Vitigni chiamati Piwi - Garantito IGP

di Lorenzo Colombo

Venerdì 9 novembre - prima giornata del Merano Wine Festival - presso “The Circle” (il cosiddetto Fuori Salone), una tensostruttura situata in Piazza della Rena, erano presenti venti produttori di vini da vitigni PIWI, ossia resistenti alle malattie fungine.

Si tratta di vitigni concepiti con l’ausilio di università ed istituti di ricerca con lo scopo di ridurre al minimo i trattamenti legati alle malattie fungine, peronospora ed oidio soprattutto, alcuni di essi sono stati iscritti al Registro Nazionale delle Varietà di Vite, anche se al momento sono utilizzati solamente in alcune regioni del nord Italia: Alto Adige e Trentino in primis, ma anche Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia e non è possibile utilizzarle nei vini a denominazione. Qui sotto una mini-descrizione di quelli che compaiono nelle nostre degustazioni, pur avendo ben presente che ne esistono ormai molte altri.

Solaris: vitigno a bacca bianca ottenuto nel 1975 da Norbert Beker incrociando Merzling x (Zarya severa x Muscat Ottonel), è riconosciuta come varietà resistente alle principali malattie funginee.  Iscritto al Registro Nazionale delle varietà di vite dal luglio 2013, è presente in Lombardia, Trentino e Veneto e può essere utilizzato in 11 vini ad Igt.

Joannither: ottenuto nel 1968 a Freiburg incrociando Riesling x (Seyve-Villard 12- 481 x (Ruländer x Gutedel)) è riconosciuta come varietà resistente alle principali malattie funginee. Iscritto al Registro Nazionale delle varietà di vite dal luglio 2013, è presente in Lombardia, Trentino e Veneto e può essere utilizzato in 11 vini ad Igt.

Bronner: è un vitigno a bacca bianca creato nel 1975 nell'Istituto di Viticoltura di Friburgo ed è un incrocio fra la vite europea (Vitis Vinifera) e la Vitis Labrusca. E' una varietà con una forte resistenza ai principali funghi patogeni (come oidio e peronospera). Iscritto al Registro Nazionale delle varietà di vite dal marzo 2019, è presente in Lombardia, Trentino – Alto Adige e Veneto e può essere utilizzato in 12 vini ad Igt.

Souvignier Gris: si tratta di un incrocio tra Cabernet sauvignon x Bronner, ottenuto in Germania nel 1983 presso l’Istituto di Ricerca di Friburgo e inizialmente nominato FR 392-83.

Souvignier Gris

Fleurtai: vitigno a bacca bianca derivato dal Tocai e creato dall’Istituto di genomica applicata (Iga) dell’ateneo friulano e dai Vivai cooperativi di Rauscedo, iscritto al Registro nell’aprile 2015 è utilizzabile in 10 Igt tra Veneto e Friuli Venezia Giulia.

Sauvignon Krethos: vitigno a bacca bianca, come il precedente è un progetto congiunto dell’Università di Udine e dell’IGA per la costituzione di viti resistenti alle malattie attraverso processi naturali di incrocio e selezione, iscritto al Registro nell’agosto 2015 è utilizzabile in 10 Igt tra Veneto e Friuli Venezia Giulia.

Sauvignon Krethos

Merlot Khorus e Merlot Kanthus: anche queste varietà sono frutto della collaborazione tra l’Università di Udine e l’IGA, iscritte entrambi al Registro delle Varietà nell’agosto 2015 ed utilizzabili in 10 vini ad Igt tra Veneto e Friuli-Venezia Giulia.

Quarantadue i vini presenti (e noi li abbiamo assaggiati tutti), provenienti principalmente da Alto Adige e Trentino, ma anche da Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Piemonte, i risultati migliori secondo noi giungono dalle varietà più collaudate, sia in vigna che in cantina, e che provengono da vigneti con qualche anno sulle spalle.
Ecco quanto più c’è piaciuto:
Spumanti
Bortolotti – Valdobbiadene (TV)
Oltre Brut VSQ 2015 (Joanniter e Solaris)
Color paglierino-verdolino.
Di buona intensità olfattiva, fresco, note d’erbe officinali.
Fresco, minerale, sapido, agrumato, con note d’erbe officinali.
Interessante. 85-86/100

Bortolotti
Oltre Brut VSQ 2014 (60% Bronner, 40% Joanniter)
Paglierino-dorato.
Intenso al naso, elegante, sentori d’erbe officinali, accenni di nocciole tostate.
Note tostate, accenni di caffè e d’erbe secche, buone sua la struttura che la persistenza. 85/100

