Tselepos Winery tra Driopi Rosé e Nemea Driopi

Avevo già parlato di questa importante azienda vinicola greca quando, con il mio amico Costas, avevo bevuto un ottimo Moschofilero prodotto da Yiannis Tselepos, un signore baffuto che ha avuto il pregio di salvare questo vecchio vitigno del Peloponneso dall'estinzione.

Passa qualche mese ed ecco che il mio amico greco "de Roma" mi porta a degustare altre due bottiglie di Tselepos, un rosé e un rosso a base di Agiorgitiko, uva considerata tra le migliori di tutta la Grecia il cui nome deriva da Agios Georgios (San Giorgio).
I vigneti, differentemente da quanto visto per le uve moschofilero piantate nella regione dell'Arcadia, si trovano nella zona viticola della Nemea (una delle più grandi in Grecia) caratterizzata da catene montuose che, pian piano, degradano in colline e pendii verdeggianti ricoperti da vigneti, situati ad altezze che vanno dagli 850 ai 200 metri s.l.m., dove l'Agiorgitiko è la varietà più coltivata.

Vigneti in Nemea

Dal vigneto aziendale di circa 9 ettari acquisito nel 2003 da Yiannis Tselepos, composto anche da vigne di oltre 50 anni di età, nascono i vini che ho in questo momento davanti a me, il Driopi Rosé 2013 e il Nemea Driopi 2012.

Il primo, la cui vinificazione prevede una macerazione sulle bucce per 36 ore, è un rosato abbastanza spiazzante per le diverse anime che lo compongono. Al naso, infatti, è abbastanza "scontato" con i suoi freschissimi aromi di caramella al lampone e fragolina di bosco. Il discorso però cambia totalmente al sorso dove si fa austero, diretto, minerale e con un finale sapido e persistente che, in qualche  modo, ridà punti ad un vino che si fa apprezzare se abbinato, come abbiamo fatto noi, anche ad una bella pasta all'amatriciana!


Il Nemea Driopi 2012, anch'esso 100% Agiorgitiko, si caratterizza per una fermentazione in acciaio e un successivo affinamento in barrique per 8-10 mesi. Il naso è ancora molto chiuso, deve aprirsi, e solo con un'adeguata ossigenazione riesco a percepire l'alito di un frutto scuro al quale sensazioni di radici, liquirizia e terra aggiungono adeguata e sperata complessità.
La bocca, più di tutti, svela l'estrema giovinezza del vino che in questa fase evolutiva è più verticale che orizzontale mantenendo una bellissima bevibilità. Sicuramente il tempo conferirà al sorso quel quid in più indispensabile per confermare all'Agiorgitiko quella fama che lo vede spesso collocato sul podio dei migliori vini della Grecia.



Spumante Nature Sergio Mottura 1996

Champagne, Franciacorta e Trentodoc.

Champagne, Franciacorta e Trentodoc.

Champagne, Franciacorta e Trentodoc.

Sempre le stesse zone, sempre gli stessi nomi con, a volte, qualche sterzata in zona Verdicchio.

La tradizione spumantistica italiana, per fortuna, è molto più ampia di quanto si possa credere e nel Lazio, nel nord della mia Regione, c'è un'azienda che oltre a produrre ottimi vini bianchi come il Poggio della Costa e il Latour a Civitella, dà vita ad un interessantissimo metodo classico chiamato semplicemente "Vino Spumante di Qualità" Nature Mottura.

Ritorno a parlare di questo vino dopo tanto tempo, era il 2010 quando su Percorsi di Vino raccontavo le impressioni della mia visita all'azienda con relativa degustazione di uno splendido Spumante "targato" 1992  che così descrivevo: "Metto il naso, sono consapevole che sto odorando un pezzo di storia, riconosco facilmente l’agrume candito, la cotognata, il sapido minerale, poi escono le arachidi, tocchi di camomilla. Non ha grandissima complessità olfattiva, non lo paragonerei ad uno champagne di pari annata ma è ugualmente emozionante. In bocca non tradisce, direi che migliora decisamente con una spina acida davvero importante che tiene su tutta la struttura del vino che al palato sa tanto di sassi e frutta gialla matura. Bella progressione finale".

Pupitre all'interno della cantina Mottura

Tutte queste sensazioni, questi ricordi, sono riaffiorati quando pochi giorni fa ho aperto una bellissima magnum di Spumante Nature Millesimato 1996 tenuta per troppo tempo in cantina in attesa dell'occasione giusta che, come spesso mi accade in questi ultimi giorni, è stata una cena al Salotto Culinario di Dino De Bellis.

