Anteprima Mastroberardino: sui grandi vini si gioca la carta del tempo e della memoria


di Luciano Pignataro

Il bianco e il tempo, il Fiano e il tempo. Comincia a far capolino la voglia di presentarsi sul mercato con uno o due anni dopo la vendemmia, ma con molti di più. Non a caso sono due aziende di lunga militanza, due delle dodici che esistevano in Irpinia prima del 1990, ad avviare questo discorso. Da un lato Di Meo con il Fiano Alessandra ed Erminia, dall'altro Mastroberardino che per primo, con il More Maiorum, avviò questo discorso nel 1995. Villa Diamante e Marsella, i primi ad uscire con un anno di ritardo, debuttarono due anni dopo, nel 2017.

Pietro Mastroberardino - Foto: Ottopagine

L'azienda di Atripalda condotta da Piero Mastroberardino si è sempre distinta per la capacità di assumere il tempo come valore aggiunto, ma per molti anni gli sforzi sono stati concentrati sul Taurasi. Da alcuni anni però Piero si è concentrato anche sugli altri due gioielli dell'Irpinia con il Fiano e il Greco attraverso la linea vintage.
Ma è con il progetto Stilema che ancora una volta la storica azienda campana allunga il passo. Si tratta della voglia di tornare ad alcuni protocolli di vinificazione del passato, dando il tempo giusto ai vini prima di metterli in commercio.
Il risultato è incredibile, noi speriamo che sia da esempio a tanti altri, soprattutto a quelle aziende di grandi dimensioni che appaiono quasi sedute su se stesse e che avrebbero la possibilità di dare un grande contributo alla crescita del territorio.
Ecco allora alcune note di questa degustazione di vini che a breve saranno sul mercato. 

La degustazione che segue è stata fatta insieme a Piero, all'enologo Massimo Di Renzo, professionista operoso, bravissimo, senza velleità da protagonista, e da Pierre Fonteneau dalla Borgogna che collabora con questo ed altri progetti. 


I BIANCHI 

Neroametà 2019 Campania IGT

Bianco da Rosso, ossia l'Aglianico vinificato in bianco. Abitudine che si era un po' persa negli anni '90 e che adesso ritorna. Il primo Neroametà nasce nel 2013 e si ricollega al vecchio progetto Plinius degli anni '80. Bianco prezioso, grande finezza nel naso con note agrumate e al palato buon corpo. Un 5% fa legno. 10mila bottiglie circa. Sui 14, 15 euro in enoteca. 

Stilema 2018 Fiano di Avellino DOCG Riserva

Il progetto parte nel 2015 e colpisce subito Cernilli ed è giunto alla quarta edizione. Selezione di filari di terroir più che cru, vinificazione in acciaio, piccola parte del mosto in barrique, due anni sui lieviti e poi in bottiglia. Grande naso di frutta, agrumato, mela, macchia mediterranea, leggero fumé, allungo piacevolissimo. Al palato molto corpo. Sur lies ma non tutto legno, questa caratteristica. 3000 bottiglie. 32-33 euro. 

Stilema 2018 Greco di Tufo DOCG Riserva

In questo caso parliamo di secondo millesimo perchè il primo è del 2017. Stesso protocollo del Fiano con parte in acciaio e piccola percentuale in barrique. Grande profumo elegante. Note di pietra focaia, piacevole, lungo. Anche in questo caso il Greco rivela il suo carattere forte, esprime energia con grande capacità di abbinamento. 6000 bottiglie. 32 33 euro 

More Maorium 2017 Irpinia DOC Bianco 

La novità di questo millesimo è il blend di Fiano e Greco. Fermenta e affina 18 in rovere e tre anni, separate le masse e al momento dell'imbottigliamento insieme. Grande note di albicocca, buono, piacevole. Si vuole assicurare uno stile ben caratterizzato. Cremosità, note di pasticceria, è sicuramente il più francese dei vini bianchi della casa, uno stile che a me affascina da sempre e di cui sono ghiotto. Si, ghiotto! 


I TAURASI 


Stilema 2016 Taurasi DOCG Riserva 

Primo Taurasi del 2015. Ritorno al passato con tecniche del futuro, il rosso non impenetrabile, lascia intravedere il fondo del bicchiere, molto piacevole, assolutamente bevibile. Lungo, ciliegia, chiusura precisa, fresca, che invoglia a ripetere. Il mondo nuovo del Taurasi che vuole essere più competitivo e leggibile. Straordinario anche grazie alla buona annata. 14mila bottiglie a 65, 70 euro 

Naturalis Historia 2016 Taurasi Riserva

Un grande classico della Mastroberardino in linea con le annate recente. Da vigna vecchia a Mirabella. Vinificazione affinamento in legno piccolo. 30 mesi, piacevole, naso di spezie e frutta molto ben indicato. 1997 nasce come blend con Piedirosso per essere venduto con il sistema dei future. Era il momento in cui la finanza incrociava il mondo del vino e anche in questo Mastroberardino fu precursore. La tenuta di Mirabella Eclano, voluta e creata da Piero, ha un’esposizione a sud-est ed è caratterizzata da un suolo profondo, a tessitura franco-sabbiosa, di origine vulcanica, con argilla in profondità e presenza di tracce di calcare lungo tutto il profilo. L’altitudine è di 400 m. s.l.m. 5000 bottiglie, sui 45 euro. 

Radici 2016 Taurasi DOCG Riserva

Nasce dalle vigne di Montemarano. Un Taurasi ricco di frutta, fresco, dai tannini ficcanti, lungo e piacevole.
Legno grande e legno piccolo ben alternati, il classico benchmark Mastroberardino che inizia il suo cammino senza fine e che segna i tratti caratteristici del Taurasi: dal naso al palato. 14mila bottiglie, sui 40 euro. 

CONCLUSIONI 

I vini di Mastroberardino, quasi 300 ettari vitati in Irpinia, sono da sempre il punto di riferimento assoluto per il territorio. L'attenzione dell'azienda si sta spostando sul territorio del tempo dove inevitabilmente gioca con grande vantaggio grazie alla lunga esperienza consolidata e ad una visione culturale e commerciale insieme di grande respiro, propria di chi è nato nel mondo del vino invece di arrivarci da altre esperienze imprenditoriali. Seguiamo Mastroberardino sul piano professionale dal lontano 1992, ma possiamo dire che questa batteria ci appare come la migliore di sempre.

“Terre Sicane Wine Fest”: successo della quarta edizione e appuntamento al 2023

CONTESSA ENTELLINA (PA) - Tre giorni di incontri, assaggi e musica nel borgo di Contessa Entellina (PA) per “Terre Sicane Wine Fest” la festa dedicata ai vini sicani e ai sapori del Belìce. 


