Tenuta dell'Ornellaia: alle radici del mito - Garantito IGP

Il bello della Rete è questo: un tweet, un messaggio privato a Sergio Di Loreto ed eccoci già in macchina direzione Castagneto Carducci, a due passi da Bolgheri e da altri miti del vino italiano.
La giornata è stupenda, c'è un caldo primaverile e l'odore del mare, avvicinandoci all'Ornellaia, è sempre più netto.

Arriviamo a metà mattina e Di Loreto, senza esitare, ci porta subito a visitare uno dei posti più romantici ed evocativi di tutto il territorio maremmano: la quercia dell'Ornellaia.
La Via dei Cipressi taglia in due la collocazione dei vigneti aziendali che si estendono per circa 99 ettari di cui 41 nell’area della Tenuta ed i restanti 58 nell’area denominata “Bellaria”, più vicina al mare e dove la quercia sembra essere il suo faro centenario.



Il panorama è stupendo, unico, così come le vigne che a Bellaria formano un puzzle davvero variegato visto che, piantati su terreni di varia natura geologica, possiamo trovare piante relativamente giovani di merlot, cabernet sauvignon, cabernet franc, petit verdot a cui seguono piccole parcelle di vigneti a bacca bianca come sauvignon blanc, viogner (circa 3 ha) e petit manseng (circa 1 ha). Densità abbastanza importanti, siamo sulle 7.000 piante per ettaro.

Col fido Range Rover nero continuiamo il tour e passiamo accanto ai vigneti storici dell'azienda, quelli voluti ed impiantati nei primi anni '80 da Lodovico Antinori che per il suo ambizioso progetto si avvalse dell'aiuto di André Tchelistcheff, mito dell'enologia della Napa Valley, il quale, secondo un aneddoto molto divertente, ad un Antinori deciso ad investire negli Stati Uniti disse:"...ma dove vai che il vero Eldorado ce l'hai su queste terre...".

Dopo aver girato alcuni minuti tra i 40 ha di vigneti storici, sparsi in vari appezzamenti (in Ornellaia possiamo contare circa 50 lotti), con Sergio Di Loreto abbiamo approfondito il tema della variabilità geologica dei vari terreni dell'Ornellaia che, anche ad occhio nudo, appare evidente. In effetti, mi viene spiegato, all'interno della Tenuta confluiscono tre elementi della natura dei suoli: marino, alluvionale e vulcanicoPartendo dalla parte più vicina alla montagna, quella più interna, per andare verso il mare troviamo la zona più ricca di ciotoli a matrice sabbiosa o argillosa e un Pliocene con lamina di calcare, fango e sabbia. 


Foto: Ornellaia.com
Nella parte più pianeggiante prevalgono i ciottoli di forma irregolare di varie dimensioni inseriti in una matrice sabbioso-argillosa con sabbie rosse (sabbie della Val di Gori) e di origine calcarea. 

L’Area più vicina al mare è, a sua volta, divisa in tre sotto-aree distinte: la parte più alta è ricca di calcare con grandi pietre attribuibili alla deposizione turbolenta fluviale. La parte centrale vede suoli leggermente più spessi e meno calcarei, con ciottoli di dimensione inferiore a quelli della zona sovrastante in una matrice argillosa. La parte più vicina al mare fa prevalere degli strati con una sedimentazione più fine con ghiaia a grana grossolana. 

Faccio appena in tempo a prendere gli ultimi appunti che ci fermiamo davanti al mito: il vigneto Masseto. 


Piantata totalmente a merlot, grazie all'intuizione di Thcelicheff che credette subito nelle sue potenzialità, questa collina viene divisa formalmente in tre fasce: Masseto Alto (in celeste), Masseto Centrale (in giallo) e Masseto Junior (in rosa).




Masseto Alto, situato ad un’altitudine di circa 120 metri sul livello del mare, ha terreni composti da argille sciolte e sabbie ricche di ciottoli. Le uve di questa zona sono spesso le prime a essere raccolte, soprattutto nelle annate più calde. I vini che si ottengono da questa zona sono densi, piuttosto “lineari”, ma senza essere opulenti..

Masseto Centrale, la parte centrale del vigneto caratterizzata da pendenze del 10%, ha la percentuale più elevata di argille plioceniche e le uve che ne derivano rappresentano l'anima del Masseto offrendo al vino potenza, concentrazione e apporto tannico. 

Masseto Junior è la zona più bassa del vigneto, con terreni argilloso-sabbiosi. I suoi vini sono i più leggeri ma sono preziosi per ammorbidire la ruvidezza dei tannini degli altri vini e concorrono in modo sostanziale alla finezza del vino assemblato.


Vigneto Masseto
Vigneto Masseto

La cantina, localizzata a pochi passi dal vigneto Masseto, è una struttura dalle linee architettoniche  innovative ed è perfettamente integrata nell'ambiente ed entrarci fa un po' tremare le gambe. 

Appena si entra non si può fare a meno di ammirare tutte le creazioni d'arte relative al progetto Vendemmia d'Artista che, prendendo il via nel 2006 con la vendemmia 2006, ha come scopo quello di celebrare  il carattere unico di ogni nuova annata di Ornellaia attraverso la creazione di etichette esclusive che andranno a vestire una selezione limitata di bottiglie Doppio Magnum (3 litri), Imperiale (6 litri) ed un unico esemplare di Salmanazar (9 litri).

L'annata 2012, l'ultima in commercio, è stata definita "L'Incanto" e per interpretare questo carattere l'Ornellaia ha invitato l’artista svizzero John Armleder a creare un’opera d’Arte ‘site specific’ per la Tenuta ed esclusive etichette singolarmente firmate in originale che vestono 111 grandi formati di Ornellaia: 100 bottiglie doppio Magnum (3 litri), 10 bottiglie Imperiali (6 litri) e un’unica Salmanazar (9 litri). 


Foto: Ornellaia.com

Superiamo una prima porta, una seconda, ed eccoci all'interno della cantina di vinificazione dove spiccano le vasche di acciaio idonee alla fermentazione dei vari vini. Evitando si soffermarmi sulle varie tecniche che l'azienda usa per ottenere la massima qualità in vendemmia, quello che mi piace sottolineare è che l'enologo Axel Heinz vinifica separatamente tutte le singole parcelle, sia del vigneto di Bellaria che quello della Tenuta, ottenendo circa 60-65 vini base.



