Tenuta Le Velette: il mio viaggio nel terroir di Orvieto continua!

Villa Felici, il quartier generale della Tenuta Le Velette fa sfoggio di tutta la sua bellezza appena superata la rupe di Orvieto.
Corrado Bottai, attuale proprietario, e il mio amico Fabio Ciarla, responsabile della comunicazione, mi aspettano appena fuori il grande portone di ingresso di questa dimora storica che nel corso dei secoli è stata al centro di interessi, non solo vitivinicoli, di etruschi (che scavarono qui grotte nel tufo), romani, monaci, feudatari fino ad arrivare, nei primi anni '50 del '900 ad essere di proprietà dell'agronomo toscano Marcello Bottai (papà di Corrado) e della moglie Giulia, discendente della famiglia Felici, che scelsero la tenuta come dimora e, soprattutto, come punto di riferimento per la valorizzazione dei vini non solo aziendali ma di tutto il territorio grazie alla promozione della formazione di strutture di tutela della viticoltura del territorio.


L'esterno di Villa Felici

Corrado, dopo esserci salutati con calore, mi dice:"Entriamo!"

Superato un primo ingresso troviamo un piccolo portone oltre il quale si esce nuovamente dalla dimora che, da questo lato, fa confluire il visitatore all'interno di un terrazzo naturale con affaccio su parte dei vigneti aziendali e su Orvieto. La vista è fantastica.


La vista dalla terrazza

Bottai, da perfetto Cicerone, mi parla del territorio e delle sue differenze. "Vedi Andrea, ad una ventina di chilometri da qua trovi il lago Bolsena, di origine vulcanica, la cui formazione ha portato al deposito di una enorme quantità di materiali che ha creato questo terreno qui composto, nella parte sottostante da argilla marina, poi abbiamo la lava raffreddata senza contatto con l'aria che ha formato il basalto mentre il  materiale sparato in aria dall'eruzione, tra cui cenere e lapilli, ha creato il tufo che oggi rappresenta la superficie del terreno agrario. Questo, essendo molto poroso, si comporta come una spugna che assorbe acqua che facilmente viene assorbita dalla radici che, in ogni condizione climatica, hanno una umidità sempre costante evitando al vigneto lo stress idrico tipico, ad esempio, delle stagioni torride.

Tenuta Le Velette si estende per circa 100 ettari di vigneto che possiamo dividere in tre grandi sezioni ognuna delle quali ha caratteristiche microclimatiche distinte:




Podere Belvedere (in verde) è una porzione di circa 45 ettari si caratterizza per l’esposizione a sud est che la rende ben soleggiata già dai primi raggi del mattino ma con temperature fresche nel pomeriggio. Questo, insieme alla vicinanza del bosco limitrofo permette un clima mitigato favorevole allo sviluppo e al rispetto degli aromi delle uve. Sono qui coltivati soprattutto vitigni a bacca bianca come trebbiano, malvasia, verdello, drupeggio, grechetto e il sauvignon blanc. Nascono quindi da qui Berganorio, Lunato e Traluce.

Podere Citerno (in beige) è composto da Ventinove ettari di terreno con esposizione a sud-ovest che beneficiano del sole da mattina a sera, con buone escursioni termiche tra giorno e notte ma con un microclima mitigato dai boschi limitrofi, condizioni che facilitano la sintesi e il mantenimento degli aromi e contemporaneamente una buona sintesi di zuccheri e sostanze polifenoliche. Un terreno adatto ad ottenere uve bianche per vini pieni e aromatici e uve rosse ricche e fragranti. Si coltivano in questa zona le varietà dell’Orvieto classico destinate alla produzione del vino amabile, il miglior grechetto, sangiovese, canaiolo e il moscato e il sauvignon per l’appassimento. Nascono da qui Rasenna, Sole Uve, Il Raggio, Monaldesco e, in parte, Lunato e Rosso di Spicca.

Podere Spicca (in blu) è la parte più soleggiata della tenuta, una porzione di circa 29 ettari con esposizione a sud-ovest che permette alle piante di beneficiare dei raggi del Sole dall’alba al tramonto. La zona, non delimitata da boschi e caratterizzata da terreni più chiari, è soggetta nei mesi di Settembre-Ottobre ad ampie escursioni termiche giornaliere, che facilitano la sintesi e l’accumulo degli zuccheri e dei composti polifenolici indispensabili per la qualità dei vini rossi. Molte delle varietà a bacca rossa sono coltivate in questa zona, in particolare sangiovese, merlot e cabernet sauvignon. Nascono quindi qui Rosso di Spicca, Accordo, Calanco e Gaudio.