Tenuta Croda Rossa – Lentiai (BL)
S.A. Derù Brut VS (Solaris)
Verdolino scarico.
Intenso al naso,  fresco, verticale, sentori d’erbe secche ed accenni d’agrumi.
Fresco, con spiccata vena acida, note d’agrumi, lunga la persistenza e piacevole la beva. 85/100


Bortolotti
Oltre Brut VSQ 2016 (85% Joanniter, 15% Bronner)
Verdolino luminoso.
Buona l’intensità olfattiva, come pure l’eleganza, minerale, sentori di fieno.
Di buona intensità, cremoso, frutto gallo, sentori di camomilla, buona la persistenza. 84-85/100

Vini Bianchi

Cantina di La-Vis e Val di Cembra – Lavis (TN)
Bronner Igt (Bronner)
Color verdolino.
Intenso al naso, fresco, pesca e buccia di mela.
Fresco, sapido, con bella vena acida, fruttato (mela e pera), lunga la persistenza. 86-87/100

Plonerhof – Marlengo (BZ)
Solaris Weinberg Dolomiten Igt 2017 (Solaris)
Color paglierino di buona intensità.
Pulito al naso, di buona intensità, sentori di mela.
Fresco e sapido, mediamente strutturato, si coglie frutta bianca (pesca e mela), note d’agrumi, lunga la persistenza. 86/100

Ceste – Govone (CN)
Ratio VdT 2017 (50% Bronner, 50% Joanniter)
Paglierino luminoso.
Bel naso, elegante, fresco, note di fieno e d’erbe officinali.
Dotato di buona struttura, fresco ed al contempo morbido, succoso, sentori di pesca gialla, lunga la persistenza. 86/100


Thomas Niedermayr – Hof Gandberg – Eppan (BZ)
T.N. 06 Abendrot 2015 (Souvignier Gris)
Aranciato-ramato il colore.
Buona l’intensità olfattiva, con sentori di mela matura.
Di buona struttura, ritorna la mela matura unita a note tanniche, buona la persistenza.
Interessante. 85-86/100

Thomas Niedermayr – Hof Gandberg
16 Souvignier Gris Igt 2017 (Souvignier Gris)
Color paglierino, con leggera nota velata.
Intenso al naso, sentori di fieno e di frutto giallo maturo.
Mediamente strutturato, sapido, tornano i sentori di frutto giallo, buona la persistenza. 85-86/100

Herman Maurizio – Chiavenna (SO)
Orange Anfora Alpi Retiche Igt 2017 (80% Gewürztraminer, 20% PIWI)
(L’abbiamo inserito anche se è prodotto con solo il 20% di vitigni PIWI, tra l’altro non specificati)
Color aranciato-ramato.
Intenso al naso, con spiccate note aromatiche, buccia d’arancio candita, pasticceria, albicocca matura.
Dotato di buona struttura, asciutto, sapido, con note tanniche e buona vena acida, lunga la persistenza.
Vino particolare, curioso 85/100


Ceste
Ratio VdT 2015 (50% Bronner, 50% Joanniter)
Color paglierino verdolino.
Intenso al naso, presenta note di fieno e d’erbe officinali.
Fresco alla bocca, sapido, elegante, sentori di mela, di frutto giallo e d’erbe officinali, buona la persistenza. 84-85/100

Zollweghof Lana – Lana (BZ)
Goldraut Mitterberg Igt 2017 (Souvignier Gris)
Paglierino.
Intenso al naso, sentori di fieno e d’erba secca.
Sapido, note di fieno, d’erbe officinali e di frutto giallo, buona la persistenza. 84/100

Francesco Poli – Santa Massenza (TN)
Naranis Igt 2016 (70% Solaris, 30% Bronner)
Color paglierino-dorato luminoso.
Intenso al naso, con sentori di nespole, pesca gialla matura ed erbe officinali.
Buona la struttura come pure la vena acida, sentori di frutta gialla ed erbe officinali, accenni di smalto, buona la persistenza. 84/100


Terre del Lagorai – Castel Ivano (TN)
Solaris Vigneti delle Dolomiti Igt 2017 (Solaris)
Color paglierino-verdolino.
Intenso al naso, sentori di fieno, erba secca, mela.
Sapido, di media struttura, lunga la persistenza su sentori di mela.
Interessante. 84/100

Terre di Ger – Frattina di Pravisdomini (PN)
Limine Delle Venezie Igt 2017 (90% Fleurtai, 10% Sauvignon Kretos)
Color paglierino-verdolino.
Buona l’intensità olfattiva, sentori d’erbe officinali e fieno.
Fresc, sapido, verticale, sentori d’erba secca, buona la persistenza. 84/100

Rocche dei Vignali – Losine (BS)
Cà della Luce VdT 2017 (Solaris)
Giallo paglierino.
Intenso al naso, fruttato, sentori di frutta tropicale ed accenni di miele.
Fresco, con bella vena acida, leggere note di fieno, buona la persistenza. 84/100

