InvecchiatIGP: Tenuta di Fiorano - Fiorano Rosso 1988


di Roberto Giuliani

Mi sono chiesto in più occasioni come mai la Tenuta di Fiorano, per la sua straordinaria storia e per la qualità dei suoi vini, ha fatto una gran fatica a raggiungere quella fama che le competeva a pieno diritto. Non sto qui a raccontare delle vicissitudini storiche della famiglia Boncompagni Ludovisi, ma vi basti pensare che in quel territorio che fiancheggia l'Appia Antica a due passi da Roma, nel 1946 il Principe Alberico ereditò dal padre Francesco una grossa quota delle tenuta, allora costituita da uliveti, pascoli e seminativi, decise di impiantare il primo vigneto, forte di una conoscenza agricola e agronomica, con i vitigni internazionali cabernet sauvignon e merlot, più sémillon e malvasia per fare dei vini bianchi. Prima di chiunque altro, teniamolo a mente! Chiese la consulenza al mitico Tancredi Biondi Santi, che in più occasioni portò con sé il giovane Giuli Gambelli.


Tutto questo si svolgeva in una terra già allora totalmente incontaminata, che così è rimasta fino ai giorni nostri, quindi un bene preziosissimo, perché da subito si è lavorato sempre in biologico, quello serio, ben più bio di quanto prevedano i disciplinari. Allora non era praticamente possibile visitare la cantina, il vino si poteva acquistare solo in loco, pagando in contanti, uno dei pochi che avevano potuto visitarla era Luigi Veronelli, che si innamorò letteralmente di quei vini e contribuì a far sapere al mondo che la Tenuta di Fiorano era la migliore azienda del Lazio.


Poi, per ragioni mai chiarite, il Principe Alberico nel 1998 decise di espiantare tutte le vigne e interrompere la produzione; a nulla valse la proposta di occuparsene da parte del Marchese Piero Antinori (che aveva sposato la figlia di Alberico, Francesca), di cui non condivideva né la filosofia né il modo di produrre vino. Non mi addentro ulteriormente sulle vicissitudini che seguirono, vi dico solo che a prendere le redini dell'azienda fu poi il Principe Alessandrojacopo Boncompagni Ludovisi, che senza alcuna esperienza in campo vitivinicolo, ma colmo di passione e orgoglioso di guidare l’attività di questa storica Tenuta, dagli inizi del 2000 ha ripreso a produrre vino, con le stesse uve che il cugino aveva impiantato 50 anni prima, tranne il sémillon che arrivò un po’ di anni dopo.

 Il Principe-Alessandrojacopo Boncompagni Ludovisi

Poche settimane fa ho avuto il piacere di tornare in azienda e degustare i vini bianchi e rossi prodotti, con una interessantissima verticale del Fiorano Rosso, di cui l'annata 1988 mi ha davvero emozionato.


Assaggiare questo vino mi ha portato al di fuori del solito contesto degustativo in cui analizzi tecnicamente, tiri fuori i sentori, l'acidità, il tannino, no. Qui entriamo in un ambito diverso, perché questo '88 ti solleva dalla sedia di almeno venti centimetri, sto parlando un grandissimo cabernet sauvignon, perfettamente tarato sul terroir d'appartenenza, che ha mostrato una vitalità, un'energia, una ricchezza espressiva davvero esaltanti. 


Alla cieca non lo avresti mai indovinato, 36 anni che non sembrano neanche 10, con quelle sensazioni che rimandano alla macchia mediterranea, agli aghi di pino, alla resina, al ginepro, poi menta, frutto integro che ricorda la prugna e quella componente vegetale che rimanda al peperone ma maturo, direi affumicato. Tanta eleganza e scioltezza da cavallo di razza, e chi se lo dimentica più!

Alfonso Rinaldi - Colline Novaresi Bianco Costa di Sera dei Tabacchei 2021


di Roberto Giuliani

L’Erbaluce di Alfonso Rinaldi (ora nelle sapienti mani del figlio Riccardo) riesce ad emozionarmi ogni volta che lo assaggio.


Il vino profuma di fiori di campo, susina gialla, cedro maturo, pesca, mandorla, un fiume di sensazioni che chiude salino e con una freschezza integrata grazie all’anno in più di bottiglia.

Tenute del Fasanella - Paestum IGP Rosso Auso Biologico 2018


di Roberto Giuliani

Quello che le cooperative fanno vini commerciali e non di valore è un luogo comune che sta facendo ancora danni nell’ambiente enoico. Non c’è dubbio che in passato le cantine sociali di buona parte della penisola mirassero prevalentemente a fare numeri, ma da almeno vent’anni a questa parte in molte regioni le cose stanno cambiando in modo netto, soprattutto per quanto riguarda le realtà medio-piccole, come in questo caso.