Per il Masseto il discorso è lo stesso: ciascun serbatoio di acciaio rappresenta un determinato appezzamento del vigneto: Masseto Alto, Centrale e Junior.

Il momento cruciale arriva quando tutte queste "basi" dovranno essere assemblate per comporre i vari vini con l'obiettivo di esprimere contemporaneamente la personalità del prodotto associata alle caratteristiche dell'annata.
Ovviamente non tutti i vini base che nascono nel vigneto Ornellaia e Masseto saranno all'altezza del nome. La decisione di scartarli o tenerli dipende da molteplici fattori e se la qualità non risulterà idonea a rappresentare i vini di punta, le uve confluiranno nel "secondo vino" chiamato "Le Serre Nuove dell'Ornellaia", nato la prima volta nel 1997.
Dopo l'assemblaggio, i vini torneranno in barrique per un periodo che varia tra i sei mesi (Ornellaia) ed un anno (Masseto). Dopo altri 12 mesi circa di affinamento in bottiglia usciranno sul mercato.




Leonardo Raspini, che al momento della visita ancora era il Direttore dell'Ornellaia, ci aspetta nella sala degustazioni che si affaccia sui vigneti che circondano tutta la Tenuta.



Parliamo di vino e di vita mentre ci versa nel calice il bianco per eccellenza dell'Ornellaia, il Poggio alle Gazze 2013 (base sauvignon blanc con piccole percentuali di viogner, vermentino e verdicchio). Questo vino ha una storia travagliata: uscito per la prima volta nel 1987 con una produzione di circa 80.000 bottiglie, ha conosciuto un periodo di stanca nei primi anni del 2000 tanto che la dirigenza, puntando in quegli anni decisamente sui rossi, aveva deciso di estirpare i 12 ettari di sauvignon blanc per rimpiazzarli con merlot, cabernet sauvignon e cabernet franc. La nostalgia per quel bianco voluto nel 1981 da Lodovico Antinori, col tempo, ha avuto la meglio per cui, dopo aver di nuovo impiantato il vigneto, nel 2009 è uscita la prima annata della nuova era del Poggio alle Gazze. 



Il vino si presenta nel bicchiere di colore giallo dorato e al naso esprime bene un ricercato equilibrio tra la parte morbida del vino scandita da toni di pasticceria e la parte più scalpitante e dura che si materializza in un bouquet di aromi agrumati e floreali. Al sorso è rotondo, perfettamente equilibrato, di buona spinta aromatica e dotato di un finale pregno di richiami olfattivi.Vinificazione in barrique usate per il 33%, in barrique nuove per il 33% e in vasca d’acciaio per il 33%. La maturazione si è prolungata per 6 mesi sulle fecce con batonnage periodico su tutto il periodo. Affinamento in bottiglia di 12 mesi prima dell’immissione sul mercato.

Passiamo poi a degustare l'Ornellaia nelle due annate 2010 e 2011. Leonardo Raspini ci tiene al confronto perchè trattasi di due annate completamente diverse e, pertanto, espressioni di due vini dalle anime completamente dissimili.

Il primo deriva da un'annata fresca ed abbastanza equilibrata e già al naso è possibile capire l'anima "candida" di questo vino (53% cabernet sauvignon, 39% merlot, 4% cabernet franc, 4% petit verdot) che profuma di macchia mediterranea, fiori rossi e frutta selvatica. Seta rossa aromatica che ritrovo anche al sorso dove la i tannini, fittissimi, sono di straordinaria eleganza e si intersecano in un corpo agile e scattante dove ritornano i profumi di mare e terra bolgherese. Finale sapido, cesellato, di interminabile succosità.



La 2011 (51% cabernet sauvignon32% merlot ,11% cabernet franc, 6% petit verdot), vendemmia battezzata dalla Tenuta come "L'Infinito", è stata un'annata calda che ha condotto ad una raccolta anticipata delle uve (fine settembre). Naso giovane, ancora abbastanza chiuso, che fa però emergere tutta la materia solare di cui è composto il vino che ad oggi è pregno di frutta di rovo, spezie e ventate balsamiche ma che con gli anni, ne sono sicuro, esploderà in tutta la sua complessità e progressione. Al sorso è denso, nobile di trama fenolica e di straordinaria forza. Ha ancora un equilibrio in divenire ma il prezioso finale, illimitato per estensione, mi fa convenire con Raspini che sì, ha ragione, questo è un vino dal potenziale infinito.



L'ultima chicca mi è stata riservata durante il pranzo nella Tenuta quando, per la prima volta, ho degustato il vino dolce di Ornellaia chiamato Ornus. E' una vendemmia tardiva di un piccolo vigneto di petit manseng coltivato a nord di Bellaria e il nome deriva da ‘Fraxinus Ornus’, termine latino per l’Orniello, detto anche ‘albero della manna’ per la sua linfa preziosa di biblica memoria, che allude alla dolcezza di questo vino. L’Orniello è anche l’albero a cui si deve il nome di Ornellaia.
Il vino fermenta in barrique di rovere nuove al 100% e trascorre un anno di affinamento prima della realizzazione del blend dei vari lotti.  Dopo l’imbottigliamento il vino è stato sottoposto ad un ulteriore anno d’affinamento prima dell’introduzione sul mercato. 
Non c'è dubbio, è un vino suadente sia al naso che in bocca, vellutato, magnetico, da farci l'amore con le sue nuances di morbida avvolgenza fruttata corroborata da sensazioni di spezie orientali e miele. Cremoso, equilibratissimo, ha un finale interminabile come i ricordi di questa splendida giornata bolgherese.




A presto!



Tre Bicchieri Abruzzo 2016 Gambero Rosso

Anche quest'anno la quarta regione per produzione di vino porta a casa un buon risultato: le cantine valutate aumentano (oramai sono un centinaio), così come la qualità diffusa, tanto per le grandi cantine quanto per le cooperative e le piccole aziende. I vini assaggiati sono sempre più buoni e precisi, dai solidi Montepulciano d’Abruzzo, ai poetici Trebbiano, sino agli irruenti autoctoni bianchi. E testimoniano una riscoperta delle radici e di tecniche tradizionali, in cui fermentazioni spontanee, biologico, biodinamico, sono un gesto agricolo naturale. I quindici vini premiati raccontano questa varietà, che ci porta dalle coste dell’Adriatico sino a lambire i ghiacciai appenninici. È una squadra di vini eterogenea per provenienza, ma simile per qualità.