Vini rossi

Terre di Ger 
El Masut Delle Venezie Igt 2016 (Merlot Khorus e Merlot Kanthus)
Granato-rubino.
Media intensità olfattiva, frutto rosso, note affumicate.
Di media struttura, fresco, asciutto, succoso, speziato, lunga la persistenza. 86/100


Irmgard Windegger – Lana (BZ)
Braunsberg Mitterberg Igt 2017 (60% Chambourcin, 20% Prior, 20% Cabernet Cortis)
Color rubino luminoso.
Intenso al naso, vinoso, ciliege leggermente speziate.
Bel frutto (ciliegia), leggere note speziate, bella vena acida, piacevolmente amaricante, leggera nota pungente, bella beva.
Ci ha ricordato una Schiava. 84/100

Vini dolci

Lieselehof Weingut – Lana (BZ)
Sweet Clare Mitterberg Igt 2017 (Bronner)
Dorato il colore.
Intenso al naso, canditi, pesca sciroppata, albicocca disidratata.
Buona struttura, marmellata di albicocche, dolcissimo, accenni tannici. 86-87/100

Il Consorzio Tutela Denominazioni Vini Frascati incontra i Giovani Promettenti

di Carlo Macchi

Ci sono degustazioni che sembrano semplici e quasi scontate e invece non lo sono. Una così è stata quella che noi Giovani Promettenti abbiamo fatto al Consorzio del Frascati, durante la nostra riunione di qualche settimana fa.


Cosa volete che sia degustare una trentina di Frascati, nelle varie declinazioni “base” “Superiore” “Riserva” e “Cannellino”? Una cosa semplice per dei degustatori seriali come noi: se però iniziamo a farci delle domande non tanto sulla qualità del vino ma sulle diversità emerse dall’assaggio allora la cosa si complica e c’è bisogno di agronomi e enologi locali per riuscire a farci capire qualcosa e a fugare dubbi che, per quanto mi riguarda, risalivano al pleistocene.


Ma prima di fugarci i dubbi due notizie sulla qualità dei Frascati degustati: consideriamo in primo luogo che siamo a novembre, cioè un anno dopo la vendemmia di vini che, in teoria, dovrebbero durare lo spazio di un respiro. Invece tutti i Frascati “base” degustati erano assolutamente in forma e i Superiore e i Riserva addirittura giovanissimi. Infatti uno dei punti della nostra degustazione è stato quello relativo al momento di beva di questi vini, che piano piano si sta allungando e spostando da quello che l’immaginario collettivo crede, specie per i Superiore e la nuova tipologia Riserva.
Per quanto riguarda la qualità dei vini eccovi qua sotto quelli che ci sono piaciuti di più, in rigoroso ordine casuale: li abbiamo selezionati con il nostro solito sistema “a maggioranza”, cioè i vini devono essere piaciuti ad almeno 3 dei 4 degustatori, cioè Carlo Macchi, Luciano Pignataro, Roberto Giuliani e Andrea Petrini (Lorenzo Colombo e Stefano tesi erano assenti giustificati).


Al di là del discorso qualitativo la cosa che ci ha colpito di più è stata la diversità, spesso notevole, tra i vini: qualcuno puntava verso il frutto bianco con bocca piena e armonica, altri andavano su note più speziate e vegetali, magari con un’acidità abbastanza marcata: nel mezzo a questi due estremi c’erano varie sfumature, tanto da farci domandare quale fosse la reale tipicità del Frascati.
E qui ci sono venuti incontro i tecnici, spiegandoci cose che sono davanti agli occhi di tutti ma spesso non si riescono a vedere.Tu infatti pensi che Frascati sia una denominazione “a senso unico”, cioè quasi monovarietale, tutta piantata su terreni simili e praticamente alla stessa altezza. In realtà questo è falso come una moneta da tre euro e lo si è sdoganato solo perché in passato da Frascati arrivava comunque un mare di vino di qualità non certo alta, e come fai a vedere differenze sostanziali in un mare in movimento.


Oramai il mare si è praticamente asciugato e, dovendo puntare sulla qualità e non sulla quantità è bene dare qualche dato e qualche spiegazione.
Il Frascati nasce da un uvaggio di malvasia bianca di Candia e/o malvasia del Lazio (malvasia puntinata) min. 70%, max. 30% trebbiano toscano e/o trebbiano giallo e/o greco bianco e/o bellone e/o bombino bianco, possono concorrere altre varietà di vitigni a bacca bianca  idonei alla coltivazione nella Regione Lazio, presenti nei vigneti, max. 15%
Ora, con una diversità ampelografica del genere, come è possibile avere vini simili?
Ma non è finita qui: i vigneti del Frascati partono da circa 100 metri sul livello del mare e arrivano a quasi 400, con terreni ed esposizioni che variano continuamente.
Quindi uve e uvaggi diversi da cantina a cantina, terreni, esposizioni e altezze diverse: come è possibili fare vini simili in questa diversità? Quasi sempre è impossibile e quindi possiamo dire che la vera scoperta relativa al Frascati da parte di noi IGP è che non esiste un Frascati (buono) ma ne esistono diversi tipi e forse sarebbe l’ora che queste caratteristiche venissero capite e apprezzate sia sul mercato locale che altrove.

