Lo strano caso del merlot in Irpinia: verticale di Feudi di San Gregorio "Patrimo" 2015-2002

di Luciano Pignataro

Da vino mediatico a brutto anatroccolo di cui non parlare mai. E’ la metamorfosi del Patrimo, vino rosso dell’anno per la Guida dei Vini Gambero Slow Food nella vendemmia 2000 lanciato nel 1999 a centomila lire da Enzo Ercolino, allora patron dei Feudi di San Gregorio e protagonista incontrastato della scena vitivinicola regionale. Un vino spartiacque, perché segna l’ingresso in azienda di Riccardo Cotarella e l’abbandono di Luigi Moio che l’aveva seguita nei primi anni in collaborazione con Mario Ercolino, enologo di famiglia.
Per quelle “astuzie della ragione” attraverso cui si dipana lo spirito della Storia, entrambi gli enologi non ricorderanno con piacere il loro lavoro ai Feudi.


Ma non scomodiamo Hegel, diciamo che l’esordio del Patrimo fu clamoroso.
La vicenda del Patrimo fu divisorio tra le tribù del vino, il segnale quasi del passaggio da un’epoca all’altra.
In effetti, cosa ci faceva un merlot  in Irpinia, perché l’azienda regionale più grande decise di puntare su un vitigno internazionale mentre tutta la Campania andava in senso inverso? Perché quella che poteva apparire una scorciatoia verso il successo alla fine è diventato un calvario enologico?

Se cerchiamo di contestualizzare la scelta di Enzo Ercolino, dobbiamo dire che fino a quel momento l’unico vino rosso campano che aveva avuto una risonanza internazionale era il Montevetrano, ottenuto da merlot e cabernet sauvignon oltre che da una punta di aglianico. La mano era la stessa: Riccardo Cotarella.
L’aglianico nelle sue diverse versioni stentava ad emergere in un mondo in cui un Tre Bicchieri era in grado di cambiare le sorti di un vino, anche di una azienda. Troppo ostico, difficile, nonostante l’introduzione della barrique da Caggiano nel 1994. Soprattutto troppo lontano dal modello di vino che si era affermato in quegli anni in cui si puntava su frutto, morbidezza, potenza alcolica.


“Un vino ottenuto da merlot è immediatamente comprensibile a livello internazionale – mi disse Ercolino quando gli chiesi i motivi della scelta – fa conoscere l’azienda e ci consente poi di far provare i nostri autoctoni”.
L’uscita e il successo del Patrimo segnarono anche la prima vera contrapposizione tra il mondo cartaceo e quello nascente del web. Franco Ziliani, con quello che rimane uno dei suoi articoli più spettacolari e meglio scritti, impallinò il vino dimostrando che il Patrimo non poteva essere un Irpinia Rosso Igt perché il merlot non era uva autorizzata. La replica ufficiale fu che si trattava di una vigna classificata come aglianico per errore. Successivamente la questione fu sanata e il merlot entrò a far parte delle uve autorizzate in provincia.

Patrimo divisorio di stili, di epoche, di enologi, di critici. 

Di fatto la potenza del cartaceo era enorme, il 2000 fu vino dell’anno e le bottiglie vendute a centomila lire portarono 80 milioni di lire a fronte di un costo industriale non superiore alle 500mila lire. Non male come operazione commerciale. Ancora una volta Ercolino, genio del marketing, aveva fatto centro.
L’attacco alle Twin Towers però segnò il blocco del mercato americano e l’inizio della prima grande crisi del vino. Il Patrimo, insieme ad altri rossi dai prezzi molto alti costruiti dal marketing, iniziò a soffrire prima sul mercato italiano e poi su quello estero. Cambia passo il mondo vitivinicolo, si affaccia la critica su internet, cambiano i gusti, i fatti danno ragione a chi ha seguito la linea dei vitigni autoctoni. Il Patrimo, dopo il successo fece qualche proselito, proprio in Irpinia Tenuta Ponte a Luogosano mise in commercio un merlot in purezza.

Inizia la vita carsica di questa etichetta, precipitata nell’oblio dall’azienda che cambia rotta portando alla direzione Antonio Capaldo e Pierpaolo Sirch. Viene impostata una politica low profile, e quella etichetta aveva finito per rappresentare, a torto o a ragione, la cattiva reputazione dei Feudi verso il mondo di internet, anno dopo anno sempre più forte e influente.

Pierpaolo Sirch

Nonostante ciò è sopravvissuta e, sull’esempio dei francesi, il tempo regala il dono di una sintesi comune a fronti contrapposti. Soprattutto perché., per questo come per tutte le altre etichette, si è ricominciato dall’agricoltura, quella vera, non raccontata.
Oggi il patrimo nasce in cinque ettari coltivati proprio a ridosso della cantina e la verticale organizzata nella sede dei Feudi sintetizza tre epoche. Quella in cui fu preso a carico da Paully George tra il 2008 e il 2012, poi  Denis Dubourdieu con l’idea di passare dalla opulenza alla eleganza, alla freschezza. Una linea mantenuta anche dopo la scomparsa del grande enologo di Bordeaux avvenuta nel 2016.
Il merlot ha una acidità un po’ scarsa e il cambiamento climatico tende a penalizzarlo. Qui però siamo nella fredda Irpinia, a circa 500 metri di altezza, terreno argilloso. Le condizioni per avere un buon risultato non mancano. Va bene su terreno argilloso.