Lo scorso weekend all’interno del Chiostro medievale dell’Abbazia Santa Maria del Bosco la quarta edizione del TSWF ha generato contatto e aggregazione nel vasto areale siciliano delle Terre Sicane diffuso da Contessa Entellina fino a Menfi, passando per Sambuca di Sicilia, Santa Margherita Belìce, Montevago, Sciacca. 

L’enterteinement jazz & soul dell'artista Joe Castellano è stato uno dei momenti clou di una manifestazione fortemente attesa in Sicilia. 

«È stata un’edizione straordinariamente partecipata - racconta Leonardo Spera, sindaco di Contessa Entellina - è tornato l’abbraccio del grande pubblico e per la prima volta insieme alla nostra Strada del Vino delle Terre Sicane abbiamo ospitato una delegazione della Strada del Vino e dei Sapori Trentini, un gemellaggio Nord-Sud che mette la nostra comunità al centro del dibattito nazionale grazie alle eccellenze produttive. Un richiamo sentito soprattutto dai giovani che tornano sempre più numerosi nelle terre sicane e ci restano da protagonisti con storie di bravura e unicità che fanno grande l’itinerario sicano e tutta la nostra isola». 

L’iniziativa ideata e coordinata da Michele Buscemi e dalla sua Associazione Enonauti è stata sostenuta dal Comune di Contessa Entellina, dalla Strada del Vino delle Terre Sicane, Itervitis, da Fondazione Inycon, da Associazione Sistema Vino e nella prima giornata dalla cantina Donnafugata che proprio nel comune di Contessa Entellina ha di recente riaperto le porte della tenuta “madre” testimone dei primi passi del brand. 

Un’altra importante novità è stata l’introduzione delle degustazioni guidate a cura di Valeria Lopis e co-condotte insieme a Luigi Salvo che hanno celebrato vitigni autoctoni, piccole denominazioni e classici. 

“Passo a due” svoltasi in piazza a Contessa Entellina è stata un suggestivo parallelo tra 5 vini Sicani a marchio Donnafugata e 5 vini trentini della strada del vino e dei sapori trentini. Per “Ti racconto le DOC minori” si è dato spazio per la prima volta ad un focus di 5 etichette Menfi DOC e altrettante piccole denominazioni del Trentino, produzioni eroiche di vini d’autore che sono anche scrigno di biodiversità e bellezza. 

Il Terre Sicane Wine Fest è anche il concorso enologico del miglior vino territoriale: 8 giudici specializzati hanno degustato alla cieca seguendo parametri internazionali per decretare 4 riconoscimenti: 

- Miglior Grillo TSWF22 vinto dalla cantina Antonio Gerardi Vini, Grillo 2021 Sicilia DOC 

- Miglior Nero d’Avola TSWF22 vinto dalla Cantina Planeta, Plumbago 2019 Sicilia DOC 

- I due Premio Piacevolezza ed Originalità assegnati al Grillo “Coste al Vento” 2021 di Cantina Marilena Barbera Menfi DOC e al Nero d’Avola 2020 della Cantina Filari della Rocca Sicilia DOC 

«Il “Terre Sicane Wine Fest” è stato un successo per tutto l’areale - afferma in chiusura del winefestival Gunther Di Giovanna, Presidente della Strada del Vino delle Terre Sicane - un momento di consapevolezza e riscoperta di una Sicilia del vino poco conosciuta che vogliamo raccontare a tutti». 

E mentre si spengono i motori del TSWF22 e si archivia una brillante e carismatica quarta edizione, si pensa già al 2023. «Per il prossimo anno il desiderio è di dare voce a sempre più produttori - spiega Michele Buscemi che ha diretto l’evento - vino ma anche olio e formaggio con laboratori dedicati per dare spazio ai produttori che in queste terre sono custodi dei luoghi e dei sapori sicani».

www.terresicanewinefest.it | Facebook e Instagram: Terresicanewinefest | Media partners: Winerytastingsicily e Wineonsunday

InvecchiatIGP: Gigante - Colli Orientali del Friuli "Pinot Grigio" 1995


di Carlo Macchi

Chi mi conosce sa che il Pinot Grigio non è certo il mio vino preferito, anche perché in rari casi ne ho incontrati di veramente buoni o particolari. A rafforzare la mia idea ci sono in Italia migliaia di ettari nati per produrre Pinot Grigio che, nella migliore delle ipotesi, potremmo definire “di pronta beva”: molti di questi ettari si trovano tra Veneto, Alto Adige e Friuli Venezia Giulia, con quest’ultima regione che oramai ha il non ambito (per me) record di avere il pinot grigio come primo vitigno, per ettari piantati. 

Ce ne sono diverse migliaia ma a questo punto occorre fare una divisione importante: quelli piantati in pianura e quelli in collina, con i secondi che sono molto meno dei primi. Adriano Gigante, storico viticoltore dei Colli Orientali il pinot grigio lo ha in collina, nella zona di Rocca Bernarda e produce questo vino praticamente da sempre. 

Un sempre che una sera di qualche mese fa a cena con lui si concretizza in un Pinot Grigio del 1995, cioè di 27 anni. Attenzione, non un vino fatto per essere invecchiato, ma semplicemente quello “d’annata” o, per tornare a quanto sopra, “di pronta beva”. Con il senno di poi e essendo in vena di battute potrei dire che quel vino ha incarnato un tempo latino di liceale memoria: il piuccheperfetto. 


In effetti sia il colore non era assolutamente spento, ma giallo dorato intenso, che il naso rendeva omaggio al tempo ma resistendo al suo passare con ancora lievi note fruttate, contrattaccando con fini sentori di erbe officinali e qualche sbrilluccichio minerale (mamma mia, ho detto minerale): il tutto con un’ intensità sorprendente. Però era in bocca che i 27 anni non solo non si sentivano ma si sviluppavano con forza e con una tranquilla pienezza che lasciava di stucco. Non un minimo cedimento in un assaggio durato quasi un’ora e si che la mia innata cattiveria sperava di trovare un varco in quella perfezione di vino. 


Il varco non lo trovai, come non l’ho trovato in un altro suo vino il Colli Orientali del Friuli Schioppettino 2001, bevuto anch’esso a cena con Adriano ma solo qualche giorno fa, di una freschezza aromatica e tannica da sogno. Così, grazie a Adriano Gigante, questa rubrica diventa anche “double face”. 


Questi due vini così longevi portano almeno a altrettante brevi riflessioni: la prima è che i vini di Adriano Gigante sono naturalmente da lungo e lunghissimo invecchiamento, senza che si debbano fare salti mortali per renderli tali e questa caratteristica, sono convinto, è condivisa con molti altri produttori locali. La seconda riflessione è molto più pratica: consiglio a tutti di andare a cena con Adriano Gigante.