Capitoni - Troccolone Orcia Doc Sangiovese 2017

di Stefano Tesi

Da vent'anni tondi, con coraggio e passione, dalle parti di Pienza Marco Capitoni fa vini sinceri. 

Foto: Trentino Wine Blog

Per celebrare la ricorrenza ha invitato gli amici e ha abbinato questo potente, sapido, ruspante, verace Sangiovese fatto in anfora con gli antichi piatti di pesce dei laghi di Chiusi e Montepulciano, tipo brustico e tegamaccio. Connubio lacustre azzeccato.

Il Chianti Classico Lamole di Lamole alla prova del tempo - Garantito IGP

di Stefano Tesi

Una frazione di Greve che però, per questioni di antiche pertinente abbaziali, è da sempre considerata un’enclave di Radda e, di conseguenza, è sempre stata ricompresa nei confini del Chianti storico, quello del trittico Radda-Gaiole-Castellina.
Un antico insediamento a circa 600 metri di quota, vitato fin dal ‘300, con cloni locali di Sangiovese ed alcune vigne vecchie di quasi ottant’anni. Insomma uno dei luoghi-simbolo del Gallo Nero.


Qui, a Lamole, oggi proprietà del gruppo Santa Margherita, si produce in biologico il Lamole di Lamole, Chianti Classico che si potrebbe definire “di riferimento” sotto molti punti di vista.
E’ a questo vino, nella versione riserva, che Life of Wine, la rassegna dedicata alla longevità vinicola e organizzata ogni anno a Roma, ma con divagazioni itineranti, ha riservato una interessante verticale al ristorante Konnubio di Firenze, mentore l’enologo Andrea Daldin.
Occasione imperdibile per farsi un’idea dell’evoluzione del prodotto a cavallo di vent’anni fatidici, dal 1995 al 2014, con i campioni abbinati per decennio: 2014 e 2012, 2005 e 2001, 1999 e 1995.


Infatti non ce la siamo persa. Se l’avessimo fatto, ci saremmo persi anche l’eccellente (cosa da non dare sempre per scontata in queste circostanze) cena a due mani preparata dalla chef del Konnubio Beatrice Segoni (superlativi, va detto, i passatelli in brodo di faraona e tartufo nero) e da Riccardo Vivarelli del Vitique, il ristorante di Lamole.
Ed ecco le note.

Lamole di Lamole Chianti Classico Riserva 2014
Al bellissimo colore rubino caldo abbina al naso una freschezza quasi croccante e un frutto fine, etereo, elegante, mentre in bocca è profondo e asciutto, con retrogusto di mora e di amarena, a conferma di un’annata evolutasi assai meglio del previsto.


Lamole di Lamole Chianti Classico Riserva 2012
Rubino dai toni più cupi, all’olfatto è un po’ duro ma già evoluto, pronto da bere, con accenni di cuoio naturale. Al palato risulta vellutato e di buona lunghezza, pieno ma nell’insieme un po’ sfuggente.

Lamole di Lamole Chianti Classico Riserva 2005
Di colore rubino decisamente scuro, al naso offre un impatto piacevole e lineare, con sentori di cuoio usato, una nota calda e una sottile scia balsamica. In bocca è importante, strutturato, con grandi spalle e alcool in evidenza.


Lamole di Lamole Chianti Classico Riserva 2001
E’ una magnum e si sente. All’occhio è rubino scuro, mentre al naso si affaccia un pot pourrì di fiori grassi e di erbe di campo che poi si acquietano in un bouquet intenso ed elegante. Anche in bocca non delude: integro e solenne, lungo e severo.


Lamole di Lamole Chianti Classico Riserva 1999
Vino di tonalità decisamente scura, all’olfatto risulta molto evoluto, con marcate note terziarie di cuoio usato e sottobosco. Meglio in bocca, ove è ricco e sapido, elegante e solido, vagamente speziato.

Lamole di Lamole Chianti Classico Riserva 1995
Scurissimo, al naso è integro e denso, profondo, con sentori terziari in bell’equilibrio, accenni di viola e frutti di bosco, mentre in bocca è caldo, intenso, quasi abrasivo e molto vivo, ancora pienamente godibile.

