Modena Champagne Experience 2023

Organizzato da Società Excellence, vede la partecipazione di oltre 800 vini di grandi Maison e piccoli vigneron.

VI° edizione di Champagne Experience, la manifestazione di riferimento in Italia dedicata allo champagne. L’evento organizzato da Società Excellence - realtà che riunisce ventuno tra i maggiori importatori e distributori italiani di vini e distillati d’eccellenza – si prepara ad ospitare negli spazi di ModenaFiere i vini di oltre 140 aziende di champagne tra storiche Maison e piccoli vigneron, pronte a far conoscere un numero come al solito molto consistente di interpretazioni ai tanti professionisti del settore Horeca, sempre più attenti alle novità, alle tipologie e ai nuovi millesimi di un comparto che vede l’Italia tra i più importanti mercati al mondo per la vendita dello champagne.


Per due giorni, oltre 800 champagne possono essere degustati dai visitatori nei 5000 mq del Padiglione A di Modena Fiere.
Sono suddivisi in base alla loro appartenenza geografica, corrispondente alle diverse zone di produzione della Champagne – Montagne de Reims, Vallée de la Marne, Côte des Blancs, Aube, oltre alle maison classiche riunite in una specifica area – con l’obiettivo di offrire un’esperienza sensoriale coinvolgente all’interno di uno scenario chiaro e ben organizzato.

Interessante il programma di master class disponibile su www.champagneexperience.it. Prevendita dei biglietti on-line.

“Champagne Experience è un punto di riferimento sia a livello nazionale che ormai europeo. Questo ci rende orgogliosi e al tempo stesso responsabilizza tutti noi a voler creare una manifestazione sempre più all’altezza delle aspettative dei suoi tanti visitatori” commenta Luca Cuzziol, presidente di Società Excellence. Gli ultimi dati ufficiali sulle importazioni di champagne in Italia confermano la centralità dell’Italia per la sua distribuzione e conoscenza. “La crescita dell’11,5% dei volumi, con 10,6 milioni di bottiglie nel 2022, è un dato certamente indicativo del grande interesse presente nel nostro Paese” aggiunge Pietro Pellegrini vicepresidente di Società Excellence. “Ecco perché una manifestazione professionale che sappia far conoscere con competenza questo magnifico vino agli operatori del settore rappresenta un valore aggiunto fondamentale per tutto il comparto”.

InvecchiatIGP: Luce della Vite – Toscana IGT Luce 2007


di Stefano Tesi

Guardare le cose da una diversa prospettiva è sempre utile. Ancora più utile è capire come una medesima prospettiva possa mutare se cambiano le premesse di osservazione. Mi ricordo bene, ad esempio, quando con non poco clamore fu presentata la partnership tra Frescobaldi e Mondavi e la nascita del progetto Luce in quel di Montalcino. Erano i primi anni ’90.

Credit: Civiltà del bere

Altri tempi, altri vini e soprattutto altri vitigni. Anzi no, erano sempre gli stessi: Sangiovese e Merlot. A essere differenti erano le prospettive generali del vino, orientate alla pomposa muscolarità che all’epoca sembrava una via imprescindibile per il domani.

Poi tutto, lentamente, è cambiato. Ovunque.

Nello specifico, nel 2004 il rapporto societario coi californiani si sciolse e alla guida della storica azienda fiorentina salì il figlio di Vittorio, Lamberto.

Lamberto Frescobaldi

Sono mutati anche i gusti, le tecniche, le filosofie, le vigne e perfino, forse i suoli.
In me però faticava a mutare una certa diffidenza verso certi prodotti di grande eleganza ed anche di grande struttura, rassicuranti per adesione al mainstream, pensati senza infingimenti per un pubblico internazionale e ineccepibili sotto il profilo qualitativo, ma che spesso trovavo un po’ noiosi.


In occasione della recente presentazione di Lucente 2021, “fratello minore” del Luce, assieme al 2018 mi sono trovato nel bicchiere anche il 2007 e l’ho assaggiato con attenzione.


Allo sguardo è di un rubino scuro, intenso, dall’unghia appena aranciata. Al naso, una volta fatto respirare bene, si libera nelle note terziarie più marcate rivelando il frutto e imboccando il piacevole piano inclinato di una balsamicità agile ed elegante, che sconfina in note di resina, di pigna, di macchia mediterranea asciutta. La parte migliore è tuttavia in bocca, dove la grande ampiezza del vino colpisce per un’eleganza quasi eterea, setosa, frusciante e inattesa. E con una lunghezza quasi leggiadra che lo allontana da ogni mio pregiudizio.


E alla fine scopri con piacere che la somma delle note prese fitte fitte sul taccuino è più che lusinghiera.

Civitas - Il vino che sostiene l'arte


Martedì 3 ottobre 2023, nella storica sede dell’Associazione CIVITA di piazza Venezia, si è tenuta una serata dedicata al “Vino Civitas” nell’ambito della quale è stata rivelata la prossima opera che sarà restaurata grazie al Progetto di collaborazione tra l’Associazione Civita e le Gallerie Nazionali Barberini Corsini.


