Trent’anni di Löwengang, l'Alto Adige Cabernet di Lageder

di Lorenzo Colombo

Nel novembre dello scorso anno eravamo stati invitati alla presentazione del 30° compleanno della linea Löwengang, tenutosi a Milano, compleanno festeggiato con una verticale di Chardonnay Löwengang che s’era spinta sino all’annata 1992; causa un precedente impegno non avevamo potuto andarci direttamente, c’era stata una nostra collaboratrice e ne aveva tratto questo pezzo: http://vinealia.org/30-anni-lowengang/


Quest’anno, in occasione di SUMMA, nel mese d’aprile, i Lageder hanno organizzato una verticale dell’altro vino della linea “Löwengang”, ovvero l’Alto Adige Cabernet , degustazione guidata da Luis von Dellemann, ex enologo (per ben quarantacinque anni) della Tenuta e cognato di Alois Lageder. E questa volta non potevamo mancare. Prodotto per la prima volta nell’annata 1984, e commercializzato nel 1986, l’Alto Adige Cabernet Löwengang (il nome deriva dall’omonimo maso, che a sua volta prende il nome dal palazzo signorile) è in realtà il frutto di diversi vitigni (Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Merlot, Carmènere) che provengono dai migliori appezzamenti della Tenuta Löwengang, situata a Magrè, su suoli sabbiosi e ghiaiosi ad alto contenuto in calcare, collocati tre i 230 ed i 330 metri d’altitudine.


Alcuni ceppi vantano oltre 140 anni d’età, e sono tra i più antichi dell’Alto Adige.La vinificazione avviene in acciaio mentre l’affinamento in barriques, il 20% delle quali nuove, per circa sedici mesi. Sette le annate in degustazione, assaggiate partendo dalla più vecchia, non tutte ci hanno entusiasmato allo stesso modo, le annate migliori si sono rivelate le più vecchie, innanzitutto la 1995 ed a seguire la 2003 e la 2007. Tutto si può comunque dire, tranne che questo vino non abbia una propria e marcata personalità.

Ecco i nostri assaggi:

1995: Color granato-mattonato con unghia aranciata.
Buona l’intensità olfattiva, pulito, complesso, note terziarie di cuoio e tabacco, sentori di peperone e d’inchiostro, nessun accenno d’ossidazione. Buona la struttura, il vino è integro, ancora fresco, i tannini sono decisi ed un poco asciuganti, buona la persistenza.

1997: Intenso il colore, granato-mattonato. Discreta l’intensità olfattiva, sentori di botte, frutto rosso macerato, prugna secca. Di media struttura, secchino, un poco asciugante.

2003: Granato con unghia aranciata. Di media intensità olfattiva, frutto dolce, prugne secche e prugne cotte, accenni balsamici. Discreta la struttura, tannini decisi, buona la vena acida, legno ancora percepibile, discreta la persistenza.

2007: Color granato luminoso con unghia aranciata. Mediamente intenso al naso, balsamico, con sentori di prugna secca.

Alla bocca è ancora percepibile la nota data dal legno, i tannini sono molto presenti ed un poco asciuganti, buona la vena acida, i sentori rimandano alla radice di liquirizia.

2010: Il colore è granato, con unghia leggermente aranciata. La bottiglia, con qualche problema, c’impedisce di valutare serenamente il vino.

2013: Color rubino luminoso di discreta intensità. Un poco ridotto al naso, con frutto rosso in sottofondo. Leggere note animali e tannino un poco asciugante.

2014: Rubino luminoso di buona intensità, unghia violacea. Discreta l’intensità olfattiva, sentori di legno dolce, note balsamiche, prugne cotte. Asciutto alla bocca, con legno in evidenza, buona la persistenza su sentori di radice di liquirizia. Vino decisamente giovane.



Mandrarossa - Sicilia Grecanico DOC “Costadune” 2017 è il vino della settimana di Garantito IGP

di Stefano Tesi

Tra i tanti, ho il pessimo vizio di pescare tra le campionature dei vini, fare lotti omogenei e assaggiarli alla cieca. 


Da una recente mandata di bianchi monovarietali ne è emerso uno, siculo: sapido ed agile Grecanico, che abbina intriganti note agrumate e salmastre, 12° di alcool, ideali per un consumo estivo e sbarazzino, ma non banale.