Torniamo all'interno della casa padronale, stavolta la sorpresa e lo stupore è ancora maggiore quando, scesi una trentina di scalini nascosti da una porticina, arriviamo in un luogo storico di grande suggestione ovvero i circa cento metri di grotte di tufo scavate nel tufo usate nel corso dei secoli per conservare sia cibo che vino e, successivamente, come rifugio. Oggi, invece, rappresentano un ottimo luogo dove far riposare le annate storiche dei vini aziendali. 





Spero che le foto facciano comprendere la bellezza del posto!

Un rapido giro nella cantina di fermentazione, divisa in una parte più vecchia formata da vasche di cemento e da una parte più moderna composta da solo acciaio, e arriviamo nei "locali di affinamento" rappresentati, anche in questo caso, da più grotte interrate e scavate nel tufo usate forse dai monaci in passato per seppellire i morti (!!) e che ora Corrado utilizza per affinare in barrique  i suoi vini più importanti. 


Entrata

Sta cominciando a piovere per cui, di corsa, entriamo nella sala degustazione dove ci aspetta una batteria di vini non indifferente (l'azienda produce circa 250.000 bottiglie suddivise tra DOC locali (Orvieto Classico, Orvieto Classico Superiore, Rosso Orvietano, Orvieto Classico Amabile) e IGT di livello sperimentale.



Tenuta Le Velette - Orvieto Classico "Berganorio" 2013 (procanico 30%, grechetto 30%, malvasia 20%, verdello 15%, drupeggio (5%): senza pretese ma dotato di una beva di sorprendente freschezza e godibilità. E' il vino della convivialità a tavola!



Tenuta Le Velette - Orvieto Classico Superiore "Lunato" 2013 (trebbiano 20%, grechetto 40%, malvasia 20%, verdello 15%, drupeggio 5%: è uno dei migliori Orvieto Classico del territorio e lo si capisce subito grazie ad un naso complesso e variegatamente minerale ed ad un sorso ricco, sapido, di struttura e di grande personalità. Bella persistenza finale.



Tenuta Le Velette - IGT Umbria Grechetto 2012 (grechetto 100%): Corrado viste le potenzialità del vitigno ha voluto dar vita ad un vino ancora in via sperimentale ma che già oggi mantiene delle promesse importanti fatte di un corredo aromatico che sa di sale e frutta gialla al sole e di un sorso molto "slow" che progredisce però col tempo in  maniera inesorabile. Finale di buon equilibrio e sapidità.



Tenuta Le Velette - IGT Umbria Sauvignon 2013 (sauvignon  blanc 100%): il mio pregiudizio per un vitigno che in Italia non trovo espressioni di eccellenza è in parte rivisto per un vino fortunatamente non aromatico (non puzza di pipì di gatto per intenderci) e caratterizzato da un buon bilanciamento tra compomenti di frutta esotica e vegetale. Bocca molto regolare, senza sbavature.



Tenuta Le Velette - Rosso Orvietano "Rosso di Spicca" 2012 (sangiovese 85% e canaiolo 15%): la versione rossa del Berganorio, grande bevibilità e schiettezza. A tutto pasto!



Tenuta Le Velette - IGT Umbria Sangiovese "Accordo" 2009 (sangiovese 100%): naso disposto su sensazioni di frutta matura, vaniglia, carrube. Giusta morbidezza, dolce il tannino e lungo e avvolgente il finale sapido.

Tenuta Le Velette - IGT Umbria Rosso "Gaudio" 2009 (merlot 100%): ha profumi di chiodi di garofano, cannelle, marasca e cuoio mentre in bocca si fa valere per la grande pienezza e la potenza mediata. Lungo e minerale il finale.



Tenuta Le Velette - IGT Umbria Rosso "Calanco" 2009 (sangiovese 65% e cabernet sauvignon 35%): ha un naso notevole costruito su una lieve base di vaniglia sulla quale svettano sensazioni di viola mammola, frutti di bosco, tabacco da pipa, erbe aromatiche, cioccolato alla frutta. In bocca è aristocratico, con tannini decisi ed una lunghissima chiusura su note di spezie dolci ed frutta nera. 



Ringrazio Corrado Bottai, quella appena passata è stata una bellissima esperienza e, senz'altro, ci sarebbe ancora tanto da parlare, da bere e da scoprire a Le Velette: Mi attende, però, Enzo Barbi e sono terribilmente in ritardo. Accendo velocemente la macchina. La scoperta dei vini di Orvieto è ancora all'inizio!!!


Vigneti estremi o, semplicemente, alternativi

Su Drink Business poco tempo fa è uscito un articolo relativo ai vigneti più estremi del mondo tra i quali sono stati inseriti:


La foto di sopra mostra i vigneti tailandesi della Siam Winery posti sul delta del fiume Chao Phraya. Piante galleggianti situate su isole separate da canali d'acqua che refrigerano le uve evitando l'essiccazione dovuta al grande calore.