Vigneti Repetto - Rosato “Diagonale” 2021


di Carlo Macchi

Colli Tortonesi ormai vuol dire Timorasso, ma questo rosato fresco e corposo, dai toni non certo “provenzali”, dimostra che pure barbera e freisa hanno, in zona, storia e futuro. 


Fruttatissimo ma con “diagonali” sentori floreali, bocca armata di succosa potenza: si abbina, senza sforzo, quasi a tutto.


Pensieri "in bianco" di mezza estate


Di Carlo Macchi

A questo punto del mese di luglio, per la guida vini di Winesurf abbiamo degustato quasi 2000 vini bianchi da tutta Italia e alcune linee generali sono emerse in maniera chiara:

La maledizione dell’agrumato 

Fino a pochi anni fa quando in un bianco sentivi profumi di agrumi (più o meno maturi) pensavi a qualcosa di positivo, oggi la tanto ricercata (e purtroppo trovata) “nota agrumata” è presente in molti dei bianchi degustati. Vini di varie zone e da vitigni che prima non la marcavano assolutamente . Come nascono possiamo immaginarlo e speriamo sinceramente si tratti di aromi che se ne vanno in breve tempo ma adesso sono molto presenti e rendono tanti vini, per vitigno e denominazione diversi, molto simili tra loro. A questo proposito… 

Essere simili è un prego o un difetto? 

20-25 anni fa il massimo per una denominazione era di avere vini sia riconoscibili sia di media qualitativa alta. Oggi possiamo dire che molte denominazioni italiana la media qualitativa alta o medio alta l’hanno raggiunta, non solo perché è impossibile o quasi trovare un vino con difetti, ma perché effettivamente tutti hanno fatto grossi passi avanti. Questa qualità alta, che sicuramente il consumatore finale non può non apprezzare si scontra però con un’omologazione verso l’alto che forse si riesce a percepire solo se assaggi molti vini di varie denominazioni. Non solo si assomigliano nella stessa DOC ma in diversi casi hanno tratti fortemente comuni tra denominazioni di regioni diverse e con vitigni diversi. 


Il corpo, questo quasi sconosciuto 

Un tratto abbastanza comune di tanti bianchi giovani (quindi soprattutto 2021) che abbiamo degustato è la predominanza della parte aromatica su quella gustativa. In altre parole, similitudini a parte, tanti vini hanno bei profumi ma poi puntano nettamente sulla parte acida, mettendo in secondo piano li corpo, la pienezza. Forse la vendemmia 2021 ha avuto questa caratteristica “trasversale” o forse si punta a fare vini più puliti, netti, magari vendemmiati un po’ prima che però hanno meno grassezza del passato. 

I prezzi, visti gli aumenti generalizzati, rimangono comunque bassi 

Se qualcuno di voi, in enoteca o a ristorante, ha notato aumenti importanti nei prezzi dei vini sappia che, almeno per quanto riguarda quelli che abbiamo degustato noi, gli aumenti in cantina, se ci sono stati, sono nell’ordine fisiologico e non certo da economia “guerresca”. In questo i produttori stanno mostrando generalmente una sensibilità importante, che speriamo non venga distrutta nei vari passaggi fino al consumo. 

Diamogli un anno: l’obiettivo futuro. 

Visto il miglioramento generalizzato e la voglia di mettere in commercio un vino che possa durare almeno qualche anno, oramai è chiaro a tutti che in tante denominazioni in bianco i vini escono TROPPO PRESTO

Capiamo che ci sono i mutui da pagare ma piano piano, se il vino bianco italiano deve crescere, bisognerà che una percentuale sempre più importante di prodotto entri in commercio l’anno successivo. Attenzione, non stiamo parlando di selezioni o riserve ma del vino “base” che spesso si comincia ad apprezzare veramente quando è finito. Credo che molti consorzi di tutela dovrebbero iniziare seriamente a sensibilizzare i soci sull’uscita ritardata (cum iudicio) per far crescere in maniera sana la denominazione e l’idea che un bianco italiano non è un vino da bersi nel primo anno di vita.

InvecchiatIGP: Paolo Scavino - Barolo Rocche dell’Annunziata Riserva 1990


di Roberto Giuliani

L’anno scorso l’azienda fondata da Lorenzo Scavino e suo figlio Paolo a Castiglione Falletto compiva 100 anni, era il 1921 quando quest’uomo di Grinzane Cavour ebbe l’intuizione di spostarsi a Castiglione e acquistare la cantina in un territorio benedetto per la produzione del Barolo. Allora la vite occupava solo una parte del lavoro, c’era l’allevamento di mucche, il frutteto e il grano. Nel 1951 Enrico, figlio di Paolo, appena finita la scuola elementare, non ebbe esitazioni, la passione del papà lo spinse subito a voler imparare il lavoro in vigna e cantina per poterlo affiancare. Nel 1978 con il Barolo Bric del Fiasc, solo 3000 bottiglie, ottenuto da un singolo cru e frutto proprio dell’impegno di Enrico che ne aveva individuato le grandi potenzialità, l’azienda riceve il primo grande riconoscimento a livello internazionale. Da quel momento è iniziata la costruzione della nuova cantina, sono entrati legni nuovi, vasche d’acciaio inox a temperatura controllata e tutto ciò che di meglio offriva la tecnologia. Oggi sono Enrica ed Elena, quarta generazione, a condurre l’azienda, ma il vino di cui vi racconto ora è ancora frutto del lavoro del papà. Si tratta del Barolo Rocche dell’Annunziata Riserva 1990, proveniente dal cru omonimo (oggi Menzione Geografica Aggiuntiva) di La Morra, sicuramente fra i più ambiti per il suo altissimo pregio e la capacità di dare vini di notevole eleganza, tanto da essere condiviso da una ventina di produttori, fra cui Bartolo Mascarello, Aurelio Settimo, Rocche Costamagna, Mauro Veglio, Roberto Voerzio, Renato Corino, Renato Ratti e altri. 


Avendone una sola bottiglia ho detto alcune preghiere prima di stapparlo, sapendo che potevo andare incontro a problemi più o meno seri con il tappo. Per fortuna è andato tutto bene, niente TCA né rotture in fase di apertura. E meno male! Perché mi sono trovato davanti un grandissimo Barolo! 


Il colore è granato tendente al mattonato, ovviamente deve passare un po’ di tempo affinché si ossigeni e riprenda vita, infatti poco a poco tendono a sparire le note riduttive e a rigenerarsi il bouquet; ecco affiorare la prugna e la ciliegia mature (ma non sotto spirito), scatola di sigari, cuoio, humus, radice di liquirizia, note ferrose ed ematiche, goudron, leggero chiodo di garofano; con il passare dei minuti è come se si ringiovanisse, appaiono fiori macerati, una punta di arancia rossa, spezie officinali, carne, funghi, cacao amaro. 