Parliamo di Tenute di Fasanella, una cantina situata in quel meraviglioso territorio che è il Parco Nazionale del Cilento Vallo di Diano e Alburni, in provincia di Salerno. Fu Michele Clavelli, sindaco del Comune di Sant’Angelo a Fasanella, a prendere l’iniziativa di coinvolgere un drappello di vignaioli per creare una cooperativa che desse lustro al territorio cilentano. Era il 2003, l’idea ebbe successo e furono oltre 40 ad associarsi; da subito l’impostazione fu quella di lavorare in biologico nel rispetto di un territorio dove la natura ha ancora uno spazio incontaminato dove poter esercitare le sue funzioni di salvaguardia.


Il principio era, quindi, più che meritevole, nel 2004, dopo opportune valutazioni delle microzone più adatte, si è iniziato a impiantare le uve tipiche del territorio, come Aglianico, Aglianicone, Primitivo e Fiano, alle quali sono state aggiunte di recente le varietà autoctone cilentane Santa Sofia e Mangiaguerra. Il primo imbottigliamento è stato il 2008, anno in cui è arrivata anche la consulenza dell’enologo Sergio Pappalardo, che ha seguito tutto il processo produttivo di Tenute del Fasanella. Già nel 2009 la Tenuta era in conversione biologica, grazie al fatto di trovarsi in un contesto pedoclimatico del tutto favorevole. La certificazione è arrivata nei tempi opportuni e il lavoro in vigna e cantina è stato impostato con la massima attenzione, consentendo di arrivare a imbottigliare i vini senza aggiunta di solfiti.


Le uve che danno vita all’Auso 2018 sono aglianico per l’80% e primitivo per la restante parte, provengono da un vigneto di 3,62 ettari, posizionato a 500 metri di altitudine in zona San Vito Prato e Lupinelle. Le due uve vengono raccolte in epoche del tutto diverse, il più precoce primitivo nella prima decade di settembre, mentre per l’aglianico si arriva anche alla terza decade di ottobre. Dopo la diraspatura avviene la macerazione prefermentativa a freddo, quella alcolica si svolge in acciaio per 10 giorni a temperatura controllata; poi si effettua la svinatura e pressatura soffice. Alla fine della fermentazione alcolica e malolattica, i due vini ottenuti vengono assemblati e maturati per il 60% in acciaio sulle fecce fini e per il 40% in tonneaux esausti (8° passaggio), segue un affinamento di tre mesi in bottiglia.


Il nome del vino, Auso, rappresenta il primo tratto e il più tortuoso del fiume Fasanella, e deriva dalla profonda grotta da cui fuoriesce, significa “abisso” e per i Santangiolesi è l’origine. Mi aveva già colpito il Fiano Phasis 2022, di cui ho scritto di recente qui, con l’Auso 2018 ho avuto conferma che questa cooperativa lavora davvero bene: colore rubino con riflessi granata, perfettamente attraversabile dalla luce; profumi di marasca, mirtillo, ribes nero, mirto, cenni di macchia mediterranea, leggero ginepro, pepe bianco, corteccia.


All’assaggio si lancia dritto in avanti, con slancio, grazie a una freschezza decisa e a sensazioni quasi piccanti, su un tannino per nulla ruvido ma equilibrato; le sensazioni fruttate riemergono con decisione mettendo in evidenza una quota agrumata che gli dà ulteriore spinta nel finale. Niente male, se poi pensiamo che lo si può trovare attorno ai 10 euro…

InvecchiatIGP: Villa Sparina - Gavi DOCG “Monterotondo” 2010


Il Gavi, storico vino piemontese prodotto da cortese in purezza, ha recentemente festeggiato a Roma i 50 anni dal riconoscimento della DOC. Era l'anno 1974 quando il Cortese di Gavi veniva annoverato tra le denominazioni di origine controllata, istituite con l’obiettivo di valorizzare i prodotti di qualità rappresentativi di una specifica area territoriale.


La zona di origine del Gavi Docg, prodotto con uva cortese in purezza, si trova nel sud est del Piemonte, al confine con il comune di Genova, e dista 90 km da Milano e 130 km da Torino. Il disciplinare limita la zona di produzione a 11 comuni compresi nella provincia di Alessandria. Ciò che rende speciali le terre del Gavi è sicuramente l’incontro tra il vento marino che soffia dal Mar Ligure e la neve dell’Appennino. Il clima moderatamente continentale, gli inverni freddi e le estati calde e ventilate, l’altitudine dei pendii e l’esposizione, i terreni marnosi, calcarei e argillosi danno vita al Grande Bianco Piemontese: un terroir originale che ritroviamo nel bicchiere.