Bellissimi i vigneti dell'isola di Fogo (Capo Verde) situati alla base di un vulcano attivo all'interno di un territorio molto simile a quello lunare. Due le cantine che vinificano in questo luogo: Sodade e Cha das Caldeiras.



Chi pensava che la Champagne fosse la regione vitivinicola più a nord del mondo si sbaglia. E è in errore chi pensa che il Regno Unito sia l'ultima frontiera. Già perchè in Svezia, a pochi chilometri da Stoccolma, esiste il vigneto Blaxta, circa 3 ettari coltivati a vidal, chardonnay, merlot e cabernet franc. 


Vicino a Il Cairo Karim Hwaidak, proprietario del Sahara Vineyards, gestissce un vigneto di circa 600 ettari che comprende oltre trenta varietà di uva. La sfida col deserto, le enormi escursioni termiche tra giorno e notte, la quasi totale mancanza di pioggia e il terreno sabbioso che non contiene sostanze nutritive è davvero impervia ma, con la passione, tutto si vince.


Sembrano vigne strappate al cielo queste della piccola denominazione svizzera di Beudon. Il vigneto è accessibile solo attraverso un sentiero di montagna molto ripido o  attraverso l'ausilio di una funivia privata di proprietà del Domaine de Beudon, che viene utilizzato per il trasporto dell'uva dalla scogliera durante la vendemmia.



I vigneti di Lanzarote, posti su terreni vulcanici, sono unici anche per la forma di allevamento. Le vigne, infatti, sono inserite all'interno di buche scavate dall'uomo all'interno delle quali crescono le piante al riparo dal vento. Spesso l'agricolotore stende una fine cappa di cenere vulcanica che, assorbendo la rugiada notturna, garantisce alle viti il giusto grado di umidità.

Foto: drinks.seriouseats.com

La Mosella non sarà un nome esotico ma il vigneto Ürziger Würzgarten con le sue pendenze è davvero impressionante. Pensate solo alla vendemmia e alle difficoltà di raccogliere il riesling. 




Barberani e quel terroir unico chiamato Orvieto

L'Italia, nonostante i mille problemi, è un territorio paesaggisticamente unico con tratti di rara bellezza spesso sconosciuti al grande turismo di massa.
Il Lago di Corbara, con la sua diga e, in generale, il Parco Fluviale del Tevere, a pochi chilometri dalla più affollata Orvieto, rappresentano uno scenario davvero incantevole sopratutto quando le insenature formano gole talmente spettacolari da convincere molti registi a girare alcuni western all'italiana.


Vigneti vista lago

Barberani si trova su una collina che domina questa Grande Bellezza umbra.

Niccolò e Bernardo mi aspettano di buon'ora all'entrata della loro azienda famigliare che oggi vanta una superficie complessiva di oltre 100 ettari di cui 58 a vigneto. Dopo l'Orvieto Tasting organizzato a Roma tempo fa da Roscioli, durante il quale ero rimasto piacevolmente stupito dal loro "Luigi e Giovanna", gli avevo promesso che sarei passato a trovarli presto e così, complice una mattina assolata di Maggio, sono partito per l'Umbria per un tour che prevederà anche altre tappe.

Niccolò, agronomo ed enologo coadiuvato da Maurizio Castelli, e Bernardo, responsabile marketing, rappresentano la terza generazione di una famiglia da oltre cinquanta anni legata al vino di questo territorio visto che già nel 1961 il nonno Vittorio coltivava i vigneti per ottenere vino da vendere ai ristoranti e ai bar della zona. 
Vini piacevoli che subiscono una svolta qualitativa solo verso la fine degli anni '70 quando le redini dell'azienda passano a Luigi e Giovanna Barberani i quali modernizzano la loro azienda, anche con la costruzione della nuova cantina, fornendo nel contempo anche una spinta internazionale alla loro visione produttiva.


Niccolò e Bernardo Barberani
I fratelli Barberani, oggi, si trovano a gestire una eredità importante composta, come scritto in precedenza, da oltre 58 ettari di vigneto inserito in un microclima unico caratterizzato dall'influenza del Lago di Corbara che, grazie alla sua umidità relativa, crea sia in inverno che in estate condizioni ideali per i vari vigneti che circondano la proprietà.
I terreni, così come accade per tutta la zona dell'orvietano, sono di origine vulcanica, sedimentaria e calcareo-argillosa e, da sempre, sono coltivati in maniera naturale grazie, ad esempio, alla tecnica dell'interramento dei tralci, all'uso del sovescio, alla concimazione organica senza assoluto uso di prodotti chimici.