Dopo i saluti di Simonetta Giordani - Segretario Generale dell’Associazione Civita, di Elisabetta Gnudi Angelini - Amministratore Delegato di Caparzo e di Cristina Tonelli - Dirigente scolastico Istituto alberghiero Tor Carbone - A. Narducci, Alessandro Cosma, funzionario storico dell’arte delle Gallerie Nazionali di Arte Antica ha esposto le origini del progetto di collaborazione con il museo e presentato i risultati ottenuti con i restauri realizzati fino ad oggi grazie ai proventi della vendita del vino.

Tra gli interventi già conclusi i più sorprendenti sono quelli della Madonna del Latte di Bartolomé Esteban Murillo, che ha permesso di scoprire al di sotto dell’attuale strato pittorico la figura di un San Francesco inginocchiato, o quello sull’imponente Console con teste femminili di Palazzo Corsini, uno dei più ricchi ed elaborati arredi settecenteschi della collezione; i più recenti, ancora in corso, sul Sant’Onofrio di Battistello Caracciolo e sul Tributo della Moneta di Luca Giordano. Il primo, ormai quasi concluso, ha permesso ad esempio di riscoprire le cromie argentate del santo e molti dei dettagli perduti sotto secoli di ritocchi e vernici ingiallite, dai grani del rosario alle rocce della grotta, dalle foglie che “vestono” il santo alle ciocche dei suoi lunghi capelli.

Nell’ambito dell’incontro è stato annunciato il rinnovo dell’accordo di collaborazione tra l’Associazione Civita e le Gallerie Nazionali Barberini Corsini fino al 2025 che, oltre a sancire la preziosissima collaborazione, dimostra quanto sia valido e vincente questo modello di sinergia.


Il progetto “Vino Civitas”, promosso dall’Associazione Civita in partnership con la Tenuta Caparzo di Montalcino, nasce dalla volontà di contribuire, con un sostegno concreto, alla salvaguardia e alla valorizzazione del patrimonio artistico del nostro Paese. Si tratta di una formula innovativa per legare l’attività vitivinicola al mondo della cultura, ogni anno infatti, grazie a una parte dei proventi della vendita del vino “Civitas” viene restaurata un’opera d’arte individuata dall’Associazione. A partire dal 2019 l’iniziativa coinvolge le Gallerie Nazionali di Arte Antica che hanno beneficiato dei proventi raccolti per il restauro di opere delle loro straordinarie collezioni di Palazzo Barberini e della Galleria Corsini.

Nel corso del prossimo anno verrà quindi restaurata con il Vino Civitas la Lucrezia recuperata di recente dal Ministero degli Esteri, cui era stata concessa in deposito addirittura dal 1929. Un’opera sostanzialmente inedita, che costituisce l’unica versione completa esistente di una composizione di Guercino nota solo in esemplari parziali e il cui restauro potrebbe finalmente chiarire la storia e l’attribuzione.


Al progetto hanno aderito nel tempo sempre più aziende associate che sensibili alle tematiche culturali, hanno creduto fortemente nel progetto e contribuito, in qualità di acquirenti, a sostenere l’iniziativa nell’intento di affiancare la propria immagine al “mondo valoriale dell’arte”.

Associazione Civita

È un’organizzazione non profit di imprese ed enti di ricerca impegnata da oltre 35 anni in attività finalizzate alla tutela e valorizzazione del patrimonio artistico italiano.
Sin dalla sua nascita ha saputo proporre un approccio nuovo nel rapporto fra il mondo della cultura e quello dell’economia, affidando un ruolo decisivo alle imprese intese non più come sponsor/mecenati, ma soggetti attivi e propositivi in grado di fare dell’investimento in cultura un asset strategico di valorizzazione della propria capacità competitiva.

Riconosciuta come vitale luogo di pensiero ed elaborazione di idee per innovare il settore dei beni culturali oggi l’Associazione Civita, sensibile anche ai temi di sostenibilità e innovazione, svolge un’intensa attività di studi, ricerche e realizza importanti eventi e progetti culturali anche in collaborazione con le proprie aziende affiliate.

Tenuta Caparzo

Fondata nel 1970, Caparzo rappresenta una delle prime dodici cantine storiche di Montalcino ed è tra quelle che più hanno contribuito alla creazione del mito del Brunello. Acquistata nel 1998 da Elisabetta Gnudi, Caparzo ha da quel momento subito un radicale cambiamento. L’azienda è stata dotata di una nuova cantina di invecchiamento completamente interrata e fra le più tecnologiche della zona, i vigneti sono stati reimpiantati e grazie ad alcune attente acquisizioni il parco vigna è oggi di oltre novanta ettari vitati.

I vini di Caparzo sono presenti in oltre quaranta paesi, apprezzati per la loro costanza qualitativa e per essere espressione fedele ed elegante del territorio di origine.

Con la Linea “Civitas” si contribuisce attivamente al restauro di un’opera d’arte

- Brunello di Montalcino Docg

- Sangiovese Toscana Igt

- Bianco Toscana Igt

Per informazioni:

ASSOCIAZIONE CIVITA
Tel. 06 692050256 | e-mail vinocivitas@civita.it

L’evento è stato organizzato in collaborazione con Tenuta Caparzo e l’Istituto alberghiero Tor Carbone - A. Narducci

Querciamatta - Rosè 2022


Di Stefano Tesi

Dalla scommessa di un Sangiovese 100% da vigne abbandonate e recuperate tra le colline più nascoste e ubertose della Valdinievole, ecco un rosè sorprendente, marcante al naso grazie agli spiccati sentori di rosa canina e di agrumi. 