Prima di passare alle impressioni gustative, però, una breve parentesi tecnica per capire la genesi di questo vino che, come leggiamo sul sito internet, è prodotto totalmente da uve chardonnay provenienti dal vigneto "S. Martino" impiantato su terreno argilloso di medio impasto nel 1979. La coltivazione segue regole biologiche: solo concimi organici (ricavati dai residui delle vinacce integrate con le fecce del vino) e prevenzione delle malattie crittogamiche con rame e zolfo. Nessun trattamento insetticida. 
La vinificazione avviene con spremitura soffice, decantazione dei mosti e fermentazione a temperatura controllata. Dopo la "presa di spuma" il vino matura sulle fecce per almeno cinque anni in antiche grotte scavate nel tufo con temperatura naturale e costante di 12°C. Dopo la sboccatura lo spumante riposa per almeno sei mesi prima di essere immesso in commercio.



Il 1996 che ho degustato con un pò di amici, sboccato nel novembre 2010, è uno spumante che ha sicuramente raggiunto il suo apogeo in quanto le durezze giovanili, la sferzante acidità data dal suolo di Civitella d'Agliano, sono ben più che domante da una morbidezza e da una cremosità che rende sia l'olfatto che la beva di estrema "golosità".
Il profilo aromatico, infatti, sa di mela golden, pera matura, fiori gialli appassiti, tocchi di pasticceria, fieno, frutta secca e pan di zenzero.
Al gusto l'equilibrio la fa da padrone e la cremosità dello spumante, unita a sensazioni di frutta secca, miele millefiori e vaniglia, ci accompagna verso un finale affatto scontato visto che la chiusura, sapida, ben bilancia la parte più "amabile" del vino.




Una grande spumante del Lazio di cui spesso si parla poco. Troppo poco!

Il vino in Scozia non è più fantasia - Rassegna Stampa Web

Cambia il clima nel Nord Europa: le estati sono più calde e lunghe, gli inverni più miti e piovosi. Così c'è chi pensa di approfittarne, anziché languire nella nostalgia delle brume antiche. 

Tra questi c'è lo scrittore Christopher Trotter, cultore delle tradizioni gastronomiche degli highlander, che ha pensato di metter su un'azienda vitivinicola nella contea di Fife, nella Scozia Sud-orientale. 

È la terra di Gordon Brown - l'ex primo ministro britannico; e di Adam Smith - l'economista del XVIII Secolo. Né l'uno né l'altro avrebbero mai pensato di bere un goccio di vino autoctono. Eppure - a partire da quello prodotto nella scorsa vendemmia - sarà possibile assaggiare lo "Chateau Largo". È prodotto dall'entusiasta neoviticoltore Trotter, che già pregusta l'avvento dei vini scozzesi nell'esclusivo regno di Bacco, finora appannaggio quasi esclusivo di culture agronomiche ben più meridionali e calde. 

Ma che vino è? 
Il bianco di mister Trotter è prodotto con una varietà di uva tedesca, il Solaris. Si tratta di un ibrido ottenuto dall'agronomo Norbert Becker nei laboratori di Friburgo, in Germania, nel 1975 e che ha ottenuto una specifica protezione varietale nel 2001. 

Foto: stuartfrew.wordpress.com

Conseguenze del clima che cambia 
Il cambiamento climatico è un "global issue", un tema globale che coinvolge tutti, cittadini e istituzioni. Ma in poche realtà politiche è sentito quanto in Scozia. Lassù, nel Nord dell'arcipelago britannico, il governo autonomo ha costruito un massiccio meccanismo di controllo del fenomeno e un vasto esperimento di comunicazione. L'agenzia scozzese di protezione ambientale, SEPA, offre una grandissima quantità di informazioni per i cittadini, gli operatori economici e gli amministratori locali. Coordina i servizi d'emergenza e indica soluzioni possibili per affrontare i cambiamenti indotti nell'ambiente.

Le temperature e il soleggiamento 
In base ai dati disponibili, nel corso dell'ultimo secolo in Scozia la temperatura media è cresciuta di oltre 1°C, e la tendenza è chiaramente al rialzo. Si tratta, nel medio termine e secondo gli scenari più pessimistici per quanto riguarda l'andamento delle emissioni di gas-serra, di una vera emergenza. Secondo la SEPA la Scozia rischia di riscaldarsi di 3,3-4,9 °C entro il 2050. 

Tra meno di quarant'anni, se lo scenario peggiore si avvererà, la vigna di Mr. Trotter sarà più rigogliosa e verde degli antichi vigneti del Chianti. Chissà se, per allora, anche gli scozzesi avranno imparato a fare il vino buono..