All’assaggio è sorprendente, appare più giovane e fresco, con un frutto vivo e un tannino ormai in perfetta armonia, tonalità balsamiche e un ritorno di liquirizia e cacao accompagnano un finale dal tocco raffinato e persistente, senza alcun cedimento. Una gran bella prova da un millesimo che non sempre ha mantenuto le attese, ma in questo caso siamo di fronte a un vino di pregiata fattura.

Santa Tresa - Terre Siciliane Rosé IGP "Rosa di Santa Tresa" 2021


di Roberto Giuliani

Stefano e Marina Girelli, vignaioli trentini innamorati della Sicilia, producono questo rosato bio da frappato e nero d’Avola in Contrada Santa Teresa a Vittoria, dal colore buccia di cipolla e profumi di rosa, lampone, mirtillo, fragola e agrumi.


Fresco e gustosissimo, ideale per quest’estate torrida.

Podere San Lorenzo e quel Brunello di Montalcino 2014 che stupisce!


di Roberto Giuliani

Erano tre anni che non andavo a trovare Luciano Ciolfi a Montalcino, niente di grave, l’amicizia che ci lega da 15 anni è salda e ci comprendiamo e rispettiamo a vicenda. Ho colto l’occasione quando mi ha riferito che stava facendo fare i lavori di ristrutturazione per una nuova cantina di vinificazione, progetto che doveva realizzarsi a giugno ma che pare protrarsi a ben oltre agosto. 

Poco male, anche se sono sempre grosse scocciature che, con questo caldo, si vanno ad aggiungere alle preoccupazioni per la siccità e la possibile sofferenza della vite. Ma Luciano, quando si accorge che la tensione non è più tollerabile, prende la sua amata bici e si fa un bel giro, del resto è una passione che lo ha preso moltissimo. Comunque, a proposito di siccità, al momento della mia visita del 7 luglio, la terra appariva certamente secca ma le piante non destavano ancora particolare preoccupazione, pochissime foglie ingiallite, il resto in perfetta salute, produzione di grappoli in giusta quantità e tutti in ottima condizione, speriamo continuino così. 


Dopo avere assaggiato, come di consueto, i vini dalle botti (a proposito, la 2019 è fantastica, ma le 2020 e 2021 promettono faville…) più 4 Brunello dalla 2017 alla 2014, i Brunello Riserva 2017 e 2016, il Rosso 2020 e il Rosato 2021 (non ce n’è quasi più), ciò che mi ha maggiormente colpito, forse perché meno prevedibile, è stato il Brunello di Montalcino 2014

Perché? Mettiamola così, anche a Montalcino hanno finalmente capito che assegnare le stelle alle annate è più dannoso che utile, ma soprattutto quasi mai veritiero. In che senso? Nel senso che il territorio produttivo del Brunello ha una superficie di quasi 250 km quadrati, con altitudini, esposizioni, composizioni dei terreni, microclimi estremamente eterogenei. Qualunque valore venga dato a un’annata, in un contesto del genere, non può andare bene per tutti, o almeno non sempre. Nel caso della 2014, l’immagine che le è stata data a livello nazionale è decisamente negativa, con tutto ciò che ne consegue sulla vendita dei vini di quell’annata. 

Luciano Ciolfi

Bene, anzi male, io credo che sia il caso di farla finita con questa storia, il nostro Paese è troppo diversificato perché si possa appiccicare un valore univoco a un’annata, e chi ne viene penalizzato poi sono soprattutto i piccoli, che non hanno certo la fila dei distributori davanti alla cantina, pronti a prendersi tutto alla cieca. 

Infatti la 2014 a Luciano è venuta non bene, di più, tanto da avermi detto lui stesso “se c’è un’annata di cui vado davvero orgoglioso è questa. Non la rifarei, perché è stata davvero dura, ma quello che sono riuscito a ottenere è un signor vino! Peccato che farlo capire al mercato è un’impresa”. 

Ha ragione da vendere, purtroppo è il vino che fa più fatica a mandare via, anche perché giustamente non vuole svenderlo, a dirla tutta, proprio per l’impegno che ci ha messo e il risultato ottenuto, dovrebbe costare di più. Ma non siamo qui per discutere di prezzi, piuttosto per dare un segnale a tutti gli appassionati che ogni annata è unica, bisogna girare tanto e assaggiare tanto, non tutto in un giorno ovviamente, ma fregarsene dei giudizi precostituiti e verificare di persona. 

La nuova cantina

Insomma questo 2014 io me lo sono portato a casa, colpito dall’assaggio in loco, soprattutto pensando che ha 8 anni e non gliene può fregare di meno. Sì, perché la prima cosa che ho notato è la freschezza, il tono vivace, non solo ma la struttura è solida, un Brunello a tutti gli effetti, di carattere, con un bel frutto maturo e una liquirizia invitante, ma anche richiami all’arancia sanguinella, in un contesto che manda segnali di un percorso non ancora giunto all’apice. Il sorso è intenso, succoso, il tannino privo di tensioni irrisolvibili, c’è movimento e un succedersi di spezie fini, persino tabacco e cuoio, menta, ma sempre in un fraseggio vitale, non decadente. 

Fossi in voi, se non lo trovate al ristorante, ne ordinerei qualche bottiglia, gli altri, quelli più giovani possono aspettare, tanto i vini di Luciano invecchiano molto più lentamente di lui, credetemi…

InvecchiatIGP: Quadra - Franciacorta Satèn Riserva “UG 1941 + 80” 2011


Da buoni appassionati di vino sappiamo tutti che nell’ambito dei Franciacorta DOCG l’attributo Satèn non è altro che un nome di fantasia, scelto per la sua assonanza con la parola “setoso”, che è diventato una designazione esclusiva della Franciacorta dal 1996, anno nel quale dal disciplinare è stata eliminata la tipologia “crèmant”, e successivamente un marchio registrato proprio del Consorzio di Tutela del Franciacorta, unica denominazione che può produrre questa tipologia di metodo classico. 


