico a fa?

Santa Barbara - Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore 'Moss Blanc' 2020


di Luciano Pignataro

Con questo bianco fermentato in barrique Stefano Antonucci punta alla grande sfida delle longevità del Verdicchio che tanta soddisfazione ha già regalato a chi ci ha creduto. 


Nasce da un antico clone aziendale, 
3000 bottiglie, questa è la seconda edizione. Pieno, fruttato, fresco e potente. Da aspettare.

Il Pinot Nero dell'Alto Adige e dell'Oregon nella visione di Martin Foradori Hofstätter e David Adelsheim


di Luciano Pignataro

In una fase storica in cui il mondo ripiomba improvvisamente nel ‘900, per non dire ‘800, c’è chi mantiene una visione d’insieme, aperta, colloquiale e curiosa.
Martin Foradori ama la mossa del cavallo, spiazzare non per stupire ma soprattutto per non annoiare. Ecco allora l’idea di presentare a Roma e a Milano ad un gruppo ristretto di giornalisti il suo incontro con il Pinot Nero dell’Oregon mettendosi audacemente in gioco con uno dei produttori più raffinati e pignoli della West Coast. Noi abbiamo goduto del confronto da Armando al Pantheon, la meta obbligata di tutti i politici italiani, per una sera con la sala impegnata con qualcosa di decisamente migliore e più interessante ovvero il rapporto fra il Pinot Nero dell’Alto Adige e quello dell’Oregon.

Martin Foradori e David Adelsheim

Il confronto è stato con il produttore David Adelsheim: insieme hanno proposto un dulello molto interessante, un vero e proprio parallelo internazionale che parte dalla tenuta Barthenau della famiglia Foradori Hofstätter, nel cuore dell’altopiano di Mazon, in Alto Adige, e giunge Oltreoceano, nelle Chehalem Mountains, Willamette Valley, a sud di Portland (Oregon) dove ha sede la tenuta Adelsheim. Una comparazione tra due zone di produzione del Pinot Nero e una comune visione sull'importanza del terroir, dei singoli vigneti e della qualità senza compromessi.


Martin Foradori Hofstätter rappresenta la continuazione di una storia lunga quasi due secoli iniziata dopo la seconda metà dell’Ottocento quando il luminare della chimica organica Ludwig Barth, cavaliere di Barthenau, decide di piantare alcune vigne di Pinot Nero nella tenuta che ancora oggi porta il suo nome. A dare un nuovo impulso a questa sua intuizione sarà, circa un secolo dopo, proprio la famiglia del produttore di Tramin -Termeno.

Tenuta Adelsheim

David Adelsheim dell'omonima tenuta, è un autentico pioniere del Pinot Noir in Oregon. Egli è stato, già alla fine degli anni '60, tra i primi produttori a decidere di coltivare questo vitigno in quest’area. Una vera icona dell’enologia Made in USA.


In degustazione alcune etichette iconiche delle due aziende. Tenuta J. Hofstätter ha presentato i suoi due Cru di Pinot Nero: Vigna S. Urbano 2017 e 2007 e il Vigna Roccolo (solo 1000 bottiglie da vigne di 80 anni coltivate a pergola) dell’annata 2017. A raccontare la filosofia del viganaiolo altoatesino nella produzione di un’altra varietà simbolo del suo territorio, il Gewürztraminer, il Konrad Oberhofer Vigna Pirchschrait 2009, altro vino iconico (10 anni sui lieviti fini, solo 1000 bottiglie) dell’azienda prodotto questa volta sulla sponda opposta della valle dell’Adige rispetto a Mazon, ovvero nella frazione di Söll, a Tramin – Termeno.


David Adelsheim ha presentato una selezione delle sue etichette punta di diamante: il Pinot Noir Ribbon Springs Vineyard 2019 (prodotto nella denominazione Ribbon Ridge, perla enologica nella contea di Yamhill) e il Pinot Noir Quarter Mile Lane Vineyard 2019 e 2008 che nasce nell’AVA delle montagne di Chehalem. Della stessa denominazione anche lo Chardonnay Staking Claim. Vera chicca il Pinot Noir Elizabeth’s Reserve (Yamhill County) del 1986.


A parte i due bianchi che meriterebbero un pezzo a parte, possiamo tirare le somme di qualcosa che in fondo già sappiamo: il Pinot Nero è un vitigno di grande stoffa, capace, quando trattato con il giusto equilibrio, di esprimere eleganza e finezza in un bicchiere cerebrale, che richiede necessariamente l’attenzione di chi beve. Ho pochi titoli per parlarne, i Pinot dell’Oregon che avevo assaggiato sinora non mi avevano mai meravigliato: ben fatti, ma spesso con sentori di legno un po’ troppo in evidente mentre quelli dell’Alto Adige spesso tendono a giocare con la dolcezza e la esuberanza del frutto risultando così abbastanza monocordi. Questo ovviamente in linea generale.