La linea delineata negli ultimi anni parla di macerazioni più brevi
Nel percorso enologico: macerazioni più brevi, sosta in legno di botti da 20 ettolitri non più di un anno, fermentazione alcolica in acciaio. La raccolta non supera i 60 quintali per ettaro

Malolattica acciaio e legno.


Oggi il Patrimo costa 50 euro franco cantina, viene prodotto in 6.000 bottiglie e ha un mercato di affezionati clienti all’estero che lo chiedono.

2015 *****
Ancora in itinere, ha bel profumo di frutta rossa, verticalità. Note di legno piacevole. Ancora in cerca di equilibrio. Si sentono i tannini e la freschezza sostenuta.

2014****. 
Annata più fresca,  esile,  quasi sottile. In commercio da poco. C’è più equilibrio tra le diverse componenti

2013****
Ricco, equilibrato, tannino dolce e levigato. Ben sostenuto dalla freschezza, lungo, piacevole.

Tutt’altra la musica dei vini seguiti da Paully

2012 ***
Dal colore è più scuro, al naso note fumé, salamaoia, tabacco, meno pulito della 2013. Più sapidità, lungo, rustico. 

2011 ***
Vino abbastanza potente, più ricco  al palato che al naso. Beva popputa, fresca, piacevole, lunga.

2010 ****
Merlot piacevole, pieno, classico, bordolese.  Beva piena e lunga. Al naso note di anice, note balsamica.

2006***
Old style, new style, dipende dai punti di vista. Ancora buono, con un buon fondo di freschezza. Si sente la tensione verso la concentrazione, lunga.

2005**
Note di stanchezza, tannino molto presente. Beva piacevole ma poco netta, poco pulita. 

2004*
Il vino stanco anche se ancora piacevole e vivo. Pesa l’eccesso di sumaturazione, quasi cotto. Lungo e fresco, tutto sommato potabile.

2002***
Annata particolare, soprattutto per i rossi. In questa fase il vino si presenta vivo ma poco elastico, decisamente appesantito, coerente fra naso e palato.

CONCLUSIONI

Lo sforzo dei Feudi di puntare ad un vino più snello, fresco e moderno rendono sicuramente più interessante questo rosso configurando probabilmente una giusta chiave di lettura priva di riferimenti bordolesi o, peggio, caricaturali. Così come avviene anche per l’Aglianico, la nuova linea tende a far esprimere la frutta e in questa rotta il Merlot ritrova un suo perché costituendo una proposta decisamente diversa dagli altri rossi mentre, se ben ci pensiamo, stilisticamente era dal 2006 in giù molto simile ai Piano di Montevergine.
In vista della ventesima vendemmia cosa possiamo dire: sicuramente l’azienda ha fatto bene a proteggere questa etichetta come proprio patrimonio storico che non si può rinnegare. Ma è altrettanto evidente che non può costituire, e di fatto non costituisce, un modello a cui ispirarsi come avvenne al suo trionfante esordio.

Pietro Rinaldi - Langhe Nebbiolo 2015 Argante è il Vino della Settimana di Garantito IGP

di Carlo Macchi
A questo Langhe Nebbiolo di Madonna di Como la madonna ha fatto la grazia, profumandolo di rosa e viola e dandogli un tannino  benedetto, che tocca il palato ma non lo graffia.


Del resto anche la sua freschezza è  quasi miracolosa e non ti fa vedere la madonna, ma quasi. Un vino da godere, parola di ateo!

Pietro Rinaldi, Madonna Di Como  86, Alba
Tel: 0173 360090

Barolo Bar a Monforte: una perla gustosa nelle Langhe che vale il viaggio - Garantito IGP

di Carlo Macchi

Si dice che nei locali in cui si fermano i camionisti si mangi bene: allora in quelli di zone enologiche dove vanno a mangiare  i produttori di vino come si mangerà? Se il locale si chiama Barolo Bar ed è a Monforte c’è da stare tranquilli, si mangerà e si berrà sicuramente bene.


Ma eccovi la storia: durante il recente viaggio IGP in Langa l’ultimo giorno abbiamo appuntamento a Rocche dei Manzoni nel primissimo pomeriggio. Decidiamo così di andare verso Monforte, tanto un posto per mangiare lo troviamo sicuramente lungo la strada. Piove come dio la manda e naturalmente di posti lungo la strada che ci piacciano manco l’ombra. Arriviamo a Monforte e intravediamo un locale dove sembra si possa mangiare qualcosa. Parcheggiamo, ci bagniamo come pulcini per fare 30 metri a piedi e apriamo la porta di questo Barolo Bar pensando “Speriamo bene!”.



