Balbiano - Freisa di Chieri 2022


di Carlo Macchi

Luca Balbiano in cantina di spumeggiante non ha solo la sua Freisa di Chieri, ma anche un museo di meravigliosi giocattoli.


La Freisa frizzante 2022 è fruttatissima al naso, vellutata ma decisa al palato. Un
vino unico, di cui è impossibile non bere un secondo calice, forse un terzo, un quarto…

Consorzi di Tutela e giornalisti del vino vanno sempre d'accordo? Sembra di no!


di Carlo Macchi

L’interessante articolo del collega Ernesto Gentili sulle “degustazioni di gruppo” svoltesi pochi giorni fa a Bolgheri ha molti punti in cui mi trova allineato. Sfrutto quindi le sue parole per cercare di andare oltre e di pormi quesiti che nei prossimi anni, secondo me, saranno sempre più sentiti.


Prima di tutto inquadriamo la cosa: il Consorzio Vini Bolgheri ha “proposto con forza” (per non dire ha obbligato) tutte le guide online, siti, blogger, insomma tutti quelli che pubblicano degustazioni sul web a degustare in due giornate i vari vini (bianchi, rosati e rossi) della denominazione, nonché un bel numero di IGT Rossi. 
Vi domanderete cosa c’è di strano in questo “groupage”, fermo restando un servizio inappuntabile, sale adeguate, fresche, insomma perfette per la degustazione professionale. Quindi niente da dire sull’organizzazione e lo svolgimento pratico degli assaggi, anzi il consorzio va lodato e tutte le persone che hanno lavorato alla realizzazione dell’assaggio vanno ringraziate una ad una.


La domanda che però ci è sorta spontanea durante la degustazione, almeno a noi di Winesurf, agli amici della guida ONAV e, last but not least, a Ernesto Gentili (e non so a quanti altri) è stata “Ma tutto questo dispiego e dispendio di energie servirà veramente allo scopo per farsi un quadro chiaro sulle nuove annate bolgheresi


Ernesto Gentili ha trovato da ridire (giustamente) sull’impossibilità di riassaggiare una seconda volta i vini, noi di Winesurf invece ci siamo sentiti costretti a degustare vini rossi importanti strutturati, con dosi di legno non indifferenti, almeno quattro mesi prima del periodo in cui eravamo abituati a farlo.
Voi direte che queste alla fine sono questioni di lana caprina, ma permettetemi di dissentire e di spiegarvi, facendomi e facendovi delle domande. Un giornalista quando degusta per una guida è, in pratica, in cerca di notizie. Queste notizie sono le nuove annate dei vini e quindi il momento dell’ assaggio è quello della scoperta, della valutazione/veridicità della notizia-vino, che poi andrà pubblicata con la certezza di aver fatto un buon lavoro.


Per fare un buon lavoro molti degustatori hanno bisogno di assaggiare in condizioni e con tecniche assolutamente personali, che possono sembrare anche singolari o “da fighetti” ma che alla fine danno garanzia al degustatore di aver fatto un buon lavoro e al lettore di avere fiducia in quanto il giornalista scrive sui molti vini che recensisce. 
D’altronde un consorzio di tutela, che spesso è l’ente che “raccoglie le notizie/vini” per i giornalisti-degustatori, impegna non poche risorse, anche finanziarie, nel farlo e quindi dovrebbe essere il primo a volere che le degustazioni si svolgano nel miglior modo possibile per i degustatori, in modo che questi possano essere convinti e sicuri di quanto hanno degustato.


Ecco, con questi “groupage”, alcuni degustatori, tra cui noi di Winesurf, sono stati costretti a riparametrarci, a valutare vini importanti in condizioni per noi non perfette, con lo strisciante dubbio di non aver fatto il lavoro al meglio e con la certezza di non poterlo rifare. 
Quindi non si è trattato tanto di una costrizione (capiamo che i consorzi sono oberati di richieste e che i costi e lo stillicidio organizzativo nel tempo mette e dura prova le pur ottime risorse umane) ma di una degustazione in cui molti degustatori, visti i tempi di degustazione, il momento temporale dell’assaggio e alcune scelte organizzative, sotto sotto si portano dietro qualche dubbi o sul loro lavoro. Consideriamo anche che non stiamo parlando di vini semplici in un’annata semplice: i Bolgheri Superiore del 2020 sono adesso vini da affrontare con le molle perché le loro strutture, potenze, legni stanno iniziando a distendersi. Inoltre la 2020 è stata un’annata calda e quindi i vini, ancor meno freschi del normale, risultavano ancor più difficili da valutare.


Quali possono essere in futuro le soluzioni? I consorzi devono o non devono venire incontro ai degustatori o sono quest’ultimi che hanno il compito di adeguarsi a condizioni e situazioni che vedono le guide vini sempre meno importanti e dove magari conta più una foto con coscia e vino rispetto ad un lavoro lungo e difficile che dura mesi? 
Non è facile trovare una soluzione, non è facile capire fin dove sia giusto avanzare, arrivare e/o adeguarsi, da entrambe le parti.

InvecchiatIGP: San Fabiano Calcinaia "Cerviolo Rosso" 1997


di Roberto Giuliani

Gli anni ’90 sembrano così lontani, allora i supertuscan avevano adombrato gli altri vini della regione, soprattutto perché spuntavano prezzi per altri inimmaginabili. A quel tempo c’era l’imbarazzo della scelta, la strada aperta da Tignanello, Sassicaia, Ornellaia, trovava sempre più compagni d’avventura, tanto che si scherzava sulle desinenze in “aia”, “ello”, “eto” che fioccavano ogni anno in zone assai diverse della Toscana.


Uno di questi era sicuramente il Cerviolo Rosso di San Fabiano Calcinaia in quel di Castellina in Chianti, allora composto da sangiovese, cabernet sauvignon e merlot, ma oggi proposto con il petit verdot al posto del sangiovese, tutto internazionale così non ci sono dubbi. Anche il prezzo è cambiato, allora lo trovavi in enoteca attorno alle 40mila lire, oggi la 2014 costa 25 euro acquistata in azienda, un prezzo correttissimo. Nella mia cantina era rimasto questo 1997 (online si trova a circa 60 euro), dove il sangiovese era ancora il vitigno principale, 18 mesi in barrique.