Andando a “spulciare” aIl’interno del disciplinare di produzione, possiamo notare che il Satèn, soggetto ad un affinamento sui lieviti per almeno 24 mesi, che diventano 60 per la Riserva, è l’unico Franciacorta DOCG “Blanc de Blancs” in quanto viene prodotto solo con uve bianche ovvero chardonnay e\o pinot bianco (quest’ultimo sempre per un massimo del 50%). La vera unicità del Franciacorta Satèn è sicuramente la pressione massima in bottiglia che, per regolamento, deve essere inferiore a 5 atmosfere, mentre per gli altri Franciacorta la pressione si aggira tra i 6 e i 6.5 bar. Tutto questo, a livello organolettico, si traduce in una bollicina più fine ed elegante così come il gusto che, rispetto ad altre tipologie di Franciacorta, rimane sicuramente più avvolgente e cremoso e per questo adatto, forse, a palati meno esigenti. 


Sarà per questo motivo che i veri esperti di bollicine mi ripetono sempre che per “valutare la qualità di una azienda franciacortina spesso bisogna esaminare criticamente il loro Satèn”? 
Non ho risposte certe a questo quesito ma quello che so è che se vado a visitare Quadra, in Franciacorta, e trovo in carta, presso l’osteria, il loro UG 1941+80 Satèn Riserva 2011, la prima cosa che faccio è ordinarlo perché la curiosità di provarlo è davvero tanta. ù

Questo Franciacorta è un blend di chardonnay (80%) e pinot bianco (20%) provenienti dai vigneti Colombaie, Colzano, Sant’Eusebio e Marzaghette che sono parte dei 20 ettari vitati, attualmente, dall’azienda. Il vino 
è il primo di una serie chiamata “Raccolta” che racchiude una serie di vini unici nello stile ed il nome, UG 1941 + 80, non è altro che un omaggio agli 80 anni di Ugo Ghezzi che nel 2003 fondò Quadra, oggi diretta magistralmente da Mario Falcetti. 


Questo Satèn Riserva, figlio di un’annata che ha dimostrato di essere la migliore degli ultimi 15 anni, è stato affinato per almeno 9 anni e solo nell’estate del 2021 è stato sboccato per circa 1000 bottiglie. 


Davanti a me ho un bicchiere con un Franciacorta dal colore oro brillante caratterizzato inizialmente da un impatto olfattivo ancora fragrante orientato su toni di pan di zenzero, mandorle tostate, pesca gialla ed agrumi mediterranei. Col tempo, e la giusta ossigenazione, il Franciacorta vira verso note più sottili ed austere tipiche dei vini provenienti dai terreni morenici sui cui sono piantate le viti. Al palato è goloso ma al tempo stesso la sua pienezza è ben supportata da una tesissima sinergia acido-sapida che, fortunatamente, rende il sorso piacevole, persistente e mai domo. 

Test superato, bravi i ragazzi di Quadra!

Carpineto – Toscano Bianco IGP “Dogajolo” 2021


Bevuto durante una serata Slow Food a Roma, questo blend di chardonnay, grechetto e sauvignon blanc piantati nella tenuta di Chianciano, si fa apprezzare per compostezza, bevibilità e per un ottimo rapporto qualità prezzo. 


Perfetto con i piatti della cucina asiatica come, ad esempio, il Pad Thai!

Beba 99, da Anghiari arriva un vino che sa di amicizia e passione!


Ho conosciuto Paola De Blasi qualche anno fa in uno dei tanti eventi del vino che la Thurner PR, l’agenzia di comunicazione per la quale lavora, ha organizzato a Roma. Come avviene sempre in questi ambiti, spesso per lavoro ci si “segue” anche sui social, soprattutto su Instagram, dove da qualche tempo notavo foto di Paola all’interno di una vigna in Toscana, precisamente ad Anghiari, che lei non faceva fatica ad ammettere pubblicamente di amare. All’inizio, non conoscendola bene, pensavo che quelle immagini fossero legate alla sua attività di PR per una azienda cliente poi, andando a spulciare bene la sua Bio sul sito di Leonardo Romanelli (già, scrive anche di vino), ho capito che quel bellissimo vigneto era proprio il suo, quella della sua famiglia. 


Proprio durante l’ultimo dannato lockdown ho capito, sempre grazie alla sua attività social, che Paola stava realizzando, con fatica, il suo sogno più grande, ovvero far rivivere la sua essenza e le sue emozioni, così come scrive lei, all’interno di un suo progetto vitivinicolo la cui forma aveva i contorni di una bottiglia di vino con su scritto “Beba 99”. 


Quella bottiglia, visto la passione che Paola aveva messo nello scrivere tutte le fasi della nascita del suo progetto, la volevo fortemente e così la De Blasi, dopo mesi di messaggi, probabilmente sfinita dalla mia insistenza, mi ha spedito il suo vino che, come vedremo, ha salde radici toscane ma con un forte richiamo alle Dolomiti dell’Alto Adige. 

Paola De Blasi

Per capire bene la genesi di “Beba 99” ho chiesto a Paola di raccontarmi un po’ la storia del suo vino il cui nome, mi rivela, “è inspirato al soprannome di mia nonna Elena Testerini che oggi, a quasi 102 anni, è ancora molto attiva e fonte di ispirazione. La proprietà di Podere Casaccia, ad Anghiari, poco distante da Arezzo, appartiene alla nostra famiglia da quattro generazioni e io ho deciso di portarla avanti perché ancora credo nelle radici della nostra Terra tanto da continuare a condurre la vecchia vigna di mia nonna di circa due ettari coltivata a sangiovese, canaiolo nero, colorino, aleatico e ciliegiolo, col solo obiettivo di non disperdere il lavoro di mani che da almeno cento anni hanno preservato quelle viti”. 


Beba 99, come scritto in precedenza, è un vino con respiro montano ed infatti Paola mi spiega che “
nasce da una scommessa tra amici che mi hanno spinto a credere nel progetto per cui, ecco svelato il mistero, le uve del Beba 99 sono state portate da Giuseppe Fugatti nella cantina di De Vescovi Ulzbach nel Teroldego a Mezzacorona (TN) dove sono state vinificate da Andrea Moser. Questo intreccio di culture e modi di lavorare, sotto i consigli di un grande maestro come Franz Haas, che purtroppo ci ha lasciato da poco, penso si possa percepire nelle mille sfumature di questo vino prodotto in circa 3000 bottiglie”. 

Beba 99, la cui prima annata è stata la 2019, quando la nonna di Paola aveva 99 anni, è un blend di sangiovese, canaiolo nero, colorino, aleatico e ciliegiolo il cui colore, un rosso rubino trasparente e decisamente brillante, già fa intuire, solo alla visiva, il carattere luminoso di questo vino che ha un ventaglio aromatico composto da rosa canina, ribes, lamponi croccanti, anguria, cola, lavanda e pennellate minerali. Sorso fresco, compatto, coniuga perfettamente dinamismo, complessità a soave leggiadria. 


La bottiglia, soprattutto in estate se avete la premura di lasciarla in frigo per un’ora, finisce in un amen. 

