Mastroberardino, produttore iconico della Campania, presenta le nuove annate


di Luciano Pignataro

I produttori storici che hanno avuto la capacità di aggiornarsi e rinnovarsi costituiscono un vero e proprio benchmark per le denominazioni in cui operano. Tanto più vero quanto più sono circoscritti i territori di riferimento. Ecco perché in un areale altamente vocato, ma decisamente piccolo per dimensioni, non si può prescindere da Mastroberardino per una valutazione dell’annata e per capire l’orientamento e l’evoluzione dei vini. Sarà inutile ricordarlo ai più, ma vale la pena sottolineare che i disciplinari dei vari Fiano di Avellino, Greco di Tufo e Taurasi furono scritti da questa famiglia e che quando il Taurasi divenne DOCG, nel 1993, le uniche bottiglie disponibili erano quelle di Mastroberardino e di Struzziero.


Ecco perché ogni anno prendo il computerino e chiedo a Piero la possibilità di provare le nuove uscite. Nessuna altra azienda sul territorio può regalare un quadro così completo da un punto di vista didattico. Questo non vuol dire che non ci sono altri attori importanti e interessanti, magari nelle singole denominazioni anche più interessanti, ma il quadro completo si becca qui: ad Atripalda oppure nella nuova tenuta a Mirabella, creata proprio d Piero, che ha lanciato la Locanda del Lupo proprio quest’anno, con una bella ristrutturazione dei locali con vista sui vigneti.
Ecco allora, in sintesi. i nostri assaggi della linea top, fatto con il conforto di Massimo Di Renzo, enologo aziendale.

Neroametà - Bianco Campania IGT 2019

Uno dei pochi Aglianico vinificato in bianco secondo una usanza particolarmente presente fra Campania e Vulture nei primi anni ’90. L’aspetto interessante di questa etichetta è il ritardo della uscita. Sentiamo prima la 2019 che sfoggia un naso elegante, di note balsamiche e frutti rossi, sapido, freschissimo. Lungo, ripulisce bene il palato.


Neroametà -  sarà Irpinia Doc 2020

La prima annata in cui cambia la denominazione, da igt Campania a Irpinia Doc, segno di una maggiore determinazione dell’azienda a valorizzare questo progetto. Appena in uscita, esprime un bellissimo profumo di frutta rossa e note di incenso, canfora. Il vino ha un leggero passaggio in legno, ma resta in ottimo equilibrio con la frutta.

More Maiorum - Irpinia Doc 2018

Lo storico vino elaborato per la prima volta negli anni ’80 esce con cinque anni di ritardo. Uno sforzo notevole e con una novità. Il Fiano di Lapio è in blend con un parte di Greco di Tufo. Il vino fermenta in barrique e poi affina per almeno un anno e mezzo in bottiglia. Forse è quello che più di ispira allo stile borgognone ed esprime in questo sorso, ci piace questo ossimoro, una spudorata eleganza, complesso, note di basalmico, mentola. Lungo, sapido. Piacevole. Assolutamente nelle nostre corde, diventa difficile non berlo anche in degustazione. Ma a noi i bianchi invecchiati con passaggio in legno fanno impazzire.


Veniamo adesso al progetto Stilema, un omaggio ad Antonio, il padre di Piero. “Con tale espressione intendiamo – spiega - evocare lo stilèma della vinificazione dei vitigni autoctoni d’Irpinia (il Fiano, l’Aglianico, il Greco) così come avveniva a cavallo tra la fine degli anni 50 e l’inizio degli anni 70 del Novecento per il Taurasi, e tra gli anni ‘70 e ‘80 per i due più nobili bianchi d’Irpinia”.


Stilema - Fiano di Avellino Riserva Docg 2019

Si riaggancia al 2015, prima uscita. Nasce da uve di Montefalcione e Manocalzati. Un dieci % matura in barrique di secondo e terzo passaggio. Qua il tempo diventa il grande alleato alleato e questa etichetta esce dopo quattro vendemmie. Note di pera matura, di foglia di fico, balsamico, agrumato lungo, intenso. Al palato è sapido, piacevole, lungo, amaro finale.


Stilema - Greco di Tufo Riserva Docg 2019

La sorpresa di questa degustazione è stato proprio il Greco. E’ vero che i due grandi bianchi di solito procedono a corrente alternata, ma stavolta l’uva di Montefusco, Tufo e Petruro Irpino stupisce per la grande energia al palato. Piacevole, lungo, è decisamente avanti rispetto al Fiano per completezza e complessità. L’aspetto più interessante è che l’eleganza allontana i toni rustici tipici di questo vitigno, un po’ in difficoltà negli ultimi anni a causa delle annate calde. Del totale, meno del 10% ha un passaggio in legno.


Stilema - Taurasi Docg 2017

La volontà è quella di riproporre lo stile dei Taurasi del passato. E’ un blend di uve di Pietradefuso, Montemarano e Paternopoli, parte bassa e parte alta della denominazione. Breve macerazione (7/8 giorni) e poi affinamento per circa due anni in legno di rovere di Slavonia di 50 ettolitri e barriques di rovere francese (non di primo passaggio). Infine 30 mesi in bottiglia. L'estrazione non esagerata è sempre stato il marker aziendale: al naso esprime una bella ciliegia, al palato il tannino è ben risolto, la sensazione è di freschezza con un finale lungo e piacevole.


Ora restiamo alla 2017, annata non facile ma molto ben interpretata dall’azienda per illustrare gli altri due grandi rossi da aglianico

Naturalis Historia Taurasi Riserva Docg 2017 

Rosso vino ottenuto con uve provenienti da un vigneto di circa 50 anni della tenuta di Mirabella Eclano. Invecchiamento solo nel legno piccolo, da vigne vecchie di 50 anni. Il vino si presenta compiuto, tannini e freschezza ben bilanciati, al naso frutta croccante e rimandi appena accennati di affumicato, al palato beva amica e golosa. Un grande rosso da manuale.



