Verdicchio 2006: una panoramica con il gruppo EnoRoma

La prima uscita ufficiale del gruppo EnoRoma, appena creato su Facebook, è stata suggellata da un'interessante panoramica sull'annata 2006 del Verdicchio, Matelica e Castelli di Jesi, che sta riservando emozioni crescenti perchè, lo diciamo subito, il millesimo è davvero promettente.

Grazie ad Alessio Pietrobattista, che ha procurato le bottiglie, abbiamo giocato creando vari round di degustazione, con tre eccezioni, dove solo un verdicchio poteva avere la meglio. Ecco come è andata.

Brut Metodo Classico riserva Verdicchio 2005 "Ubaldo Rosi" 2006 - Colonnara: questa ottima cooperativa sociale di Cupramontana "sforna" in questo millesimo uno spumante metodo classico emozionante. E' ancora in fasce, arroccato su se stesso su sensazioni minerali che stentano a cedere altro sia al naso che al palato dove la progressione salina è netta. Grande futuro, basta solo aspettare.

Foto: Andrea Federici

Verdicchio dei Castelli di Jesi Cl. Sup. "San Michele" 2006 - Vallerosa Bonci: dopo averlo bevuto mi è venuta in mente la famosa pubblicità della Pirelli che aveva come slogan il seguente: la potenza non è nulla senza controllo.

Iniziamo i veri e propri round di degustazione

Fonte: justnapoli.it

Verdicchio dei Castelli di Jesi "Santa Maria d'Arco" 2006 - Ceci: davvero una sorpresa per questo verdicchio poco conosciuto che invece, complice l'annata, si propone di grande equilibrio, quasi didattico con un bagaglio aromatico ben definito tra agrumi e mineralità. Bocca sapida, fresca, equilibratissima. Grande beva.

Verdicchio di Matelica "Collestefano" 2006 - Collestefano: il solito grande verdicchio. Questo millesimo fornisce al vino un vigore acido molto pronunciato, rispetto al precedente verdicchio questo sembra giocare una partita per conto suo, tutte le sensazioni sono quasi estremizzati su una scala gusto-olfattiva superiore di almeno tre toni. Il suo equilibrio è davvero una scomessa riuscita-

 Vittoria ai punti per il Collestefano, uno dei migliori rapporti q/p italiani.

Foto: Andrea Federici

Altro round, questa volta a quattro.

Verdicchio dei Castelli di Jesi "Pietrone" 2006 - Vallerosa Bonci: rispetto al San Michele sembra più domato nonostante sia un vino da uve surmature. E' pieno, rotondo, cremoso, ma non riesce ad emozionarmi come dovrebbe.

Verdicchio dei Castelli di Jesi "Podium" 2006 - Garofoli: inizialmente parte sottotono, alla cieca non riesco a riconoscerlo. Poi, col tempo, comincia la sua progressione ed esce la sua classe innata col solito mix tra sensazioni fruttate, vegetali e minerali. Chisura lunghissima, amaricante, sapida.

Verdicchio di Matelica "Mirum" Ris. 2006 - Fattoria La Monacesca: siamo di fronte ad un grandissimo Verdicchio senza se e senza ma. Vino tridimensionale dove potenza, classe ed ampiezza brillano sotto lo stesso cielo. Le sue sensazioni di polline, biancospino, anice, pesca gialla, accompagnati dalla preziosa mineralità si intersecano con una struttura di avvolgente personalità. Beva compulsiva. Non manca nulla a questo vino.

Verdicchio dei Castelli di Jesi "Misco" Ris. 2006 - Tenuta di Tavignano: vino molto simile al precedente per struttura ma, rispetto al Mirum, a mio giudizio, manca un pò di profondità e personalità. Attenzione, è un grandissimo verdicchio, magari ad avercene, ma nella batteria arriva terzo anche dietro il Podium.

Vittoria per il Mirum

Foto: Andrea Federici

Altro round!!

Verdicchio dei Castelli di Jesi "Le Giuncare" Ris. 2006 - Monteschiavo: molto fruttato, tratti tripicali, di cedro, sambuco. Bocca molto morbida, fresca, sapida. Da una riserva mi aspetto di più, anche in questo caso non sono impazzito per il vino.

Verdicchio dei Castelli di Jesi Cl. "Serra Fiorese" Ris. 2006 - Garofoli: c'è chi lo ama per la sua morbidezza, chi lo odia per alcuni eccessi burrosi, chi lo contrappone al Podium, chi ne berrebbe a secchi come me perchè ogni volta si stupisce di come un verdicchio possa andare d'accordo con il legno che, in questi casi, non copre ma offre complessità ed esalta gli aromi iodati e vegetali (erbe di campo) del vino. Godurioso.

Verdicchio dei Castelli di Jesi Cl. "Villa Bucci" Ris. 2006 - Bucci: purtroppo la bottiglia non era a posto, una nota grafitica copriva troppo il quadro aromatico del vino che tutti sappiamo essere di grande complessità e vivacità. In bocca si può solo capire il potenziale del vino.

Verdicchio dei Castelli di Jesi "Selezione Gioacchino Garofoli" Ris. 2006 - Garofoli: telegraficamente trattasi di uno dei migliori Verdicchio degli ultimi anni e, quasi probabilmente, uno dei migliori vini bianchi italiani usciti. STOP.