Calici di Stelle ad Olevano Romano il 9 e 10 Agosto 2018


Nel borgo antico di Olevano Romano è stata organizzata una due giorni per conoscere questo borgo antico, a due passi da Roma, dove Cesanese e ottimo cibo contadino rappresentano due ottimi motivi per una gita fuori porta. 

PROGRAMMA

Giovedì 09 Agosto 2018

Ore 18.00 Workshop “La Viticoltura di qualità nel Lazio”
Con Antonella Pompei Masterclass FIS ed Enrico Carletti Sommelier
Ore 18.45 Intervento di Francesca Litta “Condotta Territori del Cesanese” Slow Food
Ore 19.00 Passioni Condivise … Poesie in e su Olevano Romano
Con Gino Manfredi e …
Ore 19.30 Aperitivo “interpretazioni di Cesanese” Spritz e Chinato
a cura di Robistrot
ore 20.00 illuminazione artistica Rocca baronale a cura di Claudio Berrettoni
Apertura banchi di degustazione
Apertura spazio food a cura de I giro cuochi e I 3 impasti
Ore 21.00 guardando le stelle a cura del Gruppo Astrofili Monti Lepini
ore 24.00 Estrazione riffa
Chiusura Stand e banchi degustazione
…. E tanta buona musica con Swintage special guest “Mario Caporilli”

Venerdì 10 Agosto 2018

Ore 18.30 Workshop “La FIVI in Italia e nel Lazio”
Con Luigi De Sanctis, Paolo Trimani, Francesco Trimani, Antonio Cosmi
ore 20.00 illuminazione artistica Rocca baronale a cura di Claudio Berretoni
Apertura banchi di degustazione
Apertura spazio food a cura della Ass. Santa Maria di corte
ore 24.00 Estrazione riffa a cura dell’associazione strada terre del cesanese
Chiusura evento
…Tanta buona musica DJset con Tamara Selim

Durante l’evento sarà possibile:
- Visitare il centro storico e la corte accompagnati da Jam Olevano
- Vistare la mostra d’arte presso Magma
- Partecipare al concorso fotografico #calicidistelle, a cura di Visit Olevano
- Acquistare vini delle aziende presenti

Costo degustazione 09 Agosto 2018:
Small : 10.00€
Large: 15.00€

Costo degustazione 10 agosto 2018:
Ticket 12.00€

Elenco aziende partecipanti a “Calici di stelle 2018”

1. Azienda agricola Marco Antonelli
2. Vitivinicola Buttarelli
3. Cantina Casal Mattei
4. Le Cerquette azienda vitivinicola
5. Azienda agricola Damiano Ciolli
6. Azienda Compagni a di Ermes Viticoltori
7. Azienda vitivinicola Il Merlo di A. Carrarini
8. Azienda agricola Le terre del Cavaliere
9. Azienda agricola Migrante
10. Azienda agricola Neri
11. Azienda agricola Proietti Fernando
12. Azienda agricola Alberto Giacobbe
13. Cantine Bonuglia
14. Azienda agricola Casale Lucino
15. Azienda agricola F.lli Masci
16. Azienda agricola Formigoni
17. Vinicola Schiavella
18. Azienda vinicola Terrenzi giovanni
19. Vinicola Consoli
20. Emiliano Fini Viticoltore
21. Amaranto
22. L’avventura Società agricola RL
23. Merumalia
24. Cantina De Sanctis

Partner

1. Giulia Cioli Event
2. Robistrot
3. Slow Food
4. Retrò Wine
5. Santa Maria di Corte
6. I giro cuochi
7. I 3 impasti
8. Magma
9. Città del Vino
10. Jam
11. Visit Olevano
12. Ass. Coriolano Belloni

Sponsor

1. BCC di Bellegra
2. Conad APL
3. Procarni SRL
4. Chocolate
5. Codivin
6. Giatusci
7. Geom. Bellavia

Per info sull'evento  tel 069562831 - 3494256574
sito internet FB:@olevano

Osteria Il Granaio: a Rapolano non solo terme

di Stefano Tesi

E' sempre un piacere quando ti accorgi che un ristorante, magari sulla breccia da molto tempo ma che hai un po' trascurato, forse perchè troppo vicino a casa tua, va talmente oltre le tue aspettative al punto da indurti ad aver voglia di tornarci presto.