Martin Foradori

I rossi di Martin Foradori mi sono sempre piaciuti per questa continua tensione che esprimono, figli di una viticultura chirurgica attenta, praticata su un territorio sicuramente vocai per le escursioni termiche e per la sua purezza assoluta. Il 2007 mi ha fatto pensare come sia necessario aspettarli un poco in più rispetto alle uscite dettate dai tempi commerciali. Una attesa che compensa la pazienza con belle emozioni.


I rossi di David, serviti per primi in base al principio dell’ospitalità, mi hanno davvero colpito e incantato, in particolare il Quarter Mile Lane 2019, finissimo, prezioso, minerale, lungo, con una chiusura perfetta.


Una bella esperienza, decisamente inusuale, un bel confronto che alla fine ci fa riflettere su come sarebbe bello un mondo senza confini. Ma per avere questa aspirazione bisogna essere uomini di cultura, uomini di vigna.

InvecchiatIGP: Mancinelli - Lacrima di Morro d'Alba 1993


di Carlo Macchi

Dovendo preparare una serata sul tema Verdicchio d’antan scendo in cantina per cercare bottiglie di questo grande vino bianco marchigiano che abbiamo dieci o più anni e così nella parte dedicata alle Marche trovo una bottiglia di Lacrima di Morro d’Alba, del 1993! Trent’anni precisi per un vino che viene considerato da bere giovanissimo è una sfida che non posso non raccogliere e così prendo la bottiglia, avvolta in cellophane trasparente e penso di usarla a fine degustazione.


Ritrovare questa bottiglia mi ha fatto anche tornare indietro di trent’anni, a quello che , se ricordo bene, fu il mio primo o secondo viaggio da giornalista nella terra del Verdicchio. Ero ospite dell’ASSIVIP, associazione tra produttori marchigiani che per molti anni è stato l’unico ente per la promozione del territorio e che ha fatto indubbiamente del gran bene alla terra del Verdicchio. In momenti in cui la promozione era molto più “artigianale” rispetto ad oggi l’Assivip ha rappresentato un punto fermo e dinamico per la conoscenza dei vini e del territorio marchigiano, con una visione molto aperta alle innovazioni della promozione.


Ma torniamo alla Lacrima di Morro d’Alba e al suo produttore, Stefano Mancinelli. La Lacrima è un vitigno particolarissimo: ha una grande aromaticità ma un corpo non certo da corazziere. Ha però finezza, che contrasta con la “pantagruelica” forma del grappolo, molto grande, compatto e quindi sottoposto spesso a problemi sanitari. Il vitigno prende il nome dal comune dove se ne trovano il maggior numero di ettari, Morro d’Alba, posto sulle morbide colline marchigiane non lontano da Jesi e dal mare. Stefano Mancinelli ha sempre creduto in questo vitigno e scavando nella memoria mi ricordo di belle discussioni con questo profumatissimo vino nel bicchiere. Mi ricordo anche di grappoloni dove le vespe, in periodo di vendemmia andavano a nozze. Insomma, siamo di fronte ad un’uva difficile da coltivare e con un mercato molto ristretto, tanto che da diversi anni si è pensato di darle più longevità permettendo il taglio con piccole percentuali di montepulciano.


Ma il mio vino del 1993 di montepulciano non ne aveva visto nemmeno un chicco. L’apertura della bottiglia non ha creato problemi ma purtroppo togliere il cellophane ha portato con sé la distruzione della retroetichetta ( e di parte dell’etichetta) con l’anno di produzione e quindi dovrete fidarvi della mia parola.


Il tappo, come detto, era bagnato ma in buone condizioni e un piccolo assaggio “preventivo” mi ha fatto capire che il vino sarebbe stato una grande e positiva sorpresa. Così arriviamo a fine serata e presento la bottiglia ad un pubblico che appena ha sentito parlare di 1993 ha alzato gli occhi al cielo. Quando però invece degli occhi hanno alzato il calice con il vino la sorpresa si è dipinta su tutti i volti, il mio compreso.


Il colore era rubino scarico con note aranciate ma il naso aveva finezza e potenza, proponendo note floreali, soprattutto di petalo di rosa e poi di spezie, con qualche reminiscenza fruttata e ricordando da vicino tanti ottimi pinot nero borgognoni che, mi sia permesso l’inciso, nel 1993 non è che abbondassero sul mercato. In bocca era indubbiamente di poco peso ma non scivolava via, proponendo una lineare persistenza che, momento dopo momento, si arricchiva di secondi e di sensazioni. E’ stato definito “una perla preziosa” un vino “intimo”, “setoso” “un dolce abbraccio” “un’allegra malinconia”. Io posso solo dire che profumi del genere, con questa purezza e finezza, li ho sentiti raramente e non è la prima volta che la Lacrima di Morro d’Alba me li propone.


Un grazie a Stefano Mancinelli è d’obbligo e un pensiero a quanto potrebbe dare al mondo degli amanti del vino questo vino/vitigno è altrettanto doveroso. Certi vini non vanno rivalutati, vanno assaggiati.