L'areale del Gavi DOCG - Lavinium

I 1.600 ettari di vigneti si trovano a un’altitudine media compresa tra i 180 e i 450 m.s.l., con pendenza variabile ed esposizione generale orientata verso nord-ovest e sud-est. Dal punto di vista geologico, il terroir del Grande Bianco Piemontese si divide in Terre Rosse, Fascia Centrale e Terre Bianche.


Le argille rosse rappresentano la fascia settentrionale della denominazione, quella che dalla pianura alessandrina si eleva a colline caratterizzate da dolci pendenze. Suoli di colore rossastro, a prevalenza argillosa, ricchi di ferro, creati dai depositi alluvionali accumulati dalla lenta azione erosiva dei fiumi. È la fascia climaticamente più calda e regala Gavi di ottimo corpo e struttura.


La fascia centrale, che affiora sulla linea che unisce Serravalle Scrivia, Gavi e San Cristoforo, vede un’alternanza di marne e arenarie. Terreni misti di argille, sabbie e ciottoli dove non mancano terrazzamenti fluviali, formazioni marine e rocce derivate da crosta oceanica. Sono le aree che donano Gavi in profondo equilibrio tra struttura e sapidità.


Le terre bianche, infine, rappresentano la parte più meridionale del comprensorio, che si fa sempre più ripida avvicinandosi all’Appennino, superando i 400 metri di altitudine. I terreni diventano chiari, caratterizzati da marne tufacee di origine marina, ricche di microelementi e fossili. Suoli decisamente più poveri e duri, immersi in un clima più rigido e ventilato. Da qui provengono Gavi caratterizzati da estrema finezza, delicati profumi e spiccata mineralità.


Durante la cena di festeggiamento dei 50 anni dalla DOC, ho potuto apprezzare anche la longevità del Gavi grazie ad una delle aziende di riferimento della denominazione ovvero Villa Sparina. L’azienda, una delle più storiche nel territorio, dedicata alla viticoltura oltre 70 ettari di vigneti tra i quali spicca un piccolissimo appezzamento, sito in località Monterotondo, dove vecchie piante di cortese di almeno 60 anni sono piantate su terreni costituiti prevalentemente da argille rosse.

Moccagatta vista dall'alto

La famiglia Moccagatta ha lasciato riposare questo Gavi per 10 anni all’interno delle sue storiche cantine al fine di regalare, almeno negli intenti, un vino dalla grande personalità.


Beh, diciamo che l’obiettivo è stato assolutamente perseguito perché il vino da me degustato, nonostante ancora un legno in fase di integrazione, si è fatto apprezzare per una vivacità ed una complessità aromatica che spaziava dalla mela golden alla frutta esotica fino ad arrivare di agrumi, spezie dolci su un letto sapido e minerale. Coerente al gusto, l’ampia avvolgenza glicerica sostiene ed equilibra una sferzata fresca, a tratti salmastra, di ampio respiro.

Podere Ema – Toscano Rosso IGT “Foglia Tonda” 2020


Un vignaiolo intraprendente come Enrico Calvelli, la bellezza del territorio chiantigiano, un vecchio vitigno autoctono valorizzato, un affinamento in anfora di Terracotta di Impruneta, sono gli ingredienti di questo foglia tonda in purezza dal carattere unico ed inimitabile come la Terra da cui proviene.

SRC (Esserci) è tutto ciò che conta sull’Etna


La voglia di esserci è nata più di dieci anni fa, sull’Etna, circondati da un territorio unico al mondo e a quel tempo, forse, ancora poco inflazionato. Randazzo, nel versante nord del vulcano, ha una bellezza a cui non si può resistere, soprattutto ha un terroir dalle grandi potenzialità si vuole produrre vino nudo e crudo, senza sovrastrutture, assecondando la Natura nel bene e nel male. Non potevano aspettare oltre Rori Parasiliti, sua moglie Cinzia Baraldi e la loro figlia Sandra, il momento per far partire il loro progetto di vita era arrivato e così, nel 2012, parte il progetto SRC Vini il cui acronimo, se lo si legge scandendo bene le consonanti, fa riferimento alle iniziali di Sandra, Rori e Cinzia, una famiglia del vino cha ha deciso di Esserci puntando, più che alla forma, alla sostanza dei vini del vulcano. Un’essenzialità ed un’anima contadina che si esprimono già nei 15 ettari di vigneti, dislocati in varie parcelle tra Randazzo, Castiglione di Sicilia e Milo, tra i 650 e i 1000 metri s.l.m., dove tutte le lavorazioni sono effettuate manualmente, al massimo due volte l’anno, trattando solo ed esclusivamente con elementi naturali come zolfo, farina di roccia e propoli.