Vittoria, per manifesta superiorità, per la Selezione Gioacchino Garofoli

Fonte: il sole 24 ore

Chiudiamo la serata con un ottimo Verdicchio dei Castelli di Jesi "Brumato" di Garofoli, un passito da verdicchio morbido ed avvolgente che conferma come questo vitigno sia poliedrico e comunque interessante.

Il ringraziamento finale va ad Andrea Dolciotti, chef di Inopia, che ci ha accolto nel suo ristorante preparandoci una cena degna del valore dei vini abbinati. Il menù prevedeva una zuppa di fagioli con polpo piastrato e alloro, la Carbonara, un succulento filetto di maiale alle erbe e un dolce di zucca e caffè che fa molto Novembre.

Grazie a tutti! 


Walter Massa, il Timorasso, la Barbera e Roma: storia di una verticale indimenticabile

Di Walter Massa avevo scritto molto in questo post per cui oggi non vorrei aggiungere molto altro rispetto a quanto ci aveva dichiarato nei vari video.
Quello che mi preme, ora, è cercare di dipanare il filo emozionale che ancora mi imprigiona mentre scrivo questa righe ripensando al 19 ottobre, quasi un mese fa, quando sono riuscito a portare a Roma Walter Massa per una quadrupla mini verticale dei suoi vini che, oltre ai vari Derthona, Sterpi e Costa del Vento, prevedeva anche il Monleale, il suo barbera DOC. Si sappia, in anticipo, che da quelle parti si fanno anche grandi rossi. La verticale prevedeva:

Timorasso "Derthona" 2005: il suo vino "base"in questo millesimo offre un olfatto molto consistente di frutta tropicale matura, cedro per poi aprirsi in sensazioni floreali di ginestra e un tocco di buona mineralità di fondo. Bocca inconfondibilmente sapida, minerale, ritorno di frutta e minerale.

Timorasso "Derthona" 2007: rispetto al precedente anno, questo timorasso si dimostra più verticale con un naso più secco, salmastro con tocchi erbacei e di agrume. In bocca è teso, diretto, corroborante, meno avvolgente del 2005. Ancora giovanissimo.

Timorasso "Derthona" 2009: naso di grande intensità ma ancora giovane, ritrovo la vena minerale, il tiglio, i fiori d'acacia, l'agrume non troppo maturo. Al palato è di buon equilibrio, la freschezza e sapidità del vino bilanciano ottimamente la struttura di un timorasso di buona vena alcolica. Da lasciare in cantina ancora per molto.

Fonte: http://www.cellartracker.com

Timorasso "Sterpi" 2005: questo Cru aziendale, da vigneto di circa un ettaro e mezzo prevalentemente sassoso e, un tempo, pieno di sterpi, nasce un timorasso di rara profondità. Il naso mi ricorda a tratti un grande riesling, sa di frutta matura, idrocarburi, sale, erbe. In bocca è un cavallo di razza che entra in punta di piedi e progredisce inesorabile per minuti.

Timorasso "Sterpi" 2007: se fossi in Francia scriverei che questo vino rappresenta il mio "coup de coeur". Davvero, ancora oggi, a distanza di giorni, posso avvertire le sensazioni di vibrante freschezza e mineralità di questo timorasso che per questa annata sembra essere estratto a freddo da quei sassi bianchi da cui nasce. Nonso come spiegarlo meglio ma c'è davvero un pezzo di microterritorio in questo sorso che rimane lungo, lunghissimo nella memoria.

Timorasso "Sterpi" 2008: rispetto al precedente manca un pò di slancio e di complessità. In questa fase la nota di frutta gialla matura e miele sono più preponderanti rispettao alla mineralità che rimane stavolta un pò in disparte. Si odono anche cenni di erba di campo. Rimane un gran vino e una grande bevuta.

Fonte: Enomania.it

Timorasso "Costa del Vento" 2006: è il primo Cru aziendale entrato in produzione, era il 1992 e Walter Massa stava creando quella che sarebbe diventata una vera e proprio rivoluzione culturale lanciando nel gota dei vini italiani il suo Timorasso. Al naso esprime mediterraneità, sa di timo, maggiorana, lentisco, poi esce la rotondità della frutta matura, del miele, del torrone bianco. La mineralità, la selce è solo accennata. Bocca coerente, ampia, persistente, buona la spina acida e la chiusura fruttata.

Timorasso "Costa del Vento" 2008: il quadro sensoriale si fa più minerale, c'è maggiore durezza in questo vino che si caratterizza per un naso ed un palato più minerale. Stavolta la frutta e l'erba sono messe in un angolo, come in castigo, e non riescono a penetrare come vorrebbero. Vino ancora giovanissimo che deve ancora arrotondarsi ma che promette, da grande, tanta personalità e profondità.