Radici Taurasi Riserva Docg 2017

L’etichetta più amata da Parker nasce nel 1986 e da allora è sempre stata usata l’uva del vigneto di Montemarano. Affinato in barriques di rovere francese e botti di rovere di Slavonia per circa 30 mesi e almeno 40 mesi in bottiglia. Mentolato, balsamico, lungo. Tannino più presente, lungo. Piacevole.


La grande bellezza di questi vini è la loro capacità di essere grandi interpreti territoriali e al tempo stesso di essere molto caratterizzati. Quando li bevi non pensi mai ad altri riferimenti, ma proprio al lavoro fatto da Mastroberardino in questi anni. Tutti hanno un grande futuro.

InvecchiatIGP: Podere 414 - Morellino di Scansano 1999


di Carlo Macchi

Il podere dell’Ente Maremma 414 è uno dei tanti che l’ente creò nel 1960, dividendo giganteschi latifondi e affidandoli ad “assegnatari”, cioè a famiglie contadine provenienti da ogni parte d’Italia. Erano terreni praticamente vergini dal punto di vista agricolo ma non certo facili da coltivare. Dopo quasi quarant’anni, nel 1998, Simone Castelli, figlio d’arte di Maurizio, uno degli enologi che hanno fatto la storia della Toscana enoica sin dagli anni ’80 del secolo scorso, acquistò questo podere e iniziò a fare vino. 


Non era facile coltivarlo nel 1960, ma anche nel 1998 non era certo una passeggiata. Sin dall’inizio Simone puntò sul sangiovese e, magari sotto l’influsso di quegli anni, produsse dei vini forse un po’ troppo legati alla concentrazione e all’uso del legno. Piano piano ha affinato le sue proposte, anche se i Morellino di Podere 414 sono sempre austeramente importanti. I vini dei suoi inizi erano indubbiamente un po’ eccessivi, almeno così li valutai allora. Però il tempo da una parte è galantuomo ma dall’altra prima o poi ti presenta il conto.
Questo “conto” per me è arrivato durante una visita estiva a Simone quando , oltre a tutti i vini adesso in commercio ha aperto una bottiglia di 1999: così il tempo si è dimostrato galantuomo, ma per Simone.


Certe volte i sangiovese (questo con un piccolo tocco di ciliegiolo) mi lasciano di stucco sin dal naso. E’ stato il caso di questo grande vino, che unisce ancora del frutto rosso al cioccolato e a sentori di terra e sottobosco, il tutto con un’intensità incredibile . In bocca ha potenza ancora da vendere ma ben distribuita, con accanto freschezza e sapidità. I tannini sono grossi e grassi, dolci e quasi “pesanti”, portando il vino ad un allungo incredibile. Sfido chiunque ad assaggiarlo bendato e a non pensare ad un grande Brunello di Montalcino, invece è un grandissimo Morellino di Scansano, sicuramente uno dei più buoni assaggiati in vita mia.


Complimenti Simone, la lezione che ho imparato ma che difficilmente metterò in pratica adesso vista la mia età è che per valutare un vino devo aspettare almeno 20 anni, meglio se un po’ di più.

La Colombera - Colli Tortonesi DOC Timorasso "Il Montino" 2015


di Carlo Macchi

Il Timorasso è un vino che andrebbe bevuto maturo e questo Montino 2015 era infatti la quintessenza del vitigno: note fini di idrocarburo e pietra focaia al naso, rotonda potenza con freschezza in bocca. 


Un Riesling grasso, ampio e potente, impossibile da trovare se non a Tortona. Elisa Semino docet!

Da Gancia per scopire la storia dell’Alta Langa


di Carlo Macchi

Entrare da Gancia a Canelli ha indubbiamente il gusto delle cose del passato. Spazi immensi, quasi da modernariato industriale, punteggiati da meravigliosi manifesti che da una parte ricordano la Bella Époque, e dall’altra mi riportano all’infanzia, quando i manifesti pubblicitari erano sicuramente più evocativi e belli di adesso. Questa visita, che ci porterà a degustare in verticale una bella fetta dei loro Alta Langa, si deve alla passione e alla perseveranza del nostro Davide Buongiorno, che è riuscito ad ottenere quello che fino ad oggi (almeno così mi risulta) non era mai stato né chiesto né ottenuto. Non per niente l’assaggio si svolgerà nel loro laboratorio e non certo in una sala attrezzata, segno che non abituati a degustazioni del genere.

Ma perché Davide ha smosso mari e monti per organizzare questa degustazione?

Tutto parte dai nostri assaggi di Alta Langa e dalla storia di questa giovane denominazione, nata da un gruppo di grandi cantine piemontesi e poi allargatasi a tanti piccoli produttori, specie negli ultimi 10-15 anni. Ma questo “allargamento” ha portato con se un problema di gioventù, e quindi di vini assolutamente ben fatti ma ancora molto, troppo giovani. Giovani sia per uve nate da vigneti piantati da pochi anni, sia per tempi sui lieviti spesso non ampi e per periodi brevi di permanenza in bottiglia dopo la sboccatura. La nostra curiosità ci porta a cercare di capire se e quanto la marcata giovinezza degli Alta langa sia un fatto contingente al momento di crescita o sia una reale caratteristica: cioè come aromi e strutture che troviamo adesso possano cambiare ed evolversi, in quanto tempo può o non può avvenire e quali sono i marker tipici della denominazione, ora e tra 10-15 anni.