La bocca è di una sapidità persistente, quasi salmastra.

Il Chianti Classico secondo Sala del Torriano


di Stefano Tesi

Siamo a Montefiridolfi, in comune di San Casciano Val di Pesa. Sole accecante su un paesaggio onestamente splendido. La Sala del Torriano è l’azienda creata nel 2014 da Francesco Rossi Ferrini, un piede in finanza e uno nel vino, unendo due realtà preesistenti: la Sala ed il Torriano.


Il Torriano, 22 ettari, gli è arrivato nel 2010 direttamente dalla famiglia materna: il nonno Piero Cateni la acquistò nel 1937. Nel 2014 Francesco acquista invece La Sala, nella vicina Sorripa, mettendo così insieme una proprietà di 75 ettari totali, dei quali 34 vitati, impiantati per l’80% a Sangiovese e per il resto a Merlot e Cabernet sauvignon, Colorino e Pugnitello. “Ma vinifichiamo l’uva di soli 12 ettari – spiega – perché ci manca lo spazio per vinificarla tutta”. Buon segno.

Francesco Rossi Ferrini

L’aspirazione è, ma dicono tutti così, costituire l’”espressione sartoriale” del territorio in cui si trovano, ossia la media collina della zona nord-occidentale del Chianti Classico. Obbiettivo oggettivamente non facile da conseguire. Qui lo perseguono, dopo la conversione al bio nel 2017, scegliendo anno per anno le uve migliori tra i vigneti di proprietà e utilizzando solo serbatoi da 50 hl, sotto l’occhio vigile dell’enologo-agronomo interno Ovidio Mugnaini e dall’enologo consulente Stefano Di Blasi.


Al termine della degustazione di sei vini, dei quali riferiamo nel dettaglio più sotto, devo ammettere che siamo usciti convinti della veracità del progetto: gli assaggi hanno espresso una coerenza stilistica vocata alla semplicità, alla rinuncia alla scenografia e alla muscolarità. E’ emersa una mancanza di fronzoli a beneficio di sorsi asciutti, centrati, godibili, dotati di quei crismi di una certa chiantigianità profonda non così frequenti da rintracciare.

La Sala del Torriano Chianti Classico DOCG 2016 (Sangiovese 90%, Merlot 10%)

Da una tipica annata “regolare” ecco un vino di un ben colore rubino vivo e un naso ricco, fresco e tuttavia fine ed elegante, pieno di frutto maturo. In bocca è generoso, gratificante, ma composto e lineare.

La Sala del Torriano Chianti Classico DOCG 2015 (magnum)

Anche al netto dei grandi, generici benefici del grande formato, questo vino spicca per finezza e levità olfattiva, che lo rende particolarmente elegante. In bocca è giustamente tannico, asciutto e quasi severo, di gran pulizia.

La Sala del Torriano Chianti Classico DOCG 2014 (Sangiovese 85%, Merlot 15%)

Un’annata critica per definizione (e un raccolto da soli 7 ettari) non poteva che dare un risultato un po’ anomalo. Al colore un po’ spento corrisponde un naso piuttosto scarico e un’impressione di esilità, che però non dispiace anche grazie all’eleganza dell’insieme. In bocca è coerente alle premesse: non lunghissimo ma ruspante e beverino, con una sua sghemba identità.


Il Torriano Chianti Classico DOCG 2018 Gran Selezione (Sangiovese 100%)

Al colore scarico e molto trendy corrisponde un bouquet intenso e profondo, dove il frutto maturo emerge in tutta la sua solenne, quasi invadente evidenza. Una sensazione che continua in bocca con una rotondità marcata, duratura e piuttosto alcoolica.

Il Torriano Chianti Classico DOCG 2016 Gran Selezione (Sangiovese 100%)

Nel bicchiere brilla un magnifico color rubino, mentre all’olfatto la maturità regala un’eleganza quasi croccante, verticale, finissima. Qualità che si ritrovano al palato con un’ampiezza capace di mantenersi agile, forse un po’ a discapito della lunghezza.

Il Torriano Chianti Classico DOCG 2015 Gran Selezione (Sangiovese 100%)

La profondità del colore fa da premessa a un vino concentrato, molto stile “prima Gran Selezione”, dal bouquet un po’ chiuso e dal corpo pieno, strutturato, piuttosto alcolico e abbastanza evoluto.

La Sala del Torriano 5 Filari Toscana Rosso Igt 2020 (Pugnitello 100%)

Appena mille bottiglie di questo vino fatto in anfora e ricavato da un unico vigneto immerso nel bosco e ricavato dalla ripropagazione di una vite trovata in azienda.
Il colore è un rubino/granato medio, mentre al naso è complesso, screziato: accenni balsamici con note verdi, di macchia, di alloro. Non si smentisce in bocca, con una sapidità asprigna che lo rende agile e nevrile come certi vini “di campagna”.

InvecchiatIGP: Perillo - Taurasi DOCG 2004


di Luciano Pignataro

Perillo mi dà la possibilità di definire bene, secondo la mia opinione ovviamente, il produttore artigiano. In realtà, al di là dei protocolli, dell’uso o meno di lieviti indigeni o selezionati, di barrique o botti grandi, di trattamenti con fitofarmaci o lotta integrata, secondo me quello che distingue davvero l’artigiano è il rapporto con il tempo. Ossia la decisione di mettere il vino in vendita non quando lo richiede il mercato ma quando è effettivamente pronto. Tutto il vino, non una linea solamente.
Michele Perillo, che ha iniziato a vinificare sulle silenti colline di Castelfranci, ossia nella parte più alta dell’areale compreso dalla DOCG, corrisponde esattamente a questa definizione che alla fine è l’unico discrimine vero, fino al paradosso, magari, di fare uscire una annata più vecchia prima dell’ultima s ne ha le caratteristiche.


