di Roberto Giuliani
Siamo nel Viterbese a due passi da Vitorchiano, bellissimo borgo noto per l’estrazione del peperino, una roccia magmatica di colore grigiastro utilizzata per la produzione di lastricati, scale, zoccolature e molto altro. Grotte Santo Stefano fino al 1927 era un comune della provincia di Roma, l’anno dopo Mussolini riformò le province laziali e questo borgo fu aggregato a Viterbo che divenne provincia, da cui dista poco più di 15 km. Poco fuori dal paese, sulla strada Grottana, si trova l’agriturismo Il Casaletto, un punto di riferimento per tutta la provincia, dove Marco Ceccobelli, oste come Dio comanda, porta avanti l’attività iniziata dal padre Sauro.
Ci troviamo nella campagna della Tuscia, ovvero il territorio dove anticamente abitavano i Tusci, cioè gli Etruschi, che hanno lasciato non poche meraviglie della loro permanenza fra l’alto Lazio, la bassa Toscana e l’Umbria occidentale. Basta guardarsi intorno e, fra magnifici borghi, vallate, fiumi, boschi, un agriturismo dove poter mangiare, dormire e attrezzarsi per esplorare la zona arriva proprio a fagiolo. L’azienda è nata alla fine degli anni ‘60, oggi dispone di un orto e cura un allevamento di suini allo stato brado, fa ristorazione e pizzeria (e su questa specialità vanta i 3 spicchi del Gambero Rosso), non a caso Marco preferisce definirlo “Osteria Agricola”.
L’attività è sempre rimasta a conduzione familiare, Marco in cucina, il fratello Stefano e il babbo Sauro si occupano dell’orto, della campagna circostante e dei suini, mentre Donatella Baccelliere gestisce il lavoro di sala. Come potete immaginare le carni e i salumi sono elementi imprescindibili del Casaletto, ma qui si lavora così bene e la qualità trasuda in ogni aspetto che diventa davvero difficile, se si arriva nel fine settimana, scegliere se provare le numerose pizze o la fantastica cucina. Io vi consiglio di andarci minimo due volte, perché sono ambedue da provare assolutamente!
Questa volta, con un gruppetto di vecchi amici, ci siamo concessi un pranzo, non completo come avremmo voluto, perché vi assicuro che se partite dagli antipasti e prevedete di arrivare al dolce, l’unico modo è saltare i primi o i secondi; noi abbiamo deciso di saggiare i primi, e non siamo rimasti delusi.
Non voglio scegliere troppo nel dettaglio dei piatti, ma è importante capire quanto le materie prime facciano la differenza, c’è poco da fare, come avviene con il vino che tutto parte dalla vigna, qui la materia prima ha un ruolo fondamentale, tutto è selezionato con cura, dalle farine alle carni, dalle verdure (tutte provenienti dall’orto) ai formaggi locali. Aggiungiamo poi che Marco Ceccobelli di esperienza ne ha da vendere, ed ecco che ciascuna portata assume dignità di “leccornia”, con il vantaggio che qui le dosi non son mai risicate, ce n’è abbastanza per godere alla grande, in un’atmosfera tranquilla, seguiti con attenzione. La carta dei vini poi va ben oltre la media di quelle che si trovano nella maggior parte degli agriturismi, con un’ampia selezione di vini bianchi, rosati, spumanti e rossi della zona e del resto d’Italia, ma anche uno spazio tutt’altro che risicato agli Champagne.
Visto il menu, ci siamo subito resi conto che non provare qualcosa era davvero un peccato, essendo in sei abbiamo optato per prendere tutte cose diverse (tranne in un paio di casi), in questo modo abbiamo assaggiato un po’ di tutto; fra le cose che hanno lasciato un segno indelebile ci sono a furor di popolo la “Zucca laccata all’amaro di rabarbaro su fonduta di caciofiore delle campagne romane e sottobosco autunnale”, un antipasto davvero delizioso, equilibrato ma dai sapori ben definiti; anche il “Fritto misto di quinto quarto di manzetta maremmana” ci è piaciuto per la perfetta doratura, ogni elemento era perfettamente asciutto, la parte oleosa si sentiva solo una volta assaggiato e la qualità sia della carne che delle verdure d’accompagno era eccellente.
Sui primi l’ovazione è arrivata con i “Cannelloni ripieni di manzetta maremmana, ricotta di pecora e pecorino Pira”, semplicemente spettacolari, con una gustosissima crosticina nella parte superiore del cannellone, uno di quei piatti che in molti casi sfuggono di mano, diventando pesanti, troppo carichi, qui invece era tutto perfetto. Altro primo piatto riuscito è “Gnocchi al ragù, antica ricetta alle tre carni”, in seconda posizione solo perché mancava una spolverata di parmigiano a dargli più slancio, problema prontamente risolto.
I dolci si sono rivelati un’altra carta vincente, sono la cartina di tornasole di un ristorante e qui sono andati alla grande, a partire dal commovente “Quasi un tiramisù con biscuit di mandorle, cremoso al caffè, praline al cioccolato Valrhona e mousse al mascarpone”, da applauso! Buonissima anche “La nostra versione di zuppa inglese scomposta”, un dolce divertente che ti permette di assaporare ogni singolo componente e poi percepire tutta la sua espressività mettendoli insieme. La “Torta al cioccolato fondente Valrhona con mousse allo zenzero e cannella” ha riscosso molte approvazioni, unica nota a margine: se avesse avuto un po’ più di cremosità e grassezza sarebbe stata perfetta.
Infine si è rivelato splendido lo “Zuccotto di mele cotte nello strutto, con crema inglese alla vaniglia e sciroppo ricavato dal torsolo e la buccia della mela”, l’idea della mela cotta mi aveva creato una certa diffidenza, invece l’assaggio ha stravolto ogni mia immaginazione, un dolce davvero superbo.
I vini che hanno accompagnato antipasti e primi hanno fatto la loro figura, sia l’Olevano Romano Cesanese Superiore Silene 2020 del mitico Damiano Ciolli che il Cortona Syrah 2017 dell’altrettanto mitico Stefano Amerighi.
Ah! Elemento non trascurabile, qui non si paga pane (ottimo fra l’altro) e coperto. Quanto abbiamo speso? Meno di 50 euro a persona vino compreso. Aspettatevi un secondo articolo dedicato alle pizze…