Jermann - Vintage Tunina 1997

Quando Silvio Jermann era già un grande del vino italiano io, a malapena, stavo iniziando a leggere e prime riviste sul vino cercando di comprendere i difficili e, a volte, strambi termini dell'enologia.
Quando Silvio Jermann aveva terminato gli studi di enologia, dapprima presso la Scuola di Enologia di Conegliano e poi, dopo un breve soggiorno in Canada, presso l'Istituto di San Michele all'Adige io non era ancora nato. Già, erano i primi anni '70 del secolo scorso e, assieme a Mario Schiopetto, il giovane Jermann stava rivoluzionando il concetto di vino friulano dando vita a prodotti dalla grande personalità.
Era il 1975, ed nato da qualche mese, quando il ventenne Silvio Jermann fece uscire in commercio la prima annata di Vintage Tunina il cui nome fa riferimento ad Antonia (in dialetto Tunina), precedente proprietaria del vigneto da cui provengono le uve che, si dice, fosse una delle amante più belle e povere di Giacomo Casanova. 
Il Vintage Tunina, da sempre, è un uvaggio (cioè le uve vengono vinificate assieme) di chardonnay, sauvignon, ribolla gialla, malvasia istriana e picolit anche se, e questo aneddoto ce lo racconta Cernilli, la prima annata uscì come.....Pinot Bianco! No, nessuna eccezione alla regola ma solo un "piccolo" sbaglio del vivaista di Jermann che anzichè pinot stava consegnando viti di chardonnay andando a comporre il mosaico della "mitica" vigna del Tunina localizzata sotto il Monte Fortino, a Villanova di Farra.
La ricetta originale del vino prevede una raccolta leggermente tardiva delle uve, una vinificazione che prevede la fermentazione malolattica e, cosa spesso travisata anche dai fini palati, un affinamento che NON prevede l'uso di barrique.

Silvio Jermann - Foto:http://www.empsonusa.com

Qualche giorno fa, con alcuni amici, bevuto il Vintage Tunina 1997. Quando uscì sul mercato avevo 23 anni e circa 40 quando preso la bottiglia dalla mia cantinetta termocondizionata e l'ho stappata.

Lo giuro, non avevo grandi aspettative sul vino o, meglio, storco sempre il naso quando stappo i c.d. "vini mito italiani" perchè mi è capitato di andare incontro a grandi delusioni. Già, sono un pò allergico alle aspettative date da un certo tipo di giornalismo.

Stavolta, invece, le cose sono andate nel verso giusto e davanti a me, ho un vino dal colore giallo paglierino brillante, carico, rilucente di vivida freschezza. Ed io che mi aspettavo un Tunina quasi ossidato.....


Anche al naso la terziarizzazione dei profumi che mi sarei aspettato è un lontano ricordo, il Tunina è ancora freschissimo, giovane, ricco di un quadro olfattivo dove le sensazioni di ginestra e sambuco si intrecciano con aromi più duri di calce e gesso. La frutta gialla, ben matura e succosa, arriva solo alla fine creando una cornice odorosa di grande eleganza.

La bocca, oh sì, è la bocca ad essere sorprendente perchè, nonostante i suoi 14 anni, il Tunina è ancora ricchissimo di tensione che crea strade alternative e parallele ad un equilibrio gustativo circense. Finale sapido, minerale, a tratti agrumato. 
Un vino immenso che sembra avvolto in un liquido amniotico che potrà preservarlo dal mondo esterno per chissà quanto tempo. 


Piccola curiosità finale: Luigi Veronelli, nel 1976, aveva descritto il Vintage Tunina come il "Mennea dei vini italiani". Il Maestro, come sempre, ci aveva visto lungo!



Giobatta Mandino Cane - Rossese di Dolceacqua Vigneto Arcagna 1989

Giobatta Mandino Cane ancora non l'ho incontrato personalmente ma, se giri per le impervie strade di Dolceacqua, non è difficile incontrarlo con la sua bicicletta nonostante abbia superato da un pezzo gli ottanta anni di età.

Da poco tempo ha lasciato la sua attività di produttore di vino, non ce la faceva più a gestire il lavoro e la fatica dei vigneti per tante ore. In Liguria, si sa, la viticoltura è eroica e quelle pendenze potrebbero fiaccare anche i più giovani. La burocrazia asfissiante e la crisi economica, poi, hanno dato il colpo di grazia finale e così, dopo quasi 40 anni, nel 2009, ha deciso di far uscire la sua ultima annata.

Mandino Cane, assieme a Nino Perrino, Mario Maccario, Enzo Guglielmi, Emilio Croesi, Rodolfo Biamonti, Arnaldo Biamonti, Renato Amalberti e Claudio Rondelli (mi scuso se ne dimentico qualcuno) è un vero e proprio caposaldo della denominazione e, senza paura di smentite, posso tranquillamente dire che l'attuale Rossese di Dolceacqua non sarebbe nulla senza il lavoro e la testardaggine di questo gruppo di pionieri che non hanno mai mollato, creando qualità, spesso sottovalutata, nonostante il mondo cercasse di cambiare il loro modo di produrre vino.

Una delle bottiglie della cantina

Si parlava proprio di questo, seduti al tavolo del Ristorante Hotel Terme di Castel Vittorio, mentre scorrevamo la carta dei vini curata da Claudio Lanteri che, amando il territorio più di se stesso, mantiene da anni una cantina "personale" che trasuda amore e storia. Gli avevamo chiesto di poter bere qualche vecchio Rossese di Dolceacqua e lui, col ghigno di chi la sa lunga, ci porta su, tra i vari, il Rossese di Dolceacqua Vigneto Arcagna 1989 di Mandino Cane

Senza passato non c'è presente nè futuro!