La Biancolella 2016 delle Antiche Cantine Migliaccio ha la profondità e la luce del mare di Ponza

Ponza, situata davanti al Golfo di Gaeta, assieme alle isole Gavi, Zannone, Palmarola, Ventotene e Santo Stefano fa parte dell'arcipelago delle isole Ponziane o Pontine. Escludendo la stagione estiva, dove diventa meta turistica di eccellenza grazie alle sue bellissime spiagge sempre troppo affollate, Ponza negli altri periodi dell'anno rimane un luogo tranquillo ed incantato dove passare del tempo alla scoperta delle sue bellezze nascoste come, ad esempio, le splendide Grotte di Pilato di epoca romane la cui visita, da sola, vale già il viaggio da qualunque parte di Italia.

Il mare di Ponza - Foto: Proloco Ponza

Per chi, come me, è appassionato di vino questa isola è una rivelazione anche dal punto di vista vitivinicolo: la storia, infatti, narra che già nel 1734 Carlo di Borbone, colonizzando l'isola, assegnò in enfiteusi perpetua vari appezzamenti di terra ai coloni partenopei tra i quali c'era anche il signor Pietro Migliaccio, ischitano doc, che si aggiudicò un bellissimo podere in località Punta Fieno che, a differenza di altri che erano definiti “a bosco” o “incolti”, risultava già vitato con piante di biancolella, per’ ’e palummo, guarnaccia, aglianico e forastera, che ancor oggi Emanuele Vittorio Migliaccio, pronipote di Pietro, assieme a sua moglie Luciana stanno cercando di coltivare e, al tempo stesso, valorizzare grazie al progetto, nato nel 2000, che prende il nome di Antiche Cantine Migliaccio.

Punta Fieno - Foto: Luciano Pignataro
Emanuele Vittorio e sua moglie - Foto: www.wining.it

Non so chi di voi è andato a trovare Emanuele Vittorio Migliaccio ma, credetemi, arrivare a Punta Fieno non è un gioco da ragazzi e ti fa comprendere come anche a Ponza si debba parlare di viticoltura eroica. Infatti per raggiungere i vigneti (circa 3 ettari) si deve fare un percorso di circa un'ora a piedi su una mulattiera che parte da Via Pizzicato oppure si può andare via mare lanciandosi al volo dalla barca) visto che non esiste un vero e approdo turistico) e salendo successivamente attraverso sentieri sterrati composti da muretti a secco, chiamati localmente parracine, che poco hanno potuto contrastare la furia della Natura che ad inizio Novembre, causa abbondanti piogge, ha provocato danni ingenti a Punta Fieno distruggendo viti, ulivi e piante secolari di lauro e melograno, colpendo soprattutto i terreni delle Antiche Cantine Migliaccio.

Vigne - Foto: Luciano Pignataro
Vigne e pendenze - Foto: Luciano Pignataro

In questo luogo impervio e difficile, sospeso tra cielo e mare, grazie alla preziosa consulenza enologica di Vincenzo Mercurio, Emanuele Vittorio, ha prodotto fino ad oggi quattro tipologie di vino ovvero l'IGT  Lazio Fieno di Ponza Bianco (biancolella e forastera), l'IGT Lazio Biancollella (100% biancolella), l'IGT Lazio Fieno di Ponza Rosato (piedirosso, guernaccia) e l'IGT Lazio Fieno di Ponza Rosso (piedirosso, aglianico, guernaccia rossa, nero d'avola).

La cantina scavata nella roccia

Qualche giorno fa, dopo una ricerca non facilissima per le enoteche di Roma, ho potuto apprezzare finalmente l'IGT Lazio Biancolella 2016, dal colore quasi dorato, che come sempre, avendo apprezzato anche annate precedenti, riesce a sorprendermi per essere un vino fuori da qualsiasi schema predefinito. 


Il suo carattere d'antan, i suoi pigri aromi di timo, muschio e mandorla, associati ad una scintillante mineralità fanno da sempre da preludio ad un sorso leggiadro, proporzionato e di innata succosità. Indugia senza fretta in persistenza rilasciando lentamente al palato tutti i sapori del mare da cui è nato. L'abbinamento perfetto: su una tagliata di freschissimo tonno rosso!

Librandi - Gravello 1988 è il Vino della Settimana di Garantito IGP


di Luciano Pignataro

Fa trent'anni il Gravello, blend di Cabernet Sauvignon e Gaglioppo pensato dai fratelli Antonio e Nicodemo Librandi prima con Severino Garofano e poi, dal 1998, con Donato Lanati. Riproviamo la prima annata di questo vino che ha fatto storia: sentori di frutta, cenere, al palato e vivo, freschissimo, sapido. Buonissimo.


Per altri 30 anni.