La cantina, posta al centro dei vigneti e di dimensioni non troppo modeste vista l'attuale produzione annua di 350.000 bottiglie, è composta prevalentemente da vasche in acciaio inox mentre solo una limitata porzione è dedicata alla botte di varie dimensioni visto che solo tre vini, "Foresco", "Polvento" e "Luigi e Giovanna" prevedono una affinamento in legno (i primi due barrique mentre l'Orvieto Classico solo tonneau da 28 Hl). 





Piccola nota tecnica per i patiti di enologia: tutte le uve a bacca bianca sono sottoposte a macerazione a freddo prima della vinificazione.

Usciamo dalla cantina, è tempo di percorrere un piccolo sentiero che ci porta davanti l'uscio del bellissimo cottage dove i Barberani organizzano i loro wine tasting.

Col panorama del Lago di Corbara alle nostre spalle andiamo a degustare il meglio della produzione aziendale iniziando, ovviamente, dal loro vino bandiera, l'Orvieto Classico.

Barberani - Orvieto Classico Superiore DOC "Castagnolo" 2012 (grechetto, trebbiano procanico, chardonnay e riesling): è il vino della tradizione per Barberani, un vero e proprio cavallo di Troia in grado di scardinare ogni pregiudizio. Fresco, decisamente minerale con tocchi fruttati ed erbacei, fa della sua immediatezza e della sua sapidità il punto di forza. Una bottiglia si beve in amen. What else?



Barberani - Orvieto Classico Superiore DOC "Luigi e Giovanna" 2011 (grechetto, trebbiano procanico e chardonnay): nato per festeggiare il cinquantesimo anniversario dell'azienda, il vino è un omaggio a Luigi e Giovanna Barberani, genitori di Niccolò e Bernardo, che da sempre hanno due passioni: il grechetto e la muffa nobile. Dall'unione di queste due passioni nasce questo bianco che definirei la via più voluttuosa all'Orvieto Classico grazie ad aromi di frutta gialla succosa associata a caratteri minerali e vegetali. Sorso di grande avvolgenza, setoso, di grande progressione e persistenza. Un vino che sa invecchiare benissimo e che non lascia indifferrenti.



Barberani - Umbria Rosso IGT "Polago" 2012 (sangiovese e montepulciano): è la versione in rosso del Castagnolo per via dell'immediatezza e la facilità di beva del vino che, con i suoi sapori di frutta croccante e la bella vena acida, va giù che è un piacere. Se avessi un wine bar lo metterei senza problemi alla mescita.



Barberani - Umbria Rosso IGT "Foresco" 2012 (sangiovese, cabernet sauvignon e merlot): rosso umbro dal tocco internazionale, sa essere morbido e speziato al tempo stesso. Gode di tattilità succosa e un tannino ben domato che ben accompagna una persistenza fruttata.



Barberani - Lago di Corbara Doc Rosso "Polvento" 2009 (sangiovese, cabernet sauvignon e merlot): è il vino rosso più importante dell'azienda e già al naso non ho dubbi vista la grande complessità olfattiva che spazia tra sensazioni di ciliegia, frutti di bosco, prugna secca, tabacco, liquirizia, cola, spezie orientali, eucalipto e viola appassita. Al sorso è potente, carnoso,  intessuto da nobile trama tannica e da persistente verve fresca e sapida. Ritornano le suggestioni di spezie e frutta. 



Barberani - Orvieto Classico Superiore DOC "Calcaia" 2010 (grechetto, trebbiano procanico e sauvignon blanc): iniziamo la carrellata dei vini dolci con uno dei muffati più buoni di Italia grazie anche ad una sperimentazione che va avanti dalla fine degli anni '70 grazie alla ricerca e alla passione di Luigi Barberani e dell'enologo Maurizio Castelli. Il vino è ancora giovanissimo ma, al tempo stesso, ha una suadenza già ben definita grazie ai suoi morbidi aromi di frutta gialla appassita, iodio, zafferano e miele. Berlo e come fare l'amore, non smetteresti più vista la grande goduria. Devo andare oltre?



Barberani - Umbria IGT Dolce "Moscato Passito" 2009 (moscato bianco): tutti ad esaltare il Calcaia precedente ma vogliamo parlare di quest'altra chicca? Questo passito le cui uve appassiscono per metà in pianta e per metà su stuoie al sole, rappresenta un'altra sfida vincente dell'azienda che, come vedremo anche col prossimo, punta moltissimo sui vini da meditazione. Il colore ambrato fa da preludio ad un corredo aromatico giocato su toni di agrumi canditi, albicocca  matura, dattero, malva e resina di pino. Sorso di grande equilibrio e cremosità. Interminabile.



