Trattoria del Muliner ovvero come mangiare grande pesce sul Lago d'Iseo!


di Lorenzo Colombo

Clusane è una frazione del comune d’Iseo che s’affaccia sulla sponda meridionale dell’omonimo lago. Questo piccolo borgo è famoso, per tutti gli appassionati di gastronomia, per la Tinca al forno con polenta, specialità alla quale nel mese di luglio è dedicata un’intera settimana, ma che in realtà è possibile gustare, nei numerosi ristoranti e trattorie durante tutto l’anno. Sono infatti numerosissimi i locali che propongono questa specialità, unitamente ad altre preparazioni dove in genere la fanno da padrone i pesci d’acqua dolce, difatti oltre a trote, lucci, salmerini, pesce persico ed anguille, ci sono altri due ingredienti che vengono molto utilizzati nelle varie preparazioni, si tratta delle sarde di lago e dei gamberi d’acqua dolce. 

Porticciolo di Clusane

Le sarde di lago essiccate sono tipiche di Monte Isola, la più grande isola lacustre europea e sono inseriti tra i Presidi Slow Food, si tratta di agoni, gli stessi pesci che, lavorati in modo differente prendono il nome di “Missultin” sul lago di Como. Qui, dopo essere stati eviscerate, le sarde vengono essiccate al sole appese a fili su apposite strutture molto scenografiche. 


Ritornati in “zona gialla”, dopo un lungo periodo passato sotto altri colori, sentivamo l’esigenza di tornare al ristorante, scegliendo però un giorno infrasettimanale per evitare il possibile affollamento del fine settimana. Ci siamo quindi recati al lago d’Iseo con un motivo ben preciso: era da parecchio tempo che non mangiavamo la sopra citata specialità locale, ovvero la Tinca al forno con polenta, un piatto che generalmente almeno una volta l’anno siamo soliti gustare. Tra i numerosi ristoranti che la propongono ne abbiamo scelto uno dove non eravamo mai stati, ovvero la
Trattoria del Muliner.


Si tratta di un locale storico, che vanta quasi sessant’anni d’età, aperto nel 1964 da Giovanni, detto “El Muliner”, soprannome dovuto all’attività di trasportatore di farine. Una quindicina d’anni fa il locale è stato completamente rimodernato per adattarlo alle cresciute esigenze della clientela, senza però perdere la tradizione in cucina ed è attualmente gestito da Andrea, nipote di Giovanni, che si occupa della cucina e dal suo socio Mauro, addetto alla sala.


La prima impressione che si ha entrando nel locale è quella di trovarsi immediatamente a proprio agio, i colori sono caldi, i tavoli ben distanziati, il servizio sollecito ma discreto e non opprimente. 
All’esterno si trova un ampio dehors con vetrate, molto bello da utilizzarsi in estate, ma che può essere utilizzato anche nelle altre stagioni.
Nel menù, che pur prevede preparazioni a base di carne: manzo, coniglio ed agnello, la fanno da padrone i pesci d’acqua dolce, che troviamo sia negli antipasti come nei primi e secondi piatti. 


La nostra scelta è caduta sull’insalata di gamberi d’acqua dolce e sulla Tartare di trota salmonata per quanto riguarda gli antipasti e, saltando i primi piatti, nuovamente sui gamberi d’acqua dolce per la seconda portata, questa volta in frittura e, naturalmente sulla tinca al forno.

Tinca al forno con polenta

Per quanto riguarda gli ingredienti principali dei piatti da noi scelti non bisogna lasciarsi ingannare dalla vicinanza del lago -siamo proprio sulle sue sponde-, ovvero dal mito dei prodotti a Km Zero, tanto di moda al giorno d’oggi. A esplicita domanda ci viene onestamente detto che le tinche provengono da allevamenti situati sul lago Trasimeno mentre i gamberi d’acqua dolce da allevamenti dei paesi dell’Est Europa e più raramente dalla Turchia. D’altra parte sarebbe impossibile avere tutto l’anno questa materia prima reperita con la pesca, per di più locale. Tornando ai piatti scelti per il nostro pranzo abbiamo trovata molto delicata e fresca l’insalata di gamberi e più saporita ed intensa la tartare di trota.

Insalata di gamberi

Per quanto riguarda la frittura di gamberi, raramente ne abbiamo trovata una più leggera, asciutta e senza alcuna untuosità, tanto che abbiamo chiesto se non fosse stata preparata con la friggitrice ad aria, eventualità che è stata decisamente negata.