Un altro elemento che distingue questa piccola azienda, che produce meno di 20mila bottiglie da nove ettari di proprietà curati personalmente, è il fatto che affianca solo la Coda di Volpe all’Aglianico, secondo quelle che sono le vere tradizioni dell’areale taurasino che non conosceva Fiano e Greco. E tanto meno la Falanghina, il trittico bianco che quasi tutte le cantine irpine presentano a prescindere.


La capacità di distinguersi è sempre il nocciolo del problema che appare difficile da comprendere a chi lavora in questo settore. Michele Perillo, oggi affiancato dal figlio Daniele, fresco di studi di Enologia, conosce nel dettaglio i terreni argillosi, calcarei e tufacei sparsi fra Montemarano e Castelfranci e le loro esposizioni realizzando una lunghissima vendemmia a seconda delle maturazioni raggiunte dall’uva. Giusto per dare una idea dei tempi di uscita, le ultime annate in commercio sono la Coda di Volpe 2019, il Taurasi 2011 e il Taurasi riserva 2010.


Capirete bene, allora, che stappare una 2004 non ha quasi nulla di straordinario in questo caso. Lo facciamo come deve essere bevuto il vino, in una allegra e spensierata giornata di agosto fra numerosi amici accorsi in cantina per sfidare il caldo. Tra pasta al forno, salumi, mozzarella, capretto e pollo ruspante, pizze rustiche e pasta con i ceci, una dopo l’altra le bottiglie vengono sacrificate all’altare della gioia collettiva.


La 2004 fu una annata di riprese dopo la difficile 2003, la prima vera annata caldissima che prese di sorpresa un po’ tutti. Anche in Irpinia si registrò un considerevole aumento della produzione e un ritardo rispetto alla vendemmia precedente dovuto ad un andamento climatico decisamente più fresco che ha regalato vini più snelli ed eleganti. Il 2004 di Perillo si presenta bene all’appuntamento con lo stappo dopo quasi vent’anni, o profumi di frutta sono concentrati, cotognata, carruba, inseriti in un contesto di accenni balsamici e spezie, sul finale una piacevole nota fumè. Al palato l’acidità risulta bilanciata, frutto e legno sono perfettamente integrati sial gusto che all0olfatto, il finale lungo, sapido, i tannini levigati dal tempo ma ficcanti.


Un bel bicchiere che ha chiuso il nostro convivio agostano, purtroppo ormai lontano ricordo dopo il rientro nel logorio della vita moderna (cit. Calindri).

Miani - Chardonnay 2017


di Luciano Pignataro

Il sommelier è appassionato, tutto può succedere. Come riuscire a trovare questa bottiglia di Miani assolutamente straordinaria ovviamente fuori carta. Una interpretazione austera dello Chardonnay, che in questa fase privilegia frutta e freschezza per chiudere pulita. 


Precisa. Promessa di eterna e gaia giovinezza.

Arianna Occhipinti e il suo Frappato 2020


di Luciano Pignataro

Era l’ormai lontano 2011, annata calda, caldissima, dal Ferragosto in poi come la 2003 quando visitai Arianna Occhipinti: era proprio all’inizio di quello che poi sarebbe stato un travolgente successo. Si dice spesso che per diventare famosi bisogna saper comunicare e in ogni caso smanettare alla grande con i social. Ma questa affermazione è vera solo a metà, perché se dietro non c’è sostanza il successo dura il tempo di un battito d’ali di una farfalla.
Arianna, al contrario, nel corso degli anni è diventata una vera e propri star, un riferimento non solo per l’Italia ma anche negli Stati Uniti dove non è facile affermarsi. E la sostanza è che ho visto una ragazza nel 2011 immersa nella sua vigna, con le mani piene di lavoro manuale, che ci racconto dello zio Giusto, ci fece fare il giro dei terreni e poi bere i suoi vini nel suo salotto: una visita talmente improvvisata che andai con Leo Ciomei che è vigorosamente astemio.
Compresi subito che mi trovavo a qualcosa di nuovo, era ormai il nuovo millennio che si affermava sui blog e sui forum del Gambero. Se negli anni ’90 i personaggi erano creati dalla guida Slow-Gambero Rosso, la musica era ormai cambiata. Era anche l’epoca in cui la cavalcata trionfale del mondo dl vino aveva conosciuto prima la crisi dell’attacco alle Twin Tower, poi quella successiva, forse più pesante dal punto di vista commerciale, del crollo finanziario del 2008-2009.


Arianna capì subito l’importanza di un racconto diverso, forse meno edulcorato, del lavoro nella terra, ma soprattutto colse l’importanza di due fenomeni nascenti: la narrazione autoprodotta e non figlia dell’ipse dixit e la sensibilità verso l’ambiente come bene comune e premessa della salute del consumatore.
Inutile adesso stare a discutere nel merito di questi due temi, fatto sta che Arianna è riuscita a comunicare direttamente alla sua generazione che in quel momento si affacciava al racconto del vino in modo semplice e colloquiale, senza filtri di addetti stampa e comunicatori specializzati, per la verità molto pochi in un paese come l’Italia. E ha trasmesso questi valori come interprete autentica della sua Sicilia, liberandosi dall’assedio della guerra dei prezzi al ribasso tipica proprio della zona di Vittoria e di Avola costruendo vini semplice ma complessi, facili da leggere ma lunghi da raccontare.