Barberani - Umbria IGT Rosso Dolce "Aleatico Passito" 2007 (aleatico): il Lago di Corbara con le sue tradizioni vitivinicole ha ispirato sicuramente questo vino le cui uve appassiscono in pianta almeno fino a settembre. Con i suoi aromi di visciola, ciliegia sotto spirito ed erbe officinali, ha un sorso deciso e di grande equilibrio grazie ad una dolcezza ottimamente mitigata dalla sapidità e dal setoso tannino del vino. Gustosa la persistenza di frutta rossa che rimane dopo la deglutizione.



Il mio viaggio nel terroir di Orvieto non finisce qua. Stay tuned e, se vi va di fare una bella gita da Roma, che dista circa un'ora, passate a trovare i fratelli Barberani che, anche grazie al loro splendido agriturismo, saranno felici di accogliervi.

Londra: il Parlamento inglese ama Peroni Nastro Azzurro, Sauvignon e Champagne

Fiumi d'alcol inondano Londra. L'attitudine inglese ad alzare il gomito, che il premier David Cameron sta cercando di combattere attraverso una serrata campagna contro il consumo eccessivo di alcol, è ben radicata anche in Parlamento. Secondo il Times almeno 1,7 milioni di euro sono stati spesi in due anni per rifornire i bar di Westminster. I politi inglesi tra una pausa e l'altra bevono birra e vino, preferiscono le bionde italiane e il sauvignon.

La House of Commons ha perfino una propria etichetta che usa sui vini e gli alcolici "della casa", incluso lo champagne: fra i più richiesti il sauvignon, di cui sono state comprate circa 50mila bottiglie, e il merlot, con 26mila. Tra le birre invece le più amate sono Peroni Nastro Azzurro, Beck's e Guinness. Le autorità dei Comuni hanno precisato che i prezzi applicati nei bar del Parlamento sono quelli che si ritrovano in un normale pub. Anche se le attività di ristorazione ricevono un sussidio pari a 5 milioni di sterline l'anno. 

Foto:www.esserecomunisti.it


Gran parte di questo alcol viene poi consumato da deputati e lord o nel corso degli eventi organizzati dai partiti. Da tempo si parla di un problema di dipendenza dalla bottiglia nel Palazzo della politica. Un ex deputato laburista, Eric Joyce, è stato costretto a dimettersi dal partito nel 2012 dopo che ubriaco aveva scatenato una rissa coi colleghi conservatori in uno dei bar di Westminster.


Fonte: TGCOM

Ghemme DOCG: otto vini per scoprirlo

Il nebbiolo dell'Alto Piemonte è davvero affascinante e, per certi versi, ancora tutto da scoprire visto che spesso e volentieri viene "offuscato" da denominazioni "maggiori" come Barolo e Barbaresco.
Grazie al Consorzio di Tutela Nebbioli Alto Piemonte ho organizzato, e molto altro farò in futuro, una degustazione centrata su una delle denominazioni storiche e meno "mondane" del Piemonte: il Ghemme.
Conosciuto già al tempo dei romani per la sua qualità visto che la città di Agamium, ora Ghemme, aveva come simbolo comunale un grappolo d'uva ed un mazzo di spighe di grano, questo vino, che fu apprezzato anche dalla corte dei Visconti e degli Sforza a Milano, è stato celebrato da Antonio Fogazzaro che nel primo capitolo di “Piccolo mondo antico”, del 1895, cita il “vin di Ghemme” come accompagnamento di un pranzo organizzato dalla marchesa Maironi, e gli fa eco Mario Soldati, che nel suo racconto “L'albergo di Ghemme” decanta questo vino: “Il Ghemme: eccellente, prim’ordine”.

Ghemme DOCG - Foto Lavinium

Dal punto di vista legislativo, il Ghemme divenne DOC nel 1969 e DOCG nel 1997 e, se leggendo il disciplinare, l'area di produzione riguarda parte del territorio amministrativo del comune di Ghemme e parte del territorio amministrativo del comune di Romagnano Sesia (leggi articolo 3 del disciplinare per andare nei dettagli).
Il vino viene prodotto, anche nelle versione Riserva, con un 85% minimo di nebbiolo (spanna) al quale possono concorrere per un 15% massimo i vitigni vespolina e uva rara (articolo 2 disciplinare).
E' previsto un periodo di invecchiamento obbligatorio pari a 34 mesi (46 per la riserva), di cui 18 in legno (24 per la riserva), più un periodo di affinamento minimo in bottiglia di 6 mesi, a partire dal 1° novembre dell'anno di raccolta delle uve.

Fatta questa opportuna premessa che ci permetterà di inquadrare sia il territorio che il vino, andiamo a vedere cosa ho bevuto?