Vecchie viti, allevate ad alberello e a spalliera, dove troviamo piante di nerello mascalese, grenache, carricante, coda di volpe, insolia e minnella contenuti da struggenti muretti a secco immersi in un contesto naturale ricco di biodiversità grazie alla presenza di oliveti, frutteti e macchia mediterranea.

Vecchie Viti Credit: Triple A

Questo approccio “naturale” in vigna, ovviamente, lo ritroviamo anche in cantina dove Rori cerca di essere il meno interventista possibile grazie a fermentazioni spontanee, minimo uso di solforosa ed evitando processi di chiarifica, filtrazioni e travasi. “Less is more” potrebbe essere il motto di questa cantina che attualmente produce mediamente 30.000 bottiglie suddivise in otto etichette che, ognuna con le proprie peculiarità, restituiscono al degustatore l’anima ruvida e profonda di un terroir etneo al di fuori dalle classiche convenzioni enologiche.

Rori e Cinzia

Ultimamente a Roma, grazie ad Federico Latteri e Titti Casiello che hanno portato i nostri vignaioli in tour per l’Italia, ho potuto degustare tutta la produzione di SCR Vini tra cui uno splendido Etna Rosso 2020 che, a mio giudizio, per espressività e piacevolezza, ha superato le mie migliori aspettative.

Titti e Federico

Blend di nerello mascalese (90%) ed altre uve autoctone (10%) provenienti da un appezzamento di 4 ha sito a Castiglione di Sicilia (contrada Crasà), questo rosso dell’Etna, prodotto in circa 13.000 bottiglie si fa apprezzare per la sua gioviale immediatezza grazie ad una complessa unione di sensazioni di mammole, ciliegie, fragoline di bosco, ribes fuse a lievi cenni speziati che rendono il naso, ma soprattutto il sorso, un elogio alla freschezza e alla bevibilità grazie anche ad un tannino gentile e ad una sapidità travolgente che spalancano la strada ad una bevibilità clamorosa che, almeno in questa versione, libera le briglie a questo Etna Doc rendendolo meno austero e più popolare.

Il colore

Per descrivere le sensazioni che ho provato mi è venuta in mente una frase di Bruno Munari, uno dei massimi protagonisti dell'arte, del design e della grafica del XX secolo, che una volta ha detto:” complicare è facile, semplificare è difficile. Per complicare basta aggiungere, tutto quello che si vuole: colori, forme, azioni, decorazioni, personaggi, ambienti pieni di cose. Tutti sono capaci di complicare. Pochi sono capaci di semplificare.

InvecchiatIGP: Gaggioli - Vino da Tavola Rosso Bagazzana


di Lorenzo Colombo

Non ricordiamo precisamente quando ci siamo stati in quest’azienda situata a Zola Predosa, in provincia di Bologna, saranno però passati tranquillamente una ventina di anni, fatto sta che il vino che andiamo a degustare non ci aiuta molto a ricordare, essendo quello che anni fa veniva classificato come Vino da Tavola non poteva infatti riportare in etichetta l’annata di produzione, ma neppure il nome del vitigno o la zona di produzione. Abbiamo cercato a tal proposito di risalire dal numero del lotto, informazione questa obbligatoria sull’etichetta dei vini, ma anche questo non è che ci ha dato alcuna certezza, trattandosi di una serie di numeri e lettere.
Quello che ci pare di decifrare è infatti un 22, ultime cifre di una serie posizionata sotto il contenuto del recipiente. Potrebbe quindi trattarsi di un vino del 2002, perlomeno ipotizziamo, in quanto ai vitigni utilizzati, consultando alcune vecchie guide di vini, di fine anni Novanta/inizio anni 2000 abbiamo trovato 60% Cabernet sauvignon e 40% Merlot.


La bottiglia in questione era da tempo immemore posizionata sulla griglia della nostra cantina e tutte le volte che la vedevamo abbiamo sempre pensato che non fosse il caso d’aprirla aspettandoci che il suo corretto abbinamento sarebbe stato il lavandino, date le condizioni che trasparivano dalla sua capsula, con evidenti segni di muffa e di colatura di vino. Una domenica di febbraio ci siamo però decisi a metterla alla prova e dobbiamo dire che è stata una piacevolissima sorpresa.


La storia dell’azienda Gaggioli ha inizio negli anni Settanta del Novecento, quando Carlo Gaggioli recupera il Vigneto Bagazzana e negli anni Ottanta inizia a commercializzare il suo vino sfuso. Negli anni Novanta s’inizia ad imbottigliare ed attualmente Carlo Gaggioli, morto recentemente, e la figlia Maria Letizia producono circa 130.000 bottiglie all’anno suddivise tra una quindicina d’etichette, da 21 ettari di vigna.