Questo piacere l'ho (ri)provato pochi giorni fa all'Osteria il Granaio di Rapolano Terme, il borgo delle Crete Senesi che praticamente vedo dalle mie finestre.

Esterno. Fonte: Tripadvisor

Nonostante, e anzi probabilmente proprio per il pressante turismo termale, l'area non spicca per ristorazione di qualità, dove per qualità si intende il giusto equilibrio tra forma, sostanza, prodotti, cucina, servizio, cantina, cura dei dettagli e, perchè no, clientela.

Interno

E' una virtù che invece ho riscontrato al Granaio. Con l'aggiunta di un generale miglioramento anche rispetto all'ultima positiva esperienza, il che senza dubbio non guasta.
Innanzitutto per la saggia e logica scelta di contraddistinguersi sì sulla tradizione, ma senza fossilizzarsi sullo stereotipo della toscanità a tutti i costi, sulla dominante parodia di una senesità da incarto di panforte e sul "rustico rivisitato", sbagli estetici e gastronomici a causa dei quali spesso basta poco per trasformare onesti ristoranti in caricature.

Sia in carta che negli arredi, quindi, ovvia via libera a bistecche di chianina e pici, tra mattoni a vista, volte e mobili da fattoria (il ristorante del resto, con appena una cinquantina di coperti e qualche tavolo all'esterno, si trova in una vecchia stalla restaurata in pieno centro storico medievale, arredata con sobrio buon gusto), ma anche, per fortuna, una serie di piatti di pesce molto azzeccati e mai banali (ottimo ad esempio il "panino" croccante con aringa sciocca e cipolla di Tropea), una vasta scelta di paste fresche con sughi robusti di carne e non (tipo le saporite e molto estive tagliatelle col tonno rosso), le verdure di rigorosa stagionalità e, tra i dolci, qualche curiosità, come la tradizionale focaccia rapolanese farcita nell'occasione con). Una menzione particolare, visto il periodo, per il gelato all'arancia amara.

La cantina è piuttosto vasta e profonda, decisamente sopra la media, con un'inevitabile e comprensibile prevalenza toscana, ma anche con frequenti escursioni in Italia e all'estero, a prezzi onesti.


Il servizio è attento senza essere pedante, la stoviglieria e l'apparecchiatura di ottimo livello, i titolari sempre presenti, ma con la discrezione e l'occhio che si addicono alle circostanze. Spesa sui 50 euro, vini esclusi.
Insomma, bene: consigliato!

Osteria Il Granaio,

Via dei Monaci, Rapolano terme (SI)
tel. 0577 726975
www.osteriailgranaio.it
chiuso martedì e mercoledì

Rosso Calabria: tutti i colori del Cirò - Garantito IGP


Di Luciano Pignataro

Rosso Calabria per mettere i piedi sullo Jonio, dove si coltiva il gaglioppo per fare Cirò. Una bella manifestazione per tornare nella nostra amata Calabria, il gigante che si sta risvegliando e che, ne siamo sicuri, ci riserverà tante belle sorprese.
I presupposti a ben vedere, ci sono tutti. Ancora una volta la degustazione di rossi che ho condotto ha dimostrato alcune certezze inconfutabili.

Quali?

Primo, pur nella diversità di interpretazioni, il Cirò, soprattutto se ottenuto da gaglioppo in purezza, ha un profilo visivo, olfattivo e gustativo facilmente riconoscibile, ben delineato e leggibile anche da chi non ha mai fatto una sola lezione di approccio al vino. Questa caratteristica è propria di tutte le grandi aree vitivinicole e conferma, se pure ce ne fosse bisogno, della qualità di questo vino.

Secondo, pur nella diversità delle interpretazioni, i sei produttori non solo non hanno stravolto le caratteristiche proprie del Cirò da gaglioppo, ma hanno anche maturato una linea comune che decisamente in direzione del gusto moderno: legni ben bilanciati, nessuna dolcezza, tanta freschezza.

Terzo, il Cirò per i suoi accenni salini e salmastri, la sua spiccata acidità che lo rende praticamente immortale, è un bicchiere che ben si accompagna con il cibo.