Frittura di gamberi

Ultima annotazione riguarda il piatto clou, ovvero la Tinca, preparazione che abbiamo mangiato numerose volte nel corso degli anni, differentemente da tutti gli altri locali dove l’avevamo assaporata, che normalmente la presentano in un contenitore ceramico immersa nel burro fuso, dove viene cotta, qui il pesce è servito su un piatto piano, senza il burro liquefatto il che la rende meno pesante. Non cambia il metodo di cottura, ci è stato detto, unicamente l’impiattamento. Ci dimenticavamo della polenta, contorno obbligatorio della Tinca al forno, che si presentava ben asciutta ed al contempo cremosa.

Molto interessante, ed onesta, l’ampia carta dei vini nella quale è dato notevole spazio ai prodotti locali -siamo in Franciacorta- non trascurando però il resto d’Italia, viene inoltre data grande importanza ai vini dei produttori aderenti alla FIVI, il locale è infatti uno dei punti d’affezione di questa associazione. https://www.fivi.it/la-fivi/punti-affezione-fivi/


Nella nostra scelta siamo rimasti in Franciacorta, optando per il Cru Perdù millesimo 2011 dell’azienda Castello Bonomi.

In definitiva siamo stati molto contenti della nostra scelta, e certamente ritorneremo in questo locale per provare altre preparazioni che ci stuzzicavano ma che, per ovvi motivi, non abbiamo potuto assaporare.

9x9=47! Arriva il pacco solidale per la ripartenza

Nove giovani aziende, quarantasette ristoratori e un’immagine forte e carica di speranza: una vite sradicata e piegata, legata saldamente da tanti fili rossi ad una struttura metallica. “Sebbene sferzati da venti impetuosi siamo già pronti a ricominciare”, si legge nella lettera che accompagna una scatola contenente 9 bottiglie di vino, provenienti dalle cantine degli autori dell’iniziativa, che in queste ore viene consegnata nelle mani dei ristoratori: “tra i più colpiti in questi mesi, coloro che contribuiscono a dare valore ai vini artigiani. Un gesto per far sentire la nostra vicinanza.”


Un anno, il 2020, che ci ha privati del piacere e della gioia di sedere nei nostri ristoranti preferiti, tuttora nell’incertezza di ciò che potrà accadere, ma senza abbandonarci allo sconforto, nutriamo la speranza che al più presto si potrà tornare a lavorare con impegno e dedizione.


Da qui l’idea di regalare a quarantasette ristoratori sparsi in tutta Italia, scegliendo tra tutti quelli localizzati nelle province più piccole e disagiate a causa del lockdown, nove bottiglie di vino, le più rappresentative di ciascuna delle nove aziende, inserite in una scatola a forma di cubo, simbolo di pienezza, solidità e stabilità.


“Gli stessi valori dei quali abbiamo ora bisogno più di sempre, dopo un 2020 terribilmente brutto e un 2021 ancora pieno di incertezze”, commentano i giovani produttori. Ed è per questo che al cubo è stata associata una pianta di vite, simbolo di vita, di adattamento, di resilienza. Un pacco solidale, che porta con sé un auspicio di ripartenza: soltanto uniti i vignaioli e i ristoratori si può ripartire.


I giovani produttori partecipanti all’iniziativa “9x9=47. Pacco solidale per la ripartenza” e i vini nella scatola sono:

Luigi e Valentina Di Camillo - Tenuta i Fauri Abruzzo DOC Pecorino (Abruzzo) – ideatori e coordinatori del progetto -

Paolo Bertani, Leonardo Di Vincenzo, Alfredo Colangelo, Manfredi La Barbera, Marianna Pastore, Loreto Lamolinara, Michael Opalenski - Masseria La Cattiva “Riposata” vino Rosso (Puglia)

Davide Fasolini e Pierpaolo Di Franco – Dirupi Grumello Riserva Valtellina Superiore DOCG (Lombardia)

Alessandro e Felicia Palombo - Luiano Chianti Classico DOCG (Toscana)

Marco Cirese - Noelia Ricci “Il Sangiovese” Predappio Romagna DOC (Emilia-Romagna)

Luca Baccarelli - Cantina Roccafiore “Fiorfiore” Umbria Grechetto IGP (Umbria)

Alessandra Quarta – Sanpaolo Claudio Quarta “Totó Rosso” Campania IGP (Campania)

Diletta Tonello - Tonello “ioTeti” Lessini Durello Metodo Classico (Veneto)