Buona la prima Paola! W Beba!

InvecchiatIGP: Francesco Poli - Vino Santo Trentino Doc 1997


di Lorenzo Colombo

Sappiamo che è un poco una forzatura, e che così giochiamo facile, inserire questo vino nella rubrica InvecchiatIGP perchè, sebbene siano passati 25 anni dalla vendemmia, si può infatti affermare che un Vino Santo Trentino di quest’età, ovviamente se fatto bene, sia ancora, se non nella sua fase di gioventù, perlomeno in quella della maturità, non certo in quello della vecchiaia. II vino ci è però piaciuto così tanto che non abbiamo resistito. 

Il Vino Santo Trentino 

Il Vino Santo Trentino può essere considerato una rarità, la sua produzione è ormai assai limitata, sono solamente circa 25.000 le (mezze) bottiglie prodotte annualmente da un pugno di viticoltori riuniti nell’Associazione Vignaioli Vino Santo Trentino Doc, tra i quali l’Azienda Agricola Francesco Poli, il cui vino ci accingiamo a degustare. 

Viene prodotto con uve Nosiola e purtroppo anche questo vitigno sta pian piano diventando raro, è infatti ormai presente unicamente (in pochi ettari purtroppo) in Trentino, nella Valle dei Laghi, quella valle situata lungo il tratto finale del fiume Sarca costellata da una serie di piccoli laghi: Lamar, Santo, Terlago, Santa Massenza, Cavedine, Lagolo, Toblino. 

Qui il suolo è asciutto, ricco di ghiaia ed il clima è fortemente influenzato da due venti, l’Ora del Garda, che soffia da mezzogiorno in poi da sud a nord e quello proveniente dalla Dolomiti del Brenta.
Questo favorisce l’appassimento delle uve che, stese sulle arèle, i tradizionali graticci, spesso si spinge sino al periodo pasquale, riducendo drasticamente il peso delle uve e concentrandone zuccheri ed aromi, amplificati quest’ultimi dall’intervento della Botrytis Cinerea, la muffa nobile che sovente colpisce i grappoli. 

Il lungo periodo d’appassimento – anche sei mesi- fa si che il mosto che si ricava da questi grappoli sia assai limitato, 10-12 litri per un quintale d’uva, questo, unitamente all’alta concentrazione zuccherina (si superano tranquillamente i 400 gr/litro con punte di 470 gr/litro) fa sì che le fermentazioni, che si svolgono in piccole botti di rovere, siano assai lente.
Anche l’affinamento del vino è molto lungo e sovente si protrae anche per una decina d’anni, alla fine dei quali il residuo zuccherino del vino s’attesta sui 160 gr/litro, ben bilanciato comunque dalla spiccata vena acida che ne smorza la dolcezza percepita. La longevità di questo vino è proverbiale e supera tranquillamente diverse decine d’anni senza nessuna compromissione organolettica. 

Il Vino Santo prodotto a Santa Massenza è famoso sin dal 1500, negli “Annali, ovvero cronache di Trento” del 1648, Pincio Giano Pirro scrive: “… un banchetto molto più fastoso e ricco di portate di vini venne predisposto il 12 settembre 1536, per l’arrivo a Trento di re Ferdinando … venivano serviti di norma vini dolci, tra i quali primeggiavano il Moscato, il Bianco di Calavino… l’insuperabile Vino Santo, prodotto sui colli di Santa Massenza”.
E poi ancora, questa volta Michelangelo Mariani in “Trento con il Sacro Concilio” del 1673 scrive: “… dal famosissimo banchetto del 25 luglio 1546 offerto dal Cardinale di Trento… vini squisitissimi, bianchi, rossi e rosati dei colli di Trento e vini dolci di Santa Massenza”. 

L’azienda 

Quella di Francesco Poli è una duplice azienda, da una parte l’Azienda Agricola, con la produzione di uva e di vini e dall’altra la distilleria, per la produzione della grappa. I vigneti sono coltivati, ormai da quasi 25 anni in regime biologico, quelli dedicati alla Nosiola sono situati in località Sottovi, sulle colline che sovrastano il lago di Santa Massenza, la prima vendemmia di queste uve è stata effettuata nel 1985 e la prima produzione di Vino Santo è del 1990. 


Il vino 

La vendemmia s’effettua in genere nella prima metà del mese d’ottobre, ed i migliori grappoli rimangono in appassimento per almeno cinque mesi, la fermentazione si svolge in vasche d’acciaio, il vino viene poi posto a maturare in piccole botti di rovere e d’acacia, dove rimane per svariati anni. 


Color topazio, intenso, unghia aranciata. Intenso ed amplio al naso, complesso ed elegante, sentori di datteri, fichi al forno, uvetta passa, miele. Strutturato, pastoso, amaricante, miele di castagno, caramella all’orzo, rabarbaro, leggeri accenni piccanti, molto persistente. 

Tosca - TriBàle 2020


di Lorenzo Colombo

Nella marea di Pét-Nats che ultimamente invadono gli scaffali delle enoteche si fa notare questo TriBàle, prodotto con tre vitigni a bacca bianca (non specificati) coltivati sulle colline di Pontida.


Sapido e dalla spiccata vena acida, aggiunge, alle tipiche note “birrose” della tipologia, una netta e fresca nota agrumata che rimanda al pompelmo.

Il Rubesco di Lungarotti fa 60!



di Lorenzo Colombo

Il “Rubesco”, Rosso di Torgiano Doc, vino storico dell’azienda Lungarotti, viene prodotto sin dal 1962, la sua composizione è cambiata nel corso degli anni, pur rimanendo il Sangiovese il vitigno principale che, negli ultimi anni ha aumentato la sua quota nel blend. Le uve per la sua produzione provengono da un vigneto situato tra i 200 ed i 300 metri d’altitudine, su suoli di medio impasto, più sciolto nella parte più alta e con sottosuolo calcareo.
La densità d’impianto sino all’annata 1992 era di 3.300 ceppi/ettaro, con sistema d’allevamento a doppio Guyot, successivamente, con il rinnovo degli impianti, si è passati alla potatura a Cordone speronato e la densità d’impianto è stata portata a 4.000 ceppi/ettaro, nelle ultime annate, già dal 2009 per la verità, il Cordone speronato è diventato doppio ed i sesto d’impianto varia dai 4.000 ai 5.000 ceppi/ettaro. Il suo sistema d’affinamento non è invece mai cambiato, si sono infatti sempre utilizzate botti di rovere di Slavonia da 50 ettolitri. 


In occasione del suo 60° anniversario - come sopra specificato la sua prima annata risale al 1962 - l’azienda Lungarotti ha organizzato, martedì 31 maggio, durante l’Anteprima Torgiano, una degustazione verticale, riservata alla stampa, di sei annate di questo vino. 