Falanghina e Piedirosso tra Napoli e Campi Flegrei


di Luciano Pignataro

Resilienza contadina nel cuore della città più urbanizzata d’Europa. Già, perché se è vero che tra le grandi città italiane Roma può vantare il maggior numero di superficie vitata, Napoli è sicuramente la metropoli con il maggior numero di vigneti dentro il suo perimetro urbano. Il vigneto di Raffaele Moccia, premiato come Produttore dell’anno dalla Guida Mangia&Bevi 2018, è un esempio classico di resistenza contadina che difende la bellezza contro la bruttura delle nuove costruzioni in cemento che hanno invaso il cratere spento di Agnano, lì dove iniziano i Campi Flegrei. Gestendo il vigneto del padre e poi quello adiacente le mura Borboniche, Raffaele ha contribuito a salvare parte del paesaggio antico, quando questi territori erano la dispensa nord di Napoli e producevano frutta, verdure, legumi e uva in abbondanza.

Falanghina

Discorso simile, proprio ai bordi del cratere degli Astroni, è quello di Gerardo Vernazzaro che, dopo aver studiato enologia a Udine, ha di fatto riconvertito la storica azienda Varchetta trasformandone il dna produttivo da vinificatore a viticultore.
Le bandiere enologiche di queste produzioni dentro la città, a cui si aggiunge quella di Rosiello a Posillipo e alla tenuta Amato Lamberti dove si coltiva un terreno confiscato alla camorra, sono il piedirosso e la falanghina, le due uve simbolo della città da cui si producono gli omonimi vini da sempre ritenuti freschi e beverini.

Ma proprio il lavoro dei produttori napoletani e dei Campi Flegrei ha invece dimostrato le grandi potenzialità di queste uve, ritenute secondarie rispetto ad aglianico, greco e fiano, proponendo vini moderni, di spessore e sicuramente molto affascinanti grazie al rapporto con il suolo vulcanico. Ma c’è di più: queste uve da sempre abituate a suoli caldi, anche se carezzati dalla brezza marina, hanno dimostrato di rendere ancora meglio con i mutamenti climatici e di non soffrire come invece è successo ad altri vitigni. La Falanghina ha dimostrato di essere certo un vino beverino ma anche complesso e capace di regalare belle sensazioni con il passare del tempo. Ma la vera sorpresa è costituita dal Piedirosso, da sempre bestia nera di contadini e trasformatori per le difficoltà di gestirlo sia in vigna che in cantina. Le moderne conoscenze e l’attenta applicazione di un’agricoltura di precisione in campagna hanno consentito di bere negli ultimi anni degli splendidi rossi, non eccessivamente alcolici, abbastanza morbidi, sapidi, freschi al palato e capaci di abbinarsi a gran parte della cucina tradizionale e d’autore. Portabandiera di questo cambiamento, oltre le due aziende citate, sicuramente la Sibilla della famiglia Di Meo a Bacoli e Contrada Salandra di Peppino Fortunato a Pozzuoli. Sono loro, i quattro moschettieri, che hanno dato quella spinta necessaria a questi due vitigni ripresi all’inizio degli anni ‘90 dall’azienda Grotta del Sole della famiglia Martusciello.

Piedirosso

Adesso ovviamente non sono più solo loro, ci sono per esempio Salvatore Martusciello, che continua l’attività di famiglia insieme alla moglie Gilda Guida, Carputo a via Viticella, Cantine del Mare. Insomma una vera e propria rinascita vitivinicola dei vini tradizionali di Napoli che è l’unica capace di fermare l’avanzata del cemento.

Melini - Chianti DOCG Governo All'Uso Toscano 2015

di Carlo Macchi

Sangiovese in purezza, 40% di uve messe ad appassire per almeno 60 giorni. Profumato, rotondo con la giusta freschezza e corpo da Chianti Classico. 


Ancora devo capire se questo vino sia un salto nel passato o nel futuro. Volete un consiglio? Saltate il problema e, come me, finitevi  la bottiglia!

Manuale di sopravvivenza all'Asta degli Hospices de Beaune

di Carlo Macchi

13.968.750! Forse non è molto bello iniziare un articolo con una cifra, però credo sia il modo migliore per far capire immediatamente il “peso” dell’asta che ogni anno, la terza settimana di novembre, si svolge nel cuore della Borgogna, a Beaune.
L’istituzione ospedaliera Hospices de Beaune, proprietaria tra l’altro della meravigliosa struttura dell’Hôtel Dieu, venne fondata addirittura nel 1443 e praticamente da allora, in modi diversi (con la formula dell’asta sin dal 1859) si autofinanzia vendendo il vino prodotto dai suoi vigneti.