Sorprendente la tenuta del tappo in sughero, sarebbe potuto andare avanti per altri vent’anni, segno che allora si trovavano ancora quelli di qualità elevata.


Ma veniamo al vino, figlio di quella che fu classificata “annata del secolo”, che non era vero ma certamente faceva gioco in un momento in cui queste tipologie andavano a ruba, soprattutto all’estero: non è il primo che apro per InvecchiatIGP, fino ad ora non ci sono state sorprese, del resto a caval comprato si guarda in bocca e pure da tutte le altre parti!


Dunque… il colore emana una buona luce, è un granato non concentrato con leggero cedimento all’unghia; beh, facciamolo respirare diamine, è stato chiuso in bottiglia per quasi 25 anni! Dicevamo… prugna cotta (poi però si rinfresca), funghi, sottobosco, tabacco, leggero cuoio, felce, una punta di rabarbaro, legno di liquirizia, tracce ferrose, ematiche. Terziario, ovviamente, ma in continuo movimento, vivo. Al palato emerge un frutto dolce, inatteso, c’è una rotondità notevole ma la freschezza dice ancora la sua evitando scivoloni stucchevoli, il tannino manco a dirlo si è fuso perfettamente; non è un vino che possa dare ancora in futuro, non direi proprio, al momento però è integro e ha una bevibilità considerevole, grazie a una struttura non massiccia e a un’acidità confortante. Non aspetterei ancora per berlo, infatti entro domani sarà già finito.

Pasquale Pelissero - Langhe Favorita "Emanuella" 2022


di Roberto Giuliani

Complimenti a Ornella Pelissero per questa Favorita Emanuella 2022 davvero coinvolgente, dalle intense note di rosmarino ed erbe mediterranee, gelsomino e frutti gialli.


Bocca salina, minerale, piena, di struttura, un’espressione eccellente dalle vigne di Neive nel cuore delle Langhe!

Nerafera, la Trattoria di Cultura Contadina che ama la Bufala


di Roberto Giuliani

Quando si parla di allevamento di bufale nel Lazio viene automatico pensare all’agro pontino, l’unica zona storicamente dedicata che realizza prodotti di notevole livello, certamente non pensi all’alta Sabina! Eppure è proprio nelle campagne dell’alto Lazio che la famiglia Marti ha iniziato vent’anni fa l’attività casearia con “Le perle degli angeli” a Magliano Sabina (RI), dove l’ulivo è di casa ma certamente non la mozzarella di bufala. A dire il vero, nel 2003 l’azienda era partita col solo allevamento di bufale da latte, una sessantina, ma dal 2009 ha iniziato a produrre mozzarella, ricotta e formaggio.


La scelta delle bufale non è stata casuale, ma per allevare mucche da latte avrebbero dovuto affrontare l’annoso problema delle “quote latte”, che non si presenta invece con le bufale. Niente inseminazione artificiale ma monta naturale grazie a due tori selezionati, da subito Paola Marti ha voluto che le bufale facessero una vita il più normale possibile, lasciandole spazi ampi per pascolare, non forzando mai la produzione di latte, accettando il ciclo naturale degli animali, quindi con periodi di maggiore produzione e periodi più scarsi.


Il caseificio ha lavorato sempre con i GAS (Gruppi di Acquisto Solidale), i mercatini rionali e qualche piccolo negozio, mantenendo il giusto equilibrio fra produzione e vendita. Nel 2019 però, la voglia di Paola di aprire una piccola osteria prende il sopravvento, pur non avendo esperienza di cucina professionale, la voglia di proporre la qualità dei prodotti derivati dalle bufale era tanta, così nasce NeraFera, in quella che precedentemente si chiamava “Locanda Casole”, ubicata a Otricoli (TR), splendido borgo e primo paese umbro, raggiungibile percorrendo la Flaminia (SS3) proprio da Magliano Sabina, una distanza di pochi chilometri.


Purtroppo, essendo un’attività a conduzione famigliare, Paola e sua figlia Giorgia hanno dovuto ridurre drasticamente il lavoro nel caseificio, portando le bufale a soli 10 esemplari, unico modo per poterlo seguire. Oggi, quindi, l’osteria è diventata il lavoro principale e la produzione casearia serve direttamente il locale.
Se volete assaporare la produzione della famiglia Marti, quindi, dovete andare all’osteria NeraFera, come ho fatto io, e devo dire che ne è valsa la pena.


Le sale in cui si sviluppa il locale sono davvero invitanti, un piccolo gioiello, l’arredamento è essenziale come è giusto che sia per un’osteria, per fortuna non ci sono foto e quadri a tappezzare le pareti che sanno tanto di turismo di basso livello.


La prima cosa che ho chiesto è stata la mozzarella di bufala, una volta venuto a Otricoli non potevo non assaggiarla. Bene, consistenza perfetta, fuoriuscita di latte durante il taglio, perfetto effetto “cruch” durante la masticazione, sapore davvero ottimo, ben oltre le aspettative, una mozzarella succosa, sapida, che chiama l’ottimo pane fatto in casa.


Come primo ho puntato su “Spaghetti di grano antico con pesto di basilico, stracciatella di bufala e pomodorini confit”, un piatto gustoso, per nulla pesante, adatto ai primi caldi di questa estate arrivata in ritardo, ma che tempo ci farà sudare sette camicie…


Come secondi si sono fatte apprezzare la bistecca di bufala per le carni tenere e saporite, ma soprattutto le “Polpette di carne di bufala con sugo e pecorino”, quantità notevole e un sapore intenso e coinvolgente, che mi ha convinto una volta per tutte che la carne di bufala non ha niente da invidiare a quella di mucca.


Come è scritto nel menu, anzi nel “magnù”, i dolci li sa solo la cameriera, tradotto “cambiano di giorno in giorno secondo la disponibilità delle materie prime”.
Io ho puntato su una “Brioche con gelato alla crema e nocciolino” da leccarsi i baffi (che io ho, quindi garantisco di averlo fatto ripetutamente!), anche se la brioche era l’unico prodotto non dell’azienda, devo dire che era fatta molto bene e perfetta da godere con il gelato.


Per quanto riguarda le bevande (scherzosamente Glu Glu), la parte del leone spetta ai vini (per fortuna), gran parte dei quali provenienti dalle zone circostanti.