Come questo Frappato. Lo beviamo, assetati, una domenica di questo agosto quando il sole declina dietro l’orizzonte del mare di Paestum: abbiamo bisogno di rilassaci, di godere questo piatto di totani al sugo e ci lanciamo sul rosso senza esitazioni perché ne conosciamo le caratteristiche: tannini presenti ma setosi e non invasivi, un bel frutto e soprattutto. Tanta, tanta acidità, freschezza, la chiusura amara e precisa che rimanda subito al secondo sorso. Nasce da uve in collina, quasi trecento metri, la fermentazione parte con lieviti non selezionati, la macerazione lunga e l’affinamento in botti grandi di rovere di Slavonia lo fanno crescere fondendo il frutto con sentori di legna che ci suggeriscono il tostato non omologante e tranquillizzanti note balsamiche.


La bottiglia finisce, impossibile bere un vino senza pensare al produttore quando lo hai conosciuto, perché la bottiglia è un rimando continuo a ciò che ho visto e sentito. Poi, prima di scrivere, leggo nelle note aziendali: “È il vino che più mi somiglia, coraggioso, originale e ribelle. Ma non solo. Ha origini contadine, per questo ama le sue radici e il passato che si porta dentro; ma, nello stesso tempo, è capace di lottare per migliorarsi. Conosce la raffinatezza senza dimenticare mai se stesso”. Tutto vero.

InvecchiatIGP: Tiefenbrunner - Alto Adige Müller Thurgau DOC "Feldmarschall Von Fenner" 2012


di Carlo Macchi

Il Feldmarschall ha una storia particolare che va raccontata: la vigna si trova a più di 1000 metri e il primo impianto venne fatto nel 1972 dal padre di Christof Tiefenbrunner. Il primo imbottigliamento è stato nel 1974. Stiamo quindi parlando di un’idea di vino che allora, vista l’altezza del vigneto non era rivoluzionaria, era vicino alla follia.


Christof Tiefenbrunner

Follia che oramai è divenuta solida realtà e che mi ha spinto a passare una mattinata molto educativa con Christof Tiefenbrunner, dove non solo ho potuto godere di questo 2012 (e del 2015 e del 2020 e di altri vini che meriterebbero ognuno un articolo) ma ho imparato molte altre cose che voglio condividere con voi 
Oramai anche i sassi conoscono la mia strampalata (o forse no…chissà) idea che i produttori (quelli che il vino lo fanno davvero) assomigliano ai loro vini e viceversa: nell’eleganza e la compostezza di Christof ritrovo tanti caratteri dei suoi vini, dove non si privilegia certo la potenza ma l’equilibrio e finezza. Nelle sue parole misurate e ben scelte, trovo la precisione enologica di ogni suo vino. Nella conoscenza e competenza estrema e nella passione che riesce benissimo a mascherare ritrovo l’anima profondi di tanti suoi vini, “perfetti ma con anima”.

Christof Tiefenbrunner

Da interista molte volte nella vita mi è risuonata in testa una frase di Mourinho che, quando ci portò in cima al mondo, disse “A certi livelli la differenza la fanno i particolari.” Mi è tornata in mente anche da Tiefenbrunner quando abbiamo parlato di solforosa e Christof mi ha spiegato le prove che stanno facendo in cantina, diminuendo la solforosa e controllando il successivo invecchiamento dei vini. Le varie prove partono da 40 mg/l di libera fino a 30 mg/l e le parole di Christof sono state molto chiare. “I vini con meno solforosa libera (ferma restando la bontà di tutti i passaggi enologici precedenti, n.d.r.), diciamo quelli attorno a 32-33 mg/l non solo sono risultati più aperti subito ma maturano e invecchiano in maniera diversa, sicuramente migliore.” Quindi diminuire la solforosa non serve solo come gesto salutistico ma risulta anche un vantaggio per un buon vino.


Sugli zuccheri residui il discorso è stato altrettanto importante e chiaro. Molto spesso si sente dire da un produttore che il suo vino avrà “2/3 grammi di zucchero residuo”, che in qualche caso è un modo per dire che è praticamente secco. Da Tiefenbrunner dire “2 o 3 grammi” è quasi una bestemmia perché, anche a quei livelli di zucchero (che possono essere definiti come vini che non hanno zuccheri residui) il decimo di grammo in più o in meno cambia la struttura del vino, rendendolo più o meno aperto, profondo, equilibrato, elegante. Quindi quando d’ora in poi sentirò un produttore che spara grammi di zucchero come noccioline saprò (e saprete) che non ha un reale controllo sui suoi vini e sulla sua cantina o che semplicemente reputa, sbagliando, che sotto certi livelli non sia importante avere un quadro chiaro.