Partecipanti

Le vigne dell’Hospices, tutte avute in dono nel corso dei secoli, ammontano oramai a 60 ettari, di cui l’85% è composto da Premiers e Grand Crus. Un patrimonio notevole che mette gli Hospices al terzo posto, come ettari, tra i produttori borgognoni.
Grazie al ricavato dell’asta (una parte viene anche data in beneficienza) l’istituzione si è finanziata nei secoli e contemporaneamente ha fatto anche la storia della Borgogna. L’evento è quindi qualcosa di irrinunciabile, non soltanto per i borgognoni, ma per tutti quelli che amano i grandi vini di questa terra

vini bianchi all'asta

I vini messi all’asta sono divisi in pièces (alias barriques borgognone da 228 litri) raggruppate a loro volta in cuvées: quest’ultime, in soldoni, rappresentano i vari vigneti. Quest’anno le pièces in vendita erano 828 suddivise in 50 cuvées.
L’asta non solo ha fatto la storia, ma ha rappresentato da sempre una cartina di tornasole per monitorare le annate e il valore commerciale dei vini. Per esempio nel 2011 il prezzo medio di aggiudicazione di una pièce era di 6.494€  ed erano ormai una decina d’anni che tale prezzo fluttuava al massimo tra i 4.000 e i 7.000 euro. Nel 2012 il prezzo medio è schizzato a 10.238 €, per poi arrivare nel 2015 (annata di raccolta magra) a 17.645. Quest’anno, tanto per farvi subito capire che sarà sempre più costoso comprare in zona, il prezzo medio è stato di 18.750€! Praticamente in meno di 10 anni i prezzi sono triplicati e noi amanti della Borgogna, purtroppo, lo sappiamo bene.

vini rossi all'asta

Ma come funziona l’Asta? E’ abbastanza semplice: ognuno in teoria può iscriversi, anche se la parte del leone la fanno sempre negociants e produttori locali (la Maison Albert-Bichot partecipa dal 1880, tanto per dire). Una volta “vagliati” e iscritti ci si presenta nella grande sala, si viene forniti dell’elenco delle pièces e di una paletta numerata. Alle 14.30 di ogni terza domenica di novembre inizia l’asta, da diversi anni organizzata da Christie’s, e le offerte vengono fatte sia sul posto che tramite collegamenti video o sul web.
Attenzione, il costo di aggiudicazione non corrisponde al costo finale. A quello vanno aggiunti la percentuale per la casa d’aste (di solito il 7%) e soprattutto il prezzo per l’invecchiamento del vino e il successivo imbottigliamento. Alla fine dei salmi un “particulier” cioè un comune mortale, se spende 10 all’asta si ritroverà un conto finale di 14-15€.
Ci sono negociants che investono più di un milione di euro, soldi tra l’altro che devono essere pagati a stretto giro e non, come si dice dalle nostre parti, “a babbo morto”.
Naturalmente c’è sempre una madrina o un padrino d’eccezione all’asta e quest’anno era l’attrice Emmanuelle Béart.

Fonte: https://it.france.fr

Come ho scritto all’inizio in quest’asta sono stati battuti tutti i record precedenti, raccogliendo la bellezza di 13.968.750€, con un incremento medio di quasi il 20%: in particolare l’aumento ha toccato più i vini bianchi (20.41%) dei rossi (16.43%).
L’asta è talmente sentita che France 3 la trasmette in diretta e la piazza fuori dalla sala è strapiena di persone che la seguono su un maxischermo, partecipando con un calore pari a quello di una partita di calcio. Forse questo calore deriva anche dai vini e dai cibi che decine e decine di bancarelle vendono nelle vie e nelle piazze di Beaune, trasformata per l’occasione in un chiassoso, profumato e saporito mercato.
Però la cosa migliore è seguire l’asta nella sala: io ero nel baldacchino riservato alla stampa e dall’alto ho potuto seguire le varie fasi, i gesti degli inservienti che attirano l’attenzione del battitore d’asta su chi alza la paletta per fare un’offerta, i modi piacioni ma decisi del battitore, il rumorio che aumenta quando si arriva a battere pièces al di sopra dei 100.000€.
Indubbiamente è appassionante, talmente appassionante da farmi pensare di partecipare (assieme ad alcuni amici cofinanziatori naturalmente) alla prossima asta. Mi raccomando però, non ditelo a mia moglie.

Tiziano Mazzoni - Vino Bianco "Iris" 2016 è il Vino della settimana di Garantito IGP

di Roberto Giuliani

Lo straordinario Ghemme di Tiziano Mazzoni rischia di celare un vino da erbaluce di assoluto rispetto come questo (2016): cedro e limone appena colti, nespola, susina, erba tagliata, quote minerali. 


Bocca agrumata con acidità spiccata a ricordarci che l’erbaluce emerge quando altri sono già morti.