Al tavolo ci guardiamo tutti negli occhi. Cluadio legge nelle nostre menti, sa cosa vogliamo perchè ne parlavamo prima...


La sua veste cromatica color "moneta da cinque centesimi" non faceva presagire nulla di buono e anche l'olfatto, almeno inizialmente, non aveva una complessità da strapparsi i capelli. Non demordo e aspetto.

Nel frattempo ripenso a Mandino Cane, chissà cosa penserebbe di noi se sapesse che stiamo qua davanti alla sua bottiglia, estasiati, a contemplare il suo Rossese di Dolceacqua di quasi un quarto di secolo di età....

Amo quando lo scorrere del tempo non inganna le attese.

Il vino dopo circa mezzora si apre, la farfalla esce dalla crisalide e apre le ali. Non è tanto la parte olfattiva a disegnare arcobaleni terziari, quanto la gustativa che colpisce ed incanta per l'assoluta integrità del vino che è ancora scalpitante, pieno di un'energia che riempie il palato corroborato da una vivacità acida commovente. E' un vino che non ha perso ancora la giovinezza: fruttato, minerale e sapido, chiude lunghissimo.

Al tavolo ci guardiamo tutti, siamo quasi commossi e, nel mentre, guardiamo fuori dalla finestra. Vorremmo scorgere un uomo in bicicletta che ha donato al suo territorio, e alla storia, un piccolo grande capolavoro.

Grazie, da tutti noi.

In Francia anche il vino è in austerity


In tempi di austerità persino il vino viene centellinato all'Eliseo. L'obiettivo è ridurre il budget del palazzo presidenziale a 100 milioni di euro entro il 2015 contro i 101 milioni di euro attuali, tra ulteriori tagli al personale e alle spese di funzionamento. Così, persino il vino è bevuto fino all'ultima goccia: per non dovere gettare le bottiglie aperte e non finite durante i ricevimenti, il sommelier di palazzo si è dotato di tappi speciali che permettono di conservare il contenuto fino al pasto successivo. Secondo le cifre del deputato René Dosiere, specialista delle finanze dello Stato, l'Eliseo spende oggi circa 250.000 euro l'anno in vino, una cifra che sarà sicuramente rivista al ribasso nei prossimi anni. Lo scorso maggio la presidenza aveva messo all'asta 1.200 bottiglie di vino pregiato, cioè un decimo della sua cantina, per sostituirle con vini meno costosi e versare il ricavato eccedente della vendita (che ha totalizzato circa 300 mila euro) nelle casse dello Stato.

Le spese della presidenza francese, secondo quanto rende noto radio Europe 1, sono già diminuite di 11 milioni di euro rispetto al 2011. Dall'inizio del suo mandato nel maggio del 2012 infatti, il presidente Francois Hollande ha ridotto l'organico dell'Eliseo da 882 a 836 dipendenti, cioè 46 persone in meno, e anche il suo gabinetto è passato da 52 a 40 membri. In questa corsa al risparmio, la presidenza sta pensando di fare pagare l'affitto a partire dal 2015 ai suoi 62 dipendenti che sono alloggiati gratuitamente in un palazzo vicino.

Nel mirino ci sono anche gli spostamenti del capo dello Stato all'estero, con hotel meno lussuosi e delegazioni al seguito meno numerose. In particolare sono solo 10 persone e non più 15 come all'epoca del suo predecessore Nicolas Sarkozy a preparare una visita di Stato ufficiale viaggiando in classe economica e non più in business, e soggiornando in alberghi di classe media.

Il costo del tradizionale viaggio all'Onu costa ormai 800 mila euro contro il milione di un tempo, quello di un vertice europeo viene la metà mentre quello di un incontro franco-tedesco è ridotto di un quarto.

Grazie a una buona gestione delle spese di cancelleria si sono inoltre potuti risparmiare ben 170.000 euro l'anno. Tra le altre operazioni anti-crisi: videoconferenze al posto dei lunghi spostamenti in aereo, meno auto blu, e supermercati low-cost.


Fonte: Ansa. Articolo di Aurora Bergamini

Il Roero, un territorio da scoprire. Seconda parte: il nebbiolo e il Roero DOCG

Dopo aver parlato di Roero "in bianco" con la degustazione di due ottimi Arneis, la nostra seconda tappa alla scoperta del territorio vinicolo avrà il compito di svelare tutti i segreti del vitigno principe del Roero: il Nebbiolo.
Coltivato da secoli nel territorio, la presenza di Nebbiolo nel Roero è ampiamente testimoniata da documentazioni commerciali e notarili delle casate nobili che attribuivano sempre ad uve e vigneti di Nebbiolo un valore almeno doppio rispetto alle altre.
Fin dal '700, nelle cantina dei conti di Guarene, se ne produceva di tipo dolce e amabile, oltre a quello secco, ma soprattutto all'inizio del '900, in piena Belle Epoque, il Nebbiolo del Roero veniva utilizzato come base per produrre gli spumanti rossi dolci allora di gran moda. E ancora negli anni '50 se ne poteva trovare di frizzante amabile.
A differenza dell'Arneis, il Roero a base Nebbiolo non ha mai avuto "cali di tensione" e, come il celebre vino bianco piemontese, ha ricevuto la DOCG nel 2004.
Scorrendo il disciplinare di produzione è possibile notare che il Roero, anche nella versione Riserva, è costituito da nebbiolo per almeno il 95% con un possibile 5% di  uve provenienti da vitigni a bacca rossa non aromatici idonei alla coltivazione nella Regione Piemonte.