Questo “universo appena nato” ha comunque alcuni “pianeti” con una storia alle spalle e uno di questi è Gancia che, oltre ad essere uno dei padri dell’Alta Langa, vanta una tradizione sul metodo classico che partendo da Carlo Gancia risale a quasi 2 secoli fa (avete letto bene: 2 secoli!). Niente di meglio quindi per iniziare un nostro viaggio tra i produttori storici del Metodo Classico in Piemonte, che ci vedrà nei prossimi mesi approdare in altre cantine.


Ma adesso siamo dentro Gancia, dove ci sta aspettando Mario Borgogno, responsabile tecnico di questa grande cantina e in particolare della parte riguardante gli Alta Langa. Se uno si domandasse quante bottiglie di questa tipologia potrà produrre un’azienda così grande rimarrebbe sicuramente deluso dalla risposta: si parla di 60/70.000 bottiglie, al massimo della produzione e non tutti gli anni. In effetti il progetto Alta Langa di Gancia si sviluppa in una “cantina nella cantina”, in spazi non certo piccoli ma rispetto a quelli che potrebbero essere sfruttati è una vera nicchia: qui si trova la marmonier (la pressa verticale arrivata dalla Francia) delle vasche d’acciaio, qualche barrique e poco altro.

La Marmonier

Mario Borgogno è l’opposto del tecnico che ti aspetteresti in cantine di questo blasone: persona per niente abituata ai riflettori, chiaro, preciso, assolutamente “austero” nelle sue secche affermazioni, riesce a farci un quadro di questa tipologia di metodo classico senza alcun infiorettamento. Un dato su cui punta molto per i suoi Alta Langa è l’acidità, ma soprattutto il pH, che normalmente va da 2.95 ad un minimo di 3.15. Siamo quindi di fronte a pinot nero (soprattutto) e chardonnay di grande freschezza, con tempi di maturazione in bottiglia molto lunghi e si mantengono molto giovani anche nel tempo. 


Mario ci parla anche della scelta non facile di dedicare un apposito spazio in cantina a questa tipologia, che oggi viaggia sulla cresta dell’onda ma 20-25 anni fa non aveva certo molti santi in paradiso. Non per niente la parte di cantina dedicata all’Alta Langa esiste solo dal 2000 e la pressa verticale, che ha fatto fare un primo salto di qualità, è arrivata nel 2006.


Parlavamo di vini molto giovani? Il primo assaggio, un Alta Langa Pas Dosé del 2014 ci fa capire subito questo concetto. Sboccato nel 2022, 70% pinot nero e 30% chardonnay, è un paglierino vivo ma assolutamente non dorato, al naso è quasi chiuso, con note di mela verde e, solo dopo un po’ di tempo, fiori, mandorle e nocciole.. In bocca è sapido, equilibrato ma sempre molto austero, con chiusura giustamente amarotica. La 2014 è stata una vendemmia non certo solare ma questo pas dosé ne interpreta perfettamente il senso di leggerezza e freschezza. Ci dicono che in enoteca costa attorno ai 24 euro, prezzo davvero molto interessante.


L’Alta Langa Brut 2015, sboccato da pochissimo (70 pinot nero/30 chardonnay) ha il solito color paglierino brillante e profumi che all’inizio somigliano molto al precedente per poi virare verso anice, timo e maggiorana. In bocca invece ha più larghezza, cremosità e quasi grassezza. Qui Mario si lascia scappare una sua preferenza tecnica “Devo ammettere che qualche grammo di zucchero nei metodo classico non sta male” e in effetti tutta questa austerità che spesso sconfina in magrezza stilistica e che oggi va per la maggiore ha cominciato ha darmi un po’ sui nervi. In enoteca a 23 Euro.

Adesso iniziamo ad andare indietro nel tempo con l’Alta Langa 2013 Brut ( 80/20), un vino più “possibilista”. Paglierino dorato, note balsamiche, di erbe officinali, ma anche lieviti e crosta di pane. Fine e giustamente cremoso al palato, anche se chiude con una nota di vibrante acidità. Qui Mario ci fa notare di aver diminuito le percentuali di vino chardonnay in barrique (il pinot nero fa sempre e solo acciaio) e da allora usa solo barrique usate. Prezzo sui 33 euro.


Anche per i metodo classico l’annata vuol dire molto. Ce lo dimostra questo Alta Langa 2012 Brut (80/20), dai profumi di camomilla, cremoso e molto rotondo, molto più “approcciabile” degli altri, sicuramente grazie ad un’annata calda e siccitosa come la 2012. Un vino meno profondo, anche per Davide, ma sicuramente molto buono.

Quel legno che ha iniziato a diminuire nel 2013 in questo Alta Langa Brut 2011 (80/20) si sente invece ancora bene: colore dorato, note di china, noci, nocciole, con leggero tostato e crosta di pane. Il legno si sente soprattutto in bocca, che è meno cremosa e fine e si allarga molto, forse troppo.

Anche l’Alta Langa Brut 2010 (80/20) ci “accoglie” con una leggera tostatura ma poi prevalgono note di fiori secchi e sentori balsamici . In bocca c’è freschezza importante ma anche un rotondo equilibrio dove bollicine ancora molto vive danno un senso di eleganza e di profondità gustativa.


Adesso iniziamo davvero ad andare indietro, con bottiglie che ormai sono difficilmente reperibili, anche nella loro cantina . L’ Alta Langa Brut 2009 (80/20 ) è forse il meno convincente del lotto: naso leggermente ovattato con sentori di caramello che poi col tempo virano su note floreali, medio corpo ma non molto incisivo: non molto profondo ma fatto molto bene.