Fonte: enomania.it

Barbera "Monleale" 1997: come ama ripetere Massa, con la produzione di questo barbera si è partiti da zero, nessun riferimento di produzioni simili in zona, nulla da perdere, solo un microclima interessante e tanta voglia di sperimentare, di creare una strada, un faro, così come fatto per il timorasso. Il risultato? A bere questa versione di barbera affinata in botte piccola direi che l'obiettivo è stato raggiunto con successo. Profilo olfattivo complesso, apre su note di frutta rossa matura, corteccia, sottobosco, cannella, chiodo di garofano. Profondo il naso così come il palato dove il vino rimane succoso, avvolgente e con un supporto acido ancora corroborante. Un vino che non ti aspetti.
Barbera "Monleale" 2000: rispetto al precedente è più polposo, intenso, evidenz di frutti rossi, liquirizia e spezie nere. Palato molto dritto, teso, ancora ruvido nel tannino e con un'acidità ficcante. Chiude persistente, sapido, deciso.

Barbera "Monleale" 2003: l'annata calda si sente ma non troppo, il corredo olfattivo dona sentori di cioccolato bianco, lampone, liquirizia dolce, frutti di bosco. Bocca sapida, succosa, non enorme ma dritta e lunga. Un bel bicchiere, espressione del millesimo e della bravura di Massa ad interpretarlo.

Fonte: wine-searcher.com


Obama è una vittoria anche per il vino mondiale?

"La vittoria di Obama? Sicuramente una buona notizia per il mondo del vino, italiano e americano". Lo dice a Labitalia Edoardo Narduzzi, wine economist e presidente della società di consulenza Synchronya, nonché titolare di una rubrica ('Vino e Finanza') sul quotidiano 'Tre Bicchieri' del Gambero Rosso. Narduzzi spiega così l'affermazione: "Ci sono una serie di ragioni per cui il mondo del vino ha tifato per Obama presidente. La prima è riferibile al fatto che la piattaforma commerciale internazionale di Obama è più liberale ed è sicuramente in contrasto con quella più protezionistica e muscolare (soprattutto nei confronti della Cina) che prometteva Romney".

Fonte: Il  Foglio.it

"Il vino -spiega ancora l'esperto- è uno di quei beni già ad altissima regolamentazione negli scambi internazionali, e queste regole possono essere rese ancora più complesse da dazi e tariffe, che era quello su cui puntava Romney, anche per 'proteggere' il mercato interno. Romney pensava che il vino doveva essere solo americano, come pensava che le automobili dovessero essere nazionali, sparando a zero sull''italiano' cioè su Marchionne".
Ma la politica del repubblicano, spiega Narduzzi, "non tiene conto del fatto che l'America è il principale mercato vinicolo del mondo". "Negli Usa si compra più vino che in Francia e in Germania, anche se ovviamente, visto il numero di abitanti, il consumo pro capite è più basso".

Dunque, "è conveniente per tutti -riassume Narduzzi- anche per il vino italiano che il mercato americano rimanga aperto".
C'è poi da dire, aggiunge l'esperto, "che Obama ha vinto, in tutti e tre gli Stati della costa orientale produttori di vino, California, Oregon e Washington, confermando quanto da tempo si registra nel voto americano dove gli Stati oceanici (pacifici e atlantici) premiano i democratici, mentre quelli interni i repubblicani". Mentre sull'altra costa "Obama ha vinto anche in Virginia, altro Stato agricolo e vinicolo", aggiunge.

Insomma, anche il vino ha fatto la sua parte da 'grande elettore' nelle presidenziali statunitensi. "Negli ultimi anni -ricorda Narduzzi- l'economia vitivinicola è molto cresciuta sia in quantità sia in qualità. E basti pensare che tutte le riviste di vino più influenti al mondo sono americane, da 'Wine Spectator' a 'Wine Enthusiast', da 'Wine Advocate' a 'WineMaker'".

L'Aglianico del Vulture è donna!

Mi scuseranno Marina Alaimo, Luciano Pignataro, Lello Tornatore e tutte le belle e brave produttrici presenti a Tenuta Montelaura lo scorso 29 settembre ma, si sa, i miei appunti sono sparsi in tutta casa in un caos ordinato che spesso mi fa ritrovare ciò che cerco anche dopo mesi. Come in questo caso....
L'Aglianico del Vulture e le sue potenzialità ormai sono di dominio pubblico ma, forse, molti non sanno che in quella zona della Basilicata c'è un movimento nuovo attorno a questo vitigno e questa Doc, un fermento tutto rosa che prende il nome e le sembianze di queste produttrici: Eugenia Sasso, Sara Carbone, Emanuela Mastrodomenico, Elisabetta Musto Carmelitano, Viviana Malafarina, Elena Fucci.

Queste donne attualmente sono a brace ardente del Vulture e, grazie a loro, ho scoperto la bellezza dei loro Aglianico.

Aglianico del Vulture "Covo dei Briganti" 2008 Eubea: questa azienda famigliare può contare 15 ettari di vigneto, di 40 e 60 anni, nella zone di Barile e Ripacandida. I terreni sono vulcanici, magmosi, equilibratamente calcarei, dall'alta capacità drenante. Il Covo dei Briganti, che nasce da uno specifico vigneto posto a 600 metri con densità di 3500 ceppi/ettaro, è un vino ricco, esuberante, e il suo estratto, che arriva anche a 40 g/l, difficilmente può mentire. Al naso sa di frutto nero polposo, mineralità nera, pepe, un tocco di selvatico. Bocca austera ma al tempo stesso agile, c'è tanta acidità a sostenere la struttura del vino caratterizzata da trama tannica imponente e vellutata. Finale lungo di liquirizia. 