Quarto, il Cirò in una sola parola riassume tutte quelle caratteristiche che i vini non dovevano avere dopo la parkerizzazione dell’Europa ed è per questo che a noi piace tantissimo, perché ci regala ricordi e tipicità di valore assoluto.

Quinto, bere Cirò significa dunque compiere un atto dovuto e giusto, esprimere un sentimento di gratitudine verso chi mantiene viva in modo moderno una tradizione antichissima senza arroccarsi in vacue ideologie, ma tenendo ben presente il risultato finale.


Ed ecco i vini provati in degustazione.

Fezzigna - Melissa Rosso "Caraconessa" 2016  
La DOC che fu rilanciata da Librandi in una memorabile cerimonia in cui era presente anche Gino Veronelli. L’unico vino con gaglioppo e greco nero. Colore appena appena un po’ più concentrato rispetto agli altri. Voto ***

Vulcano - Cirò Rosso "Cordone" 2016
Buona freschezza e tanto equilibrio al palato per un vino ricco di energia e piacevole. Voto ****

Dell’Aquila - Cirò Rosso Classico Superiore "Gemme" 2016 
Altro rosso in buon equilibrio, sapidità e acidità al palato. Voto ***

‘A Vita - Cirò Rosso Classico Superiore 2014
A quattro anni dalla vendemmia il rosso di Francesco De Franco inizia il suo lungo cammino per sfidare il tempo. Ricco di suggestioni olfattive, di buon corpo. Compagno di vita. Voto *****

Sergio Arcuri - Cirò Rosso Classico Superiore Riserva "Più Vite" 2012
Altro Cirò boys, stavolta in pista con un riserva che più giovane di così non si può. Beva magnifica e dissetante. Voto*****

Tenuta del Conte - Cirò Rosso Classico Superiore 2014
Altra piccola azienda, molto adesiva alla idea del Cirò classico e dunque decisamente moderna. Un bel sorso sapido e prolungato, chiusura netta e pulita. Voto *****


Conclusione? Beh, quello che mi piace del Cirò rosso, tra l’altro, è proprio il colore che rende possibile attraversarlo sino al fondo del bicchiere. Ecco, se non ha questo coloro, come diceva Totò, desisti.

De' Gaeta - Irpinia Campi Taurasini 2013 è il Vino della settimana di Garantito IGP

DI Luciano Pignataro

Riproviamo con piacere dopo un paio d'anni questo aglianico durante una "susciata". No, non una soffiata, ma una mangiata a un ristorante giapponese. Ci colpisce la vitalità, il colore ancora rosso rubino brillante, le note di frutta e la freschezza al palato. 


Un piccolo gioiellino, poco conosciuto, uno dei tanti che l'Irpinia è capace di regalare in silenzio a chi sa ascoltare le sue parole.

Primosic - Collio Pinot Grigio “Skin” 2015 è il Vino della settimana di Garantito IGP


di Carlo Macchi

Il Macchi che parla di un vino macerato? Un vino con 3.8 di acidità e 3.8 di PH? Un vino incredibile con dati analitici incredibili? Un vino che si beve a guardarlo? 


Un vino profumatissimo, rotondo, armonico, di una piacevolezza stratosferica? Si, ne parlo. Provatelo e ne parlerete anche voi!

Ristorante Alla Borsa: a Valeggio sul Mincio c'è un approdo sicuro! - Garantito IGP


di Carlo Macchi

Sarà la vecchiaia, sarà la mia cronica disattenzione ai nomi o semplicemente la memoria che se ne sta andando, ma sbaglio sempre il nome di uno dei locali più concreti, affidabili e gastronomicamente ineccepibili del globo: La Borsa a Valeggio sul Mincio. La chiamo regolarmente La Posta e tutte le volte ci faccio una figura barbina perché naturalmente nessuno capisce a cosa mi sto riferendo.

Foto: ristorantivaleggio.it

Però una spiegazione me la sono data: per me il ristorante che Nadia Pasquali dirige con una gentilezza ed una bravura che sconfina verso la perfezione è una “Posta” nel senso antico del termine: un luogo sicuro, un approdo dove il viandante affamato può ristorare il corpo e la mente. E la Borsa (questa volta non sbaglio!) è un approdo sicurissimo con belle sale ariose ed un giardino che da solo, specie in estate, vale il viaggio.