Nebbiolo - Foto: Agraria.com

La zona di produzione coincide ovviamente con quanto scritto per il Roero Arneis per cui interessa per intero il territorio amministrativo dei comuni di: Canale, Corneliano d'Alba, Piobesi d'Alba, Vezza d'Alba ed in parte quello dei comuni di: Baldissero d'Alba, Castagnito, Castellinaldo, Govone, Guarene, Magliano Alfieri, Monta', Montaldo Roero, Monteu Roero, Monticello d'Alba, Pocapaglia, Priocca, S. Vittoria d'Alba, S. Stefano Roero, Sommariva Perno.

Il disciplinare stabilisce un titolo alcolometrico volumico naturale minimo di 12.5 % Vol. e che tutte le operazioni di vinificazione, invecchiamento e imbottigliamento, debbono essere effettuate nella zona DOCG, con autorizzazione ad estenderla nei comuni di Alba, Bra, Barbaresco, Barolo, Castiglione Falletto, Cherasco, Diano d'Alba, Grinzane Cavour, La Morra, Monchiero, Monforte d'Alba, Montelupo Albese, Neive, Novello, Roddi, Roddino, Serralunga d'Alba, Sinio, Treiso e Verduno.


Zona di produzione

A differenza del Roero Arneis per il quale non era previsto un periodo di invecchiamento minimo, il legislatore ha disciplinato che il Roero debba effettuare almeno 20 mesi di invecchiamento (di cui almeno 6 in legno) mentre il Roero Riserva deve affinare almeno 32 mesi (di cui almeno 6 in legno).

E' consentita a scopo migliorativo l'aggiunta, nella misura massima del 15%, di vino rosso «Roero» piu' giovane a vino rosso «Roero» piu' vecchio o viceversa, anche se non ha ancora ultimato il periodo di invecchiamento obbligatorio. 

Grazie ad Armando Castagno, come sempre ottima guida nel campo del vino (e non solo), abbiamo degustato sei Roero, comprese tre tipologia Riserva, di produttori più o meno conosciuti, ognuno col suo stile, ognuno col suo passato, presente e futuro.

Fabrizio Battaglino - Roero "Sergentin" 2011: questi produttore semi sconosciuto, con vigne nella sabbiosa Vezza d'Alba, si presenta con un profilo olfattivo leggermente boisé a cui seguono intriganti sensazioni di pesca nettarina, fragola, sale. La sapidità è abbastanza importante in bocca dove quasi nasconde il frutto del nebbiolo. Finale leggermente amaro che spero il tempo possa levigare. Affinamento in botti di allier sia nuove che di secondo passaggio.



Giovanni Almondo - Roero Bric Valdiana 2010: altro piccolo produttore, questa volta con vigne a Montà, che produce un Roero molto territoriale e varietale grazie alla splendide sensazioni floreali di violetta che, col tempo, virano verso il catrame, il rabarbaro, il balsamico e l'humus. Tannino molto evidente, tignoso, appena rinfrescato dalla vena acida. Contratto a centro bocca è ancora troppo segnato dal legno. Affinamento: 12 mesi in barrique di rovere francese e 8 mesi in botte grande.



Filippo Gallino - Roero 2009: con le sue vigne piantate nel terroir di Canale, Gallino produce un Roero quasi spiazzante visto che il suo corredo aromatico è composto essenzialmente da odori lagunari, frutta sotto spirito, pomodori secchi e origano. L'annata torrida probabilmente non lo ha aiutato anche se, in bocca, il nebbiolo gioca un'altra partita essendo molto meno evoluto di quanti ci si aspetterebbe. Forse qualche ruvidità in più ma l'allungo è ottimo ed austero. Affinamento: 12 mesi in barrique di rovere francese e 4/5 mesi acciaio.


Cascina Ca' Rossa - Roero "Mompissano" Riserva 2010: l'azienda della famiglia Ferrio, situata a Canale d'Alba, produce un  Roero Riserva di grande attrazione grazie alla presenza di odori di fiori blu, pesca, ciliegia,  sottobosco. Sorso austero, lungo, sapido, con tannino presente ma non sgranato che dona la giusta ruvidità a questo nebbiolo del Roero. Finale teso e minerale. Affinamento: 30 mesi in botti di rovere di Slavonia, assemblaggio in acciaio inox e 4 mesi in bottiglia.