Carlo Gaggioli

Naturalmente il vino che andiamo a degustare non esiste più, nel corso degli anni ha cambiato nome ed è stato aggiunto, nella sua composizione lo Syrah, ora si chiama Colli Bolognesi Rosso Bologna Doc ed è composto da 50% Cabernet sauvignon e 50% tra Merlot e Syrah, viene vinificato in vasche d’acciaio e s’affina sia in acciaio che in botti di rovere da 15 ettolitri per un periodo variabile dai 12 ai 18 mesi. Null’altro siamo riusciti a sapere da parte dell’azienda produttrice.

La degustazione

Come scritto in precedenza la bottiglia non si presentava molto bene, l’abbiamo quindi approcciata con parecchia diffidenza. Pulita la capsula, coperta di muffa e con chiari segni di colatura, ci siamo con cautela approssimati all’estrazione del tappo che per la verità è uscito senz’alcun problema, era però completamente intriso di vino e nell’estrarlo dal cavatappi s’è rotto in più pezzi.


Non dava però segni d’anomalie olfattive particolari, così, versato un piccolo quantitativo di vino nel bicchiere l’abbiamo assaggiato, non trovando nulla di strano.
E’ quindi seguita la decantazione, onde separare il possibile fondo creatosi negli anni, che però s’è alla fine rivelato minimo. Nel bicchiere troviamo un vino dal color tra il granato ed il mattonato, con unghia aranciata.


Mediamente intenso al naso, un poco chiuso, dopo qualche minuto s’apre su sentori di sottobosco, tabacco dolce, humus e dopo poco tempo ancora emergono note di marmellata di prugne, noci, nocciole ed accenni di vaniglia.
Discreta la sua struttura, il tannino è ancora ben presente ma s’è ammorbidito ed addolcito, ritroviamo netti i sentori di prugne, sia cotte che in confettura uniti ad accenni vanigliati e di fichi secchi, buona la sua persistenza. Un vino sorprendente e decisamente interessante, soprattutto alla bocca.

Feudo Montoni - Igt Terre Siciliane Nerello Mascalese “Rose di Adele” 2023


di Lorenzo Colombo

Vino fresco, sapido, succoso, agrumato, dal color rosa pallido che prende il nome dal roseto che Elio, padre di Fabio, attuale proprietario, ha dedicato alla moglie Adele.


Le uve provengono da un vigneto di 40 anni d’età frutto di piante selvatiche innestate a mano, situato a 600 metri d’altitudine.

Cantina Menegola, elogio dei vini della Valtellina


di Lorenzo Colombo

Abbiamo conosciuto Walter Menegola nel 2011, quando visitammo la sua azienda in occasione della prima edizione della Guida Slow Wine, l’azienda allora era nata da poco –è nel 2006 che escono le prime bottiglie col proprio nome-, anche se la famiglia di Walter produceva uva e la conferiva sin dal 1850.
Ricordiamo ancora con emozione la visita al vigneto centenario, quello da cui, ancor’oggi provengono le uve per la produzione del Sassella Riserva.

Walter Menegola

Ci siamo ritornati una settimana fa e abbiamo fatto una lunga chiacchierata con Walter mentre assaggiavamo i suoi vini. Ora l’azienda dispone di 5 ettari vitati, quattro dei quali in proprietà situati a Castione Andevenno, l’altro, in affitto, si trova a Berbenno, ci sono inoltre quattro conferitori, tre dei quali nella zona del Sassella. La produzione annuale s’aggira sulle 50.000 bottiglie il 30% delle quali vengono esportate, i principali paesi sono Stati Uniti, Giappone e paesi del Nord Europa, cinque etichette. Un poco atipico, sia per il vitigno che per la zona, il colore dei vini, sempre piuttosto intenso, Walter sostiene che non è vero che il nebbiolo abbia poco colore, “occorre solamente riuscire ad estrarlo dalle bucce”. 

Rotovinificatore

Atipica anche la fermentazione dei vini che avviene in un rotovinificatore fatto costruire appositamente, non ci risulta che altre aziende valtellinesi l’utilizzino.
Alla nostra domanda sul fatto che questo ci pare uno strumento del passato, legato agli anni ottanta-novanta del secolo scorso, Walter risponde che la notte “vuole dormire” e che questo strumento, utilizzato come fosse un follatore - ovvero le pale ruotano per pochi minuti ogni tre/quattro ore - glielo permette, senza snaturarne i vini né accorciandone la vita. A tal proposito l’assaggio dello Sforzato 2013, attualmente in commercio ce ne darà conferma.

Vigneti


Durante la nostra visita abbiamo potuto assaggiare l’intera produzione, ecco il nostro pensiero.