Nadia

Siamo a Valeggio sul Mincio, tra Verona e Mantova, terre grasse e gustose per la gastronomia e la cucina della Borsa le rappresenta entrambe con però un “Must” che tutti conoscono ma a cui bisogna, inchinandosi, dare il giusto spazio: sto parlando del Tortellino di Valeggio, lo stesso che alla Borsa si chiama Nodo d’amore.
Questo nodo alla Borsa va sicuramente sciolto e ancora meglio per voi sarà sciogliere una serie di nodi, almeno tre: per primi arriveranno i tortellini di carne al burro e salvia, seguiti a ruota dai tortelli ricotta e erbette e dagli immancabili tortelli di zucca.

foto: Tripadvisor.it

Queste tre versioni, tenendo ferma la prima, possono variare ma non varierà assolutamente la bontà di un tris che da solo potrebbe essere un pranzo e spesso lo è perché le porzioni della Borsa non sono certo da nani anoressici.
Una menzione a parte valgono i tortellini “nodo d’amore” sposati al brodo di manzo e cappone: ve li consiglio anche con quaranta gradi all’ombra!

Tortellini “nodo d’amore - foto: Tripadvisor.it

Ma non di solo tortellino vive l’uomo e quindi la Borsa ha molti altri piatti: tra i primi troverete ottime tagliatelle, tra i secondi la faraona al cartoccio e l’anatra ripiena all’arancia ed un altro must del locale, le patatine fritte! Avete capito bene, patatine fritte: però come quelle che escono dalla cucina della Nadia non le avete mai gustate, fidatevi. 
Molto interessanti in estate sono anche le insalate sia di verdura che di frutta, mentre in inverno sarà il momento del baccalà con la polenta e se siete fortunati troverete un ottimo luccio in salsa, ma solo in determinati periodi dell’anno.

Insalata

Una buona carta dei vini, molto attenta alle realtà locali e con ricarichi più che giusti vi permetterà una scelta sicura. Insomma, il mio approdo sicuro è veramente un posto da non perdere, anche perché la Borsa non farà sicuramente male alla vostra borsa perché prendendo antipasto, primo e secondo starete comunque sotto ai 50 euro (vini esclusi).

Ristorante Alla Borsa
Via Goito 2,  Valeggio sul Mincio  (VR)
Tel.045 795 0093 
email: info@ristoranteborsa.it


Roagna - Barbaresco Pajè 2011 è il Vino della settimana di Garantito IGP


di Roberto Giuliani

I vini di Luca Roagna costano cari, come quelli di Roberto Conterno o di Mauro Mascarello. Ma se non ci fossero dovremmo inventarli, perché senza di loro un pezzo di storia fondamentale verrebbe a mancare. 


Il Barbaresco Pajè 2011 ne è un perfetto esempio: sontuoso, profondo, infinito, puro, sussurrato.

Enrico Crola, Colline Novaresi Nebbiolo Giulia (Riserva) 2009 - Garantito IGP


di Roberto Giuliani

Enrico Crola non è più una sorpresa, a Mezzomerico, nel cuore delle Colline Novaresi, è diventato uno dei massimi rappresentanti della nuova generazione di viticoltori illuminati, capace di fondere al meglio l'esperienza del passato con le nuove tecnologie. La sua recentissima cantina è un esempio di efficienza e, allo stesso tempo, di attenzione all'ambiente, il concetto di "dispersione" qui non esiste, tutta la struttura è stata concepita per garantire un rapporto ottimale fra suolo, edificio, sole, energia. L'uva deve arrivare in cantina nelle migliori condizioni possibili e non subire alterazioni durante tutto il processo di lavorazione.

vigna

Il Nebbiolo Giulia 2009 è dedicato alla figlia, quindi prima annata in commercio, ma anche prima annata che ha subito un duplice percorso. Infatti una parte è maturata solo in acciaio ed è stata messa in commercio a partire dal 2011, mentre un'altra è stata trasferita in barrique di secondo passaggio dove è rimasta fino ad agosto 2016, ovvero 6 anni abbondanti, poi ha traslocato in botte grande dove ha sostato per un altro anno, a ottobre 2017 è stata imbottigliata.