Il vino

Torniamo alla storia del Feldmarschall e del vitigno da cui nasce: nell’inverno 1980/1981 il gelo fece seccare tutte le viti e quindi si riparti quasi da zero. Nel 1987 il vigneto venne ampliato ma non fu l’ultima volta, tanto che oramai la vigna è stata praticamente rifatta tre 3 volte e le ultime parcelle hanno un impianto a 0.60x0,80, con una media di produzione di 300/350 grammi a pianta.
Da un po’ di tempo avevo un dubbio latente sul Feldmarschall, perché negli ultimi anni era diventato più chiuso, meno aromatico e seduttivo al naso, meno rispondente ai canoni e ai caratteriali del vitigno.


Non per niente questo 2012, assaggiato alla sua uscita circa 10 anni fa non mi aveva fatto impazzire ma adesso mi ha lasciato a bocca aperta: idrocarburo netto accanto a note di pesca e albicocca mature, poi miele. Bocca sapida e austera, ma nello stesso tempo rotonda e di infinita lunghezza. Alla base di questo bellissimo sorso ci sta l’acidità, non per niente siamo attorno a 7 g/l. Inoltre questo 2012 ha una piccola parte di uva botritizzata che porta a sensazioni particolari. Questo vino esce da canoni di semplicità e freschezza che ha il vitigno in Alto Adige e in Trentino per ricercare una complessità futura che si basa su concentrazione ma anche acidità molto alta. Per far quadrare tutto questo bendiddio ci vuole tempo e infatti oggi il vino entra in commercio a quasi a tre anni dalla vendemmia.


Insomma, alla fine dell’assaggio ho capito che il Feldmarschall non è un Müller Thurgau, è il Feldmarschall, un vino unico da un vigneto unico.

Roberto Cipresso - Chalone Pinot Noir 2021


di Carlo Macchi

L’ AVA Chalone si trova nelle contee di Monterey e San Benito, in California. Roberto Cipresso, enologo “onnivoro” di zone e di novità, raccoglie il pinot nero a altezze elevate e crea un vino che ha le stimmate aromatiche del Pinot Nero e la delicatezza del vitigno. 


Prezzo elevato ma semel in anno…

Alla scoperta del Gavi di Roberto Mazzarello


di Carlo Macchi

Bosio è il comune più a sud del territorio del Gavi, probabilmente quello con le vigne più alte e sicuramente con la maggiore concentrazione di boschi, che accompagnano la denominazione fino al confine con la Liguria. Anche qui i terreni sono bianchi, molto calcarei e il cortese nasce con quella sana verticalità che il cambio climatico sta, da qualche anno, attenuando.

Roberto Mazzarello

Ma non nei 10 ettari di vigne di Roberto Mazzarello, una delle ultime etichette nate nella denominazione. Roberto ha vigneti anche a Parodi Ligure ma quelli a cui è più legato sono in località Le Zucche a Bosio, vicino alla sua piccola cantina minimalista, dove troviamo solo semplici vasche termocondizionate in acciaio e una linea d’imbottigliamento degna di una cantina che può produrre 50/60000 bottiglie e non 7000.


Ho parlato di cantina e quindi vi do subito un consiglio: se volete fargli visita telefonategli (le mail non fanno per lui) e fatevi venire a prendere a Bosio, altrimenti non lo troverete mai! Infatti La prima cosa che ho detto a Roberto è di mettere almeno 4/5 cartelli che indichino la strada per arrivare in azienda. Ma Roberto è così: pensa a fare il vino, non a venderlo. La seconda cosa che gli ho detto è che nelle sue vigne non si vedeva neanche una foglia colpita da peronospora, che quest’anno ha falcidiato mezza Italia. Lui ha sorriso compiaciuto e ho capito di essere di fronte ad una persona che ama lavorare bene, costi quel che costi in termini di tempo e di impegno. Non si tratta tanto di passione quanto di voglia di capire e di fare bene le cose.


La stragrande maggioranza di quello che produce nei suoi 10 ettari lo vende sfuso ad altre cantine, ma dal 2020 ha deciso di mettersi in gioco in prima persona e così ecco nascere le sue due etichette, il Gavi DOCG e la selezione Gavi DOCG Vigna Le Zucche.


Li assaggiai la prima volta un anno fa e mi colpirono sia per freschezza che per nerbo e dinamicità, ma soprattutto per essere dei vini antichi, cioè dei Gavi austeri e senza fronzoli, come nascevano 20-25 anni fa, quando la fama e la nomea del Gavi doveva ancora rinascere dalla crisi dei primi anni ‘90. Vini che vedono solo acciaio, con profumi floreali e note minerali, che al palato mettono l’acidità ben in mostra ma affiancata da un corpo di livello.


Non vi dico il prezzo a cui vende i vini perché gli ho consigliato di aumentarlo, ma in azienda siamo molto al di sotto dei 10 euro.

Fateci un salto!

InvecchiatIGP: Corino - Barolo Vigna Giachini 1995


di Roberto Giuliani

Qualche decennio fa il mondo del Barolo era spaccato in due, da una parte la corrente modernista dei Barolo Boys (e di altri che li hanno poi seguiti), dall’altra la resistenza dei tradizionalisti. Due visioni che allora non sembravano avere alcuno spiraglio d’incontro. E anche dal punto di vista della critica enologica i giudizi erano del tutto eterogenei. Da una parte chi apprezzava le estreme concentrazioni, i colori impenetrabili, la potenza (che erano tutte novità per quei vini a base nebbiolo), dall’altra chi preferiva ritrovare certe espressioni più affini all’immagine di sé che il Barolo aveva tramandato sin dalla sua nascita.