Vino rosato “Inciso”

Nato in maniera quasi casuale, nel 2013, quando si decise di intervenire sul mosto dello Sforzato, salassandolo, il nome del vino deriva dall’incisore, ovvero colui che ha inciso sulla roccia la figura riportata in etichetta. Prodotto -tramite salasso- da uve Nebbiolo dell’annata 2022. La tecnica del salasso, utilizzata per la prima volta nel 2013 nella produzione dello Sforzato, e che ha dato adito a questo vino rosa, ora viene applicata a tutti i vini aziendali. Al vino non vengono aggiunti solfiti in nessuna fase della lavorazione, la solforosa totale (dovuta alla fermentazione) è di 18 mg/litro.


Color tra il rosa antico ed il ramato, di buona intensità. Di media intensità olfattiva, vi cogliamo leggeri sentori di frutti di bosco macerati ed accenni di tabacco. Alla bocca è un’esplosione di frutta dolce, ciliegia, frutti di bosco macerati, sentori di caramella alla frutta, note d’agrumi. Il vino risulta un poco dolcino, il suo zucchero residuo è di 19 g/litro il che lo colloca tra i vini “amabili”, comunque la sua dolcezza è in parte mitigata dalla buona vena acida. 
Per evitare eventuali rifermentazioni il vino viene microfiltrato prima dell’imbottigliamento. Si tratta comunque di un vino che potremmo definire “poco valtellinese” dove si nota uno scostamento tra le sensazioni olfattive e quelle gusto-olfattive, adatto a quei consumatori poco smaliziati e/o cercano in un vino la semplicità e la facilità di beva. Ne sono state prodotte 8.000 bottiglie che vengono vendute in azienda a 12 euro.

Valtellina Superiore “Orante” 2018

Orante, ovvero l’oratore. Le uve provengono da vigneti con un’età media di 35 anni, situati a Castione Andevenno, tra i 400 ed i 500 metri d’altitudine. Affinato per 12 mesi in botti di rovere francese da 20 ettolitri ai quali seguono 36 mesi di sosta in bottiglia.


Color granato di buona profondità. Intenso al naso dove presenta sentori di radici, sottobosco e leggeri accenni balsamici. E’ caratterizzato alla bocca da un tannino deciso ed un poco asciugante che a tratti rimanda alla pellicina delle castagne crude, buone sia la struttura che la vena acida, sentori di legno. 17.000 le bottiglie prodotte il cui prezzo in azienda è di 17 euro.

Sassella “Rupestre” 2020

Le uve provengono da vigneti di 65 anni d’età situati tra i 400 ed i 500 metri d’altitudine a Castione Andevenno, vinificazione con macerazione di nove giorni, 24 mesi d’affinamento in botti da 20 ettolitri seguiti da due anni di sosta in bottiglia.


Color granato di buona profondità. Bel naso, di buona intensità olfattiva, frutto rosso maturo e dolce, note balsamiche, sentori d’erbe aromatiche. Dotato di buona struttura, buon frutto, bella vena acida e buona trama tannica, accenni di rabarbaro, buona la persistenza su sentori di radice di liquirizia.

Sassella Riserva 2018

Come sopra specificato le uve provengono da un vigneto di oltre cent’anni d’età situato a Castione Andevenno, il vino viene affinato in botti di rovere da 20 ettolitri dove sosta per 45 mesi ai quali segue un lungo periodo di riposo in bottiglia. La produzione è limitata a 3.000 bottiglie il cui prezzo in azienda è di 55 euro.


Color granato di buona profondità. Discretamente intenso al naso, elegante e complesso, leggeri accenni speziati note floreali di fiori essiccati. Dotato di buona struttura e trama tannica importante ma ben integrata, asciutto, bel frutto e buona vena acida, notevole l’equilibrio gustativo, lunghissima la persistenza su sentori di radice di liquirizia.

Sforzato di Valtellina “Duemilatredici”

Si tratta dell’annata attualmente in vendita, la 2015 (che abbiamo peraltro assaggiata) verrà presentata al prossimo Vinitaly. Il vigneto da cui provengono le uve ha 35 anni d’età. Affinato per 12 mesi in barriques nuove e successivamente in botti di rovere da 20 ettolitri per altri 12 mesi, seguono cinque anni di riposo in bottiglia prima della commercializzazione. 4.800 le bottiglie prodotte, vendute in azienda a 55 euro.


Color granato profondo. Bel naso, elegante, buona la sua intensità olfattiva, frutto dolce, ciliegia matura, note balsamiche. Fresco, sapido e succoso, con un bel frutto ed una buona trama tannica, lunghissima la sua persistenza.

Sforzato di Valtellina 2015 (non ancora in vendita – non l’abbiamo fotografato perché ancora senza etichetta).