Francesco Brigatti Ghemme “Oltre il Bosco” 2010: giovanissimo eppure già oggi godibile con le sue note di frutta e fiori rossi. Bocca di struttura e sapidità, con tannini fini e di rispondente chiusura. E' un Ghemme 100% nebbiolo che affina 24 mesi in botti di rovere di Slavonia più 6 mesi almeno di bottiglia. Piccola nota sull'azienda: L'Azienda Agricola Brigatti è diretta da Francesco, enologo e agronomo, e mantiene una conduzione strettamente familiare. Dispone di sei ettari a vigneto coltivati secondo i criteri della lotta integrata nel rispetto dell’ambiente. La produzione annua è di circa 20.000 bottiglie.



Torraccia del Piantavigna Ghemme 2009: il vino della famiglia Francoli si presenta con tono severo e speziato, poi salgono note più eteree e fruttate. Al gusto è dinamico, fresco, più verticale che orizzontale e presenta una bellissima persistenza sapida. Forse gli manca un pò di "polpa" ma la bevuta è assolutamente convincente. E' un Ghemme 90% nebbiolo e 10% vespolina. Piccola nota sull'azienda: il nome, Torraccia, si ispira ad un dolce rilievo, detto Torraccia, del Comune di Ghemme mentre Piantavigna è il cognome del nonno materno dell'attuale proprietario. 40 ettari vitati tutti a nebbiolo, vespolina ed erbaluce.



Tiziano Mazzoni Ghemme “Ai Livelli” 2009: dopo aver messo il naso nel bicchiere ho esclamato:"Questo è il nebbiolo che mi fa godere!!". In effetti, tolto l'entusiasmo, questo Ghemme è l'archetipo del nebbiolo dell'Alto Piemonte che mi aspetto, ampio nello spettro aromatico che va dall'anice alla rosa, dalla viola al sottobosco per poi confondersi ed ammaliare in mille altri descrittori, Bocca importante, solida, nebbiolesca, di grande equilibrio e sapidità. E' un Ghemme 100% nebbiolo. Piccola nota sull'azienda: il nome "ai Livelli" deriva da una specifica zona della collina di Ghemme e il nebbiolo usato per questo vino deriva dai vigneti più vecchi dell'azienda che affina il nebbiolo un anno in tonneau e uno in botti di rovere e, successivamente, due anni in bottiglia.



Platinetti Ghemme “Vigna Ronco Maso” 2008: il vino inizia molto bene con un quadro aromatico segnato da frutta rossa disidratata, rosa, goudron e un tocco di iodio. Bocca di struttura, sapida, che però promette ma non mantiene perdendosi un pò troppo in fase di persistenza e facendo uscire un tratto alcolico non proprio elegante. Da rivedere nel futuro. E' un Ghemme 100% nebbiolo. L'azienda non ha sito internet per cui è quasi impossibile avere ulteriori info. Peccato.

Cascina Ca’ Nova Ghemme 2006: naso caratterizzato da evidente note empireumatiche che, assieme ad aromi di frutta secca ed erbe aromatiche, catapulta il bevente in un austero salone piemontese durante una uggiosa serata invernale. E' un vino che scalda il cuore e l'anima al sorso dove gode di sobria eleganza e calore grazie anche ad un fitto tannino ottimamente espresso e ad una chiusura sapida e prolungata. Forse, al sorso, è il migliore della batteria. E' un Ghemme 100% nebbiolo. Piccola nota sull'azienda: di giovane costituzione, fa nascere questo vino da un vigneto di 6 ettari e il vino matura 24 mesi in grandi botti di rovere francese a cui segue ulteriore affinamento in bottiglia per almeno 18 mesi.

Mirù Ghemme 2005: nonostante gli otto anni di età è un Ghemme estremamente giovanile e con sentori fino ad ora mai percepiti. Infatti sa profondamente di agrume, arancia rossa su tutte, e questa vena acida, fresca, corroborante, la esprime anche al sorso che rimane vibrante, teso, anche se alla fine un pò troppo monocorde. E' un Ghemme composto da 95% di nebbiolo e 5% di vespolina . Piccola nota sull'azienda: di proprietà di Marco Arlunno, l'azienda può contare su oltre otto ettari di vigneto parte del quale, con un età media di circa quaranta anni, viene destinato a produrre questo vino che affina in botti di rovere per circa 30 mesi.


Rovellotti Ghemme 2005: annusando e degustando questo vino è come entrare all'interno di una stanza quasi al buio: riesce ad intravedere i contorni del mobilio ma ti manca la luce per poter percepire tutti i dettagli e a godere del contesto in cui ti trovi. Ecco, a questo Ghemme, in bianco e nero a cui mancano i colori del passato. E' composto per l'85% da nebbiolo e per il 15% da vespolina. Piccola nota sull'azienda: nasce da un vigneto di circa 3 ettari chiamato Civetta. Affina per 12 mesi in grandi botti di rovere e per 18 mesi in botti da 5 hl. Successivo affinamento in bottiglia per 9 mesi.