Io ho scelto l’Otricolaia 2018 dell’azienda omonima, ottenuto da sangiovese, ciliegiolo e canaiolo, fruttato ed equilibrato, perfetto con le carni, anche se a mio avviso un po’ caro per le sue caratteristiche (36 euro). Tranquilli, la maggior parte dei vini in carta costa decisamente meno.


Insomma, Otricoli (che significa “monte sacro”), che partendo dal raccordo anulare si raggiunge in circa 40 minuti, merita assolutamente una visita, fra l’altro vi segnalo che ogni anno nel paese si tiene una rievocazione storica romana “Ocriculum AD 168”. Ora sapete anche dove potete fermarvi per mangiare con gusto, in un ambiente piacevole e curato, con la bufala al centro della cucina con tutte le sue varianti.

I vini calabresi conquistano il pubblico romano di Vinoforum


Roma, 21 giugno 2023 - Taste of Calabria, non solo uno claim ma uno spazio fisico al’interno di quest’ultima edizione di Vinoforum a Roma, dove si è potuto conoscere, incontrare, dialogare e degustare i vini del Consorzio di Cirò e Melissa e il Consorzio Terre di Cosenza Dop.


Uno spazio unico e condiviso per volontà di entrambi i Consorzi con l’obiettivo di una presenza forte e sinergica capace di parlare al grande pubblico della Calabria, dei suoi territori, dei suoi vini e della gente che lo produce con passione antica. E la grande affluenza durante le 10 giornate di Vinoforum 2023 è stata la conferma del grande interesse che i vini calabresi cominciano a riscuotere, soprattutto tra gli addetti al settore e nei giovani winelovers.

Molta curiosità intorno a brand come Cirò e Terre di Cosenza, due marchi importanti per l’enologia meridionale che dimostra di anno in anno qualità produttiva e che hanno brillato in questa kermesse del gusto, dando ai visitatori l'opportunità di scoprire la ricchezza e l'autenticità dei vini della regione.

Come sottolinea Gennaro Convertini presidente Enoteca Regionale: “Guardando alle tendenze in atto, riteniamo utile essere presenti in questo genere di eventi che sdoganano il vino dal mondo chiuso degli esperti per portarlo ad una dimensione di convivialità e maggiore fruibilità anche verso i gruppi più giovani di consumo, meno esperti e alla ricerca di piacevolezza e divertimento. Abbiamo pertanto scelto in questi dieci giorni di comunicare non solo il vino ma l’intero territorio calabrese, cercando di stabilire un rapporto empatico con il pubblico, raccontando un territorio accogliente, in cui il buon cibo e il buon vino si fondono con tutta le ricchezza di storia, territorio e biodiversità che la Calabria offre. La collaborazione tra i due consorzi, Terre di Cosenza DOP e Cirò DOP, che hanno condiviso lo stand e gestito in comune le attività, dimostra inoltre la volontà di tutti di fare emergere un prodotto “Calabria”, caratterizzato da elementi di novità, bellezza, ospitalità e supportato da grande qualità delle produzioni, prerequisito indispensabile per esistere oggi nel mondo del vino.”

Non ha dubbi sull’importanza di partecipazione Raffaele Librandi, presidente del Consorzio di tutela dei vini Cirò e Melissa, che dichiara: “Questo è il nostro secondo anno al Vinoforum e per questa edizione abbiamo voluto con impegno una presenza più ampia, più lunga e sicuramente sinergica e più attiva. Ecco perché abbiamo realizzato un unico stand e un unico calendario di proposte culturali e di promozioni sui vini calabresi con Terre di Cosenza Dop. Roma è un palco di grande appeal, che guarda con entusiasmo eventi di questo genere, una città vitale, aperta e inclusiva, che sta dimostrando grande interesse e curiosità sempre crescente verso i nostri vini e su cui come Consorzio vogliamo investire sempre di più con una presenza costante e di promozione per l’intera regione Calabria, che necessità di una conoscenza più attenta e meno stereotipata”.

Tre giorni di promozione enogastronomica

Terre di Cosenza Dop e Cirò Doc sono stati i veri protagonisti in particolare nell’ultimo weekend con tre giorni di attività di promozione enogastronomica. Tre giorni di degustazioni dedicate per raccontare e far conoscere meglio le denominazioni di Cirò Doc e Terre di Cosenza Doc, atraverso un focus sui due territori e sulla tradizione enologica calabrese alla scoperta di Gaglioppo e Magliocco, dei bianchi antichi come il Greco e la Malvasia e dei rosati di tradizione.

Tre le aree dedicate all’interno dello stand dei Consorzi: il consueto desk dove hanno sfilato numerose etichette delle cantine aderenti ai due consorzi e attivo dal primo giorno, un’area tasting e un’area food.

La prima pensata come un salotto del vino dove si sono susseguite degustazioni originali e informali con il racconto ogni sera dei due Consorzi e delle loro attività, della storicità del territorio e del lavoro di promozione che stanno sviluppando per far conoscere sempre di più il vino di Calabria. Le degustazioni sono state curate da Andrea Petrini (storico wineblogger con il suo Percorsi di Vino) che ha raccontato il Cirò in Rosa e i bianchi raffinati di Terra di Cosenza e dal giornalista enogastronomico Luca Grippo, nominato ambasciatore del Cirò nella scorsa edizione del Cirò Wine Festival, che ha condotto il pubblico presente in un viaggio dal Gaglioppo al Magliocco alla scoperta di due grandi vini rossi della Calabria.


La seconda dedicata ai primi piatti della tradizione calabrese ha visto la partecipazione dello chef Maurizio Vainieri del ristorante Brace e Gusto a Roma che ha preparato tre primi piatti abbinati rispettivamente a delle etichette selezionate, come le Casarecce alla Calabrese in abbinamento ai rosati di gaglioppo e Magliocco il venerdì 16; lo Spaghettone Alici e Mollica in abbinamento ai bianchi (Greco Bianco e Malvasia per Terre di Cosenza e Cirò Bianco) il sabato 17 e per l’ultimo giorno domenica 18 I Paccheri Cacio e ‘nduja in abbinamento ai due vini simbolo Cirò Rosso e Magliocco.