Eugenia Sasso. Fonte: Pignataro

Aglianico del Vulture "400 Some" 2008 Carbone: questa dinamica azienda possiede la maggior parte dei vigneti, impiantati negli anni’70, nella zona di Melfi, in località Piani dell’Incoronata e Montelapis, ad oltre 500 mt s.l.m. anche se, ultimamente, si sono aggiunti altri 8 ettari di aglianico e moscato in località Braide, sempre a 500 metri s.l.m.. I terreni sono di matrice vulcanica ed argillosa e non vengono usati diserbanti. Il "400 Some" rispetto al precedente ha un naso meno vigoroso, è più gentile, se lo annusi è tutto un rincorrersi di frutta croccante e fiori, cenere e macchia mediterranea. In bocca è fresco nonostante l'annata decisamente calda, il tannino è ben disposto e scivola via nel palato lasciando una lunga scia di frutta e spezie. 

Sara Carbone. Fonte: Pignataro

Aglianico del Vulture "Likos" 2008 Mastrodomenico: questa piccola azienda famigliare, dopo aver fornito uve alle maggiori cantine del territorio, ha deciso nel 2004 di produrre il proprio vino. I vigneti, circa 10 ettari in zona Barile, sono piantati su terreni tufaceo-vulcanici. Il loro Likos 2008 pur non avendo i tratti tipici della tradizionalità, vanta una profilo olfattivo interessante con cenni balsamici e mediterranei. In bocca è teso, elegante, ha un gradevole retrogusto di arancia sanguinella e spezie. Se vogliamo trovare il capello, forse il tannino è troppo verde per i miei gusti per cui vorrei risentirlo tra qualche anno per capire se può evolveree migliorare. Curioso di sentire il Likos in annate più fresche.

Emanuela Mastrodomenico. Fonte: Pignataro

Aglianico del Vulture "Serra del Prete" 2009 Musto Carmelitano: azienda biologica di circa tre ettari con sede a Maschito (PZ), vinifica separatamente le uve dei diversi vigneti aziendali: vigna di Pian del Moro (la parcella piantata 80 anni fa), vigna Vernavà (di 25 anni) e vigna di Serra del Prete (di 45 anni di età) da cui prende il nome l'omonimo vino. Al naso questo aglianico spara territorio come un fucile la cui polvere da sparo la puoi odorare appena il vino viene versato nel bicchiere. Oltre alla spiccata mineralità il profilo aromatico rimanda anche al catrame, alla viola appassita e alla frutta di rovo. L'incipit gustativo è ispirato alla freschezza e alla compattezza. Chiusura lineare e gradevole.

Elisabetta Musto Carmelitano. Fonte: Pignataro

Aglianico del Vulture "Teodosio" 2008 Basilisco: Viviana Malafarina è il volto femminile di questa storica cantina lucana che ultimamente è entrata a far parte dell'universo Feudi di San Gregorio. Il Teodosio, il loro aglianico "base", è vinificato in acciaio e matura circa un anno in barrique di secondo e terzo passaggio. Quello che ci è stato presentato vanta un profilo aromatico ferroso, quasi ematico, con un frutto un pò sottotono che, a cercarlo, prende la forma di una bella amarena succosa e matura. Bocca molto moderna, con tannino addomesticato e levigato. Ottima bevibilità e sapidità. 

Viviana Malafarina. Fonte: Pignataro

Aglianico del Vulture "Titolo" 2009 Elena Fucci: difficile trovare parole per Elena Fucci, non solo enologa di se stessa ma vero motore della sua piccola impresa familiare che vanta ancora la collaborazione in vigna di suo nonno Generoso che pianto per primo i vigneti nel 1971. Il Titolo è l'unico vino prodotto, un grande e premiatissimo aglianico del Vulture che in questa annata presenta un'impressione olfattiva cesellata che rimanda ai frutti di bosco, al sottobosco, al timo, alla mineralità tipica di Barile, alla viola essiccata. In bocca è già gustoso ed equilibrato con tannino ben integrato nella struttura abbastanza dinamica ed agile. Finale lungo segnato da sapori di prugna e mirtillo. Persistenza vulcanica!

Elena Fucci. Fonte: Pignataro

Termino questo post ringraziando ancora Lello Tornatore per la grande ospitalità, Angela Boccella per la "Maccaronara", Rita Pizza per la pancetta d'agnello "mbuttunata" e Rita Picariello per la crostata al Fiano di Avellino.

A presto, ragazzi! 

Vini in degustazione

Allegra compagnia



I Diesel in (s)vendita?!

Renzo Rosso acquistò la Diesel Farm nel 1994 e, pochi anni dopo, nel 2002, cominciò a produrre tre tipologie di vino: Rosso di Rosso ( Merlot + Carbenet Sauvignon, con percentuali variabili a secondo dell'annata), Bianco di Rosso ( Chardonnay in purezza) e, con la vendemmia del 2003, Nero di Rosso, 100% pinot nero.

Fonte: sito aziendale

I prezzi? In linea con quelli dei suoi jeans e, purtroppo, con quelli dei migliori vini mondiali.