cantina

Non c'è stata premeditazione al 100%, Enrico non aveva riferimenti quando ha fatto questa scelta, lo scopo era, tenendo conto dell'ottima qualità dell'annata, provare a vedere come si sarebbe comportato in legno; gli assaggi effettuati durante il trascorrere degli anni lasciavano ben sperare, ecco perché il vino è rimasto così a lungo. A tutti gli effetti è una riserva, ma in etichetta non può essere specificato perché la Doc Colline Novaresi non prevede la menzione. È il caso anche di ricordare che si tratta di un nebbiolo al 100%, visto che il disciplinare consente fino al 15% di altri vitigni autorizzati dalla Regione Piemonte.


Nel calice si offre di un classico colore granato caldo, come solo il nebbiolo sa dare; il bouquet mette subito in evidenza come il legno sia stato perfettamente assorbito, a tutto vantaggio di una complessità superiore, che si manifesta nelle note speziate di ginepro, cannella, liquirizia, pepe, cuoio, che si fondono a un frutto maturo e intenso, non mancano effluvi floreali, intarsi mentolati, richiami a foglie e muschio, con una chiusura che rivela le basi del futuro goudron.
Sorprendente la tenuta al palato, quella freschezza che ben si percepiva nella versione in acciaio, qui non ha perso grinta, mentre il tannino pur ingentilito rimane con il carattere da nebbiolo, nato per conquistare il tempo e piegarlo al proprio volere. Un vino eccellente, di grande eleganza e persistenza, che dimostra le notevoli potenzialità di casa Crola.

Il vino del Lazio tra speranze e naturalità

Il vino del Lazio, lo sappiamo un po' tutti, non gode di grande fama e questo lo possiamo facilmente desumere sia sfogliando le guide di settore, dove i premi sono ridotti al lumicino, sia parlando con la maggior parte dei ristoratori/enotecari di Roma e provincia che, non esenti loro stessi da colpe di carattere comunicativo e commerciale, ne vendono davvero poco e di non eccelsa qualità.


Eppure il vino del Lazio, tanto tempo fa, non era così male, evito di citare per la milionesima volta ciò scriveva Columella ma, senza scavare troppo nella notte dei tempi, è interessante soffermarsi su ciò che scriveva Salvatore Mondini* nel 1899:"Nel Velletrano e nei Castelli romani si coltivano le vigne intensamente, in terreni d’origine vulcanica. I vini che se ne ottengono sono robusti, sapidi e conservabili; e se ne aiuta la conservazione facendoli passare a primavera dalle cantine sopra terra, o tinelli, in ottime grotte sotterranee. (....) A questo primo gruppo di vigneti appartengono anche quelli del Suburbio di Roma, ora più estesi che nel passato; i quali danno prodotto meno pregiato di quello dei Castelli romani, principalmente a causa delle colture orticole che vi si intercalano in abbondanza. La natura vulcanica dei terreni impartisce ai vini dei Castelli romani caratteri speciali, che acquistano pregio con l’invecchiamento e li rendono ottimi anche pei buongustai più esigenti. 
Il secondo centro di produzione vinicola è costituito principalmente dal Viterbese, dove la coltura della vite non è così fitta ed intensiva come nei Castelli romani, ma è quasi sempre a palo secco; e le strisce di terreno, che si lasciano tra un filare e l’altro, sono assai strette. Prevalgono le uve bianche; le cantine sotterranee sono meno numerose, ma tuttavia i vini ben fatti si conservano facilmente. 
Il terzo gruppo è costituito dal circondario di Frosinone, confinante colla provincia di Caserta, dove le viti sono principalmente coltivate maritate agli alberi. I vini, che se ne ottengono, sono ordinariamente buoni e conservabili nell’inverno. (…) un notevole aumento nelle piantagioni di viti nella provincia di Roma, si è verificato in questi ultimi anni lungo il litorale marittimo e specialmente presso Civitavecchia, Nettuno e Terracina. 
I vini del Lazio in generale si possono classificare in vini secchi e in vini pastosi o alquanto dolci. Il più importante mercato pei vini di questa regione è la città di Roma, dove sono ancora preferiti, ed un tempo erano anche molto ben pagati, i vini dolci, volgarmente detti pastosi o sulla vena.»