Curiosità e successo per i vini dei due Consorzi calabresi

Entrambi i consorzi hanno portato in degustazione una selezione di vini che rappresentano appieno il carattere distintivo della Calabria. Il Cirò, con la sua longeva tradizione vinicola, ha deliziato il palato degli ospiti con le eleganti note di vini rossi e bianchi di grande complessità. Terre di Cosenza, invece, ha stupito con la sua vasta gamma di vini dal Magliocco Rosso, molto apprezzato, al rosato passando dallo storico Greco Bianco e Malvasia, l’espressione variegata del suo ampio territorio e delle sue numerose sottozone.

Durante l'evento, i rappresentanti dei consorzi hanno avuto l'opportunità di incontrare il pubblico appassionati di vino, offrendo loro una profonda conoscenza del territorio e dei vitigni autoctoni. La passione e l'entusiasmo dei produttori hanno catturato l'attenzione del pubblico, suscitando curiosità e interesse per le tradizioni vinicole calabresi.

Consorzio di Cirò e Melissa e Terre di Cosenza si affermano come grandi protagonisti dunque di un grande interesse - con oltre 2500 presenze al desk durante la manifestazione, a cui si aggiungono tutti i partecipanti alle degustazioni guidate e quelle nell’area food - e su cui si impegnano nel continuare a crescere e a promuovere questo movimento del vino del Sud Italia. Come racconta la stessa responsabile Terre di Cosenza in questo Vinoforum 2023, Barbara Fasano: “E’ stata senza dubbio una manifestazione partecipata, nonostante i primi giorni di pioggia che hanno costretto alla sospensione delle attività. Il pubblico molto giovane dimostra una grande voglia di conoscere il mondo del vino e abbiamo registrato grande interesse nei confronti dei vini del Terre di Cosenza. La percezione è che il magliocco, molto richiesto nel corso delle serate, sia ormai un vitigno che indentifica in modo netto le nostre produzioni, segno che il lavoro svolto in questi anni dal consorzio sta dando buoni frutti (nonostante la “giovane età” del consorzio stesso, nato solo nel 2014) così come il lavoro svolto dai nostri ristoratori che stanno contribuendo a far conoscere la Calabria del buon vino e del buon cibo al di fuori dei confini regionali. Menzione particolare per lo stupore che sempre accompagna la degustazione dei nostri bianchi, che appaiono come una grande novità per il grande pubblico, abituato a considerarci una terra di vini rossi. Vinoforum ci lascia ancora una volta la consapevolezza che i vini di Terre di Cosenza sanno stupire e appassionare e soprattutto che il riconoscimento e il consumo del buon vino non è esclusivo appannaggio di esperti e intenditori, bensì un piacere universale.”

Presente in questi giorni di promozione dei due Consorzi a Vinoforum 2023 anche Paolo Ippolito, consigliere del Consorzio di Cirò e produttore che ha incontrato winelover, giornalisti e semplici curiosi per raccontare il suo territorio storico, una produzione enologica millenaria e un vino che è identitario per la regione Calabria.

“Di questi tre giorni – racconta – mi porto dietro la consapevolezza e la conferma che il Cirò e più in generale il vino della Calabria è stato sdoganato dai confini regionali. Da alcuni anni ci stiamo impegnando sul territorio e fuori a promuovere la doc, i nostri vini e un’area di produzione con una storia lunga, oserei dire invidiabile, ma che spesso non si conosce come altre zone italiane. Il nostro impegno come Consorzio e come produttori deve essere quello di raccontarci, di comunicarci per farci conoscere e apprezzare in eventi come questo pensati per il grande pubblico così come in quelli più di settore e prettamente commerciale, perché serve dare voce alla Calabria e ai suoi vignaioli appassionati”.

CONSORZIO VINI CIRÒ E MELISSA - Costituito nel 2003, dai produttori e vignaioli di Cirò e poi nel 2007, la tutela e la valorizzazione viene estesa anche alla DOC Melissa, territorio contiguo alla DOC Cirò. E’ uno strumento di tutela, di tracciabilità e di concreto sostegno alle produzioni vitivinicole locali, il Consorzio opera con l’intento di tutelare e valorizzare un vino, la cui identità è legata alla storia, alla cultura di un territorio, da sempre definito “terra di vini”. Uno dei suoi principali impegni è quello di garantire al consumatore una maggiore sicurezza sui metodi di produzione. Le Terre delle DOC, Cirò e Melissa, nella provincia di Crotone, sono da sempre, da quando si hanno le prime testimonianze, scritte e tramandate dalla tradizione, terre di Vigneti, Vitigni e Vini. L’antico e profondo legame fra queste terre e la Viticoltura si evince da continui scavi archeologici che portano alla luce resti fossilizzati di foglie di vite preistoriche e di antichi Palmenti. Le terre del Cirò e del Melissa sono un distretto vitivinicolo che affonda le sue radici nell’antichità, quando Crotone, detta anticamente Kroton, era città egemone della Magna Grecia. I primi coloni greci che approdarono in queste terre s’incantarono per il clima e la bellezza dei luoghi. Le coste ioniche della Calabria apparvero così propizie e amene agli occhi degli antichi “viaggiatori” da indurli a risiedere in queste terre e chiamarle “Magna Grecia”. L’unicità dei vini Cirò e Melissa è strettamente legata al territorio ed ai suoi vitigni autoctoni. Ed è proprio l’insieme di: suolo, clima, vitigno, conoscenze contadine, tecniche agronomiche ed enologiche sottoposti a un lungo e lento processo evolutivo, a differenziare un vino, rendendolo irripetibile. I vignaioli operano nel pieno rispetto della tradizione e dell’ambiente. I vigneti, posati su dolci colline a ridosso del mare Ionio, esposti ai venti di scirocco e tramontana, beneficano di un clima secco e ventilato. I terreni del Cirotano, sabbiosi e profondi permettono di ottenere un vino di grande struttura ed eleganza. Procedendo verso sud, nel territorio del Melissa, i terreni diventano freschi e argillosi e danno vita a vini più delicati e aromatici. La collocazione tra mare e montagne della Sila crea escursioni termiche tra il giorno e la notte. Questo fa sì che i grappoli maturino lentamente, raggiungendo in tal modo il pieno sviluppo degli aromi e del gusto.