L’Alta Langa Brut 2008 (80/20) ci fa capire come un vino che matura con lentezza in una magnum si sviluppi ancor più lentamente. Grande freschezza in bocca, sembra un vino di pochissimi anni anche perché l’acidità non è ancora ben integrata e così troviamo un vino su “vari piani” che ancora devono crescere e

Chiudiamo la nostra carrellata con l’Alta Langa Brut 2006, (80/20) prima annata con la marmonier. Un colore veramente giovanissimo, per niente dorato e un naso ancora in via di espressione, con note di pietra focaia, fiori e erbe officinali. In bocca ha tutto quello che ancora gli manca al naso: molto più aperto, rotondo, bollicina finissima, elegante e molto persistente, un vino che mostra di avere di fronte a sé ancora tanta vita.


In definitiva questo primo “excursus” sul passato dell’Alta langa è diventato più un “Ritorno al futuro” dato che più si andava indietro e più sembrava che i vini ringiovanissero. Questo è sicuramente un bel biglietto da visita non solo per Gancia (a proposito, grazie a Paola Visconti per averci affiancato nella visita) ma per un denominazione dove la giovinezza dei vini sembra essere non tanto un problema di tempi brevi ma una innegabile caratteristica.

InvecchiatIGP: – Tenuta Belvedere - Bolgheri Superiore Guado al Tasso 1995


di Roberto Giuliani

Nasce nel 1990, come omaggio degli Antinori alla famiglia Della Gherardesca che era stata proprietaria della tenuta, da vigneti situati su suolo di origine alluvionale, da argillo-sabbioso a argillo-limoso, con presenza di agglomerato bolgherese (scheletro). Questa è la prima annata come DOC Bolgheri Superiore, in quanto è proprio nel 1995 che viene istituita la denominazione di origine.


L’uvaggio, come potete immaginare, è quello tipico di quest’area che si è sviluppata con l’intento di produrre vini di stile bordolese, con le uve e legni squisitamente francesi, parliamo quindi di cabernet sauvignon e franc, merlot e a volte anche una piccola quota di petit verdot, altre di syrah. Onestamente non ricordo quale composizione fosse stata scelta per la ’95, ma direi che non è rilevante.
Quello che conta, invece, è verificare se questo rosso che ha contribuito a fare la storia degli Antinori, è sopravvissuto a 28 anni dalla vendemmia (di cui 24 nella mia cantina).


Devo dire che il colore appare promettente, un granato ancora vivo e vigoroso, senza evidenti cedimenti al bordo; il tappo da 5 cm, del resto, ha svolto il suo ruolo egregiamente, lasciando intrappolato il liquido nei primi 3-4 mm e non mostrando alcun sentore anomalo. Bene, dopo una buona mezz’ora da quando l’ho versato nel calice, la curiosità è troppa e il mio prominente naso cerca di percepire qual è lo stato dell’arte di questo vino (comprato nel 1999 a 25mila lire): liberato dalle inevitabili chiusure iniziali, mi gratifica con toni che richiamano ancora il frutto, confettura di prugne e more, poi ciliegia sotto spirito, grafite, humus, spezie officinali, cuoio, sussulti d’incenso, tracce ematiche e ferrose, cardamomo e, solo alla fine accenni a funghi porcini e tartufi.


Giungo alla seconda fase, l’assaggio: le prime impressioni vanno sull’acidità e su un tannino quasi leggero, non sento una gran materia, al contrario il vino sembra giocato tutto sulla scioltezza, ci tengo a precisare che la gradazione tocca il valore 12,5, oggi praticamente scomparso fra i vini importanti. Tutto questo si traduce in una beva godibilissima, in un vino ancora vivo e di bella eleganza, forse sottile e non lunghissimo ma di notevole fascino, si riscatta alla grande se pensiamo che buona parte delle guide italiane non gli dettero valutazioni elevatissime, anche perché la ’95 non ebbe i fasti dell’osannata ’97.


Oggi questa ’95 è la testimonianza vivente che con i giudizi bisogna andarci sempre molto cauti…

Castello Poggiarello - Toscana IGT Rosarco 2022


di Roberto Giuliani

L’azienda di Sovicille (SI) propone questo rosato da cabernet sauvignon con una quota del 10% di petit verdot, dai profumi di ribes, mandarino, pompelmo rosa e alloro, dall’acidità scattante e una bocca succosa e sapida che stimola la salivazione.


Solo 12 gradi alcolici per una bevibilità senza remore.

Il Vermut di San Masseo prodotto nel Monastero di Bose


di Roberto Giuliani

Pare che da qualche anno il Vermut stia tornando in auge. In effetti ho conosciuto produttori di vino di regioni diverse che si stanno cimentando con questo vino speciale aromatizzato e liquoroso, prodotto per la prima volta dalla ditta Carpano di Torino. Per prepararlo si utilizzava un vino bianco di gusto neutro, al quale venivano aggiunti zucchero, alcol, erbe e droghe varie. L’aromatizzazione avveniva per aggiunta di un’infusione o di un estratto di erbe e droghe miste. Per dare una colorazione scura si aggiungeva caramello.


Il Vermut di oggi però sta subendo diverse interpretazioni, intanto c’è chi lo produce da uve rosse, poi ogni azienda ha una propria ricetta segreta, sceglie la composizione di erbe, le quantità, la durata delle infusioni e molto altro.
Di recente mi è capitato di imbattermi in una piccola bottiglia di un Vermut la cui base arriva da una comunità religiosa di Assisi, i monaci di San Masseo, legati al Monastero di Bose. La cosa mi ha messo grande curiosità, poiché chi meglio di loro può conoscere le erbe e le spezie, i loro profumi, il loro gusto, le diverse miscele che si possono ottenere.