Granato profondissimo. Più intenso al naso rispetto al vino del 2013, frutto scuro maturo, note floreali. Fresco, con tannino deciso, asciutto, sentori di ciliegia matura e prugna, lunga la persistenza

InvecchiatIGP: Terra di Seta - Chianti Classico 2009


di Stefano Tesi

Quella di Maria Pellegrini e Daniele Della Seta è la classica storia di un cambio di vita che approda nel mondo del vino. E che, sì, se imprime comprensibilmente una svolta netta all’esistenza dei due protagonisti rischia anche - se poi non corroborata da fatti concludenti - di tradursi in un po’ abusato argomento da mero storytelling, come in giro se ne leggono tanti.


Non mi addentrerò troppo, dunque, nella pur bella avventura di lei, vignaiola da generazioni, e di lui, romano di nascita ma con alle spalle un quarto di secolo vissuto da biologo all’Università di Siena, che nel 2000 comprano la proprietà e poi dal 2007, con la costruzione della nuova cantina, iniziano a produrre in proprio con l’etichetta Terra di Seta. Non indugerò nemmeno sul fatto che questa è l’unica cantina in Italia (e in Europa ce ne sono solo due) la cui intera produzione vinicola (circa 50mila bottiglie all’anno) dal 2008 è certificata kosher.


Mi pare molto più importante, in questa sede, sottolineare l’adesione subitanea dell’azienda al biologico, sotto l’ala protettiva di un agronomo-faro in questo settore come Ruggero Mazzilli, e il ricorso a un enologo di spessore come Enrico Paternoster. Siamo dunque in Chianti Classico, comune di Castelnuovo Berardenga, versante UGA “Vagliagli”: 46 ettari in tutto, accorpati, di cui 15 di vigneto, in stragrande maggioranza Sangiovese (“ne abbiamo messo 28 cloni diversi”, spiega Daniele) e un po’ di Cabernet Sauvignon, piantati su suoli di macigno, alberese e porzioni di galestro, dove la quota elevata (500 metri slm) tende a stemperare il tipico calore di certi versanti meridionali dell’area.


E’ in occasione di una bella verticale dei Chianti Classico e dei Chianti Classico Riserva aziendali che mi sono imbattuto in questo sontuoso 2009, che include un 5% di Cabernet Sauvignon. Presentatosi con un bel rubino caldo e l’unghia leggermente aranciata, al naso è penetrante, quasi pungente, con un marcato residuo di frutto, freschezza e screziatura che lo rendono perfettamente pimpante, ma non senza una composta soavità.


In bocca è sapido, ricco e ampio, molto diretto, niente affatto evoluto ed evocatore invece di uno certo stile un po’ antico, familiare, riconoscibile e rassicurante, che emerge soprattutto dai tannini gentilissimi, frutto di legni azzeccati. Quello che, in definitiva, si potrebbe chiamare i perfetto “fatto concludente” in grado di ridare senso e vigore ad una vicenda dove prevale la story e il telling è ai minimi termini.

Terre Margaritelli - Greco di Renabianca 2020


di Stefano Tesi

Il bello delle degustazioni davanti a banchi molto affollati è che puoi assaggiare rapidamente, approfondendo solo se trovi qualcosa di interessante.


Mi è successo davanti a questo Grechetto fermentato in barriques, di bella struttura ma nient’affatto invadente, anzi sapido, cangiante, sfaccettato.

Fattoria Varramista - Toscana IGT "Varramista" 2018


di Stefano Tesi

Non è la prima volta che su questa rubrica io e gli altri IGP ci occupiamo di Varramista, storica fattoria (già Piaggio-Agnelli) di Montopoli Valdarno, sulle Colline Pisane. Dove il vino-bandiera è fin dal 1989 curato e “cullato”, come ebbi a scrivere anni orsono, da Federico Staderini: il Varramista Igt Toscana Rosso, dal 2003 Syrah 100%. 


Il motivo per il quale quest’azienda mi è così cara è duplice. Primo, perché trovo che faccia vini eccellenti, mai banali. Secondo, perché in un enomondo sempre più chiassoso e drogato dall’apparenza come quello di oggi, la sobrietà e l’understatement che la contraddistinguono sono a mio parere un valore aggiunto da apprezzare. Così giorni fa a Cortona, quando in occasione dell’anteprima Sarà Syrah mi sono trovato in lista tra i vini non cortonesi il Varramista 2017, l’ho subito assaggiato volentieri e l’ho trovato tra i migliori del lotto.
Non mi aspettavo però che a cena la funambolica direttrice commerciale Francesca Frediani tirasse fuori dal borsone (un cilindro, viste le dimensioni, non sarebbe bastato) addirittura una magnum del 2018 e, con occhio giustamente scintillante, ce la servisse.