Rocco Vallorani - Vigneti Vallorani “Polisia” Piceno Superiore DOC (Marche)

Conte Gucciardini: stabilità, esperienza e storia possono battere la crisi - Delivery IGP


di Stefano Tesi

Conte Guicciardini è un'impresa toscanissima, che si autodefinisce "familiare" ma è in realtà strutturata su tre aziende diverse in zone diverse: Chianti Colli Fiorentini (Castello di Poppiano, 140 ha, che è l’azienda storica della famiglia da molti secoli), Morellino di Scansano (Massi di Mandorlaia, 46 ha) e Chianti Classico (Belvedere Campoli, 14 ha). 

Ferdinando Gucciardini

Con le sue circa 400mila bottiglie prodotte, appartiene a quella vasta fascia dimensionale media “non abbastanza piccola per coltivare un mercato hobbystico ma senza l’elasticità delle grandi aziende imbottigliatrici”, come la descrive il titolare, il conte Ferdinando. E’ insomma una tipologia complessa per la quale la crisi da Covid è al tempo stesso commerciale, logistica e sanitaria. 

Come è stata gestita? C'è confronto tra produttori affini su come affrontarla?

In effetti la nostra struttura aziendale non facilita la flessibilità rispetto al mercato e ciò può crearci maggiori difficoltà. Non potendo contare sui grandi numeri, la scelta obbligata è l’affermazione della qualità legata al “terroir” aziendale. Siamo un produttore puro e tale vogliamo rimanere. A monte abbiamo solo la nostra vigna, che non ci fa sconti e ci responsabilizza totalmente. Abbiamo però alle spalle anche una lunga storia legata al mondo agricolo e credo che questo venga percepito. Fare buoni vini ed ancorarli sempre al territorio di origine è l’obiettivo a cui rimaniamo coerenti anche in questi tempi eccezionalmente difficili. In altri termini vogliamo essere identificati sempre di più come azienda produttrice, di medie dimensioni e di livello medio-alto. Nel nostro caso proprio la dimensione media e il carattere “volutamente” familiare ci hanno permesso di formare nel tempo una struttura di risorse umane consolidata e dotata di forte senso di appartenenza. Questo ci permette di affrontare le circostanze “come un sol uomo”. E’ un plus tutt’altro che trascurabile. Oggi tutti soffriamo, ma le difficoltà possono essere solo in parte attribuite alla dimensione aziendale: esse dipendono fondamentalmente dal fatto che il nostro mercato principale, l’HORECA, è stato quello più penalizzato dalla pandemia.

Ritiene che la crisi avrà conseguenze durature? C’è un piano a medio termine per affrontarle?

La crisi sanitaria è degenerata in una crisi economica che purtroppo avrà il suo epilogo in una crisi finanziaria. Questo colpisce particolarmente aziende come noi. Chi fa riferimento alla GDO ha sicuramente pagato meno dazio ed in qualche caso è addirittura cresciuto. Senza dubbio il Covid ha stravolto le nostre prospettive. Di colpo l’obiettivo è cambiato: dallo sviluppo alla sopravvivenza. E questo ha riorientato le nostre scelte. Sul piano della produzione è divenuto imperativo il controllo su costi e su investimenti, con grande attenzione a non compromettere la nostra struttura produttiva e a non penalizzare l’occupazione.
Dal punto di vista commerciale, lavorando con la ristorazione, la prima fase di lockdown ci ha proiettati in uno stallo sul mercato domestico, compensato solo parzialmente dall’export e in piccola parte dalla GDO. Abbiamo quindi messo in campo un “marketing emergenziale” cercando di gestire con buonsenso il problema dei pagamenti e di rassicurare i clienti. Questo ha pagato nel periodo estivo. Durante il blocco autunnale ci siamo concentrati sullo sviluppo di nuovi strumenti commerciali tipo wine club e sulle prospettive di export nel periodo tardo primaverile ed estivo. Abbiamo sempre comunicato al mercato l’importanza della stabilità, dell’esperienza e della storia familiare come nostro punto di forza e di riconoscibilità e in tanti casi ciò ci viene riconosciuto. Questi saranno gli obiettivi anche dopo il Covid.

Fra aziende c’è confronto su quest’ argomento? 

Certamente, anche se non istituzionalizzato. Ogni volta che ci si incontra è l’argomento principe, ma nessuno ha il rimedio per tutti. L’obiettivo di ognuno è la sopravvivenza. Ma poiché ogni attore ha le sue caratteristiche specifiche, lo stesso problema ha risposte non sempre coincidenti.