Una strategia di di vendita, supportata dalla società di consulenza Winemarketing di Roberto Cipresso, che ha posto i vini della Diesiel Farm allo stesso livello di immagine del Sassicaia o del Masseto.

Durante questi anni molti si sono posti la seguente domanda:"Ma sti vini sò veramente boni oppure c'è tanto fumo o poco arrosto?".

Rispondo per me. 

I vini, organoletticamente, non mi hanno mai convinto, non me ne voglia tutto il team di produzione ma più che vini di pancia quelli di Renzo Rosso mi sembrano vino da laboratorio, costruiti per piacere ma troppo poco emozionante per chi, come me, ama legare un prodotto a tradizioni e territori e, in generale, a questioni puramente emozionali.
Forse la mia opinione potrebbe essere stata la stessa di tanti, forse la stessa Winemarketing di Cipresso sì è accorta di un pessimo rapporto q/p, fatto sta che qualche tempo fa, sorprendentemente, molti siti tipo Groupon hanno cominciato a (s)vendere i vini della Diesiel Farm scontandoli del 65%, portando il prezzo di vendita da 100 a 35 euro.


Attenzione, per me la quotazione è ancora alta perchè, comparando ad esempio il Nero di Rosso con altri pinot nero italiani, francesi a parte, i prezzi della Diesel sono ancora fuori mercato. Sono prezzi troppo modalioli che stonano con il contesto economico del momento.

Un esempio? Il pinot nero della Dalzocchio non supera i venti euro in enoteca.

Un'altra botta di Groupon e forse Renzo Rosso torna sulla Terra....

Fonte: style.it



Sangiovese Purosangue: il Brunello di Montalcino a Roma. Live!

E' ora si Sangiovese Purosangue. Seguite le dirette su Percorsi di Vino. Su Twitter @percorsi_divino #sangiovese #sangiovesepurosangue #brunellodimontalcino #roma





Preparativi


Iniziamo il seminario con Gianpaolo Gravina

Brunello di Montalcino Podere Sante Marie 2007 Marino Colleoni: naso inizialmente ritroso, poi esce la terra di Montalcino, le bacche, il mediterraneo. Non nasconde l'annata calda, non troppo complesso ma succoso, diretto, piacevole, con tannino molto piacevole. Marino non è convintissimo della 2007, noi gli diciamo che, forse, sbaglia. Promette un buon futuro,

Brunello di Montalcino 2007 Tenuta di Sesta: dalla terra del precedente vino passiamo, con questo Brunello, alla dolcezza e la rmaturità del frutto, c'è più lirismo, quello del sangiovese del Sud. Vino affatto seduto, ma elegante, setoso. Bocca scorrevole, speziata di cannella, poi agrume nel finale lungo che gioca con tannino ben domato. Ci piace.

Brunello di Montalcino 2006 Pietroso: vino tonico, vitale, brillante, c'è progressione sia olfattiva che degustativa dove c'è voglia di tornare al sorso successivo. Avvolgente, sapido, fruttato, balsamico. Un'orchestra ben guidata dove tutto sembra funzionare all'unisono. Promettente l'evoluzione.

Brunello di Montalcino 2006 Le Chiuse: naso minerale, austero, di erbe aromatiche. cosa che ritroviamo anche in bocca dove il sangiovese è quasi salato. Un vino di grande espressività,  equilibratissimo, tridimensionale, l'annata è di quello "azzeccate" per il Brunello, almeno per Le Chiuse.

Brunello di Montalcino 2006 Le Ragnaie: ultimo vino in assemblaggio prima della suddivisione dell'azienda per Cru. E' un sangiovese nervoso, elegante, quasi borgognone. La bocca è scattante, animata da tensione gustativa molto interessante, sapida nel finale, lunghissimo.

Brunello 2005 Le Potazzine: ci propone note ferrose, ematiche, scure, che convivono e preludono a bocche più nervose e che, invece, in questo sangiovese risulta più rotonda. Finale non proprio super, manca il plus che l'annate non può dare. 

Brunello di Montalcino 2005 "Ugolaia" Lisini: abbastanza complesso, sapido, fiori secchi, minerale. Bocca dritta, fresca, l'acidità gioca ancora la parte del leone così come le durezze che sono ancora evidenti anche se ben amalgamate nella struttura. Chiusura ferrosa, eterea. Non un grandissimo Ugolaia ma, per l'annata, un grande vino.


Secondo seminario con l'enologo Maurizio Castelli: come i cambiamenti climatici hanno influenzato il sangiovese a Montalcino


Brunello di Montalcino Mastrojanni 1980: azienda della zona Sud dell'areale. Annata media. Naso di orzo, caffè, ematico, foglie di autunno. Bocca di grande freschezza, l'acidità è il filo conduttore di questo vino dritto, puntuto, verticale, preciso.

Brunello di Montalcino Mastrojanni 2007: naso elegante, rotondo, frutta matura, rotondo. In tema di freschezza si nota una peggiore sottigliezza rispetto al 1980, a prescindere dalla componente aromatica che ovviamente è diversa. Sicuramente tra 30 anni questo vino avrà uno sviluppo più orizzontale che verticale.

Brunello di Montalcino Barbi 1983: rispetto al 2007 è stato vendemmiato un mese prima. Naso di frutta disidratata, c'è una dolcezza che sa di terza età davvero commovente così come lo è la freschezza. Vino ancora saldo anche in bocca che è ancora viva e di buona persistenza.