Monastero di Bose

Questo Vermut (quello in mio possesso è un piccolo campione) è ottenuto partendo dal loro vino Assisi Grechetto DOP, in cui hanno riposato per il tempo necessario aromatiche tipiche come l’assenzio, l’artemisia e il ginepro e altre botaniche tratte dalla vegetazione mediterranea: maggiorana, timo, melissa e salvia.


Ne è scaturito un prodotto non potente e concentrato, ma piuttosto fine e gradevole, dove le erbe aromatiche emergono con chiarezza in un contesto aereo di notevole fascino; l’assaggio rivela una componente dolce che inizialmente nasconde quella naturale predisposizione all’amaro, che arriva però in un secondo momento rimettendo in linea le sensazioni gustative, che chiudono con percezioni minerali e ferrose. Un Vermut molto diverso da quello a cui ci hanno abituato a Torino, può essere bevuto in totale solitudine ma io lo vedo bene anche con una biscotteria secca e qualche quadratino di cioccolato non troppo fondente.

Potete acquistarlo qui: Vini e liquori (monasterodibose.it)

InvecchiatIGP: Nittardi – Chianti Classico Riserva 1999


Conosco Leon Femfert da almeno 10 anni, mi ricordo benissimo quando, attraversando una stradina boschiva che pensavo non finisse mai, mi ritrovai all’improvviso presso Nittardi, l’azienda agricola di famiglia che dal 2013, dopo aver lavorato tra la Napa Valley e il Cile, ha cominciato a gestire affiancandosi ai genitori, Peter Femfert e sua moglie Stefania Canali, apprezzati galleristi in Germania. In quel periodo l’azienda Nittardi non era ancora all’apice della sua popolarità tra gli appassionati di Chianti Classico ma, al tempo, ciò che mi spinse fino a Castellina in Chianti e conoscere Leon sicuramente la curiosità di approfondire il legame profondo che questa azienda ha sempre avuto con l’arte tanto che, è dimostrato, nel XVI secolo questa tenuta fu di proprietà̀ di Michelangelo Buonarroti che, da lì si faceva inviare il vino a Roma da offrire a Papa Paolo III. Non solo. 


Dal 1981, la vocazione eno-artistica della famiglia Canali-Femfert, grazie anche al loro lavoro, è talmente viva che, per ogni annata, un artista infatti viene invitato a vivere la realtà di Nittardi e da lì a creare due opere, una per la carta seta che impreziosisce ogni bottiglia e una per l’etichetta, che esprime ogni anno con diverse sfaccettature, con la stessa intensità, il valore del vino interpretato dall'artista. Tanti i pittori, musicisti, scrittori, coinvolti in questi anni, tra i quali spiccano nomi illustri come Hundertwasser, Yoko Ono, Günter Grass, Igor Mitoraj, Dario Fo, Mimmo Paladino, Fabrizio Plessi. L’annata 2021 è firmata dal regista e scrittore Premio Oscar James Ivory, che ha vestito al meglio il Casanova di Nittardi avvalendosi in modo raffinato dell'arte del collage, utilizzata con profluvio cromatico anche per la carta seta "Omaggio a Matisse".

Leon Femfert

Per la rubrica InvecchiatIGP, però, non volevo parlare di arte, cosa che non mi compete, ma del Chianti Classico Riserva 1999 che ho avuto la fortuna di degustare qualche tempo fa a Roma durante un pranzo con lo stesso Leon Femfert che, anno dopo anno, vedo sempre più dentro il “progetto Nittardi” che oggi può contare su 40 ettari vitati, condotti secondo la viticoltura biologica dal 2014, suddivisi tra Castellina in Chianti e la Maremma.


Il vino, sangiovese al 90% con saldo di merlot, inizialmente parte male, sembra stanco, lento, addirittura cambiamo la bottiglia iniziale perché si pensa non sia a posto al 100%. Seconda bottiglia, secondo Chianti Classico Riserva e stesso vino, timido ed impacciato se confrontato con l’annata 2010 degustata pochi minuti prima. Poi, pian piano, quasi per magia, il brutto anatroccolo si trasforma in cigno, le piume grigiastre iniziali col passare del tempo e dell’ossigenazione diventano candide come il latte. Infatti, i sentori aromatici di questa Riserva, inizialmente chiusi e poco interessanti, mutano col tempo esplodendo in sensazioni di viola, rosa, arancia sanguinella, resine balsamiche e macchia marina.


Un vino non giocato sulla potenza ma sussurrato anche in bocca dove entra in punta d piedi accarezzando il palato con un tannino misurato e giusta freschezza. Non un campione in persistenza ma, come emblema di equilibrio ed armonia, questo vino lo farei degustare all’interno dei corsi di sommelier per far capire agli aspiranti degustatori come deve essere un ottimo Chianti Classico dopo quasi 15 anni in termini di coerenza con una grande annata nel territorio come la 1999.

Cantina Della Volta - Lambrusco di Sorbara DOC Metodo Classico DDR 2015


DDR ovvero “degorgiatura dosaggio recente”, è il nuovo Lambrusco di Sorbara metodo classico che la storica Cantina della Volta affina per circa 90 mesi prima di farlo uscire sul mercato. 


Sensazioni di buccia di pesca, giacinto, ribes e salgemma impreziosiscono un sorso elegante e succoso. W il Lambrusco!

Tenute Gregu, la nuova generazione del vino della Sardegna


È sempre bello ascoltare storie di vita e rinascita, soprattutto se, come in questo caso, queste hanno per protagonisti due fratelli che, in due, totalizzano poco più di 50 anni di età. Il racconto di oggi ha come protagonista la Costa Dorata della Sardegna dove, da generazioni, famiglia Gregu da generazioni si tramanda le conoscenze di allevamento del bestiame, del porceddu, dell’agnello e si producono in casa prelibatissimi pecorini. Nulla di speciale, mi direte, ma negli anni 2000 Federico e Raffaele, l’ultima generazione della famiglia, si innamorano del vino visto come grande strumento di promozione della loro amata Isola. Il loro sogno di giovani imprenditori si realizza nel 2011 quando Antioco Gregu decide di intraprendere con i figli questa nuova avventura, acquistando 50 ettari nelle campagne di Calangianus, un terroir unico frutto della sinergia di influenze marine e di un terreno da disfacimento granitico a 500 metri sul livello del mare.