Va tutto bene allora? No, ci sono delle zone d'ombra. L'Abruzzo non è ancora percepito dal mercato come un importante distretto enologico per via di quel profilo da grandi numeri e poca ambizione e la corsa al massimo ribasso: un esempio? Il Montepulciano è tra i vini più venduti in Italia, con aumenti costanti delle percentuali, e altrettanto costanti diminuzioni del prezzo medio per bottiglia. Manca uno sforzo comune per rientrare di diritto nei grandi terroir di vino, mentre ancora l’ottanta per cento del prodotto abruzzese continua a essere imbottigliato fuori regione. Qualcosa può cambiare ancora, anche perché non basta più fare vini buoni, bisogna saperli raccontare, visto che i mercati sono sempre più in cerca di riconoscibilità e paesaggio.
Ecco l'elenco dei Tre Bicchieri 
Abruzzo Pecorino ’14 - Tenuta I Fauri 
Montepulciano d’Abruzzo ’13 - Tiberio 
Montepulciano d’Abruzzo Cerasuolo Le Cince ’14 - Nicoletta De Fermo 
Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane Adrano ’12 - Villa Medoro 
Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane Pieluni Ris. ’10 - Dino Illuminati 
Montepulciano d’Abruzzo M Ris. ’11 -Cantina Tollo 
Montepulciano d’Abruzzo Malandrino ’13 - Luigi Cataldi Madonna 
Montepulciano d’Abruzzo Marina Cvetic ’13 - Masciarelli 
Montepulciano d’Abruzzo Nativae ’14 - Tenuta Ulisse 
Montepulciano d’Abruzzo Podere Castorani Ris. ’10 - Castorani 
Montepulciano d’Abruzzo S. Clemente Ris. ’12 - Ciccio Zaccagnini 
Montepulciano d’Abruzzo Spelt Ris. ’11 - La Valentina 
Trebbiano d’Abruzzo ’12 - Valentini 
Trebbiano d’Abruzzo V. di Capestrano ’13 - Valle Reale 

Metti una sera a Soave Versus 2015

Poco tempo fa presso il Palazzo della Gran Guardia di Verona si è svolta la 14ᵃ edizione della manifestazione enogastronomica “Soave Versus”, organizzata da Consorzio del Soave, Strada del Vino Soave e Associazione Soave Versus
Per chi, come me, ama i grandi vini bianchi di Italia l'appuntamento era abbastanza imperdibile anche perchè, con circa 40 cantine selezionate ed oltre 200 vini in assaggio, l'evento rappresenta un'ottima occasione per fare il punto della situazione su in territorio ed una denominazione che, anno dopo anno, cresce in maniera esponenziale dal punto di vista qualitativo grazie anche alla presenza di tanti giovani vignaioli che portano avanti le loro tradizioni di famiglia.


Come pensavo, visto l'elevato livello medio dei vini, è stato veramente difficile stabilire un elenco dei migliori Soave presenti alla manifestazione per cui, quella di seguito, è una lista assolutamente parziale dei miei "coup de coeur" che ho dovuto selezionare, lottando contro me stesso, per ovvi motivi di spazio all'interno del blog. 

Ca' Rugate - Soave Classico "Monte Alto" 2013: l'azienda della famiglia Tessari, il cui nome deriva dall‘omonima casa situata a nord di Brognoligo, dove si trovano gli storici vigneti, presentava sia il Soave Classico "Monte Fiorentine" 2014 che il neo tribicchierato "Monte Alto" 2013. La mia scelta è caduta su quest'ultimo vino che, nonostante una leggera surmaturazione della garganega, è risultato estremamente equilbrato e fresco nonostante l'annata abbastanza calda. Naso di frutta gialla matura e origano mentre al sorso è decisamente sapido e avvolgente. Finale lungo.



Coffele - Soave Classico "Alzari" 2013: l'azienda si trova a Castelcerino di Soave e si estende per circa 25 ettari. Chiara Coffele, simpatica e competente responsabile commerciale, mi fa degustate un po' tutta la produzione di Soave Classico tra cui spicca, a mio parere, l'"Alzari" ovvero una garganega in purezza che, nonostante un passaggio in botti di rovero da 1500 litri per 10/12 mesi, si configura come un prodotto abbastanza originale visto che alla "grassezza" del vino si contrappone un'anima minerale che rende la beve equilibrata e affatto stancante.


Corte Adami - Soave Classico "Vigna della Corte" 2013: dal 2004 la famiglia Adami, oltre a conferire l'uva, ha deciso di produrre il proprio vino "sfruttando" al meglio i 36 ettari di vigneto dai quali, oggi, viene vinificata solo una parte. La migliore. Anno dopo anno, a mio parere, questa azienda sta facendo sempre meglio e ne è un esempio questo "Vigna della Corte", storico Cru di Castelcerino, che accanto a note di fiori di acacia e fieno, ha nel sorso il suo punto di maggiore forza grazie ad una viva freschezza corroborata da viva mineralità.


I Stefanini - Soave Classico "Monte de Toni" 2014: ci troviamo nell'areale di Monteforte d’Alpone dove la famiglia Tessari, già dal 1800, cura con amore circa 20 ettari di vigneto. L'azienda si contraddistingue per la sua gamma di vini di assoluta qualità e dal formidabile rapporto q/p. La scelta di inserire il "Monte de Toni" anzichè il "Monte di Fice" è stata assoltamente difficile in quanto trattasi di due tra i migliori Cru della denominazione. Il Soave Classico in oggetto l'ho apprezzato per il sua armonia nella componente fruttata e floreale e per l'assoluta coerenza al gusto che viene esaltata da una persistente eco agrumata. 


Corte Mainente - Soave Classico "Tovo al Pigno" 2014: l'azienda, che gestisce appena 2 ettari di garganega del territorio del Soave Classico, ha nel "Tovo al Pigno", Cru di un ettaro piantato sui terreni basaltici localizzati sotto il vulcano Foscarino, una perla di rara eleganza e territorialità. Nonostante l'uva sia vendemmiata tardivamente, il vino si presenta molto crudo nella sua mineralità che viene accompagnata solo parzialmente dagli altri sentori di mughetto e agrumi. Verace e sapido al sorso che chiude ben bilanciato nella componente fruttata. 