Si dice che la verità sia nel mezzo, ma in questo caso nel mezzo non ci stava quasi nessuno, o eri pro barrique, rotomaceratori, fittezza d’impianto, rese bassissime, macerazioni brevi, o eri pro botti grandi di rovere di Slavonia, macerazioni medio-lunghe, colori scarichi da nebbiolo ecc.
C’è da dire però che almeno fino agli anni ’80 si produceva molta più uva, si concimava anche troppo, le maturazioni erano tardive e le gradazioni piuttosto basse, tant’è che non era rara la pratica dell’arricchimento. La scelta innovativa, quindi, aveva anche le sue ragioni in un contesto con quelle caratteristiche. I cambiamenti climatici, le cui prime avvisaglie potrebbero risalire al 1997, hanno fatto sì che oggi le rese basse e le concentrazioni di sostanze in vigna come in cantina, stiano diventando un serio problema per i vini, le cui gradazioni sono sempre più elevate, le maturità di frutto eccessive e l’acidità più bassa (nei bianchi poi i profumi primari sono sempre più difficili da mantenere).


La lezione, come sempre, arriva dalla natura, non esiste una formula standardizzabile e perenne, bisogna imparare a seguire i ritmi che la natura stessa suggerisce, senza prendere scorciatoie, senza fare improvvisi stravolgimenti in vigna e in cantina, perché i processi devono essere sempre progressivi e misurati, altrimenti si rincorre sempre, con esiti spesso deludenti.


Il
Vigna Giachini 1995 (oggi solo Giachini in etichetta), che fu messo in commercio nel 2000, è figlio di un’annata non facilissima, soprattutto perché il 3 e 4 agosto una maledetta grandinata fece non pochi danni nei vigneti. C’è da dire però che le vigne di Giuliano Corino guardano tutte all’Annunziata e, almeno allora, c’era una buona ventilazione e freschezza. 
Sono passati, dunque, 28 anni dalla vendemmia, un ottimo modo per testare la tenuta di questo vino e dello stile con cui è stato concepito. Va detto che quando uscì, mise in mostra una condizione difficile, tannini tosti e una trama ancora squilibrata, prevederne gli sviluppi futuri non era certo semplice. Con enorme gioia, e un certo stupore, ho davanti un vino di un’integrità impressionante, fra l’altro il tappo ha tenuto perfettamente e non ci sono odori né di muffe né di deterioramento del vino.


Il colore è un impressionante granato vivo e compatto, senza cedimenti, mentre il bouquet (lasciato respirare per parecchie decine di minuti) è davvero sorprendente, perché pur non essendo particolarmente intenso, mostra toni per nulla stanchi, devi insistere a lungo per trovare tracce di funghi, goudron, polvere da sparo, scatola di sigari e cuoio, vince ancora un frutto solido, non marmellatoso, addirittura si coglie una punta di arancia rossa, mentre la speziatura è finissima e non vira verso pungenze da chiodo di garofano.


L’assaggio non fa che confermare un vino che, da una parte manifesta la parte terziaria (sarebbe un marziano se non lo facesse), ma dall’altra mostra una freschezza, un tannino perfettamente integrato e un frutto ancora vivo, accenti ben lontani da lasciare immaginare anche lontanamente che abbia 28 anni!
Forse non raggiunge l’eleganza dei grandi Barolo, ma chapeau per il risultato e la tenuta, veramente eccezionali. Ah, per i più curiosi, la gradazione è di 13,5, oggi ve la potete scordare!

Casali Viticultori - Colli di Scandiano e di Canossa DOC Ca’ Besina Metodo Classico Pas Dosé


di Roberto Giuliani

Ottenuto dal vitigno Spergola, presente in Emilia sin dal XVII secolo, sosta 48 mesi sui lieviti e regala piacevoli note di gelsomino, mandarino, cedro, mela verde e renetta, pesca bianca, erba tagliata. 


Al gusto è ampio, saporito, con accenti di crosta di pane e un finale davvero rinfrescante.

Cantina Crociani - Rosso di Montepulciano 2019


di Roberto Giuliani

Rosso di Montepulciano dieci anni dopo. Sì, perché era il 21 luglio del 2016 quando per Garantito IGP scrissi del 2009, sottolineandone le capacità d’invecchiamento.Mi sembrava giusto tornare a farlo per il 2019, perché Susanna Crociani è una garanzia, con le dovute differenze non ho mai trovato un’annata fiacca, poco stimolante, sottotono, segno di quanta attenzione ci mette già in vigna; poi la selezione delle uve, disponendo di vigne in posizioni leggermente diverse, hai maggiore possibilità di scelta, indirizzandole al Rosso o al Nobile in base a quello che vuoi ottenere.


Dal punto di vista generale a Montepulciano si può parlare di un’annata di qualità più che buona, qualcuno ad aprile ha dovuto fare i conti con la tignoletta, mentre ha avuto problemi di attacchi fungini; nelle prime due settimane le temperature sono state sempre inferiori alla media, superando di poco lo zero termico della vite (10° C), rallentando il periodo di germogliamento. Le piogge sono state frequenti per buona parte del mese e per quella iniziale di maggio. Tra fine maggio e inizio giugno le temperature sono salite velocemente, accelerando i processi vegetativi delle piante. A metà giugno le temperature erano decisamente aumentate, favorendo una rapida fioritura; durante questo processo si è assistito ad alcuni fenomeni di colatura e acinellatura, non di rado i germogli hanno generato due grappoli invece di uno, ma essendo mediamente spargoli non ci sono stati rischi particolari. L’assenza di piogge per tutto il mese di giugno e parte di luglio ha frenato l’attività vegetativa, che si è ripresa dopo le piogge del 28-29 luglio, evitando stress idrici. Poi di nuovo caldo intenso (sopra la media) e il 23 e 24 agosto pioggia rigenerante.