Un contesto unico ed incontaminato ai piedi del Monte Limbara, sede del Parco Regionale che porta il nome del monte, tra olivastri e sugherete secolari immerso in profumi di una vegetazione potente e selvaggia. «Il nostro terroir ha caratteristiche uniche, il vento costante, le forti escursioni termiche determinate dalla nostra altitudine e la conseguente formazione di rugiada che rallenta la maturazione delle nostre uve. Noi valorizziamo tutto questo, attraverso “l’ascolto” delle piante», spiega Antioco Gregu, «raccogliamo le uve solo quando la pianta ci comunica determinate condizioni». Le varietà coltivate dall’ azienda, circa 30 ettari di vigneto, sono per la maggior parte autoctone: Vermentino, Cannonau e Muristellu (Bovale Sardo) e anche i vitigni internazionali di Syrah e Merlot.

Nel 2014 è stata imbottigliata la prima annata ed oggi, grazie al lavoro e all’esperienza acquisita in oltre 8 anni di attività, la gamma dei vini aziendale si compone di ben cinque referenze che abbiamo avuto modo di degustare:

Vermentino di Gallura DOCG “Rías” 2022 (100% vermentino): dalle uve più giovani di vermentino nasce la famiglia Gregu dà vita a questo bianco di grande piacevolezza dalle iniziali note floreali di ginestra e sambuco a cui seguono quelle fruttate, di pera e melone bianco. Si avverte poi un pot-pourri di erbe aromatiche insieme ad una evidente nota di mare, quasi salmastra. Equilibrato al sorso, fresco e armonico, rimane a lungo grazie ad una bella scia minerale e agrumata.


Vermentino di Gallura Superiore DOCG “Selenu” 2021
(100% vermentino): rispetto al precedente, il Selenu viene prodotto solo dalle migliori uve provenienti dai vigneti più vecchi dell’azienda. Questo gli dona sicuramente maggiore complessità e profondità e ciò è avvertibile già dal naso che si apre su una scia vegetale ed aromatica di macchia isolana, poi tiglio, ginestra, pesca a polpa bianca e una bordata finale di sensazioni iodate. Il sorso è saporito, avvolgente, c’è struttura ma anche dinamicità grazie alla importante spalla acida che accompagna la sempre presente sapidità. Finale di ottima lunghezza giovato sulle note vegetali dell’olfatto.


Cannonau di Sardegna DOC Rosato “Sirè” 2021 (100% cannonau): questo vino rosato, dal colore simile al corallo della Sardegna, proviene da una selezione di uve di cannonau e subito al naso, odorandolo, svela il carattere isolano donando all’olfatto sensazioni di macchia mediterranea, iodio, poi ribes ed arancia sanguinella. Al sorso è agile, sfizioso, dotato di ottimi innesti sapidi ed una piacevolezza di fondo che lo facilmente rende abbinabile a tutti i prodotti della tradizione locale legata al mare, soprattutto ai crudi di pesce.


Cannonau di Sardegna DOC “Raighinas” 2021 (100% cannonau): considerato come rosso entry level aziendale, questo cannonau, ottenuto da uve Cannonau coltivate in vigneti a 500 metri sul livello del mare, ai piedi del monte Limbara, ha un naso gentile di ciliegie dolci, ibiscus, geranio, a cui si aggiungono effluvi mediterranei di ginepro e mirto. Assaggio coinvolgente, con tannini puntuali e setosi e saporito nello sviluppo gustativo che sfocia in una persistenza lunga dai tratti salini.


Cannonau di Sardegna DOC “Animosu” 2020 (100% cannonau): questo vino, simbolo per antonomasia della tradizione rossista sarda, nel terroir della Gallura assume connotati più eleganti che di potenza caratterizzandosi per un respiro profondo e mediterraneo dove gli effluvi di macchia rincorrono note di noce, spezie orientali, iris e fiori appassiti. Succoso ed avvolgente, è attraversato da una buona vena acida che gli conferisce una vivacità inaspettata quanto sperata. I tannini sono ben amalgamati ed il finale è lungo, armonioso e richiama costantemente l’olfatto.

L'annata 2019 del Brunello di Montalcino: il mio report da Benvenuto Brunello 2023 con alcuni consigli sugli acquisti!


Centodiciotto cantine e trecentodieci etichette pronte all’assaggio, questi sono i numeri che rimbombano nella mente della mandria di giornalisti, operatori e “winequalcosa” che anche quest’anno, dal 17 al 28 novembre, si sono diretti, speranzosi, presso il Chiostro Sant’Agostino di Montalcino per celebrare la 32^ edizione di Benvenuto Brunello che vede al battesimo nei calici dell’anteprima, il Brunello 2019 e la Riserva 2018 affiancati nei tasting dal Rosso di Montalcino 2022 e dagli altri due vini della denominazione, il Moscadello e il Sant’Antimo.


La grande sala di degustazione del Chiostro mi accoglie alle ore 10 del 17 novembre ancora leggermente assonnato e, mentre cerco di risvegliare le mie papille gustative, mi accorgo che i tavoli sono in buona parte già presi d’assalto da un nugolo di pensierosi giornalisti in avanzata fase di valutazione dell’ultima annata di Brunello. Qualcuno, pensando di farmi un favore, m sussurra in un orecchio le sue dritte mentre altri, invece, declamano le virtù della 2019 ad alta voce con la stessa intonazione di Vittorio Gassman mentre recita la Divina Commedia.