Qualche anno prima, Camillo Mancini nel testo "Lazio Viticolo e Vinicolo" descriveva così alcune gemme del Lazio:
  • il Cesanese, specie quello castellano, che regge il confronto con il pinot nero da cui si possono ottenere vini comparabili alle migliori produzioni del Bordeaux
  • l’Aleatico di Gradoli
  • discreti anche i moscati
Inoltre, proseguiva, “già qualcuno si industria di fabbricare dello champagne”, non con grande successo a parere dell’autore, e “Interessante anche la produzione di vermouth che potrebbe diventare un’ottima industria per molti paesi del Lazio”.

E allora, perchè nel Lazio ci siamo persi? Beh, la risposta la fornisce lo stesso Mondini che, a termine delle sue disquisizioni, già al tempo potrebbe aver capito un problema nascente: "(....) se i vini del Lazio fossero fabbricati bene ed accuratamente conservati, non vi è dubbio che la loro composizione ed i loro caratteri organolettici li farebbero classificare fra i migliori prodotti in Italia. Disgraziatamente però, tanto la fabbricazione che la conservazione del vino lasciano molto a desiderare, e tranne alcune eccezioni, la massa dei produttori è ancora assai lungi dall’avere adottato quelle pratiche, che altrove hanno fatto ottima prova".


Per uscire da queste sabbie mobili c'era bisogno di una scossa, probabilmente di un cambio generazionale che portasse con sé nuove idee e voglia di rischiare. Non è stato facile e, ancora oggi, parliamo di una nicchia, ma c'è un gruppo di produttori, spesso giovani, che sta cercando di dare nuovo impulso alla viticoltura della Regione cercando, in maniera "naturale", di rispettare in cantina quanto di buono ha dato la Terra. Per capire a che punto siamo arrivati è stata Palazzo Tronconi, assieme a Sandro Sangiorgi, hanno organizzato un seminario dove sono stati invitati dieci vignaioli della "nouvelle vague" del vino del Lazio. Dieci i vini degustati, cinque bianchi e cinque rossi, rigorosamente alla cieca. 

Di seguito le mie note di degustazione:

Inizialmente è pungente poi col tempo e la giusta ossigenazione si apre sferzando il naso con ventate di frutta gialla estiva e succosa contornata da sensazioni di fiori di camomilla. Si beve senza problemi grazie ad una freschezza e una sapidità decisamente corroboranti. Un vino centrato e diretto che, scoperto, si è rivelato essere il Convenio "Malvasia Puntinata" 2017 di Casale Certosa

Dal colore, un giallo quasi ambrato, capisco che lo stile di questo vino tende all'ossidazione e il corredo olfattivo, tutto frutta secca, terra e fiori gialli secchi, non fa che confermare, spero, le mie aspettative che sono superate alla gustativa dove il vino si fa apprezzare per grande equilibrio, sostanza e deciso allungo sapido. Un vino che, scoperto, si è rivelato essere Arcaro 2016 dell'azienda D.S. Bio (100% maturano).

Col terzo vino non ci siamo proprio, è scomposto, inespresso, con sensazioni aromatiche "perose" che fatico a comprendere. Lo bevo e se non sapessi che è vino direi che, forse, è una buona birra artigianale sperimentale. Una volta rivelato ci sono rimasto male perchè l'etichetta era quella del Ribelà Bianco 2017 (malvasia, trebbiano, bombino) Fortunatamente è un vino non ancora in commercio e, fossi stato nei produttori, non lo avrei portato in degustazione visto quanto ancora è indietro. P.s.: di Ribelà ho degustato in passato ottimi vini e questa, fortunatamente, è solo un'eccezione!

Foto: Sara Hoehn

Il quarto vino mi ha messo in difficoltà appena messo il naso nel bicchiere per via di una volatile decisamente sopra le media che, a mio giudizio, tendeva a mettere un coperchio piuttosto pesante alla complessità olfattiva di questo nettare che, scavando scavando, si componeva di tante sfumature fruttate e vegetali. Sorso molto rustico, qualcuno direbbe "buccioso", ma la tanta materia a disposizione viene ben gestita da una carica acido/sapida davvero interessante. Un vino anch'esso giovane che promette bene. Trattasi del Costa Fredda 2016 (100% passerina) di Carlo Noro.