Matteo Correggia - Rochè D'Ampsèj Riserva 2009: Matteo Correggia è un vignaiolo che ha creduto moltissimo nel suo territorio e, nonostante non ami molto lo stile dei suoi vini, il Rochè D'Ampsèj può essere annoverato tranquillamente come uno dei vini simbolo del Roero. Ha un naso segnato ancora dalla presenza di legno con rimandi aromatici alla scatola di sigari e alla frutta rossa. Compresso anche al sorso dove la succosità del vino arriva fino a centro bocca per poi dileguarsi rapidamente. L'annata non aiuta certamente visto che in giro si trovano versioni decisamente migliori. Affinamento: 18 mesi barrique nuove, assemblaggi in inox e 24 mesi di bottiglia.


Azienda Agricola Malvirà - Trinità Roero Riserva 2008: i fratelli Damonte, la cui azienda ha sede a Canale d'Alba, producono tre Cru di Roero Riserva: Mombeltramo, Renesio e, appunto, il Trinità il cui terreno è formato da sabbie ed argilla, con esposizione sud - sud/ovest, e prende il nome dalla piccola cappella dedicata alla SS. Trinità.  Naso di grande complessità e respiro, ha influssi floreali, di carcadè, di terra, liquirizia, menta e metallo fuso. Bocca nebbiolesca, granitica, austera, decisamente lunga e sapida. Un grande vino, il migliore della batteria. Affinamento: in fusti di legno per 24 mesi e in bottiglia in per 12 mesi.


Il Roero, un territorio da scoprire. Prima parte: l'Arneis e il Roero Arneis DOCG

Il Roero è un territorio ancora troppo sottovalutato da noi appassionati di vino che molto probabilmente siamo distratti dalle Langhe, suo vicino di casa ingombrante. 
Geograficamente, infatti, il Roero fiancheggia la sponda sinistra del Tanaro,  fiume che separa dalle Langhe i ventitré comuni del Roero, fino a lambire le province di Torino e di Asti. 
Il nome del territorio deriva dalla nobile famiglia astigiana dei Roero che, durante il Medioevo, possedevano gran parte dei terreni e dei castelli in zona.



Il territorio, una volta coperto dal mare che lambiva le Alpi, è caratterizzato da un panorama costituito da morbide colline e ambienti selvaggi grazie alla presenza delle splendide Rocche del Roero, una frattura lunga 32 km, che la leggenda vuole essere originate da Belzebù, nata geologicamente dalla c.d. "cattura del Tanaro". Di che si tratta? Beh, circa 250.000 anni fa il fiume scorreva verso nord-ovest e confluiva nel Po all'altezza di Carignano. Tuttavia, durante il Quaternario Superiore, una serie di eventi tettonici portarono ad un profondo mutamento di tutto il territorio: in particolare un corso d’acqua estraneo che scorreva in direzione est nei terreni dell’Albese (dove oggi scorre il Tanaro) cominciò ad erodere sempre più il terreno fino a catturare e deviare il Paleo-Tanaro che si mise a scorrere verso l'Alessandrino prosciugando completamente la sua vecchia sede. La nuova confluenza del Tanaro, trovandosi circa 100 metri più in basso rispetto la precedente, generò un intenso ciclo di erosione che creò forre profonde e calanchi pittoreschi che oggi chiamiamo Le Rocche.
Tanaro e Stura confluiscono verso Nord in direzione di Carmagnola
Parte delle acque del Tanaro imbocca la nuova via coinvolgendo la Stura. 

I due fiumi scorrono ormai definitivamente verso Est

Le Rocche del Roero oggi - Foto:www.arsvivendiclub.it

Questo significa che il sottosuolo è formato prevalentemente di sabbie anche se non mancano importanti eccezioni che rendono eterogeneo il territorio dal punto di vista geologico. 

Schematizzando abbiamo quattro tipologie di terreno, precisamente:

Astiano: con prevalenza di sabbia. Domina incontrastato in molti comuni del Roero, praticamente tutti quelli con le cosiddette “Rocche”. E’ caratterizzato dalla presenza di numerosi fossili marini, quali pettini e ostriche, talora disposti in banchi, si trovano pure echinodermi e crostacei;

Piacentino: con tufo e argille bluastre – comuni di Piobesi, Vezza, Priocca;

Messiniano: con sabbie e marne calcaree – comuni di Santa Vittoria e Govone;

Tortoniano: con marne argillose – calcaree grigio – bluastre ben stratificate.

Fossili trovati nei vigneti di Giacosa

Il territorio del Roero si estende per circa 420 kmq e contiene 23 comuni e frazioni. Le uve principalmente coltivate in zona sono l'Arneis (bacca bianca) ed il Nebbiolo (bacca rossa) seguite da altre varietà tradizionali come Barbera, Favorita e Brachetto. Chardonnay, Cabernet Sauvignon e Merlot sono presenti in piccole percentuali.

L'Arneis, da cui deriva il Roero Arneis DOCG, è un vitigno le cui origini sono avvolte nel mistero: molti fanno risalire il nome al termine dialettale piemontese "arnais/arneis" che significa appunto scontroso, irascibile, mentre altre fonti lo riconducono al termine "renexij" con cui nel XV secolo si indicava il vitigno Arneis, dal nome del bric Renesio posto alle spalle del paese di Canale.