CONSORZIO DI TUTELA VINI DOP TERRE DI COSENZA - Terre di Cosenza DOP nasce ufficialmente nel dicembre del 2014 attraverso la parte numerose aziende vitivinicole della provincia. La sua costituzione segna una tappa importante del percorso di valorizzazione delle produzioni viticole del territorio iniziate da un gruppo cosentini attraverso il recupero di tradizioni che le Terre di Cosenza vantano da secoli. Percorrere le vigne del territorio cosentino è come entrare in un suggestivo caleidoscopio di uve: quelle nere del e del Mantonico Nero dell’Esaro, dell’Arvino e del Greco Nero del Savuto, quelle bianche come il Greco, la Malvasia, il Moscatello di Saracena, il Mantonico Bianco, la Guarnaccia Bianca e il Pecorello. Uno scenario ricco e diversificato che si sviluppa su un paesaggio altrettanto variegato, con il Pollino a nord, il gruppo dell’Orsomarso che dirada verso la costa tirrenica ad ovest e la ionica ad est, la Valle del Crati a sud e la Valle del Savuto nella estrema fascia meridionale. Qui la coltura della vite risale abitanti di queste terre prima della colonizzazione greca dell’VIII secolo a.C., che porta con sé nuovi vitigni e conoscenze produttive. In questo percorso millenario la tradizione agricola si incontra con la tecnologia e con un nuovo fermento imprenditoriale che nel XX secolo ha dato nuovo produzione che ha portato al riconoscimento della DOP Terre di Cosenza.

InvecchiatIGP – Pietroso: Rosso di Montalcino 2014


Di Andrea Petrini

Pregiudìzio (ant. pregiudìcio) s. m. [dal lat. praeiudicium, comp. Di prae «pre-» e iudicium «giudizio»]. – Idea, opinione concepita sulla base di convinzioni personali e prevenzioni generali, senza una conoscenza diretta dei fatti, delle persone, delle cose, tale da condizionare fortemente la valutazione, e da indurre quindi in errore.


Evitare il pregiudizio, concetto ben spiegato dal dizionario Treccani, è sicuramente uno dei temi di più difficile applicazione quando un degustatore cerca di valutare un vino con la bottiglia ben esposta davanti ai suoi occhi. In questo caso, ad esempio, i numeri due, zero, uno, quattro, che messi insieme formano l’anno 2014, potrebbero portare in moltissimi a trarre conclusioni su questo sangiovese senza nemmeno avere la briga di assaggiarlo.

“La 2014? Ahahahah annata sfigata, bevilo te questo vino!!!

“Ah no, il Consorzio ha dato tre stelle a questo millesimo, io bevo solo vini a cinque stelle, tsè”

“Ehhhhhh, ha piovuto in tutta Italia e le uve in vigna erano tutte marce, chissà come lo hanno fatto questo vino, chissà…”

Gianni Pignattai con la sua famiglia

Potrei andare avanti per ore nello scrivere aneddoti sui pregiudizi nel mondo del vino legati spesso ad affrettate valutazioni giornalistiche volte alla ricerca di un clamore da prima pagina più che ad una analisi approfondita delle (eventuali) differenze territoriali che non possono mai portare a conclusioni erga omnes.


Tutte questi pensieri mi frullano nella mente mentre davanti a me ho questo vino che emana un colore rosso rubino luminosissimo, intenso, vivo.

Paolo Trimani

Paolo Trimani, proprietario della bottiglia, ride divertito mentre mi invita a valutare questo Rosso di Montalcino dal punto di vista olfattivo e gustativo. Più ride e più mi sento dentro ad una bellissima trappola che prende forma quando metto il naso nel calice dove trovo un vino fulgido di sensazioni odorose che vanno dalle rose antiche al cesto di frutta rossa primaverile fino ad arrivare alle spezie fini e a percezioni di erbe amare. 


Al gusto è lineare, senza spigolature, è un rosso con un profilo quasi nordico per via di una scia acido-sapida che rende la beva essenziale e sfrondata da inutili eccessi.


Assieme a Paolo, ora, rido anche io mentre brindo all’annata e a ai tanti che pensano al Rosso di Montalcino come un fratello sfigato del grande Brunello. Ah, i pregiudizi!

Mirizzi - Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC Extra Brut '68


Di Andrea Petrini

Tra i metodo classico italiani questo ’68, anno zero per l’impresa vinicola della famiglia Bomprezzi\Mirizzi, rappresenta una chicca per intenditori che ricercano nella bollicina sostanza ed emozioni. 


Il grande verdicchio di Jesi si conferma ancora una volta un’uva polivalente che può fornire vini strepitosi.

Contrade dell’Etna 2023: cosa ho imparato studiando i versanti del vulcano!


Di Andrea Petrini

Le Contrade dell’Etna”, rassegna ideata dall’indimenticato Andrea Franchetti, si è svolta anche quest’anno all’interno del “Picciolo Etna Golf Resort di Rovittello, ha chiuso l’edizione 2023 con dati da record sia in termini di affluenza, circa 8000 persone suddivise tra appassionati di vino ed operatori del settore, sia in termini di presenza di aziende partecipanti che, per la prima volta, hanno toccato quota 105 suddivise tra le giovani e quelle fedelissime che hanno avuto tempo di mostrare i risultati del loro operato.


Tra gli eventi più importanti della manifestazione ci sono state sicuramente le tante masterclass previste prima giornata di Contrade tenute dal giornalista e wine writer di “Cronache di Gusto” Federico Latteri che, durante la giornata del sabato, ha fatto da guida virtuale tra i versanti dell’Etna, andando a peregrinare dal “Versante Est” ai “Versanti Meridionali” fino ad arrivare al più blasonato Versante Nord che, a guardare i dati, ospita la maggior parte delle cantine etnee.


Ma cosa ho imparato da questi full immersion didattica? Beh, sicuramente che se la presenza del vulcano è il comune denominatore di tutta la denominazione Etna DOC, l’esistenza di versanti differenti sui quali viene praticata la viticoltura, ciascuno con le proprie contrade, ad oggi 133, è invece il fattore che crea discontinuità e al tempo stesso dona diversità e unicità ai vini di questo territorio.