Alt, stop, non vi voglio sentire, non subito e, soprattutto, non fatemi ascoltare le due parole che già girano, sinuose, lungo le pareti del Chiostro ovvero annata e secolo. Per favore, no!

Come sempre, essendo da solo per il mio blog, non riesco a degustare tutti i vini presenti all’Anteprima per cui, visto il poco tempo a disposizione ed avendo un solo fegato, concentro il mio tasting sui Brunello 2019 “base” più, se avanza tempo, nella degustazione di qualche “Selezione” per verificare quale Cru valga davvero la spesa.


Fabrizio Bindocci - Presidente del Consorzio

Per comprendere l’andamento della 2019 non possiamo non partire dai dati ufficiali del Consorzio che, in linea generale e senza fare suddivisioni per zone (areale nord, sud, est ed ovest di Montalcino) ci fornisce indicazioni di una annata sostanzialmente regolare, abbastanza fredda e piovosa a gennaio, con temperature medie, soprattutto nel mese di Luglio ed Agosto, che non hanno raggiunto i picchi calorici della 2017. Tutto ciò ha permesso una lenta ed omogenea maturazione delle uve, ottimale per l’ottenimento di una buona maturità fenolica e tecnologica tanto da meritare, nel rating del Consorzio, ben cinque stelle così come avvenuto con la 2016.



Ah, quindi la 2019 è stata simile alla 2016? Questa la domanda che in molti mi hanno fatto e alla quale ho risposto in maniera negativa perché, a mio parere, la 2016 ha sicuramente qualcosa in più in termini di prontezza, completezza ed altissima qualità media diffusa. In poche parole, se un vignaiolo sbagliava la 2016 poteva anche cambiare mestiere, la 2019 andava comunque affrontata ed interpretata.


In linea generale, prima di descrivere brevemente i vini che mi sono piaciuti di più, ho trovato i Brunello 2019 mediamente molto piacevoli, succosi, abbastanza profondi, con profili aromatici nitidi ed espressivi del territorio di provenienza del sangiovese anche se non sono mancati esempi di Brunello non perfettamente a fuoco causa eccessive astringenze e, soprattutto, cariche alcoliche che, se non supportate da adeguata freschezza, davano vita a vini squilibrati e pesanti. Non è il contesto adatto per approfondire il discorso ma, credo, in futuro la sfida vera per i vignaioli ilcinesi sarà quella di combattere in vigna il cambiamento climatico altrimenti si rischia di “amaronizzare” irrimediabilmente il Brunello.

Fatte queste dovute premesse, la mia Top 10 di Brunello di Montalcino 2019 è la seguente:

Cerbaia – Brunello di Montalcino 2019: piccola azienda di non più di 5 ettari guidata da Elena Pellegrini, romana de Roma, che anche quest’anno ha prodotto un Brunello tutto succo, eleganza ed armonia in grado di scaldare il cuore anche ai palati più esigenti.

Corte dei Venti – Brunello di Montalcino 2019: Clara Monaci e la sua famiglia produce sangiovese da terre rosse ricche di minerali e anche quest’anno il suo Brunello non tradisce per tensione e quella nota ferrosa che rappresenta il marchio di fabbrica di quel fazzoletto di territorio tra Sant’Angelo e Castelnuovo dell’Abbate.

Corte Pavone Loacker – Brunello di Montalcino 2019: sapete quando capisco che la 2019 è una buona annata? Quando, ad esempio, trovo assolutamente centrati e quasi emozionanti vini che negli anni passati avevo scartato in quanto non aderenti al mio gusto personale. Hayo Loacker con questa annata ha fatto centro ma solo sul base, le selezioni invece…..

Fattoi – Brunello di Montalcino 2019: non toccatemi i vini della famiglia Fattoi che, per me, stanno a Montalcino come Una Poltrona per Due sta al Natale. Il loro Brunello annata è tradizionale, emozionante e calibrato. Un sangiovese senza orpelli che scalda il cuore.

Gorelli Giuseppe – Brunello di Montalcino 2019: se dovessi far degustare ad un alieno cosa significa produrre un grande Brunello di Montalcino dal versante nord dell’areale di produzione non avrei dubbi a scegliere questo. Lucente, graffiante, sprezzante di freschezza e infinitamente terso nella sua infinita persistenza sapida. Un vino, che vi anticipo, ha messo d’accordo probabilmente tutta la sala.

Pietroso – Brunello di Montalcino 2019: la piccola realtà condotta da Gianni e Andrea Pignattai, interpreti tradizionalisti di un sangiovese di Montalcino proveniente da tutti e quattro i versanti, anche quest’anno ha prodotto uno dei miei "coup de cœur" dell’Anteprima col suo Brunello di estrema finezza e dall’identità gustativa di notevole aplomb con ritorni agrumati sul finale saporitissimo.

Poggio di Sotto – Brunello di Montalcino 2019: non sarà più quel sangiovese rarefatto e sussurrato di qualche anno fa ma anche in quest’ultima annata la cantina di proprietà di ColleMassari incanta i sensi grazie ad un impianto aromatico accattivante declinato tra il floreale rosso e le spezie orientali ed un palato nobile e di pregevolissima ampiezza.

Salvioni La Cerbaiola – Brunello di Montalcino 2019: equilibrio, godibilità e potenziale evolutivo. Tutto questo è l’ultima annata del Brunello di Montalcino prodotto dalla famiglia Salvioni che rappresenta un totem qualitativo anche quando il suo vino sfiora i 14,5° alcolici. Quando parlavo di maestria nel gestire le componenti morbide e dure nel vino mi riferivo per lo più a questo vino.