L'azienda vista dall'alto

Allora di colpo ho ricollegato le sinapsi e mi sono ricordato di averla già assaggiata nel 2021 quella bottiglia, quando, al termine di una memorabile verticale 1995-2019, così annotavo: “la magnum esalta la ruvida gioventù e la spigolosità del raspo”. Staderini invece aveva chiosato così: “In questo lavoro ci vuole umiltà e consapevolezza, bisogna fare un passo alla volta, con l’auspicio di ritrovarci nel 2041 per riassaggiare la 2018 e vedere quanto i raspi abbiano favorito l’evoluzione del vino”. Oggi al 2041 mancano 17 anni e l’attesa è un po’ lunga, ma il vino mantiene già alcune delle promesse fatte allora ed esprime anzi l’esuberanza di chi, alle soglie della maturità, ha una personalità già formata ma mantiene il sangue caliente di chi di strada deve farne ancora tanta.


Tradotto vuol dire un colore netto e denso, quasi cupo, un naso profondissimo ed elegante, di una varietalità composta, in qualche modo aristocratica, venato di spezie e fiori da balcone, pulito e asciutto, perfino imperioso nella sua alterigia. In bocca ha l’anima di un cavallo di razza che ha appena smesso il galoppo e si sta lanciando al trotto con passo ampio, di potente coordinazione, vigoroso e sicuro, fiero e nevrile. Una sontuosità che senza dubbio trae giovamento anche dal formato, capace di esaltare le prospettive e di rendere godibile il presente.
Prodotto in edizione limitata di 288 bottiglie, scopro sul sito aziendale si compra a 160 euro. Investimento garantito nel tempo.

Bar Liquid Experience, i fratelli Simeone lanciano il loro progetto di Cucina Liquida!


Bar Liquid Experience è un’attività nel settore Beverage a 360 gradi il cui progetto è portato avanti da due fratelli Alessandro e Sabrina Simeone: Alessandro, Barmanager con esperienza all’estero e in Italia, con un background di cocktail bar rinomati, hotel di lusso e contesti da stella Michelin, mentre Sabrina esperta sommelier e consulente per diverse cantine laziali.


Cosa fanno esattamente? Semplice, sono un
 Bar Catering, ma altresì si occupano anche di Consulenze, Eventi, Formazione e molto altro. Che si tratti di un matrimonio, un evento aziendale o privato, oppure di un evento in un ristorante o cocktail bar, l’obiettivo di questa realtà é quella di personalizzare la proposta drink sulle basi dei gusti e delle esigenze del cliente o del contesto, per far vivere attraverso i nostri servizi un esperienza unica e indimenticabile.


Utilizzano ingredienti freschi e di stagione per le nostre preparazioni homemade, valorizzando così la materia prima e il suo stesso riciclo (zero waste), rispettando i principi di ecosostenibilità; così come i nostri banconi cocktail artigianali realizzati a mano con materiale di recupero, che fanno da cornice in qualsiasi tipologia di location. La vera identità di Bar Liquid Experience é quella di abbracciare il mondo della cucina attraverso il bar, due realtà in perfetta simbiosi che insieme possono regalare sensazioni ed un’esperienza unica nel suo genere.


Proprio per questo nasce CUCINA LIQUIDA: un format di abbinamento cocktail, vino & food (PAIRING), che vuole avvicinare le persone ad una nuova frontiera del gusto, a breve anche attraverso dei corsi di formazione presso la Flair Project di Roma. Non mancheranno anche corsi di avvicinamento al vino, sostenendo collaborazioni con piccoli produttori per dare importanza ai vitigni autoctoni della nostra regione, inoltre con l’arrivo della bella stagione organizzeremo anche degustazioni e pranzi in vigna con diverse cantine per vivere appieno un’esperienza sensoriale a contatto con la natura.


Il loro ultimo evento di “Cucina Liquida”, a cui ho partecipato, si é tenuto presso il ristorante NuAN, capitanato dagli chef Elvio Ferrelli & Luana Lesce, entrambi con un background in contesti stellati. Il ristorante non ha un menu fisso, bensì varia in base alla stagionalità e alla reperibilità dei prodotti sempre freschi e di ottima qualità, selezionando così la materia prima rispettando le sue proprietà.
In questa occasione hanno realizzato un menù di pesce, facendo un costante utilizzo di erbe aromatiche, così come nei vini e nei cocktail scelti per l’abbinamento, dove erbe e spezie hanno fatto da padroni, dando vita ad una miscelazione mediterranea e diventando così essi stessi l’ ultimo ingrediente che andava a completare il piatto.

Alessandro, al centro, e Sabrina a dx

Visitate il loro sito web: wwww.barliquidexperience.com e la loro pagina Instagram: @barliquidexperience per restare aggiornati su nuovi eventi e progetti legati al mondo del cocktail bar e del vino.