Casarotto - Soave Classico Vigne di Fittà 2014: l’azienda famigliare ha la propria sede a Montecchia di Crosara, alle pendici settentrionali della zona collinare del Soave Classico dove gestiscono circa 5 ettari di vigneto diviso tra garganega e trebbiano di Soave. Il Vigne di Fittà, il oro unico Soave Classico, probabilmente è il meno complesso dei vini finora recensiti ma mi ha entusiasmato per il suo essere diretto e assolutamente gastronomico. Il prezzo, siamo sulle 5 euro a bottiglia, è di quelli che fanno lacrimare dalla gioia. 


Fornaro - Soave Classico 2013: di Damiano Fornaro e della sua bella azienda parlerò in un articolo a parte. Ma, intanto, vi anticipo che il suo "base" 2013 è assolutamente gagliardo e, all'olfattiva, assume fragranze che vanno dalla pesca agli agrumi fino ad arrivare al mughetto, al biancospino e alla mandorla. Sorso di impatto ma assolutamente agile e con un finale, lunghissimo, che rimanda alle sensazioni odorose. Le vigne sono sopra quelle di un certo Pieropan e questo vi dovrebbe dire qualcosa in termini di qualità della materia prima.....


Le Battistelle - Soave Classico "Roccolo del Durlo" 2013: questa piccola realtà gestita da Gelmino e Cristina Dal Bosco è nata nel 2002 dopo che la famiglia decise di iniziare a vinificare in proprio le uve che prima venivano conferite ad una locale cantina sociale. La superficie vitata è di 6 ettari suddivisi in tanti vigneti di piccole estensioni tutti situati sui colli di Brognoligo. Ed è proprio l’appezzamento più unito, il versante delle Battistelle, collocato nella zona del Monte Castellaro a dare anche il nome alla cantina. Tra questi pendii di basalti vulcanici nasce il "Roccolo del Durlo" la cui anima nera e graffiante fa da sfondo ad un contesto assolutamente minerale dove le durezze la fanno da padrone. Grande personalità.



Montetondo - Soave Classico Superiore "Foscarin Slavinus" 2013: l'azienda di proprietà della famiglia Magnabosco è da molto tempo ai vertici qualitativi della denominazione dove, a mio parere, svetta questo Cru storico che nasce sui ripidi pendii vulcanici del Monte FoscarinoParte delle uve vengono lasciate in vigna circa 30 giorni in più, in modo da aver una surmaturazione delle uve. Il mosto viene fermentare in botte grande e il vino, poi,i resta per un altro mese in legno, e poi travasato in acciaio per almeno 10-12 mesi. Dopo l’imbottigliamento il “Foscarin Slavinus” resta in affinamento per almeno 6 mesi prima di essere immesso al consumo. Naso ricco, complesso, dove la nespola, gli agrumi, la frutta tropicale e la cenere la fanno da padrone. Bocca didascalica giocata tra acidità e dura mineralità che si contrappongono alla carica glicerica. Persistente e lungo il finale.

T.E.S.S.A.R.I. -  Soave Classico "Bine Longhe di Costalta" 2012:  la famiglia Tessari, cognome che come avete capito è molto usuale in zona, è alla terza generazione di vignaioli e oggi Antonio, Germano e Cornelia conducono la azienda di famiglia in maniera molto dinamica ed attenta grazie alla passione che proviene loro dai loro genitori che per primi hanno vinificato il Recioto. Dal Cru di Costalta nasce Le Bine Longhe il cui nome deriva dai filari che hanno una lunghezza di circa 300 metri. Il vino, proveniente da garganega leggermente surmatura, offre note di cedro, bergamotto, mughetto e slanci minerali. Bocca interessantissima dove freschezza agrumata, sapidità minerale e una ponderata dose alcolica tengono in piedi una struttura dai delicati equilibri. 


Questa, come ho detto precedentemente, è solo una piccola selezione del meglio del meglio degustato durante Soave Versus 2015 che, tra le tante, figura come una delle migliori manifestazioni italiane sul vino grazie anche alla presenza di AIS Verona che ha creato per tutti gli appassionati dei percorsi di degustazione molto interessanti grazie alla presenza di "personal sommelier".

Ringrazio tutto il Consorzio di Tutela del Soave, nelle figure di Aldo Lorenzoni (direttore) e Giovanni Ponchia (tecnico) per il loro invito e la collaborazione.

Alla prossima!

Tre Bicchieri 2016 Trentino Gambero Rosso

Il TrentoDoc tiene alta l’immagine del Trentino enologico in Italia e nel mondo. 41 aziende, grandissime realtà o piccole cantine artigianali. Più di 100 etichette assaggiate, oltre 20 nelle degustazioni finali, e 7 sul gradino più alto, quello dei Tre Bicchieri, con una piacevole novità: la new entry Opera, dinamica giovane realtà della Valle di Cembra, che si unisce a maison storiche. Un risultato che testimonia l'ottimo lavoro del comparto vitivinicolo trentino e la una cura delle uve di chardonnay (e pinot nero in misura crescente) delle basi spumante. Sono i vini della “rinascita” della seconda fermentazione, che hanno creato lo stile delle bollicine di montagna, anzi dolomitiche. Vini ricchi di nerbo acido, puliti e scorrevoli, di grande mineralità, capaci di maturare per anni sui lieviti acquistando profondità ed eleganza. E tutto questo in assenza di alcune etichette di prestigio, come il Riserva del Fondatore Giulio Ferrari o il Flavio della Rotari, ancora sui lieviti in attesa della sboccatura.
Diversa è la situazione dei vini fermi della tradizione. Solo il San Leonardo del marchese Guerrieri Gonzaga mantiene la sua fama e la tradizionale eleganza. I riscontri sul Teroldego sono altalenanti, colpa dell’annata – ma mancano all’appello diverse versioni ancora in affinamento – e di qualche forzatura nelle maturazioni.
Anche tra i bianchi è mancata l’emozione anche se diverse etichette hanno raggiunto le finali e non mancano begli esempi, come tra i vignaioli cembrani, artigiani della vigna e veri custodi di questo difficile territorio.
Tra i dolci un grande vino della tradizione trentina: il Vino Santo, che nel nome ricorda i graticci sui quali le uve nosiola della Valle dei Laghi appassiscono fino alla settimana di Pasqua. 
Ecco l'elenco dei Tre Bicchieri 
San Leonardo ’10 - Tenuta San Leonardo 
Trentino Müller Thurgau V. delle Forche ’14 - La Vis/Valle di Cembra 
Trento Brut Altemasi Graal Ris. ’08 - Cavit
Trento Brut Domini Nero ’10 - Abate Nero 
Trento Brut Dosaggio Zero Opera Ris. ’08 - Opera Vitivinicola in Valdicembra 
Trento Brut Methius Ris. ’09 - F.lli Dorigati 
Trento Brut Riserva del Fondatore 976 ’05 - Letrari 
Trento Dosaggio Zero Ris. ’10 - Nicola Balter 
Trento Extra Brut Lunelli Ris. ’07 - Ferrari 
Vino Santo Arèle ’06 - Pravis