Ioppa Ghemme 2005: una fastidiosa nota vinilica, quasi di colla, ne compromette la degustazione. Bottiglia forse non ok. E' un Ghemme composto per l'85% da nebbiolo e per il 15% da vespolina. Piccola nota sull'azienda: l'azienda vitivinicola dei fratelli Gianpiero e Giorgio Ioppa è situata nel territorio del comune di Romagnano Sesia da dove nascono le uve usate per vinificare questo Ghemme che affina 24 mesi in botti di rovere per poi, successivamente, essere lasciato in bottiglia per almeno altri 9 mesi. E' il Ghemme base della'azienda che produce anche due Cru: Santa Fè e Bricco Balsina.



Emidio Pepe e Sandro Sangiorgi a La Gatta Mangiona presentano "Manteniamoci giovani"

Emidio Pepe è un pezzo di storia del vino italiano e, senza ombra di dubbio, è uno degli ultimi grandi vignaioli ancora viventi. Alla veneranda età di 82 anni, portati come un ragazzino, era anche ora che qualcuno ne scrivesse la biografia e, in tal senso, probabilmente Sandro Sangiorgi non poteva essere autore migliore visto che conosce la famiglia Pepe da tantissimi anni. 
Il libro, intitolato "Manteniamoci giovani" (vita e vino di Emidio Pepe), è stato presentato tempo fa a La Gatta Mangiona con la presenza di tutta la famiglia Pepe che durante la serata ha ricevuto il giusto tributo per i cinquanta anni di attività dello storico fondatore che, per tutto il tempo, ci ha osservato divertito dalla sua postazione regalandoci, quando è stato chiamato in causa, veri e proprie perle di saggezza contadina (mitico il concetto di racia del vino che non si adatterebbe bene ai contenitori in acciaio inox).


Ovviamente sia il libro sia il compleanno dell'azienda sono stati festeggiati bevendo anche alcuni storici millesimi di Montepulciano d'Abruzzo arrivato direttamente a Roma dalla cantina di Pepe che, per l'occasione, non è stato avido di sorprese.

In degustazione abbiamo avuto:

Montepulciano d'Abruzzo 2010 Emidio Pepe: non c'è nulla da fare, questa annata rappresenta probabilmente una delle migliori mai avute in Italia negli ultimi dieci anni (e mi tengo stretto) grazie ad una qualità media dei vini bevuti, da nord a sud, davvero elevata. Non fa eccezione questo montepulciano di casa Pepe che, tra i vari degustati nel corso del tempo, è fin da subito pronto e godibilissimo pur mantenendo grandi promesse per il futuro. Attenzione: la bottiglia finisce in un amen!


Montepulciano d'Abruzzo Riserva 2010 Emidio Pepe: è un'anteprima visto che il vino non uscirà in commercio prima di 10 anni. Figlio delle vigne più vecchie, questo vino conserva tutte le caratteristiche del precedente aggiungendo, come lecito aspettarsi, una marcia in più che in questo caso si chiama profondità e complessità. E' un Montepulciano celebrale che farà bene al cuore e allo spirito. Basta aspettare e noi abbiamo tutto il tempo.  O no?


Montepulciano d'Abruzzo Riserva 2003 Emidio Pepe: parte inizialmente sporco poi, col tempo, ripulisce tutti i suoi difetti e mette le scarpe da ballerina classica che danza leggiadra su un palcoscenico aromatico di grande fascino dove il calore del millesimo è messo da parte. E' un vino che propone al naso erbe aromatiche, cola, polvere da sparo, fruttini rossi croccanti e al sorso stupisce per una struttura dove tutte le sue componenti sembrano essere perfettamente fuse. E' un 2003 non 2003 che stupirebbe anche i più scettici!


Montepulciano d'Abruzzo Riserva 2001 Emidio Pepe: coeso, terribilmente chiuso con spunti anarchici è un vino che, come una supernova, è pronto per esplodere. Nemmeno i Pepe sanno quando avverrà l'evento visto che stanno trattenendo l'annata in cantina ma, quando accadrà, avremo di fronte un grandissimo Montepulciano. Probabilmente la sua parabola discendente andrà oltre la mia sopravvivenza in questo mondo :-)

Montepulciano d'Abruzzo Riserva 2000 Emidio Pepe: cupo, scontroso, carnale, non riesce mai ad esprimersi al massimo nel bicchiere nonostante due ore e oltre di ossigenazione. Sembra non gradire la platea e lo si chiude in sè stesso fornendo un quadro organolettico austero e poco dinamico. Probabilmente era la mia bottiglia ad essere piuttosto schiva visto che pochi tavoli più in là si lodava un Montepulciano molto diverso dal mio. E' il prezzo dell'artigianalità baby!