Le temperature di settembre sono tornate nella media, ma le piogge concentrate tra il 22 e i 24 e quelle successive dei primi di ottobre hanno concentrato in un lasso di tempo abbastanza breve la fase di raccolta delle uve. Un’opportuna riduzione dei carichi produttivi ha consentito di salvaguardare la qualità.

Susanna Crociani

Al netto di tutto questo i profumi inebrianti del Rosso di Montepulciano 2019 di Susanna Crociani mi confortano, Antonio Albanese nella sua nota parodia del sommelier direbbe “sa di vino”, pare scontato ma non lo è affatto, il sentore cosiddetto vinoso è sempre meno frequente, come se fosse un limite, invece non c’è niente di meglio di questa premessa alla succosità, alla piacevolezza, all’estasi del frutto. Qui è espresso benissimo e lo ritrovo in un sorso carnoso, fresco e deliziosamente dolce, non per residuo zuccherino ma per la perfetta maturità del prugnolo gentile, il tannino è fine, setoso, non morde, si sente in positivo l’annata calda, segno che è stata ben gestita, tanto che la gradazione si ferma a 13,5 e tutto è avvolto in una felina eleganza. Ennesima dimostrazione che la Cantina Crociani è una sicurezza.

INVECCHIATIGP: Faraone – Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane DOCG “Santa Maria dell’Arco” 2006


Le Colline Teramane sono una porzione di Abruzzo di magnificente bellezza dove l'intreccio tra Uomo, Natura e Tempo ha origini antiche come la storia della viticoltura di questo territorio che, per sua natura, ha l'attitudine a creare vini profondi e scalpitanti, di grande identità, immediatezza ed eleganza.


L'area di produzione abbraccia l’intera collina litoranea ed interna della provincia di Teramo ed è caratterizzata, a est, da ampie colline che scivolano verso il mare Adriatico e dalla presenza imponente del Gran Sasso e dei Monti della Laga, a nord–ovest.


In questi luoghi da cartolina, tra brezze di mare e di montagna e terreni di natura argillo-limosa, il Montepulciano trova un habitat assolutamente unico e di questo, fortunatamente, se ne sono accorci anche i vignaioli locali che, nel corso del tempo, hanno fatto scelte di preservazione del territorio grazie, ad esempio, di l'uso di pratiche agricole improntate alla sostenibilità ambientale visto che oltre il 70 per cento delle aziende, infatti, opera in regimi di qualità certificata come il Biologico, la Lotta integrata, la Biodinamica, etc.


Faraone, nel territorio delle Colline Teramane, è sicuramente una delle aziende storiche visto che già dal 1930 ha iniziato coltivando passerina, sangiovese e, ovviamente, montepulciano che ha iniziato a imbottigliare e commercializzare solo a partire dagli anni ’70 assieme a Trebbiano di Abruzzo e Cerasuolo d’Abruzzo.


Non è difficile, se si cerca bene soprattutto all’interno delle enoteche della zona, imbattersi in qualche vecchia annata di Montepulciano di Abruzzo di Faraone che ha nel Santa Maria dell’Arco il suo fiore all’occhiello essendo il rosso di punta dell’azienda agricola da sempre il cui nome prendi ispirazione da una vecchia cappella dove un tempo, nei primi anni ’90, l’azienda possedeva dei vigneti. Oggi il nome è rimasto per contrassegnare i vini di riserva aziendale sia di Montepulciano (DOCG) che Trebbiano e nello specifico le uve provengono dalla particella più alta del vigneto di Collepietro caratterizzato da terreno sabbioso e ciottoloso con esposizione sud\est.


Il millesimo 2006 che ho bevuto a casa di amici non fa altro che confermare la grande capacità di evoluzione del Montepulciano d’Abruzzo che, come scritto in precedenza, grazie alle specificità tipiche del terroir delle Colline Teramane non si rivela il classico “vinone” tutto muscoli e scarsa beva. Anzi, questo Santa Maria dell’Arco svela un lato di sé decisamente leggiadro e affascinante grazie ad un naso profondono dove iodio, sensazioni agrumate ed erbe medicinali creano un mix aromatico di invidiabile territorialità. Al sorso l’acidità, quasi agrumata, è ancora sugli scudi tanto da prevalere sulla presenza tannica e, in generale, sulla sostanza di questo Montepulciano ancora vivo, affilato e dalla generosa scia sapida finale. Diciassette anni e non sentirli!

Gaetano Di Carlo - Terre Siciliane IGP “Lù Catarratto” 2021


Gaetano è ritornato nella sua Corleone per dare speranza ad un territorio difficile dove, ad oltre 700 metri, sono state piantate vigne di catarratto su terreni ricchi di calcareniti mioceniche.
 

Ricco e dalla forte influenza iodata, il Lù Catarratto è un vino profondo che sa di memoria e riscatto.