Molto in voga tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900 dove veniva chiamato anche Nebbiolo bianco, vinificato spesso dolce, ha subito una crisi di identità subito dopo la seconda guerra mondiale tanto che alla fine degli degli anni '60 era piantato in pochi ettari di vigneto vicino ai filari di Nebbiolo la cui uva era "protetta" dall'Arneis che grazie alla precoce maturazione e agli acini molto dolci attirava verso di sé tutti gli uccelli solitamente predatori di uva a bacca nera.
E' grazie alla crisi del Gavi e alla lungimiranza di alcuni produttori che l'Arneis ha ripreso grande visibilità tanto che negli ultimi anni il vigneto nel Roero è coltivato per circa 750 ettari con oltre 5 milioni di bottiglie vendute.


Grappolo di Arneis - Foto: Deltetto.com

Analizzando il disciplinare di produzione si nota che il Roero Arneis, DOCG nel 2004, viene prodotto nei comuni di Canale, Corneliano d'Alba, Piobesi d'Alba, Vezza d'Alba ed in parte quello dei comuni di Baldissero d'Alba, Castagnito, Castellinaldo, Govone, Guarene, Magliano Alfieri, Montà, Montaldo Roero, Monteu Roero, Monticello d'Alba, Pocapaglia, Priocca, S. Vittoria d'Alba, S. Stefano Roero e Sommariva Perno con un 95% minimo di uva Arneis con un restante 5% legato all'uso uve a bacca bianca autorizzate e non aromatiche piemontesi.
Prodotto anche in versione spumante, deve avere un titolo alcolometrico volumico naturale minimo di 10.5 % Vol. e, a scopo migliorativo, è consentita l'aggiunta massima del 15%, di vino bianco "Roero" Arneis più giovane a vino bianco "Roero" Arneis più vecchio o viceversa. Tutte le operazioni di vinificazione, invecchiamento e imbottigliamento, debbono essere effettuate nella zona DOCG, con autorizzazione ad estenderla nei comuni di Alba, Bra, Barbaresco, Barolo, Castiglione Falletto, Cherasco, Diano d'Alba, Grinzane Cavour, La Morra, Monchiero, Monforte d'Alba, Montelupo Albese, Neive, Novello, Roddi, Roddino, Serralunga d'Alba, Sinio, Treiso e Verduno.
Al contrario del Roero e del Roero Riserva, il disciplinare del Roero Arneis nulla stabilisce in termini di invecchiamento minimo del vino.

Con Armando Castagno abbiamo degustato due rappresentazioni abbastanza significative di Roero Arneis 2012

Bruno Giacosa Roero Arneis 2012:  vino molto lineare e ben definito nelle sue fragranze agrumate e fruttate di pera e mela seguite da tocchi di anice e citronella. Ha un grande respiro gessoso e territoriale e al sorso si conferma vibrante, più sapido che acido. Finale con importanti ritorni di pera Williams.


Foto: www.englewoodwinemerchants.com

Deltetto Roero Arneis "San Michele" 2012: di questo produttore, lo ammetto, non sapevo moltissimo per cui, dopo essermi informato, ho scoperto che l'azienda, fondata nel 1953 a Canale, capitale storica del Roero, può vantare oggi 20 ettari di vigneto di cui il San Michele, vecchie viti di Arneis, rappresenta il principale Cru per i bianchi. Rispetto al Giacosa il vino ha più estrazione, ha un tessuto a maglia più stretta che tiene ben imprigionata la vigorosa materia caratterizzata stavolta da un maggior apporto di frutta a pasta gialla (pesca) e da una materia agrumata meno intensa. I profumi netti, ben incorniciati da soffi di pietra pomice, li ritrovo anche al sorso, strutturato, e ben equilibrato da una acidità sferzante che stavolta surclassa una sapidità abbastanza latente. Buona spinta finale.


Foto: deltetto.com

Del vino rosso e del suo invecchiamento

Che il vino si conservasse meglio in cantina piuttosto che in appartamento già si sapeva. Ma ora dalla Fondazione Edmund Macharriva un’importante conferma scientifica che spiega perché e quanto l’età chimica cambia nei diversi ambienti facendo scoprire inaspettate reazioni e nuovi composti. Stando alla ricerca, intitolata “L’influenza della conservazione sull’età chimica dei vini rossi” e pubblicata in questi giorni sulla rivista Metabolomics, nella tipica conservazione domestica l’età chimica del vino accelera di ben quattro volte: molte decine di composti cambiano concentrazione partecipando a reazioni indotte dalla temperatura. In particolare la conservazione domestica induce la formazione di composti, mai osservati prima, che nascono dall’unione tra i tannini e l’anidride solforosa, e una classe di pigmenti del vino, denominata “pinotine”, che fa evolvere il colore del vino verso toni più aranciati. Aumentandone, appunto, l’età chimica.