Appena entrati capiamo subito che non solo saremmo stati bene, ma addirittura meglio. Prima di tutto il profumo che aleggia nel locale, che comprende la sala bar, una sala ristorante abbastanza ampia, una seconda sala ristorante e una enoteca fornitissima (non per niente Barolo Bar è anche Enoteca di Monforte) è di quelli che ti fanno venire immediatamente fame. Inoltre il locale è pieno e tutti stanno mangiando non solo salumi e formaggi, ma consistenti piatti langaroli, come carne cruda battuta al coltello, vitello tonnato, ravioli, etc.
Mentre ci sediamo l’occhio allenato ci casca su un tavolo dove girano Riesling della Mosella di tutto rispetto, sarà perché a capotavola c’è Guido Fantino, patron di Conterno Fantino: inoltre ad un altro tavolo si sta sedendo Claudio Fenocchio.
“Insomma” pensiamo “Se due produttori di Langa vengono a mangiare qui con gli amici tanto male non si starà”.
Per passare i pochissimi minuti prima di ordinare (servizio preciso e velocissimo!) diamo un’occhiata alla carta dei vini e notiamo che tra i vini serviti a calice ci sono anche Champagne, in particolare (e scusate se è poco) la cuvée “base” di  Bollinger: del resto una mega-boule piena di bottiglie troneggia all’ingresso e con qualcosa sarà pur stata riempita.
Il locale è caldo e accogliente, anche se arredato con spartana attenzione: si bada al sodo e questo sodo lo verifichiamo subito con un’ottima, ma veramente ottima, carne cruda al coltello, seguita da un piatto di buoni ravioli di carne che sarebbe bastato per due persone.


Nel frattempo vediamo passare piatti di risotto e addirittura vassoi di gamberi che vanno a stemperare l’acidità dei riesling  tedeschi.
Mentre a pancia piena ci finiamo la bottiglia di vino ordinata chiediamo in giro e così veniamo a sapere che la giovane titolare Silvia Aiassa nel 2012 ha rilevato il locale, unendolo all’Enoteca di Monforte: da allora il locale sta andando sempre meglio e da qualche tempo, accanto a salumi e formaggi, sono arrivati anche i buoni piatti caldi che abbiamo gustato.


La carta dei vini è da Enoteca di Monforte, ma lasciando da parte i Barolo troviamo tanti Alta Langa, molti Champagne e vini di alto livello sia italiani che esteri.
Le belle sorprese in questo accogliente locale non finiscono mai: andiamo a pagare e scopriamo che per i due piatti che abbiamo mangiato, una bottiglia di Dolcetto di Dogliani (Papà Celso 2015 di Abbona, niente male!), acqua e caffè la spesa totale è di “ben” 25 euro a testa.
Soddisfatti su tutto il fronte  usciamo felici e contenti: adesso la pioggia battente serve solo per farci improvvisare un inverecondo “I am singing in the rain”.


Barolo Bar L’enoteca di Monforte
Via Garibaldi, 11
12065 Monforte d’Alba (CN)
Tel. 0173 789243
www.facebook.barolobarmonforte
mail: silvia.aiassa@tiscali.it

I vini di Emidio Pepe per la prima volta all'asta a New York con Zachys

Emidio Pepe farà la sua prima asta di annate invecchiate con la prestigiosa Zachys, casa d’aste internazionale e specializzata nel mondo del vino i primi di Dicembre.
L’asta sarà live a New York, Londra e Los Angeles ed in streaming mondiale.
Tutte le bottiglie sono provenienti direttamente dalla storica cantina di Torano Nuovo e attentamente decantate prima della spedizione appositamente per l’asta.
Faranno parte di questa eccezionale vendita le migliori 20 annate prodotte da Emidio Pepe, fino ad arrivare ad un lotto unico di una bottiglia di Montepulciano 1967.


Molte annate iconiche che non sono più in commercio da tempo a causa dello stock limitatissimo, faranno parte dell'asta.
Emidio Pepe consacra così la sua carriera e corona il sogno di ogni produttore di vino, dimostrando al mondo intero quello su cui cinquant’anni fa aveva scommesso: il lungo invecchiamento del Montepulciano d’Abruzzo, la sua evoluzione virtuosa e la forte convinzione del loro grandissimo potenziale.
“E’ un’occasione unica ed un evento straordinario”, dice Emidio “poter raccontare la storia del Trebbiano e del Montepulciano d’Abruzzo con delle bottiglie che sono piene di vita e parlano di un territorio: l’Abruzzo”.

Ed infatti, le 53 annate sono state prodotte con gli stessi metodi del 1964, la stessa filosofia e la stessa artigianalità: “è quello che li rende vivi e gli dà potenziale di invecchiamento” dice Emidio, precursore negli ideali di vinificazione artigianale e convinto sostenitore della vinificazione senza macchine e senza legno.

E’ un evento molto emozionante per la Famiglia ma soprattutto un momento di prestigio per i vini di Emidio Pepe che li include così nell’Olimpo dei vini da collezione, guadagnandosi il rispetto e l’ammirazione solenne dell’élite più nobile del mondo del vino.