Il quinto bianco parte anch'esso con una carica olfattiva sulfurea che, inizialmente, tendeva a sopraffare ogni altro aroma del vino che, fortunatamente, col tempo si apre svelando tutta la sua carica meterica composta da sensazioni di cera e agrumi che si fondono con soffi minerali e di erbe aromatiche. La bocca è graffiante, tesissima e ricca di sapidità. Forse il miglior bianco della batteria. Trattasi del Donna Rosa 2015 (100% passerina) di La Visciola.

La batteria dei rossi si apre con questo vino gioviale grazie alle sua carica aromatica di fruttini rossi leggermente surmaturi che, leggermente freddo come ci è stato servito e mancando quasi totalmente di tannino, tende all'irresistibilità di beva. Probabilmente nessuna guida avrà il coraggio di recensirlo ma, vivaddio, questo è un vino che sa di festa, amici e tanti taglieri di salumi. Trattasi, una volta svelato, del Zitore 2016 (100% lecinaro) di Palazzo Tronconi.

Il rosso successivo, appena lo versano, lo riconosco alla cieca almeno per quanto riguarda la zona. E' color granato, sa di erbe aromatiche, terra nera, radici, macis, piccoli frutti rossi. Al gusto fa venire i brividi per gusto, carattere, equilibrio e profondità. Un rosso stupendo fatto da chi ha trovato la quadratura del cerchio. Non poteva non essere il Cirsium 2015 (100% cesanese) di Damiano Ciolli. Nota: vino ancora non in commercio.


Foto: Sara Hoehn

Terzo rosso e terza sorpresa positiva. Davanti a me un vino straordinariamente espresso, almeno inizialmente, e dotato di un corredo aromatico di rara eleganza dove ad un attacco ciliegioso seguono note di viola, erbe aromatiche fresche e profonde sensazioni minerali. Al sorso mi scompiglia i sensi grazie ad una bocca fresca e succosa, ad un corpo apparentemente snello ma gustoso, tannini di buona estrazione e finale lungo e sapido. Se dovessi trovargli proprio un difetto riguarda la tenuta nel bicchiere: dopo un'ora il vino mi è sembrato sedersi leggermente ma siamo di fronte ad un (quasi) capolavoro. Trattasi del Rosso 2016 (sangiovese e grechetto rosso) di Podere Orto.

Il quarto rosso anch'esso è inconfondibile una volta che avvicini il naso al bicchiere da cui emergono, emozionanti, toni di confettura di visciole, gelso, pepe, viola sotto spirito, cioccolato bianco. Piacevolissimo all'assaggio, mai banale o seduto grazie ad una acidità sferzante che rende la beva irrefrenabile grazie anche ad un finale gustoso e pulito. Anche alla cieca non potevamo non riconoscere l'Alea Viva (100% aleatico) 2016 di Andrea Occhipinti

L'ultimo rosso della giornata è probabilmente quello più "crudo" della batteria, c'è un mare molecole odorose che aspettano solo il tempo per districarsi da questa matassa aromatica che promette ma, al tempo stesso, sembra abbandonarti. Al palato è ancora esuberante, graffiante, distratto ma il degustatore attento non può non accorgersi di questa materia gustativa affascinante ma al tempo stesso adolescente che sembra dirti "ciao, ci vediamo tra qualche anno se vuoi uscire con me". Il vino è un altro grande Cesanese di Olevano Romano ovvero è il Calitro 2015 (100% cesanese) di Cantine Riccardi Reale.


Foto: Sara Hoehn

Dovendo tirare le somme direi che, limitatamente a questa serata dove alcuni vignaioli hanno giocato non presentando i loro vini di punta, il Lazio che in tanti vedono come una Regione bianchista mi ha invece sorprese per i suoi rossi che ho trovato più inquadrati da un punto di vista aromatico e, soprattutto, di maggiore lettura territoriale. Il risultato comunque è abbastanza convincente e io, pur toccando ferro, comincio a crederci veramente....

*Salvatore Mondini, Produzione e commercio del vino in Italia, Ulrico Hoepli, Milano 1899