Mappa con le 133 contrade


I versanti dell'Etna

L’area della DOC, che si estende a forma di semicerchio avvolgendo il vulcano da nord a sudovest in senso orario, è caratterizzata da una grande variabilità in termini di esposizione (e dunque intensità e durata dell’esposizione solare), altitudine, piovosità, ventilazione, escursione termica e tipologia di suolo vulcanico. Ecco perché, in base ai versanti dove sono piantati le vigne, si possono avere all’interno dello stesso areale di produzione vini estremamente diversi.

Versante Nord

E’ il territorio che ospita il maggior numero di produttori della DOC, grazie alla sua vasta area vitabile o già vitata, alla sua conformazione caratterizzata anche da pendenze più docili ed alla sua spiccata vocazione. Caratterizzato da un clima relativamente più rigido, mitigato in parte dalla protezione assicurata dalle catene montuose dei Peloritani e dei Nebrodi, è il versante con il limite massimo di altitudine più basso (800 m s.l.m.). Notevole l’escursione termica. Vi si coltiva prevalentemente il Nerello Mascalese ma nell’ultimo decennio si è molto diffuso il Carricante, entrambi allevati sia ad alberello che a spalliera.


Tra i 14 vini presenti alla affollata masterclass, con molta difficoltà vista la qualità media presente, ho preferito il Sicilia Nerello Mascalese Alberelli di Giodo 2019. Un vino che non rientra nella DOC in quanto le viti pre-fillossera di nerello mascalese, piantate in contrada “Rampante” e “Pietrarizzo” a circa 950 metri s.l.m., non rientrano nella DOC. Il vino, elegante e misurato, sa di ferro, frutta di rovo, sensazioni di ebanisteria e sbuffi fumè. Al palato è vibrante ma al tempo stesso finemente cesellato grazie alla mano di Ferrini non solo enologo ma anche proprietario dell’azienda.

Versante Est

Versante estremamente ripido, degradante verso il mar Ionio, elemento che rende unico questo territorio nel panorama della DOC etnea e ne condiziona paesaggio e clima. Questo fianco dell’Etna incastonato tra mare e vulcano è caratterizzato da maggiore piovosità ma anche da notevolissima ventilazione. Sono quasi assenti le grandi estensioni e prevalgono quindi piccoli e medi terrazzamenti e vigneti allevati ad alberello, che arrivano a sfiorare i 900 metri s.l.m. che rappresentano il limite massimo di altitudine. È l’unico versante in cui la presenza del Carricante è notevolmente superiore a quella del Nerello Mascalese. Eleganza, freschezza, sapidità, finezza e longevità caratterizzano i vini prodotti qui.


Tra gli 8 vini presenti la mia scelta, senza ombra di dubbio, è andata all’Etna Bianco Superiore “Imbris” 2019 prodotto da I Custodi delle Vigne dell’Etna. Imbris dal latino “della pioggia”, nasce nel clima estremo del comune di Milo, tra i più piovosi d’Italia. Questo bianco, carricante in purezza da vigne poste in contrada Caselle, è lucente, stratificato e sublimato da sensazioni agrumate e di macchia mediterranea che ritroviamo anche al sorso dove volume e graffio sapido rendono la beva un’esperienza di disarmante piacere.

Versante Sud-est

Caratterizzato dalla presenza di numerosissimi coni eruttivi spenti, che ospitano i vigneti più ad alta quota, questo versante beneficia sia dell’influenza del mare che di una eccellente luminosità. Per via della sua conformazione, è molto diffuso il sistema di allevamento ad alberello. Sia il Nerello Mascalese che il Carricante trovano condizioni ideali, raggiungendo una maturazione ideale con grande regolarità. I vini sono caratterizzati da grande equilibrio e sapidità.

Versante Sud-ovest

Versante con notevolissima escursione termica, vista la distanza dal mare, specialmente alle quote più alte, che qui possono superare i 1.000 metri. Meno piovoso di altri territori dell’Etna DOC e battuto da venti più caldi, questo territorio gode di grande intensità di luce e di una esposizione ai raggi solari molto lunga. Eccellenti le condizioni pedoclimatiche per la coltivazione del Nerello Cappuccio e del Carricante, qui molto diffuso così come il Nerello Mascalese, che qui dà origine a vini con colori meno scarichi, profumi pungenti e spiccati ed un profilo più rustico, con tannini ben presenti.


Tra i sette vini presentati da Federico Latteri, che ha accorpato i vini dei due versanti sud in un’unica masterclass, la mia prima scelta è ricaduta sull’Etna Bianco “A’ Puddara” 2020 prodotto dalla Tenuta di Fessina. Carricante in purezza proveniente da vigne piantate a Biancavilla, versante sud-ovest del vulcano, è un vino solare dai profumi complessi di frutta gialla succosa, agrumi, ginestra e sottofondo minerale a cui si associa un palato pieno ed appagante ben bilanciato da una più che inebriante dose di freschezza.

InvecchiatIGP: Petrolo - Torrione 1996


di Lorenzo Colombo


L’azienda Petrolo si trova in quella zona, la Val d’Arno di Sopra, già identificata nel 1716 dal Granduca Cosimo III come uno dei quattro territori inseriti nel suo famoso editto che andava a proteggere le zone ritenute di pregio per la produzione di vino, in compagnia di Chianti, Carmignano e Pomino. Oltre un secolo dopo, la vocazione di questo luogo veniva confermata dall’agronomo Giorgio Perrin che celebrava le qualità del Sangiovese di Campo Asciutto (l’attuale Bòggina).


La Tenuta, che prende nome dalla località dov’è situata, nel comune di Bucine (AR), venne acquistata negli anni ’40 del Novecento dalla famiglia Bazzocchi e si sviluppa su 31 ettari vitati situati tra i 250 ed i 350 metri d’altitudine su suoli composti da galestro, alberese ed arenaria.


I vigneti sono suddivisi in numerose parcelle, spesso di piccole dimensioni, alcune delle quali messe a dimora diversi anni fa, come appunto il Bòggina, impiantato nel 1947 da Gastone Bazzocchi, o come il Lecceta, che ha oltre 60 anni d’età, mentre altri sono molto più recenti, come il Lago, impiantato nel 2000.
Si tratta di parcelle specializzate, nelle quali solitamente è impiantato un singolo vitigno destinato alla produzione di uno specifico vino.