Montepulciano d'Abruzzo Riserva 1994 Emidio Pepe: il vino che non ti aspetti, il coup de théâtre di Emidio Pepe che, come un novello Silvan, tira fuori dal cilindro un Montepulciano vivissimo il cui corredo aromatico spazia dalle note di fiori rossi secchi alla ruggine per poi virare sulle sensazioni di iodio, profumi esotici e arancia amara. Al palato è suggellato da un tannino paradigmatico, vivo e setoso allo stesso tempo e da una lunga scia acida che rende invidiabile la sua progressione. Che bello sapere che a casa ne ho altre due bottiglie...


Montepulciano d'Abruzzo Riserva 1983 Emidio Pepe: Cosa resterà di questi anni '80? Sicuramente un vino che, ci confida la stessa Sofia Pepe, è rimasto in cantina oltre 10 anni prima di essere messo sul mercato. Sicuramente un Montepulciano con profumi d'antan che non rinuncia a metterci i brividi quando lo beviamo dato che, probabilmente, ha conservate (quasi) immacolati i suoi originari punti di forza come sapidità ed equilibrio certosino. Manteniamoci giovani, lo dice Emidio in questo vino.

Chiudo questo omaggio alla famiglia Pepe con le parole di Sandro Sangiorgi: "Non riusciremmo a immaginare Emidio alle prese col Barolo o col Brunello, che mostrano presto l’inclinazione a un’aristocratica maturità – pensiamo, per esempio, nel colore. Lui ha bisogno di “vedere” il sangue del Montepulciano, non importa che il vino sia in bottiglia da quarant’anni: se è a posto, il nostro pretende una complessità dalla fragranza giovanile".




Vino e genetica: un test per capire se è veramente siciliano

C’è un metodo scientifico per sapere non solo se un vino è buono, ma anche per conoscere informazioni sulla sua provenienza, con quali uve è stato preparato, quali lieviti sono stati impiegati per la trasformazione del mosto. A garantire tutte queste informazioni utili al consumatore e ai produttori è la certificazione genetica del vino di origine siciliana, un protocollo di analisi applicata sul vino, in grado di certificare la rispondenza tra quanto dichiarato in etichetta e il contenuto della bottiglia.

Il protocollo rivoluziona l’approccio tradizionale fino ad oggi impiegato, costituito dalle varie certificazioni (Doc, Dop, Igp), basato sul monitoraggio durante i processi di produzione, che lasciano ampi margini di discrezionalità al produttore. La nuova certificazione, invece, permette di controllare il prodotto finale grazie a test genetici. Queste analisi di laboratorio consentono l’estrazione del DNA e l’identificazione, attraverso tecnologie molecolari, delle sequenze identificative dei vitigni con cui è stato preparato il prodotto. 

Foto:http://palermo.repubblica.it

Le sequenze vengono poi confrontate con i dati dichiarati in etichetta. In caso di riscontro affermativo, il vino riceve la certificazione di prodotto. Il progetto è stato realizzato nell’ambito del PSR Sicilia 2007/2013, Misura 124 “Cooperazione per lo sviluppo di nuovi prodotti, processi e tecnologie nei settori agricolo e alimentare e in quello forestale” e presentato dall’Istituto di Bioscienze e BioRisorse del Consiglio nazionale delle Ricerche da Bionat Italia Srl. 

Questi i vitigni autoctoni siciliani utilizzati per le DOC: Carricante, Catarratto, Corinto nero, Damaschino, Frappato, Grecanico, Grillo, Inzolia, Malvasia di Lipari, Moscato bianco, Nerello Cappuccio, Nerello Mascalese, Nero d’Avola, Nocera nera, Perricone e Zibibbo;. Al progetto hanno aderito Azienda Vinicola Benanti S.r.l., Aziende Agricole Planeta Società Semplice, Cantine Settesoli Soc. Coop. Agricola; Azienda Agricola Bonivini di Di Bella Sebastiano; Azienda Individuale Saladino Luigi; Cantina Sociale Primavera Soc. Coop. Agricola; Cantine Siciliane Riunite S.r.l. (già Cantine Trapanesi Riunite S.r.l.); Graham & Associati Soc. Coop.


"Oggi siamo in grado di distinguere con innovative analisi sui vini - dice Francesco Carimi, responsabile dell’UOS Palermo dell’Istituto di Bioscienze e BioRisorse del Consiglio Nazionale delle Ricerche - i produttori che dicono la verità da quelli che mentono. Ovvero quei produttori che nel dichiarare un vino di origine siciliana, non si avvalgono di uve provenienti da vitigni tradizionali siciliani.” Ma al Cnr sono stati clonati anche i vitigni resistenti a batteri e virus, che mettono a rischio il patrimonio varietale siciliano.

Fonte: Repubblica