Brunello di Montalcino Barbi 2007: anche in questo caso ci sento la dolcezza del frutto nel sangiovese ma tutto è più opulento e anche il ph del vino, maggiormente più elevato, dona rotondità ed eleganza vellutata. 

Brunello di Montalcino Col d'Orcia 1985: bottiglia non performante. 

Brunello di Montalcino Col d'Orcia 2007: naso di frutti di bosco, erbe, fiori, molto intenso, pieno. Bocca sapida, lunga, progressiva. Castelli parla di diverso approccio rispetto ai Brunelli degli anni '80 dove mancava un pò di corsa da parte del sangiovese di Montalcino.

Brunello di Montalcino Piancornello 1990: inizio degli anni caldi, prima di allora spesso si faceva fatica a portare uva a casa. Vigneti a sud con terreni argillo-calcarei. Vino già pieno, profondo, con frutta rossa matura, buona acidità ma niente estremi.

Brunello di Montalcino Quattroventi 2007: rispetto al precedente le differenze non sono moltissime, ok ci sono quasi venti anni di differenza ma le temperature, dal '90 sempre abbastanza elevate, hanno livellato il fondo gustativo. In questo vino c'è una punta di legno in eccesso che esalta troppo la gioventù del Brunello.

Terzo seminario. Sei Brunello alla cieca

Naso minerale, arancia rossa, grafite, poi frutta rossa abbastanza matura. Bocca austera, rigida, sferzante di acidità che arriva a centro bocca e poi sembra scemare. Anche qua l'annata fa mancare il guizzo del campione. E' un  Brunello Soldera Riserva 2005

Naso più ampio, gentile, rotondo, c'è tanta frutta, fiori, si sente il caldo della zona. Anche la bocca è più strutturata, soprattutto il tannino è più grezzo, meno fine. Rimane un vino più rotondo rispetto a Soldera con un guizzo in più nel finale dove l'estrazione gioca un ruolo fondamentale. E' un Brunello Cerbaiona Diego Molinari 2005.

Colore più rosso cristallino, meno concentrazione, al naso è poco aperto, c'è mineralità, quasi sasso, durezza. il frutto è solo una cornice. Bocca di grande eleganza, equilibrata, intensa, finissima e di grande lunghezza. E' un Brunello Poggio di Sotto 2006.

Naso diverso dagli altri, c'è tanta materia, un carattere diverso, c'è irruenza, ma tutto è mediato, non c'è disordine. Rivela tanta frutta e spezie nere. Sangiovese di grande profondità sia olfattiva che gustativa, tannino ancora graffiante, è un vino che evolverà nel tempo. E' un Brunello Il Marroneto 2006.

Quinto vino con problemi. Doveva essere Biondi Santi 2007.

Il sesto vino entra in punta di piedi e sembra giocare a nascondino poi, una volta fatto tana, ti trascina via attraverso vortici sapido-balsamici. E' un vino dalla beva compulsiva. Ottimo. E' un Brunello Paradisi di Manfredi 2007.



Slow Wine 2013 per chi non c'era

Oltre 700 Km di distanza, mal di schiena da maratona fieristica, freddo e vento siberiani sono annullati completamente quando entriamo dentro la Rampa Nord del Lingotto in una location che, un tempo, doveva essere un parcheggio multipiano per i dipendenti FIAT. 
Slow Wine, la mia guida del cuore per diverse ragioni, ha deciso di fare tappa nella "sua" Torino creando la più grande e ricca degustazione di vino mai realizzata in Italia con oltre 550 aziende che presenteranno più di 1000 etichette.


Avevamo tre ore di tempo, pochissimo per tutt il ben di Dio che c'era, con Stefania pertanto ci siamo limitati a salutare vecchi e nuovi amici che ci hanno accolto con i loro straordinari vini.
Di A' Vita di Francesco de Franco, Cote di Franze e Sergio Arcuri, i tre moschettieri del Cirò, cercherò di scrivere più approfonditamente in futuro perchè i ragazzi meritano un discorso a parte. Anticipo solo che, da quelle parti, c'è grande fervore e stanno uscendo dei vini di grandissima qualità. E mi fermo qua...
Vicino a loro ho avuto il piacere di salutare Nino Barraco e famiglia (bellissima la piccola Alice) che proponeva in degustazione il Grillo 2010, vino Slow, che ogni volta che lo bevo mi incanta per questo equilibrio perfetto tra mare e terra. Gran vino davvero.

I tre moschettieri del Cirò

Tra le fila del Sud anche due grandi vignaioli come Gianfranco Fino e Elena Fucci che, rispettivamente, con l'ES 2010 e Titolo 2010 stanno giustamente ricevendo tutti i premi che meritano.
In Campania, oltre ai grandi fiano, ho trovato un ottimo Sabbie sopra il bosco 2010. Con Giovanni Ascione (Nanni Copè) abbiamo parlato un pò del suo territorio e delle vecchie annate e, d'accordo, abbiamo sottolineato la grande profondità di questo millesimo, uno dei migliori fino ad ora. Accattatevillo!!