L’azienda 

L’azienda Lungarotti è certamente tra le più conosciute nel panorama vitivinicolo italiano, sebbene vi si producesse vino ed olio da oltre 200 anni, è con Giorgio Lungarotti che inizia la sua fama.
Nel 1936 Giorgio si laurea in agraria con una tesi sulle tecniche vinicole, quindi inizia sin da subito ad occuparsi dell’azienda di famiglia e la trasforma in una moderna realtà, per quanto riguarda la parte prettamente agronomica, impianta nuovi vigneti specializzati, prevalentemente con vitigni autoctoni ed in pochi anni i vini da lui prodotti ottengono prestigiosi riconoscimenti. 
Scomparso Giorgio nel 1999, l’azienda, che ora dispone di 250 ettari a vigneto (230 a Torgiano e 20 a Montefalco) viene gestita dalla figlie Chiara e Teresa, dalla moglie Maria Grazia e dai nipoti Francesco e Gemma che si sono suddivisi i compiti. 

Il MUVIT

Il Museo del Vino dio Torgiano (MUVIT) è un altro fiore all’occhiello della Lungarotti, inaugurato nel 1974 è uno dei più importanti musei dedicato al vino del mondo.
Nelle sue 20 sale si trovano oltre 3.000 oggetti dedicati al vino, reperti archeologici, attrezzature utilizzate nel passato, documenti storici, contenitori di varie epoche. In pratica si tratta di una tappa obbligatoria per chi vuole conosce a fondo il percorso del nettare di Bacco. 

Ma passiamo ora alla degustazione del Rubesco: 

S’è iniziato con l’ultima annata in commercio, ovvero la 2019, dove il vino è frutto di un blend tra Sangiovese (90%) e Colorino (10%), fermentazione in vasche d’acciaio ed affinamento per un anno in botti da 50 ettolitri e per altrettanto tempo in bottiglia. Il colore è rubino purpureo, luminoso, con unghia violacea. Al naso si colgono sentori di frutto rosso speziato, ciliegia matura, legno dolce, note balsamiche. Fresco alla bocca, pulito, succoso, con un bel frutto, spezie dolci, bella la trama tannica e buona la sua persistenza. 


Un salto di dieci anni nel passato e siamo all’annata 2009, la composizione del vino è leggermente diversa, con una minor percentuale di Sangiovese e l’utilizzo del Canaiolo: Sangiovese (70%), Canaiolo (20%) e Colorino (10%). Vinificazione ed affinamento sono le stesse del precedente vino. 


Il colore, ovviamente cambia, qui siamo su un granato, di buona profondità. Al naso si presenta pulito, balsamico, elegante, con un bel frutto rosso e note dolci. Mediamente strutturato, fresco, con bella trama tannica e buona vena acida, buona la sua persistenza su note di succosità. 

La Famiglia Lungarotti

Passiamo ora all’annata 2000, Sangiovese (70%) e Canaiolo (30%) la sua composizione, che troveremo anche nei vini delle annate precedenti, vinificazione ed affinamento non cambiano. 


Dal colore granato profondissimo. Intenso al naso, dove le note terziarie la fanno da padrone, vi si colgono sentori di cuoio, di cioccolato alla menta, ma con un frutto rosso maturo ancora ben presente, balsamico ed elegante.
Anche in questo caso la struttura non è massiccia e rende assai più facile la beva, ancora molto bello il frutto che si integra con le note speziate, buona la sua vena acida e lunga la persistenza. Elegante. 


Con l’annata 1992 ci spostiamo nel secolo scorso, quel che cambia è il periodo d’affinamento del vino, dopo i 12 mesi di botte da 50 ettolitri s’è infatti affinato in bottiglia per “alcuni anni”. 


Trent’anni per un vino sono molti e si vedono già dal colore, granato di discreta intensità con unghia aranciata. Buona la sua intensità olfattiva che s’esprime su sentori di cuoio e fiori appassivi, note balsamiche e nuovamente eleganza. Discreta la sua struttura, cosa comune a tutte le annate assaggiate, elegante e fresco, con buona trama tannica e grande equilibrio complessivo, frutto dolce, buona la sua persistenza. Se dovessimo scegliere un unico vino tra quelli assaggiati sarebbe questo. 


Un balzo nel decennio precedente con l’annata 1981, %), fermentazione in vasche d’acciaio ed affinamento per un anno in botti da 50 ettolitri e per altrettanto tempo in bottiglia. 


Il colore è granato di buona intensità con unghia mattonata. Ci ripetiamo con la media intensità olfattiva e con la grande eleganza, vi cogliamo fiori appassiti e frutto ancora bel presente. Un naso notevole, probabilmente il migliore della batteria. Succoso e di medio corpo, con bella vena acida e tannini ancora in evidenza, lunga la sua persistenza su sentori di radici. 


L’ultimo vino che andiamo ad assaggiare è dell’annata 1979, dopo i 12 mesi di botte da 50 ettolitri s’è affinato in bottiglia per “alcuni anni”. 


Il suo colore è granato profondo, l’unghia aranciata. Intenso ed elegante al naso, con frutto ancora ben presente, spezie dolci e note balsamiche. Discretamente strutturato, asciutto, con tannini ben presenti, accenni speziati-pepati, lunghissima la sua persistenza su sentori di bastoncino di liquirizia.

Mare e Vitovska 2022, tutto il bello del Carso!


Mare e Vitovska è l’appuntamento annuale con il vitigno autoctono più celebre del Carso triestino, goriziano e sloveno, organizzato dall’Associazione dei Viticoltori del Carso-Kras in collaborazione con i ristoranti della zona, nella suggestiva location del Castello di Duino.


Degustazioni con abbinamenti gastronomici a cura dei ristoratori della provincia di Trieste e non solo; una degustazione guidata a cura dell’AIS di Trieste, un convegno dal tema “Vitovska, vino del Carso, espressione del suo territorio e di chi lo coltiva. Resistente ai trend della volubile moda viticola. Quale futuro ha la viticoltura legata ai vini autoctoni ed al suo terroir?”.

Saranno allestiti corner shop con prodotti tipici del Carso quali vini, formaggi, salumi, dolci, miele e olio extravergine.

IL VITIGNO

La Vitovska è un vitigno a bacca bianca, da sempre coltivato in provincia di Trieste e nelle zone della vicina Slovenia. L’origine del nome è ancora incerta ma probabilmente la denominazione del vitigno è di origine slovena. C’è chi sostiene che l’origine del nome derivi dalla parola slovena vitica (viticcio dell’uva).