Tre Bicchieri 2016 Lazio Gambero Rosso

Sono un paio d'anni che il Lazio del vino manda inequivocabili segnali positivi abbandonando finalmente qual livello medio che, per anni, non si è spinto oltre la sufficienza. Aziende piccole e grandi, nomi nuovi e realtà storiche propongono oggi etichette davvero interessanti. E se quello scorso è stato l'anno della viticoltura di Ponza e del grechetto nel Viterbese, quest’anno è il momento di Anzio e del bellone, che finora non riuscivano a esprimersi a un livello in grado di interessare un pubblico non strettamente locale.

Nonostante l'annata difficile il grechetto ha riservato comunque qualche bella sorpresa e la Tuscia si afferma come area di bianchi da dove arriva una delle aziende new entry dei Tre Bicchieri. L'altro nuovo vertice rappresenta un tassello importante al riposizionamento della denominazione Frascati ed è il frutto di un lavoro di 15 anni per realizzare un Frascati di alto livello.
Il bellone, come dicevamo, ha saputo esprimersi raggiungendo i vertici e un bel lavoro arriva che da aziende storiche della regione e anche dalla zona limitrofa di Roma, con la Tenuta di Fiorano. 
Ecco l'elenco dei Tre Bicchieri 
Antium Bellone ’14 - Casale del Giglio 
Baccarossa ’13 - Poggio Le Volpi 
Fiorano Bianco ’13  - Tenuta di Fiorano 
Frascati Sup. Eremo Tuscolano ’13 - Valle Vermiglia 
Grechetto ’14 - Trappolini 
Grechetto Poggio della Costa ’14 - Sergio Mottura 
Montiano ’13 - Falesco

Langhe Nebbiolo Capisme-e 2012 di Domenico Clerico - Il VINerdì di Garantito IGP

di Angelo Peretti



Metti una sera a cena che pensi che ci vorrebbe un Nebbiolo, ma mica un Barolo o un Barbaresco, qualcosa di meno impegnativo, come prezzo e come bevuta, e allora adocchi la carta del ristorante e – zac! – eccolo qui: un rosso di Domenico Clerico, un Nebbiolo delle Langhe. Non finiresti più di berlo.

Quel gioiello dell’abbazia di Fontfroide - Garantito IGP

di Angelo Peretti


L’abbazia di Fontfroide è là in mezzo alle colline e ai boschi e alle vigne che stanno a una quindicina di chilometri da Narbonne, Languedoc, Sud della Francia. Ebbe periodi di gloria e di abbandono, com’è per tutte le cose del mondo, anche quelle che si rivolgono all’ultraterreno.

La gloria fu quella dell’epoca dei cistercensi, che furono lì dal 1145 ed espansero il potere dell’abbazia, fino ad arrivare a trentamila ettari di terre, da lì sin quasi alla Spagna, e nel 1334 un abate di Fontfroide divenne addirittura papa, col nome di Benedetto XII.
L’abbandono, progressivo, venne dopo la peste nera del 1348, che annientò la comunità e così l’abbazia decadde a commenda, e le famiglie incaricate della gestione pian piano presero possesso di parte degli edifici e i monaci si ridussero a una manciata, fino a restare appena sette nel 1594. Il crollo avvenne con la rivoluzione francese. Ci fu poi un tentativo di rifondazione nella seconda metà dell’Ottocento, ma durò poco, un mezzo secolo.
All’inizio del Novecento l’abbazia passò in mani private. Nel 1908 la comprò un artista, Gustave Fayet, e credo sia stata una fortuna, ché gli edifici furono così oggetto di continui restauri. Cosicché oggi Fontfroide è uno splendore. Garantisco che vale la pena andarci a fare una visita.

Il chiostro armonioso, la chiesa alta e maestosa (venti metri d’altezza, cinquantatrè di lunghezza) che evidenzia appieno l’idea architettonica cistercense, di passaggio fra il romanico e il gotico, il refettorio e il dormitorio dei conversi, ampi e silenti, la piccola ed elegante sala capitolare sono presenze architettoniche che narrano di remote vite monastiche ed esprimono più d’ogni parola, con la loro maestosità, la potenza che esercitò l’abbazia nei secoli andati. Il roseto, dietro la chiesa, nell’ex cimitero, è un angolo di fascinosa bellezza, coi suoi duemilacinquecento ceppi di rose. Ci si perde poi nel giardino terrazzato che copre un’intera collina, voluto sul finire del Cinquecento da Costanza Fregoso, nobildonna italiana, madre d’uno dei commendatari di Fontfroide.

Sì, certo, questo è comprensibilmente un luogo dalla forte connotazione turistica, ma l’abbazia incute rispetto, e dunque non ci si trovano orde schiamazzanti. Coi proventi delle visite si curano gli edifici e il parco, che sono tenuti splendidamente. Penso ci lavori un piccolo esercito di giardinieri e manutentori. Se ne vedono ovunque durante la visita.


E poi a Fontfroide ci si fa anche vino. Qui la vigna la si coltiva da secoli, ché lavorare e pregare era nell’idea monastica benedettina. I vigneti sono nei pianori ai margini della boscaglia di pini e delle macchie di cespugli di cisti e di eriche di quella che i francesi del Sud chiamano la garrigue. Stanno sulle argille e sulle sabbie generate dalla roccia arenaria. In tutto sono trentasei ettari, nella denominazione d’origine di Corbières, che è la più grande della Languedoc e se non sbaglio la quarta per volumi in Francia, o nell’igp del Vin de Pays d’Oc.