Del Lazio non vorrei parlare ma due cose le dico: già i vini della mia Regione stentano a decollare e, se a tutto questo, ci aggiungiamo la maleducazione di alcuni produttori i quali, premiati ed invitati, non solo non vengono a Torino ma neppure pagano un sommelier per fare le loro veci, allora il risultato è davvero avvilente. Cosa ho visto? Un banchetto triste dove su otto posti disponibili solo la metà era occupato dai produttori. Inguardabile ed ingiustificabile il buco lasciato dagli altri. Senza parole. Fortuna che i presenti, Damiano Ciolli, Casale della Ioria, Trebotti e Trappolini, con i loro prodotti assolutamente deliziosi, hanno tenuto botta. Bravi!

In Toscana, invece, come al solito tante conferme e qualche sorpresa. La prima riguarda Il Colombaio di Santa Chiara di Alessio Logi che ha portato una Vernaccia di San Gimignano "Selvabianca" ancora più buona rispetto l'ultima volta che l'ho assaggiata. Elegante, sapida, persistente, di un equilibrio fantastico. Sette euro in cantina, sette....


Altra conferma riguarda Le Casalte di Chiara Barioffi che col suo Rosso Toscano 2010, il loro "base", mi ha davvero convinto per la grande bevibilità e la freschezza. 
Accanto a Chiara c'era poi Poderi Sanguineto, il Nobile Riserva 2007 di Dora Forsoni era incantevole, fossero tutti così i vini da quelle parti...
Più avanti c'era il banchetto di Radda in Chianti e.....chevvelodico a fare!! Un gruppo di amici, prima che colleghi, dove trovare ristoro dalle tante fatiche torinesi bevendo a secchi tutto il possibile. 
Il Baron Ugo Riserva 2009 di Monteraponi è il miglior vino fatto da Michele Braganti fino ad ora. 
Il Chianti Classico Riserva 2009 di Val delle Corti è pura poesia territoriale così come il Caparsino 2008 di Paolo Cianferoni (Caparsa) che, man mano che lo bevo, somiglia sempre più al suo creatore. 
Martino Manetti, non presente fisicamente, ha invece portato un Pergole Torte 2009 e un Montevertine 2009 da paura. Ad oggi meglio il secondo ma, in prospettiva, come al solito, il Pergole promette davvero bene. L'annata, da quelle parti, promette davvero tanto!

Stefy e Paolo Cianferoni
 
Con Roberto Bianchi

Il tempo tiranno, dobbiamo saltare moltissime Regioni ma non possiamo saltare i padroni di casa del Piemonte.
A parte il solito grande timorasso di Massa, del quale uscira a brevissimo un post sulla verticale tenuta a Roma, un plauso va a La Colombera di Elisa Semino che c'ha lasciato un ultimo bicchiere del suo Timorasso Il Montino 2010, poche gocce di nettare che ci hanno fatto capire perchè viene adorata da un pubblico sempre crescente. Una Massa in gonnella!
Tra i rossi apro le danze con un grande piccolo vino: il Grignolino d'Asti 2011 di Luigi Spertino, un capolavoro di leggerezza e florealità che, come scrivono sulla guida, rappresenta "forse la migliore versione mai prodotta di cui Mauro e il padre Luigi vanno giustamente fieri!".
Che vogliamo dire poi dei Barolo 2008? Giancarlo Gariglio, uno dei curatori della guida, ha scritto poco tempo fa che:"In dieci anni di lavoro, perdonate l'autoreferenzialità, e 60.000 bottiglie degustate (sono lontano dal fatidico traguardo dei 100.000...) non mi era mai capitato di imbattermi in un mostro di questo tipo". Come dargli torto?! Ho fatto pochi assaggi di nebbiolo ma la menzione particolare va ad un produttore, Giovanni Rosso, che col suo Barolo La Serra 2008 mi ha davvero conquistato. Di grande complessità e finezza già da ora, non so immaginare come diventerà quando sarà grande in tutti i sensi.

Cavolo ho scritto tanto e qualcuno si sarà annoiato...Buona vita a tutti!










Il robot che vendemmia? Meglio l'uomo.

Sul Corriere della Sera di qualche giorno fa è uscito questo interessante articolo che mette in luce tutte le debolezze del robot vendemmiatore che in Francia speravano risolvesse qualche problema in più. Ed invece....

Il robot viticoltore delude le attese dei vignaioli francesi. Era stato presentato come un vero gioiello tecnologico, capace di rendere meno faticoso il lavoro umano nelle estese vigne transalpine e in grado di risolvere il problema della cronica mancanza di manodopera nell'industria vitivinicola. Ma a quanto pare le capacità di Vin (acronimo che sta per «viticoltura naturale intelligente»), robot ideato dallo scienziato d'Oltralpe Christophe Millot e prodotto dall'azienda Wall-Ye che ha il suo quartier generale a Mâcon, nel dipartimento della Saona e Loira, non hanno soddisfatto l'esigente mondo dei viticoltori francesi. Come racconta un reportage pubblicato su Le Figaro, venerdì scorso è stata organizzata in Borgogna una dimostrazione pubblica per testare l'abilità della "macchina", ma la delusione degli esperti è stata notevole. 