A differenza di altre varietà di cui si conoscono le antiche o recenti origini, la Vitovska può essere considerata varietà autoctona; non esiste infatti traccia di altre varietà con cui identificarsi in altre regioni del Mediterraneo e la sua storia è andata perduta nelle pieghe dei secolo di tradizione locale raggiungendo, attraverso un lungo processo di adattamento e selezione, le attuali caratteristiche che consentono di dare risultati nelle terre rosse del Carso dove è capace di sopportare, frustata dalla Bora, i freddi inverni e la siccità della stagione calda.

l vino ottenuto dal vitigno Vitovska è giallo paglierino con sfumature verdoline; un vino secco, fresco di acidità, dai suadenti sentori fruttati di pera Williams e salvia, sapido, di buon corpo, con una nota minerale. Gusto gradevole e finale piacevolmente amarognolo.

Produrre vino sul Carso è difficilissimo, pura viticoltura eroica: strappare dalla roccia, metro dopo metro, con il piccone, stendere uno strato di fertilissima terra rossa ferrosa tolta faticosamente dalle doline e piantarvi una vite.

Oggi la Vitovska è regina del Carso, un territorio unico al mondo.

IL PROGRAMMA

Giovedì, 7 luglio

Cena di benvenuto presso la Lokanda Devetak – www.devetak.com

Venerdì, 8 luglio

Ore 15.30 – Convegno Vitovska e Carso – Un vitigno, un territorio e una identità da preservare
Interverranno:
Matej Skerlj, presidente dell’Associazione dei viticoltori del Carso
David Pizziga, presidente del GAL Carso – LAS Kras
Nicola Bonera, sommelier AIS
Carlo Petrini, fondatore di Slow Food
Moderatore dell’incontro, Stefano Cosma

È possibile partecipare al convegno, riservandosi obbligatoriamente il posto inviando una e-mail a info@carsovinokras.it. I posti sono limitati, al raggiungimento delle disponibilità verranno chiuse le iscrizioni.

Ore 18.00 – 22.00 – Apertura ufficiale della manifestazione
Ore 19.00 – Prima degustazione guidata, a cura dell’AIS FVG. Informazioni e iscrizioni sul posto
Ore 20.30 – Seconda degustazione guidata, a cura dell’AIS FVG. Informazioni e iscrizioni sul posto
Le degustazioni AIS verranno organizzate solo in caso di bel tempo!

Sabato, 9 luglio

Ore 18.00 – 22.00 – Apertura ufficiale della manifestazione
Ore 19.00 – Terza degustazione guidata, a cura dell’AIS FVG. Informazioni e iscrizioni sul posto
Ore 20.30 – Quarta degustazione guidata, a cura dell’AIS FVG. Informazioni e iscrizioni sul posto
Le degustazioni AIS verranno organizzate solo in caso di bel tempo!
BIGLIETTO INGRESSO: € 40,00 – durante la due giorni al castello verranno messi in vendita i biglietti solamente in caso di bel tempo. Altrimenti potrà partecipare all’evento solamente chi ha acquistato il biglietto in prevendita!

INGRESSO

BIGLIETTO INGRESSO: € 40,00 – durante la due giorni al castello verranno messi in vendita i biglietti solamente in caso di bel tempo. Altrimenti potrà partecipare all’evento solamente chi ha acquistato il biglietto in prevendita!

RIDUZIONE: € 35,00 – con tessera ONAV, SLOW FOOD e AIS

PREVENDITE: € 35,00 – al momento dell’acquisto bisognerà indicare la data scelta per l’ingresso o venerdì 8, o sabato 9 luglio. Verranno rilasciati dei biglietti con colorazione diversa a seconda della data scelta.

Bambini fino a 6 anni ingresso gratuito – 7-15 anni ingresso 15€ – dai 16 anni in su ingresso intero. L’acquisto dei biglietti con riduzione è possibile solo presso la sede dell’evento.

Le Prevendite saranno disponibili a partire da sabato 25 giugno presso le seguenti location:
BAR X V. del Coroneo, 11 – Trieste
Caffè Vatta – V. Nazionale, 42 – Opicina
Birreria Bunker, loc. Aurisina, 97 – Trieste

BUS NAVETTA

Per raggiungere la sede della manifestazione Mare e Vitovska in Morje 2022 e muoversi agevolmente, l’Associazione Viticoltori del Carso mette a disposizione il servizio di navetta gratuito sia per la giornata di venerdì che per quella di sabato. Per informazioni e iscrizioni scrivere a carsobuskras@gmail.com. Il punto di partenza è fissato in Piazza Oberdan.

InvecchiatIGP: Copertinum - Copertino Rosso Doc Riserva 2008


di Stefano Tesi

Avevo nascosto un paio di queste bottiglie talmente bene nella mia cantina che non avevo più idea di dove fossero finite. E lì avrebbero potuto restare, se cercando altro non le avessi scovate. Fosse stata una sola, l’avrei rimessa al suo posto e festa finita. 

Ma erano appunto due. E il buon uomo che in fondo è in me ha pensato: come posso negare ai miei amici IGP e ai lettori un assaggio di questo che rimane, per finezza, qualità e rapporto qualità/prezzo, uno dei miei vini preferiti? 

Così l’ho preso e – con malincuore misto a curiosità – gli ho tirato il collo. 


Si tratta di un classico salentino che non stanca mai e che, pur avendolo ribevuto tante volte, non finisce mai di sorprendermi. Nemmeno stavolta, che malignamente l’ho lasciato candire per quattordici anni. Negroamaro al 95% e Malvasia nera da vecchie vigne coltivate ad alberello. Il vino si fa poi otto anni di cemento vetrificato. Non mi perdo in altri dettagli tecnici, perché è il bicchiere che conta. 

Tappo perfetto. Colore rubino caldo medio, un po’ aranciato. 

Al naso dà un’immediata sensazione di resina, poi di variegata macchia mediterranea, quindi si apre in accenni terziari ma mai preponderanti: cuoio, funghi, tartufi, liquirizia. Riaffiora un frutto tenue ed elegantissimo, maturo ed etereo, che fa da mattatore. 


In bocca è anche meglio, un velluto delicato che se non fosse morbido parrebbe severo, pulitissimo e duraturo, di una godibilità agile che invoglia a bere, complici anche i vibranti tredici gradi che anche in estate preservano dai colpi di calore. 

L’ortodossia lo vorrebbe bevuto con carni rosse e formaggi. Io me lo sono goduto a 18° sulle penne di grani antichi condite col sugo di polpo saltato in padella. 

Datemi retta, quando il vino è buono – e questo era buonissimo – degli abbinamenti fregatevene. 

Avviso finale agli amici: l’ultima bottiglia è sotto chiave fino al 2025 almeno, inutile blandirmi.