Per l’abbazia, le uve rosse, che reputo più interessanti in zona, rappresentano i due terzi dei vigneti. Le varietà rosse sono il syrah, il grenache noir, il mourvèdre, il cinsault, ma anche il merlot e il petit verdot. Le cultivar bianche sono la roussanne, la marsanne, il grenache blanc, il rollè, lo chardonnay e il muscat petits grains.

La cantina aderisce all’associazione dei Vigneron Indépendant francesi, il che dice chiaramente che qui tutte le fasi di produzione sono gestire direttamente e in loco, dalla vigna alla commercializzazione. C’è, dentro all’abbazia, un negozio dove i vini si possono anche assaggiare (quasi tutti). L’accoglienza è all’insegna della cortesia.
Dei vini dell’abbazia ne ho provati tre, tutti rossi, tutti dell’appellation Corbières. Ecco le mie impressioni.

Corbières Rouge Ocellus 2014 Abbaye de Fontfroide


È fatto per due terzi con le uve di syrah e il resto è grenache noir. Lì all’abbazia lo definiscono “la riche élégance des fruits rouges et des épices douces”. In effetti fruttini rossi e spezie dolci ce n’è. È comunque un vino che vuole la tavola e il cibo, d’uso direi quotidiano. Semplice e snello.

Corbières Rouge Laudamus 2014 Abbaye de Fontfroide


Qui la cuvée si fa più ampia, essendoci il 40% di uve di mourvèdre, più un 35% di syrah e il saldo comunque significativo di grenache noir. Il colore è un rubino bellissimo e cristallino, proprio da grenache, mi verrebbe da dire. Ha i fiori (e anche qui credo sia il grenache a farsi avanti) e le spezie, più che quella “plénitude des fruits mûrs” di cui dicono all’abbazia.

Corbières Rouge Deo Gratias 2011 Abbaye de Fontfroide


Ecco, questo rosso è presentato come “la quintessence du terroir de Fontfroide, en finesse”. Vero, in quanto a finezza è un bel vino. Un rosso assolutamente caratteristico del Sud francese. Fatto per due terzi col syrah e per il resto col grenache noir, passa un anno nel legno, che tuttavia non lascia tracce boisée. Insomma, il rovere manco l’avverti. Trovi invece un bel frutto, di bosco soprattutto, e una speziatura avvolgente e una freschezza che allunga la beva e la rende succosa e a tratti perfino quasi marina. Notevole.


Tre Bicchieri 2016 Sardegna Gambero Rosso

La 2014 è stata un’ottima annata in Sardegna. Il segnale arriva dalle zone bianchiste, ma alcune indicazioni giungono anche da territori più vocati per i rossi, con le etichette d’annata in uscita.
Andiamo per ordine: la Gallura offre una serie di vini di assoluto equilibrio, dosati di alcol, freschi e dai profumi che rispecchiano in pieno la zona di provenienza. Ma non c'è solo il nord est dell’Isola: alcuni Vermentino di Sardegna provenienti da vari territori riescono a essere tipici e affascinanti e non sfigurano se confrontati con quelli della Docg.
Oltre al Vermentino arrivano conferme dal Semidano di Mogoro, dal Nuragus di Cagliari, dalla Vernaccia di Oristano (anche grazie a tipologie di produzione diverse) e dai vitigni aromatici a bacca bianca, con la Malvasia di Bosa e il Nasco di Cagliari a far la differenza, sebbene siano sempre i soliti (pochi) produttori che credono in queste varietà.
Prestazione importante anche per i rossi, col Cannonau di Sardegna che si conferma un grande vino mediterraneo, sia in versione Riserva sia giovane. I più interessanti arrivano dalla Barbagia e dall’Ogliastra. Ma c'è bisogno di una profonda modifica al disciplinare che valorizzi tutti i territori del Cannonau in Sardegna. Buone notizie anche dal Sulcis, con i Carignano che garantiscono qualità e costanza, mentre sarebbe ideale avere delle indicazioni più precise dalle altre varietà a bacca rossa presenti sull’Isola (ma soprattutto dalle loro aree più vocate) come bovale, muristellu, cagnulari, nieddera o monica.
Ecco l'elenco dei Tre Bicchieri 
Barrua ’12 Agricola Punica 
Cannonau di Sardegna Cl. D53 ’12 Cantina Dorgali 
Cannonau di Sardegna Cl. Dule ’12 Giuseppe Gabbas 
Cannonau di Sardegna Mamuthone ’12 Giuseppe Sedilesu 
Capichera ’13 Capichera 
Carignano del Sulcis Buio Buio Ris. ’12 Mesa 
Carignano del Sulcis Sup. Terre Brune ’11 Cantina di Santadi 
Turriga ’11 Argiolas 
Vermentino di Gallura Canayli V. T. ’14 Cantina Gallura
Vermentino di Gallura Sup. Maìa ’14 Siddùra 
Vermentino di Gallura Sup. Monteoro ’14 Tenute Sella & Mosca 
Vermentino di Gallura Sup. Sciala ’14 Vigne Surrau 
Vermentino di Sardegna Stellato ’14 Pala 