LE CAPACITA' SULLA CARTA - Il robot che è alto 50 cm, ha due braccia e quattro ruote, è dotato di Gps e di sei telecamere. Grazie a queste dovrebbe esaminare lo stato di salute dei vigneti e memorizzare nei dettagli ogni vite. Inoltre ogni giorno - afferma Millot - è in grado di potare 600 piedi di vite. Il prezzo di ogni macchina è di 25.000, ma sulla carta i vantaggi sono enormi: I viticoltori potrebbero disporre di mano d'opera che costa meno e che lavora dal lunedì alla domenica: «E' attivo giorno e notte, non prende vacanza e non fa neppure uno spuntino» ha dichiarato qualche settimana fa l'ingegnere Guy Julien, che ha sviluppato Vin assieme a Christophe Millot. Un'altra importante qualità del robot sarebbe la capacità di registrare le caratteristiche di ciascun ceppo di vigna e di memorizzare le cure di cui necessita. Le eventuali malattie del suolo e lo stato di maturazione dell'uva sarebbero immediatamente monitorate dal robot viticoltore. «Abbiamo creato Vin non per sopprimere posti di lavoro, ma per aiutare i piccoli viticoltori che non hanno i mezzi per assumere nuovo personale» ha più volte dichiarato lo scienziato Millot. 

DELUSIONE - Peccato che le promesse di Vin siano state disattese nella pratica. Il robot - scrive Le Figaro - presenta gravi problemi di batteria e si muove troppo lentamente nel campo. Inoltre anche le sue capacità di esaminare lo stato di salute dei vigneti e di memorizzare nei dettagli ogni vite sono ancora superficiali. Se vogliono convincere davvero i vignaioli francesi a investire nella loro invenzione – dichiara il quotidiano francese - bisogna che i suoi ideatori sviluppino meglio le potenzialità di questa macchina. «Conoscendo la diffidenza verso le nuove tecnologie dei viticoltori transalpini, è necessario che Millot renda impeccabile la sua creatura artificiale» si legge su Le Figaro- In caso contrario è certo che la commercializzazione di questo piccolo gioiello high-tech è rinviata sine die». Ma c'è anche chi la pensa diversamente. Dieci viticoltori avrebbero ordinato il dispositivo e già tre robot sono stati consegnati dall'azienda di Mâcon.


Foto: http://wall-ye.com

Tuteliamo i grandi vini italiani dal presunto vino in polvere

Il presunto scoop di Striscia la notizia è una sorta di segreto di pulcinella, un pò tutti i professionisti del settore sanno che da anni ci sono società estere che producono kit di presunto vino in polvere che vengono venduti con i nomi dei nostri migliori vini: Barolo, Amarone, Chianti fino ad arrivare al Frascati che è stato oggetto dell'attenzione del tg satirico.

Mauro De Angelis, presidente del Consorzio Tutela del Frascati, ha inviato recentemente una lettera al Ministro per le Politiche Agricole Mario Catania scrivendo che "denunciammo negli anni precedenti tale fenomeno ma esso è non è stato, evidentemente, perseguito. Esigiamo la difesa da parte di tutte le Istituzioni competenti, che siamo certi saranno da Lei attivate immediatamente, dei nostri vini e del Frascati nella fattispecie, che tanto hanno contribuito e partecipano alla economia Italiana e che rappresentano una storia ed una cultura da sempre riconosciuta nel mondo". 

Come scritto, la denominazione Frascati è solo la punta di un iceberg che vede lo sputtanamento di molte altre denominazioni storiche italiane tra cui il Barolo DOCG, un vino proveniente da uve nebbiolo che, secondo la società Craft Winemaking, potrebbe essere creato in tre diverse versioni:

Red

Barolo

A rich, dense-textured red, Barolo is full-flavoured and ripe with warm dark fruits, plums and toasted oak.
Red

Barolo Style

Deep in colour, high in tannin, full-bodied and robust this wine is intense on the palate.
Red

Barolo

A robust, Italian-style wine with a light oak flavour and rich fruit.

Pare che queste società di vendita di kit per farsi il vino a casa si facciano anche molta concorrenza tra loro visto che la Northern Brewer (il nome è tutto un programma) di Minneapolis vende il kit per produrre il VERO BAROLO

Selection Original Barolo


Il bello è che, nella descrizione del vino, gli stessi scrivono: "Made famous in Italy's Piedmont region, this Barolo-style is rich in flavor and deep in color, with a rounded oak aroma that lingers on the finish". E certo, il nebbiolo ha un colore molto profondo, lo scambierei col Montepulciano..........

Ma le taroccate vanno avanti e vengono denunciate, anche il Chianti non è da meno, se cliccate qua con soli 50$ potreste comprarvi tutto per produre in casa 30 bottiglie di vino Chianti Style.

E l'Amarone? Come poteva mancare!! L'inglese Happy Brewer vi spedisce a casa la pozione magica per solo £91. Trenta bottiglie anche di questo vino sono garantite, fruttaio magico incluso.

Il mio proposito, per evitare questo schifo, sarà quello di mandare il post ai vari Consorzi di Tutela in modo da invitarli, sempre che ce ne sia bisogno, a tutelarsi in maniera più efficace. Altri "colleghi" wine blogger hanno fatto o stanno facendo lo stesso. Speriamo che, per una volta, l'unione faccia la forza.