I vini prodotti sono sette, tra questi curiosamente spiccano tre versioni del Bòggina, chiamati Bòggina A (affinato in anfora), Bòggina B (ovvereo un vino bianco prodotto con uve Trebbiano) e Bòggina C, ovvero il primo, da uve Sangiovese.


Il Torrione nasce come Igt Toscana nel 1988, si tratta di un vino fortemente voluto da Lucia Bazzocchi Sanjust che per la sua realizzazione ha chiesto aiuto a chi più di tutti ne capiva di Sangiovese, ovvero Giulio “Bicchierino” Gambelli. Il vino viene prodotto assemblando le uve provenienti dalle diverse vigne di Petrolo, vi troviamo infatti il Sangiovese di Bòggina e dei vigneti Casariccio, Asilo e Campaccio, il Merlot di Galatrona ed il Cabernet sauvignon di Campo Lusso. Nel tempo la sua identità è cambiata, ora infatti si fregia della denominazione Val d’Arno di Sopra e la sua composizione è data da 80% Sangiovese, 15% Merlot e 5% Cabernet sauvignon.


Le uve, come sopra accennato, provengono dagli storici vigneti aziendali, quelli messi a dimora negli anni ‘70, ma anche da vigne più recenti, la vinificazione avviene in vasche di cemento tramite lieviti indigeni mentre l’affinamento s’effettua in vasche di cemento, botti di grandi dimensioni (40 hl), tonneaux e barriques francesi, dove il vino sosta dai 15 ai 18 mesi.


Il vino di presenta con un color granato con unghia aranciata, leggerissima la sua velatura. Buona l’intensità olfattiva, pulito e ancora fresco, complesso, ampio, elegante, frutta rossa dolce quasi in confettura, cuoio, sottobosco, humus, potpourri, note balsamiche, accenni di spezie dolci, sbuffi pepati, liquirizia, carrube e leggere note di caffè liofilizzato. Asciutto, dotato di buona struttura, trama tannica importante, buona la vena acida, liquirizia dolce, tamarindo, accenni di radici, amarena un poco asprigna, confettura di prugne, lunghissima la sua persistenza.

Cantina Pedres - Cannonau di Sardegna Rosato “Brino Rosé” 2021


di Lorenzo Colombo

Da vigneti situati sui suoli granitici della Gallura provengono le uve di Cannonau per la produzione di questo vino dal color salmone che fa della freschezza e della sapidità i suoi punti di forza.


Succoso, agrumato, con un accenno di macchia mediterranea e leggere note di mela si lascia bere che è un piacere.


Alla scoperta del Muscadet e dei Crus Communaux del Muscadet Sèvre et Maine


di Lorenzo Colombo

Situato nel Pays Nantais, il Muscadet vanta quattro diverse Appellations: Muscadet, Muscadet Côtes de Grandlieu, Muscadet Coteaux de la Loire e Muscadet Sevre et Maine. Tuttenel loro insieme, vantano una superficie vitata di 6.400 ettari ed una produzione annuale complessiva di 136.600 ettolitri di vino.


Le AOC

Aoc Muscadet

Appellation regionale, è situata all'estremità occidentale del vigneto della Valle della Loira, la superficie vitata è di 1.660 ettari, il produttori sono 330 e la produzione media annuale è di 10.500.000 bottiglie. I suoli appartengono al Massiccio Armoricano, vi si trovano rocce eruttive con struttura molto varia, principalmente gneiss, micascisti, gabbro, anfibolite e granito in misura minore.


Il clima in genere è di tipo oceanico temperato, con precipitazioni ben distribuite durante l’arco dell’anno, le varie sfumature climatiche dipendono dalla distanza dei vigneti dall’oceano e dalla Loira.

Aoc Muscadet Côtes de Grandlieu

Situato a sud-ovest di Nantes, nei pressi del lago Grandlieu, si sviluppa su 220 ettari nel territorio di 19 comuni, i produttori sono 40 mentre le bottiglie prodotte annualmente sono circa 1.100.000. 



I suoli sono a grandi linee come quelli dell’Appellation regionale, ovvero rocce eruttive, principalmente gneiss, micascisti, rocce verdi e in minor misura granito, in alcune zone queste rocce sono sovrapposte da sabbie e ciottoli. Anche il clima è simile a quello dell’Aoc Muscadet con piccole variazioni nelle zone prospicienti il lago.

Muscadet Coteaux de la Loire

Il Muscadet Coteaux de la Loire si trova nella regione di Ancenis, a Nord-Est di Nates ed i suoi vigneti sono situati sulle due rive della Loira.


Gli ettari vitati sono 130 suddivisi tra 35 produttori e la produzione annuale è di 750.000 bottiglie I suoli derivati dalle rocce del massiccio armoricano sono principalmente costituiti da gneiss, micascisti, rocce verdi ed in minor misura da granito. Il clima è temperato oceanico con precipitazioni ben distribuite nel corso dell'anno. Piccole variazioni di clima dipendono principalmente dalla vicinanza o meno dei vigneti con il fiume Loira. All’interno della denominazione c’è il Cru Communal Champtoceaux.

Muscadet Sèvre et Maine

Il nome dell’Aoc deriva dai due fiumi che l’attraversano, la Sèvre Nantaise ed il Maine. Si tratta della denominazione più grande ed i suoi 6.000 ettari di vigne, suddivisi tra 410 produttori, s’estendono sul territorio di 20 comuni a Sud-Est di Nantes, la produzione annuale è di 32 milioni di bottiglie. Il suolo, derivante dal massiccio armoricano è principalmente costituito da gneiss, micascisti, rocce verdi e granito in minor misura, mentre il clima è simile a quello di tutte le Aoc Muscadet.


Questa denominazione s’avvale inoltre di dieci Crus Communaux: Goulanie, Le Pallet, Mouzillon Tillières, Château-Thébaud, Gorges, Monnierès-Saint-Fiacre, Clisson, La Haye-Foussière, Vallet e Champtoceaux che nel loro insieme coprono una superficie di circa 200 ettari. 


I vini che s’avvalgono di queste denominazioni comunali debbono sottostare ad un disciplinare di produzione più stringente rispetto ai “semplici” Muscadet Sèvre et Maine, è infatti previsto un periodo di sosta sui lieviti “Sur Lies” più prolungato, che comunque differisce tra i diversi Crus.