Qual è o quale avrebbe potuto essere il ruolo dei consorzi di tutela nel fronteggiare la pandemia?

I consorzi sono formati da aziende molto diverse e il loro ruolo è l’affermazione della denominazione, non la difesa del singolo. Il “focus” dei consorzi dovrebbe perciò concentrarsi sul mantener viva l’attenzione sulla denominazione e mettere in campo azioni specifiche per promuovere nuove opportunità di mercato su tutti i canali, fra cui particolare accordi quadro con la GDO di cui potrebbero beneficiare in modo particolare le piccole medie imprese.

Il calendario mondiale delle fiere vinicole è stato rivoluzionato. Tutto tornerà come prima o può essere l'occasione per ripensare qualcosa del "sistema"?

Credo di no: le fiere ed il contatto diretto con i clienti rimarranno sempre importanti. Non si potrà farne a meno. Ma dovremo essere più selettivi nello scegliere le manifestazioni a cui parteciperemo. Il lockdown ha obbligato non solo noi produttori, ma anche i nostri clienti, ad utilizzare intensivamente e molto più che in passato i mezzi informatici. Ed è probabile che questo possa tradursi in una maggiore efficienza del sistema: le nuove tecnologie, le video conferenze e i confronti resteranno come strumento utile e a basso costo in tante circostanze. Le fiere di settore che sopravvivranno dovranno forzatamente tenerne conto.

In questi mesi di crisi ci sono scelte di cui è particolarmente soddisfatto?

L’ inattività ci ha dato modo di concentrarci sulla pianificazione della vendita on-line, in particolare sul Conte Guicciardini Wine Club. Sul fronte produttivo sono lieto di aver potuto mantenere integra la nostra forza di lavoro; in campo commerciale di aver fatto quanto potevamo per non perdere i nostri clienti tradizionali. La scelta di implementare le vendite online e di continuare a seguire i nostri clienti in modo assiduo si sta rivelando corretta, come anche non aver rinunciato del tutto a migliorare la qualità mediante investimenti mirati in vigna ed in cantina.

Castello Monterinaldi - Chianti Classico DOCG Vigneto Boscone 2016


di Stefano Tesi

Dalle vecchie vigne di uno storico cru aziendale ecco un vino asciutto, sobrio e di grande eleganza: 100% Sangiovese, colore rubino profondo e naso boscoso, quasi selvatico. 


In bocca la vena acida ne sostiene l'imponenza, rendendo la bevuta austera e confortante se accompagnato a lasagne domenicali e arrosti.

In Langa con l'Archeo-sommelier Simone Tabusso che produce il vino come nell'Antica Roma!


di Stefano Tesi

A fine del 2020 ha sollevato scalpore mondiale il ritrovamento, in quella cava delle meraviglie che è Pompei, di un termopolio, ovverosia di una “tavola calda” dell’epoca, in quasi perfetto stato di conservazione. Con tanto di bancone, dolia, pitture, graffiti, anfore e contenitori sui resti organici individuati in fondo ai quali si va ancora indagando. Sui gusti e le abitudini enogastronomiche degli antichi romani, del resto, la curiosità è parecchia e di informazioni, più o meno attendibili, ne circolano molte da sempre.

Mesi prima però aveva attirato la mia attenzione anche un’altra notizia, meno importante ma non meno curiosa, che mi è stato facile ricollegare a quella della scoperta pompeiana. Avevo saputo infatti che a Novello, nel Piemonte langarolo e barolista, c’è un archeologo-sommelier che, filologicamente, non solo ha provato a fare il vino come ai tempi dell’Impero Romano, ma lo ha anche imbottigliato e messo in commercio. Si chiama Simone Tabusso. Così mi sono fatto mandare due bottiglie e abbiamo fatto due chiacchiere.

Simone Tabusso - Foto: targatocn.it

L'incipit è da mandare in sollucchero gli amanti del latinorum: "Nella Gallia cisalpina, regio IX, a poche miglia da Alba Pompeia, quattro anni fa iniziai le ricerche per la mia tesi di laurea sulla produzione del vino in età romana, dal titolo ‘Dalla vigna alla cantina: alcuni aspetti della produzione vinicola in Gallia Narbonese’. Seguirono - racconta Tabusso - studi e traduzioni delle fonti latine degli agronomi antichi come Catone, Columella, Varrone e altri, che celavano i segreti della produzione e della conservazione dell’antico vino romano, il quale veniva aromatizzato con erbe e spezie naturali per permettere una durata maggiore nel tempo, ovviando così alla mancanza di solfiti. Dopo due anni di prove di vinificazione ho aperto un’impresa di produzione dell’antico vino romano".