Paola Lantieri e la sua grande Malvasia delle Lipari Passito 2009 - Garantito IGP


di Roberto Giuliani

Conosco Paola Lantieri da parecchio tempo, non dimenticherò mai la lettera che mi spedì 8 anni fa in cui mi raccontava la sua storia, il suo cambio totale di vita alla bellezza di 59 anni, lei che di vigna non sapeva nulla. Se non ci fosse stato Giovanni Scarfone (giovane produttore di grandi vini Doc Faro, azienda Bonavita) a darle una mano, in un’impresa già folle, forse l’avventura avrebbe avuto esiti diversi, quantomeno un’evoluzione ancora più complessa e lenta. Cinque ettari di vigna ad alberello nell’unica valle incontaminata di Vulcano, ma potremmo quasi dire di tutto l’arcipelago, vigna che Paola ha dovuto ricostruire quasi totalmente, lasciando traccia del passato in alcuni filari di passolina, ovvero il corinto nero, che contribuisce in minima parte alla produzione della sua Malvasia delle Lipari Passito.

Paola Lantieri - Foto: www.meteri.it

Venticinque quintali d’uva per ettaro, questa è la media produttiva di Paola di fronte a un disciplinare che consentirebbe di produrne anche 90; non è solo per volontà di Paola che la produzione è così bassa, in una terra dove la sabbia è l’elemento principale è inevitabile che le rese siano inferiori alla media. La prima vendemmia fu nel 2006, ma si trattava veramente di pochissime bottiglie, l’annata che effettivamente ha preso corpo ed è uscita dal distretto isolano è questa 2009, 2.000 bottiglie da 500 cl. dal contenuto straordinario.

Ma di questo ne parliamo dopo.

Quello che, invece, mi preme dire è che nonostante questo vino sia stato apprezzato da un sempre maggior numero di appassionati ed esperti, e nonostante siano poche migliaia di bottiglie, Paola fa una fatica enorme a venderlo. Perché? Probabilmente perché, salvo alcune zone d’Italia dove c’è una tradizione più costante per i vini passiti, legati spesso a dolci e formaggi, il resto dello Stivale beve vini secchi o spumanti e considera i vini dolci qualcosa da assaggiare sporadicamente, per cui non vale la pena comprarne qualche bottiglia.

Punta dell'Ufala - Foto: Meteri

Errore, perché quando ci si trova davanti a un vino così, non è necessario mangiare nulla, è talmente emozionante che la cosa migliore è sorseggiarlo in assoluto silenzio, magari immaginando di essere sull’isola di fronte al mare, dove dimorano le vigne. Insomma, Paola, che non è certo più una ragazza, è in seria crisi, e la capisco, vale la pena continuare a impegnarsi tanto per fare un prodotto unico, straordinario, se poi non viene apprezzato come meriterebbe? Bella domanda. Io non so come mi comporterei al suo posto, soprattutto pensando che questo vino non può darti certamente un sostegno economico tale da giustificare tutto questo lavoro, tanto più ora che ogni anno è sempre più bizzarro e complicato da affrontare a causa di un clima davvero impazzito.


Io spero che resista, perché la sua Malvasia delle Lipari è uno dei gioielli che rendono grande questo disastrato Paese, nonostante la 2009 sia uscita ben 8 anni fa è tutt’ora sorprendente, il colore è oro antico con riflessi ambrati, il bouquet sontuoso di nocciola zuccherata, zagara candita, albicocca secca, miele di castagno, noce, fumo, cera calda, tabacco da pipa, fichi e cioccolato, ma potremmo andare avanti ancora per molto. E al palato? Ancora vivissima, con quel guizzo acido che sostiene la nota dolce, per altro delicata, non stucchevole, qui giocano anche le spezie orientali, cannella, zenzero, poi mela cotogna e ancora agrumi canditi, su una base piacevolmente salina.


Un passito, quindi, che è capace anche di invecchiare bene, c’è bisogno di vini così e di donne coraggiose come Paola Lantieri, se non capiamo questo, allora avremo perso un’altra artigiana vera, una donna che non ha mai staccato la spina del proprio cuore per fare compromessi e adeguarsi a un mondo sempre più distratto e impoverito. Già, senza la sua Malvasia, saremo tutti un po’ più poveri.

Meditate gente, magari con un calice di Malvasia delle Lipari Passito Lantieri.

SanVitis - Cesanese di Olevano Romano DOC 2015

di Andrea Petrini

Nel Lazio la zona del Cesanese è in grande fermento e chi scrive il contrario è in palese errore. 


Prova ne è questo Cesanese di Olevano Romano di San Vitis, giovane azienda che si affaccia sul mercato con questo cesanese decisamente succoso, equilibrato e di grande personalità nonostante sia, se non sbaglio, alla prima annata ufficiale.
www.sanvitis.it