Il vitigno

Il vitigno principe delle Aoc Muscadet è il Melon de Bourgogne, originario, come dice il suo nome, della Borgogna e migrato nel corso degli anni verso la costa.
Si tratta di un incrocio tra Gouaus Blanc e Pinot Noir e diffuso nella Loira Atlantica nel XVIII secolo dagli olandesi.



Si tratta del vitigno a bacca bianca più diffuso nella Valle della Loira, precedendo, seppur di poco, il Sauvignon blanc e lo Chenin blanc (vedi figura), è un vitigno piuttosto vigoroso, occorre quindi, per ottenere buoni risultati, contenerne la produzione, nei Pays Nantais ha trovato sia un suolo come pure un clima ideale.
Nel 2018 se ne contavano 8.660 ettari, tutti praticamente nella Loira Atlantica.

Il Muscadet

La rinascita di questo vino, che ha vissuto un periodo di declino, dovuto alla sovraproduzione, ha inizio alla fine dello scorso millennio quando alcuni viticoltori dell’Aoc Muscadet Sèvre et Maine iniziarono a selezionare i vigneti più vecchi ed i migliori terroir e ad affinare i vini “sur lie” per un periodo più prolungato, spingendolo sino a 24 mesi, questo ha portato negli anni ad identificare i suddetti Crus Communaux.


A proposito della tecnica “sur lie”, ovvero l’affinamento dei vini sui propri lieviti, i disciplinari di produzione delle Aoc Muscadet Sèvre et Maine, Muscadet Coteaux de la Loire e Muscadet Côtes de Grandlieu prevedono una sosta sui lieviti obbligatoria di almeno sei mesi ma molti produttori si spingono ben oltre, arrivando per alcuni Crus ai 24 mesi, o addirittura ai 48 mesi. I “lies”, ovvero quelli che noi chiamiamo “fecce fini” sono i lieviti che hanno trasformato lo zucchero d'uva in alcol, dopo la fermentazione essi sono ancora molto utili, infatti il vino a contatto con loro acquisisce ricchezza, complessità e struttura, ma anche, cosa assai importante, una buona capacità di invecchiamento.


Durante il Press Tour Val de Loire Millésime abbiamo avuto la possibilità d’assaggiare oltre una trentina di Muscadet dei diversi Crus Communaux -alcuni dei quali con un buon numero d’anni sulle spalle- e di farci un’idea su questo vino purtroppo poco conosciuto e valorizzato in Italia e che meriterebbe maggior considerazione. Abbiamo trovato nel complesso vini molto buoni, sapidi fruttati e freschi nei loro primi anni di vita che diventano sempre più complessi col passare del tempo.

Ecco una selezione di quanto abbiamo maggiormente apprezzato, i vini sono elencati in ordine di gradimento.

Muscadet Sèvre et Maine Monnières St. Fiacre “L’Ancestrale” 2017 – Exploitation Véronique Gunther-Chereau

Bel naso, minerale, intenso, elegante e complesso, pietra focaia. Strutturato e succoso, accenni piccanti, molto lunga la persistenza.

Muscadet Sèvre et Maine Clisson 2018 – Domaine de la Vinconnière

Intenso, pulito, bel frutto, buona complessità. Sapido, fresco, di buona struttura e lunga persistenza.

Muscadet Sèvre et Maine Château Thebaud 2014 – Le Jardin d’Edouard

Bel naso, complesso ed elegante, leggere note idrocarburiche. Buona struttura, succoso e sapido, bella vena acida, note piccanti, lunga persistenza.


Muscadet Sèvre et Maine Clisson 2019 – Domaine de L’Epinay

Intenso, fresco e pulito, con un bellissimo frutto, pesca bianca. Elegante e succoso, bel frutto, buona la persistenza.

Muscadet Sèvre et Maine Goulaine 2018 – Vignoble Delaunay

Fresco ed elegante, buona intensità, bel frutto. Buona struttura, pesca gialla, leggere note piccanti, lunga la persistenza.

Muscadet Coteaux de la Loire Champtoceaux 2017 – Domaine des Galloires

Intenso al naso, complesso ed elegante, accenni d’idrocarburi. Buona struttura, succoso, frutto a polpa gialla, buona la persistenza.

Muscadet Sèvre et Maine Georges 2015 – La Tour Gallus

Pulito, frutta fresca, buona intensità, leggeri accenni d’idrocarburi. Succoso e strutturato, buon frutto, bella vena acida, lunga la persistenza.

Muscadet Sèvre et Maine Vallet 2018– Château du Cleray

Intenso, pulito e fresco, di buona complessità. Dotato di buona struttura, succoso, bella vena acida e lunga persistenza.

Muscadet Sèvre et Maine Clisson “Le Sillon des Braudieres” 2018 – Chereau Carré

Buona intensità bel frutto a polpa gialla, pulito. Fresco e succoso, buona eleganza, lunga la persistenza.

Muscadet Sèvre et Maine Mouzillon-Tillières 2018 – Domaine du Colombier

Bel naso, accenni d’idrocarburi. Fresco e succoso, bel frutto, lunga la persistenza.


Muscadet Sèvre et Maine Goulaine 2014 – Château Briace

Frutto giallo, leggere note vanigliate, accenni d’idrocarburi. Buona struttura, accenni piccanti, lunga persistenza.

Muscadet Sèvre et Maine Georges 2019 – Fief de la Brie

Bel naso, pulito, fresco ed elegante. Succoso, bel frutto, pesca gialla, accenni piccanti e lunga persistenza.

Muscadet Coteaux de la Loire Champtoceaux 2018 – Vignoble Marchais

Bel naso, intenso, complesso ed elegante, accenni d’idrocarburi. Buona struttura, sapido, frutto a polpa gialla, accenni nocciolati, lunga la persistenza.

Muscadet Sèvre et Maine "Château Thebaud" 2018 – Domaine Haute Fevrie

Bel naso, intenso, fresco, pulito, frutta a polpa bianca, accenni d’agrumi. Buona vena acida, accenni piccanti, frutta a polpa bianca, buona la persistenza.

Muscadet Sèvre et Maine Château Thebaud 2018 – Vignoble Famille Lieubeau

Bel naso, intenso, fresco agrumato, frutta a polpa bianca. Discretamente strutturato, succoso, bel frutto e buona persistenza.