Tre Bicchieri 2016 Lombardia Gambero Rosso

Il quadro della Lombardia è complesso e ricco. In prima linea c'è lo spumante, 14 dei vini premiati provengono da Franciacorta e Oltrepò Pavese. La prima fa la parte del leone, anche per varietà di stili e di annate. Un tempo la zona era una roccaforte dello chardonnay, ma oggi molte delle cuvée più interessanti hanno per protagonista il pinot nero, in purezza o meno. È il caso delle Bollicine dell’Anno, lo spettacolare Vintage Collection Dosage Zèro Noir ’06 di Ca’ del Bosco, che festeggia il traguardo della quarta stella, ovvero i quaranta Tre Bicchieri in carriera.
L’Oltrepò Pavese è un territorio grande dove convivono diversi terroir, uve e tradizioni, dalla spensierata Bonarda ai rossi di struttura fino all'eccellente metodo classico. Su queste cuvée si sta creando la moderna identità della denominazione, che trova nel pinot nero il vitigno d’eccellenza, sia come spumante sia come vino rosso. Ma il territorio ha grandi potenzialità ancora inespresse.
La Lombardia peròè molto altro ancora. La Valtellina con le sue vigne eroiche a ridosso delle Alpi ci regala cinque memorabili vini, il Lugana, che nonostante la difficile annata 2014, stacca la cedola dei Tre Bicchieri; ma tutta la zona merita un plauso per l’impegno e la crescita tecnica ed agronomica degli ultimi anni.
Ecco l'elenco dei Tre Bicchieri 
Brut ‘More ’11 - Castello di Cigognola
Brut Farfalla - Ballabio
Brut Nature - Monsupello
Franciacorta Brut Cru Perdu ’04 - Castello Bonomi
Franciacorta Brut Extreme Palazzo Lana Ris. ’07 - Guido Berlucchi & C.
Franciacorta Brut Naturae ’11 - Barone Pizzini
Franciacorta Dosage Zéro Noir Vintage Collection Ris. ’06 - Ca’ del Bosco
Franciacorta Dosage Zero Secolo Novo Ris. ’08 - Le Marchesine
Franciacorta Dosaggio Zero Ris. ’08 - Lo Sparviere
Franciacorta Extra Brut ’09 - Ferghettina
Franciacorta Extra Brut Vittorio Moretti Ris. ’08 - Bellavista
Franciacorta Nature - Enrico Gatti
Lugana Molin ’14 - Cà Maiol
OP Pinot Nero Brut 1870 ’11 - F.lli Giorgi
OP Pinot Nero Giorgio Odero ’12 - Frecciarossa
OP Pinot Nero Noir ’12 - Tenuta Mazzolino
Pinot Nero Brut 64 ’11 - Calatroni
Valtellina Sfursat 5 Stelle ’11 - Nino Negri
Valtellina Sfursat Fruttaio Ca’ Rizzieri ’11 - Aldo Rainoldi
Valtellina Sup. Dirupi Ris. ’12 - Dirupi
Valtellina Sup. Sassella Rocce Rosse Ris. ’05 - Ar.Pe.Pe.
Valtellina Sup. Sassella Sommarovina ’13 - Mamete Prevostini 

Tre Bicchieri 2016 Liguria Gambero Rosso

Annata particolare il 2014. Eccellente all’estremo Ponente, mentre in altre zone s’è salvata solo grazie alla coda dell’estate. Partiamo dalla Riviera di Ponente dove il microclima ha preservato il territorio dalle copiose piogge estive. Qui, oltre al Pigato e al Vermentino, nasce il più importante rosso della Liguria, il Dolceacqua. Un vino che racconta un territorio unico, fatto di piccole vigne terrazzate strappate alla montagna. Quest'anno solo un prodotto sul podio ma la denominazione ha raggiunto un livello complessivo straordinario. Merito anche della coesione e la determinazione di questi produttori nell'ultimo decennio.

All’estremo Levante, invece, i produttori sono intervenuti più volte in vigna per salvaguardare le uve minacciate dalle piogge insistenti, per fortuna poi è arrivato un settembre mite e asciutto, e chi ha avuto nervi saldi e ha saputo attendere è stato premiato. Quattro i produttori della provincia di La Spezia che si aggiudicano i Tre Bicchieri, mentre da Imperia arrivano poi due eccellenti Pigato.
Tra le novità degli ultimi anni in regione, infine, c'è un interesse crescente per gli spumanti, ancora in ricerca di qualità e identità.

Ecco l'elenco dei Tre Bicchieri 

Colli di Luni Vermentino Et. Nera '14 - Lunae Bosoni 
Colli di Luni Vermentino Il Chioso '14 - Picedi Benettini 
Colli di Luni Vermentino Il Maggiore '14 - Ottaviano Lambruschi 
Dolceacqua Sup. Vign. Posaù '13 - Maccario Dringenberg
Riviera Ligure di Ponente Pigato Albium '13 - Poggio dei Gorleri
Riviera Ligure di Ponente Pigato U Baccan '13 - Bruna 

La presunta frode del Sauvignon del Collio. Tutti stupiti?