Foto: monsieurzebre.com

Ricerca finanziata dal ministero, 400 bottiglie di vino monitorate
La ricerca, svolta all’interno del progetto Qualità alimentare e funzionale “Qualifu” finanziato dal ministero per le Politiche agricole, alimentari e forestali, ha permesso di seguire per due anni l’evoluzione di 400 bottiglie di Sangiovese, vino tipicamente da invecchiamento, conservato in vetro scuro con tappo di sughero naturale. Duecento bottiglie sono state collocate nella cantina aziendale della Fondazione Mach, ad una temperatura costante tra i 15 e i 17 gradi e con umidità del70 per cento; le altre duecento sono state collocate in condizioni simulanti la conservazione domestica, al buio, con una temperatura oscillante, secondo le stagioni, tra 20 e 27 gradi. I vini sono stati campionati ogni sei mesi.
La ricerca si è svolta nei laboratori di metabolomica dotati di strumenti che consentono di misurare contemporaneamente l’evoluzione di circa un migliaio di composti presenti nel vino, e si è avvalsa della collaborazione delle cantine (sia sperimentale che aziendale) della Fondazione Mach. E’ stata condotta dai ricercatori Panagiotis Arapitsas, Daniele Perenzoni e Andrea Angeli, e da Giuseppe Speri, nell’ambito della sua tesi sperimentale in viticoltura ed enologia.

“Sei mesi in appartamento fanno raggiungere al vino un'età chimica che corrisponde a un affinamento di due anni nelle condizioni ideali di cantina” spiega Fulvio Mattivi, coordinatore del Dipartimento qualità alimentare e nutrizione, e autore della pubblicazione. "Produttori, ristoratori, enoteche e distributori dovrebbero verificare se i loro localisiano idonei alla conservazione ottimale dei vini, specie nei mesi caldi, e in caso contrario valutare quale sia la conservazione massima da non superare, se queste condizioni ideali non possono essere assicurate. Bastano pochi gradi in più per rendere un locale non idoneo a una conservazione prolungata".

La conservazione induce reazioni e crea nuove classi di composti
Durante la conservazione si verificano numerose reazioni chimiche la cui velocità è indotta dalla temperatura. Nel vino conservato in ambiente domestico la colorazione diventa più aranciata e l’anidride solforosa, conservante presente in tracce nei vini, si combina con il tanninoformando una classe di composti, mai osservata prima, di derivati solfonati di catechine e procianidine, favorendo un precoce invecchiamento del vino. Un altro dato interessante emerso dalla ricerca è che, per quanto riguarda i composti di valenza salutistica, in due anni gli antociani (ossia i pigmenti rossi estratti dall’uva) sono diminuitinell’ordine del 30 per cento in cantina e dell’80 per cento in ambientedomestico. La temperatura induce l’idrolisi dei flavonoli glicosidi, in particolare dei derivati della quercetina, e porta alla diminuzione di svariati composti, tra cui l’acido pantotenico (vitamina B5).

Fonte articolo: AgroNotizie

Yahoo Answers e il vino: altro giro, altre stronzate...

Ogni tanto, per rendere la giornata meno pesante, leggo Yahoo Answers e torna presto il sorriso per le risposte che leggo le quali, in maniera inequivocabile, danno idea dell'ignoranza che giro ancora in materia.

Volete un esempio? Eccolo!!!

Qual è il vino che vi piace di più?

-Klepto - ha risposto a

Dipende... 

Come apertivo spesso amo sorrseggiare del Barbera Bariccato (per chi non l'ha mai provato lo consiglio vivamente) 

Con gli antipasti nulla è meglio di un Prosecco 

Con il pesce amo i vini bianchi freschi 
Falanghina 
Vermentino di Sardegna 
Passerina 
Gustav Traminer 
EST EST EST 
Muller Thurgau 
Con la carne: 
Amarone a parte (che adoro ma non è per ogni carne ma ci vuole qualcosa di "degno") 
-Re Fosco 
-Toreldego 
-Cannonau 
-Brunello 
-Morellino di Scansano 
-Lacrima di Moro 
-Nero D'avola 
-Negromaro 

Non vi basta? E allora eccovene un'altra!!
Vino in polvere...come riconoscerlo?
ciao a tutti,se sui lati di una bottiglia vuota(e anche nel bicchiere) ci sono evidenti tracce di una polverina(tipo zucchero),può essere che ci abbiano rifilato del vino in polvere?(questa polverina aveva un gusto salato...tipo aulin..) premetto che ci trovavamo in un ristorante a livigno e che sul vino(della casa) c'era solamente scritto "terrazze retiche di sondrio-indicazione geografica tipica".nel caso,dovrebbero dirlo o possono spacciartelo per vino locale senza dirti niente?..grazie...
Gli ho risposto io: Flatrix se chiamano tartratiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii


Com'è possibile che sia la birra da 33 che quella da 66cl?

dobbiamo ha posto la domanda 14 ore fa - 
3 giorni rimanenti per rispondere
abbiano la stessa gradazione alcolica quando in una c'è il doppio della birra dell'altra?