Sanlorenzo – Brunello di Montalcino 2019: Luciano Ciolfi è da anni un interprete magistrale del sangiovese piantato nel versante sud-ovest della denominazione e questo suo Brunello 2019 è una sorta di figlio prodigo di quel terroir: carnoso, intenso, profondo, con evidenti tratti ematici e un sapore caldo e avvolgente senza strafare.

Ventolaio – Brunello di Montalcino 2019: tra i vari vini degustati, questo Brunello 2019 è tra quelli più “scuri” ed introversi grazie ad un profilo aromatico delineato da note di ghisa, humus e sbuffi iodati. Il sorso è saporito, austero, ma al tempo stesso intessuto di mirabile maglia tannica intarsiata di vibrante vena sapida.


Dopo più di cento Brunello di Montalcino “base” degustati ho poi iniziato a valutare le selezioni ovvero quelli da uve sangiovese provenienti da singola vigna. Non ce ne erano tantissimi, più o meno la metà dei “base” e, tra i vari, la mia scelta di gusto è andata ai seguenti:

Mastrojanni – Brunello di Montalcino “Vigna Loreto” 2019: tra miei assaggi preferiti volevo mettere già il “base” ma il Vigna Loreto, storico Cru di sangiovese piantato su ciottoli e tufo, che forniscono al vino un quadro olfattivo che sembra un campionario di spezie orientali ed erbe aromatiche di elicrisio e lavanda in cui fanno capolino, senza esserne protagoniste, le sensazioni fruttate di ciliegia e mora matura. Al sorso associa rigore, progressione ed impeccabile freschezza.

Tiezzi – Brunello di Montalcino “Vigna Soccorso” 2019: date ad Enzo Tiezzi (a proposito auguri per gli splendidi 85 anni) un’annata più che buona come questa e da Vigna Soccorso vi tirerà fuori un piccolo grande gioiello di aristocratica eleganza aromatica che conquista il palato si allarga a ventaglio disegnandovi una persistenza salina di mirabile persistenza.

Val di Suga – Brunello di Montalcino “Vigna del Lago” 2019: dei tre Cru aziendali presentati, il Vigna del Lago, vigna storica con esposizione nord che prende il nome dal lago che la circonda, è quello che mi ha rapito il cuore e il palato per la sua essenzialità di frutto, luminosissimo, e per una verve floreale che in altri Brunello non avevo mai percepito così intensa e avvolgente. Sorso armonioso e di raro equilibrio.


Prima di separarmi da questo articolo vorrei fare una ultima considerazione: da qualche tempo Benvenuto Brunello sta “perdendo pezzi” in quanto, anno dopo anno, si stanno sfilando dalla manifestazione molte realtà di grande interesse creando un notevole problema agli operatori che poi sono costretti, per avere un quadro informativo completo, a rincorrere le varie aziende che si sono tirate fuori.
Non conosco bene i motivi di questo "ammutinamento" ma, è fuor di dubbio, che esista un problema nelle modalità di gestione dell’Anteprima, un quesito che spero venga risolto già nella prossima edizione per il bene di tutti noi che amiamo il vino di Montalcino.

InvecchiatIGP: Antigniano - Montefalco Sagrantino “Guado alle Chiavi” 2004


di Lorenzo Colombo

Premettiamo che quello che pubblichiamo oggi nella rubrica settimanale InvecchiatIGP non è certamente un vino indimenticabile, ne scriviamo comunque perché l’abbiamo trovato un vino onesto, ancora perfettamente integro dopo (quasi) vent’anni dalla sua vendemmia. Altro motivo è dato dal fatto che non è stato certamente prodotto da un’azienda di primo piano nel panorama di Montefalco, il vino riporta infatti il nome di Antigniano ma l’azienda produttrice (o per meglio dire imbottigliatrice) è Brogal Vini di Bastia Umbra, come riportato nel retroetichetta.


Ci siamo quindi messi a ricercare informazioni su questo vino sul sito di Brogal Vini, ma quel che appare sullo schermo è un laconico “chiuso definitivamente”. Unici siti sui quali se ne trova l’esistenza sono www.vivino.com - www.wine-searcher.com e www.cellartracker.com . Ne abbiamo inoltre trovato traccia, sempre spulciano sul web, in un vecchio volantino dell’Ipermercato il Gigante, dov’era, nel mese di giugno di quest’anno, in offerta, contato del 50% a 9,95 euro.

Abbiamo così deciso di assaggiarlo, per verificarne la qualità e la tenuta nel tempo.

Ecco la nostra opinione.

Premettiamo che il tappo era integro, senza evidenti segni di colatura, il vino si presenta con un intenso color granato tendente al prugna cotta con unghia che vira verso l’aranciato-mattonato. Non molto intenso al naso, s’apre dopo alcuni minuti con sentori di sottobosco, humus, cuoio, liquirizia, radice di genziana, china, prugna secca, accenni di vaniglia.


Il suo corpo è poco più che medio, il tannino è deciso, asciutto, con ricordi di pellicina di castagne, l’uso del legno è ancora percepibile, si colgono sentori di bastoncino di liquirizia e castagne, vi ritroviamo i sentori di radici, buona infine la sua persistenza. Che dire, in conclusione se non che non si tratta certamente di un grande vino che però ha superato le poche aspettative con le quali l’abbiamo approcciato.

Parvus Ager - Roma Doc Malvasia Puntinata “Eterna” 2022


di Lorenzo Colombo

Detta anche Malvasia del Lazio per la sua principale diffusione in questa regione, le uve per la produzione di questo vino, fresco, morbido e succoso, provengono da un vigneto situato sulla Via Appia, a Marino, su suolo vulcanico. 


Il 10% del mosto fermenta in barriques.