Tratto da Il PICCOLO

Sognava di passare alla storia come l’inventore del Sauvignon più buono e più profumato del mondo. Di trovare, cioè, la formula magica che avrebbe permesso a qualsiasi produttore di esaltare il sapore del proprio vino e di lanciarlo nel gotha dell’enologia. E in parte, Ramon Persello, 39 anni, di Attimis, consulente bioclimatico tra i più noti in Friuli e, soprattutto, genio della chimica, pareva anche esserci riuscito. Questo, almeno, è ciò che sostiene laProcura della Repubblica di Udine, che attorno ai suoi esperimenti e alla cerchia di aziende agricole di riconosciuta fama che – stando alla tesi accusatoria – da lui si rifornivano, ha costruito un’inchiesta in grado di stravolgere gli equilibri dell’economia vitivinicola, e non solo, regionale.
Gettando un’inquietante ombra su una delle eccellenze indiscusse del Friuli Venezia Giulia. Al centro della bufera giudiziaria, l’ipotesi che in 17 aziende (due delle quali di fuori regione), tutte sottoposte ieri a perquisizione da parte dei carabinieri del Nas di Udine, sia stato impiegato un esaltatore di aromi non previsto dal disciplinare di produzione di vini Doc. Una “Sauvignon connection”, insomma. Il sospetto, codice penale alla mano, si traduce nelle ipotesi di reato di frode nell’esercizio del commercio e vendita di sostanze alimentari non genuine.
IL TRUCCO A quella “pozione dei desideri” Persello lavorava da tempo. Lo sapevano tutti e lui, considerato un prodigio della chimica, non ne faceva mistero. Del resto, nulla gli proibiva di provare e riprovare a mescolare gli ingredienti, alla ricerca del mix che avrebbe migliorato il gusto dei vini. Tanto più in una terra che del Bianco, complice anche la campagna pubblicitaria con cui una decina d’anni fa il fotografo Oliviero Toscani lanciò le etichette del Collio, ha fatto la propria bandiera. Il guaio è che i suoi esperimenti avrebbero dovuto restare tali.
E invece, stando alle indagini sin qui condotte dagli investigatori, l’intruglio che Persello realizzava in casa con l’aiuto di sua moglie, combinando tra loro il lievito preso dal laboratorio in cui lavora, a Corno di Rosazzo, e un amalgama di altri ingredienti “top secret”, finiva poi per entrare nelle botti di Sauvignon e, in misura minore, anche di Pinot bianco, di un gruppo non proprio ristretto di “amici” produttori. Un “elisir” – a sottolinearlo è la stessa Procura – comunque non dannoso per la salute umana. Le perquisizioni eseguite ieri, in contemporanea, in tutte le aziende agricole con le quali l’“Archimede dei vini” risultava tenere contatti puntano proprio a trovare elementi probatori capaci di confermare un quadro già di per sè abbastanza definito.
Da ciascuna delle cantine, i carabinieri del Nucleo antisofisticazione e sanità sono usciti con una serie di campioni di vino, che dovranno ora essere analizzati e rivelare se e con quali sostanze, qualora dovessero emergerne tracce, siano stati contraffatti.
GLI INDAGATI I primi a finire sul registro degli indagati sono stati i nomi di Persello e di sua moglie Lisa Coletto, 41 anni, di Udine. È alla loro porta che la Polizia giudiziaria ha bussato, già nella giornata di sabato, con il primo di una lunga serie di decreti di perquisizione.
Ed è lì che sono stati acquisiti i riscontri che hanno permesso agli investigatori non soltanto di proseguire lungo la pista tracciata, ma anche di formulare una possibile rosa di ulteriori indagati. I produttori, appunto, con vigne e aziende tra la zona del Collio e quella dei Colli orientali del Friuli, e tutti più o meno blasonati.
A cominciare da Roberto Snidarcig, che con la sua “Tiare” di Dolegna del Collio, l’anno scorso è riuscito nientedimeno che ad aggiudicarsi l’oro mondiale. Oltre a lui, a ricevere la visita dei militari dell’Arma, nella mattinata di ieri, sono stati anche Adriano Gigante, dell’omonima azienda agricola di Corno di Rosazzo, Valerio Marinig, di Prepotto, Paolo Rodaro, di Spessa,Pierpaolo Pecorari, di San Lorenzo Isontino, Michele Luisa, della “Tenuta Luisa” di Corona, Anna Muzzolini, dell’“Azienda agricola Iole” di Prepotto,Roberto Folla, dell’“Azienda agricola Cortona” di Villa Vicentina, Luca Caporale, dell’“Azienda agricola Venchiarezza” di Cividale, Federico Stefano Stanig, dell’“AZienda agricola Stanig fratelli” di Prepotto, Andrea Visintin, dell’“Azienda agricola Magnas” di Cormons, Cristian Ballaminut, titolare di un’azienda a Terzo d’Aquileia, Cristian Specogna, dell’“Azienda agricola Specogna Leonardo” di Corno di Rosazzo, Gianni Sgubin, della “Società agricola Ferruccio Sgubin” di Dolegna del Collio, e Filippo Butussi, della “Valentino Butussi” di Corno di Rosazzo. Perquisizioni sono state inoltre eseguite nelle sedi di due tenute di fuori regione: l’“Azienda vinicola F.lli De Luca”, di Remo De Luca, a Mozzagrogna (Chieti) e la “Castel Rio Società agricola” di Ficulle (Terni), amministrata da Valentino Cirulli. Nell’inchiesta sono rimaste coinvolte anche Francesca Gobessi, 65 anni, di Udine, edEmanuela Zuppello, 55, di Torreano, in quanto colleghe di Persello nel laboratorio di analisi in cui lavora.
LA SOFFIATA A mettere in moto la macchina investigativa, neanche a dirlo, sono stati delatori interni al mondo del vino. Non c’è da stupirsi, naturalmente: vedevano i loro diretti concorrenti accumulare premi su premi e hanno deciso che era ora di farla finita e di svelare quello che, a loro avviso, era il “segreto” di tanta bravura. In Procura, a raccogliere e dare forma alle segnalazioni è stato il pm Marco Panzeri.
Lo stesso che, un paio di anni fa, aveva scoperchiato il caso del latte contaminato da aflatossina M1. «Ci siamo mossi sulla base di elementi serissimi, in maniera mirata – ha affermato il procuratore capo di Udine, Antonio De Nicolo –. Eravamo stati messi in guardia da chi, in questo stesso settore, lavora in modo onesto. Da alcuni produttori del Sauvignon – continua – che seguono fedelmente il disciplinare e che si erano accorti che alcuni competitors esaltavano irregolarmente gli aromi del vino».
Alla soffiata erano seguiti i primi accertamenti, poi la perquisizione a casa di Persello e, a seguire, l’individuazione dei suoi possibili complici. La “road map” della Procura, però, non prevedva di tornare in campo a così stretto giro di posta. «Siamo stati costretti ad accelerare i tempi e anticipare a oggi (ieri, ndr) le perquisizioni nelle aziende agricole – ha spiegato De Nicolo –, perchè avevamo avuto sentore che la notizia stava per trapelare. Esisteva il rischio concreto di una fuga di notizie. E questo, come intuibile, avrebbe vanificato l’efficacia delle perquisizioni». Il destino, però, ha voluto che la giornata di ieri fosse anche quella dell’inaugurazione di Friuli Doc.
Una «sciagurata coincidenza» che De Nicolo ha tenuto a chiarire come assolutamente non voluta: casuale, quindi, e del tutto slegata da collegamenti giudiziari. «Non volevamo guastare la festa a nessuno e avremmo preferito aspettare la fine della manifestazione – ha precisato il procuratore –, come era accaduto nel caso dell’indagine sul prosciutto di San Daniele».
Non meno chiaro l’obiettivo dell’inchiesta. «La nostra preoccupazione primaria – continua De Nicolo – è la tutela sia dei consumatori, che ci sentiamo di rassicurare in ogni caso, visto che le sostanze con le quali
il Sauvignon è stato contraffatto non sono dannose per l’uomo, sia dei produttori che si attengono ai disciplinari e che, per fortuna, sono la maggioranza. Chi non lo fa va scovato e isolato. E le indagini proseguono proprio in questa direzione, alla ricerca di eventuali altri trasgressori».

Grand Cru Yvorne Chablais 2009 per il VINerdì di Garantito IGP

di Lorenzo Colombo

Non è certamente facile trovarlo da noi, anzi, probabilmente è impossibile. Ma se vi capita di passare nel Vaud, in Svizzera, una capatina a Château Maison Blanche fatecela. Il Grand Cru Yvorne Chablais AOC 2014 è un grande vino, ma il 2009 da noi assaggiato è a dir poco strepitoso. Dimenticavamo: il vitigno è il non molto considerato Chasselas.


Château Maison Blanche
Route de Corbeyrier / 1853 Yvorne
info@chateau-yvorne.ch
www.chateau-yvorne.ch