Le tipologie riportate ai nostri giorni da Tabusso sono due: il Purpureum e l’Aureum. "Il primo - sostiene Tabusso - è un rosso da abbinare a dessert e formaggi stagionati, ma che gli antichi romani utilizzavano per la gustatio, il nostro aperitivo. Il secondo è un bianco aromatizzato col defrutum (mosto cotto) e una miscela di erbe e spezie. E' un vino secco che si abbina bene ad aperitivi, primi piatti aromatici, secondi di pesce e carni bianche".


Tabusso in azienda ha creato anche un percorso museale in cui è possibile ammirare la riproduzione di una cantina romana con torchio, anfore e botti. "I vitigni che ho utilizzato sono la Barbera per il Purpureum e l'Arneis per il bianco: le fonti antiche non citano espressamente i vitigni utilizzati, ma per caratteristiche organolettiche questi mi sono sembrati i più adatti", racconta l'archeologo-vignaiolo. "In vigna ho utilizzato invece il metodo biologico, per avvicinarmi il più possibile alle pratiche del mondo antico".

Le difficoltà maggiori?

"Quelle burocratiche: essendo addizionato di aromi e spezie per la legge il mio non può essere chiamato vino, ma 'bevanda aromatizzata a base di vino' (cfr Reg. Ue N. 251/2014). Inoltre per la produzione ho dovuto dotarmi di una cantina totalmente separata rispetto a quella per la produzione convenzionale per non contaminare i prodotti".

Risultati commerciali?

"Siamo all'inizio perchè la prima uscita è stata nel 2019 e sicuramente il covid non ha agevolato il lavoro di comunicazione e di conoscenza del prodotto, che si appoggia molto sulle opportunità di visita esperienziale in cantina. Tuttavia siamo presenti su alcune enoteche del Piemonte e abbiamo aperto un'e-shop sul nostro sito per la vendita in tutta Europa. Il prezzo delle bottiglie al pubblico è di 15€".

Tecnicamente come funziona la produzione?

"Il prodotto è stato realizzato in inox come primo anno, perchè l'intento era quello di concentrarsi sull'aromatizzazione. In futuro verrà realizzato in coccio. Per quanto riguarda l'invecchiamento, sono state fatte delle analisi da parte di enologi che hanno messo in evidenza che il prodotto può essere conservato tranquillamente per 6/7 anni in bottiglia. Tuttavia, essendo appunto tutto nuovo, bisognerà valutare strada facendo l'evoluzione del vino".

In pratica è un prodotto multidisciplinare.

"Sì, infatti io non sono un tecnico, ma solo un sommelier e un appassionato di vino. Durante le prove mi sono però appoggiato a un amico enologo. Le tecniche di produzione e i macchinari utilizzati, tipo pigiadiraspatrici, sono moderni perchè purtroppo l'asl mal volentieri accetterebbe una pigiatura fatta con i piedi in vasche di cocciopesto. Per l'aromatizzazione però i miei vini seguono fedelmente le fonti degli agronomi latini: ho utilizzato gli stessi ingredienti descritti e, dove è stato possibile recuperarle, anche le unità di misura. In antichità queste tipologie di vino venivano definite vina condita, cioè appunto vini aromatizzati".

Non c'era il rischio che un vino antico riprodotto "filologicamente" risultasse sgradevole ai palati moderni?

"In realtà non ho utilizzato espedienti particolari per rendere i prodotti adatti al nostro gusto, anzi ho voluto rispettare le indicazione delle spezie e degli aromi nel modo più fedele. L'unico artificio è stata la filtrazione, per rendere il vino più limpido".

E l'"archenoturismo" come funziona?

A Novello, con mia madre, abbiamo Villa Anselma, con tre appartamenti per vacanze. A un anno dall'esordio il riscontro del pubblico è positivo. Principalmente lavoro con le degustazioni nella storia, come le chiamo io: ho creato un percorso museale che riproduce una cantina di 2000 anni fa, con le varie tipologie di torchio, le anfore, la riproduzione di una popina, cioè il bancone delle taverne, anche se in una versione più modesta di quella ritrovata a Pompei, e pure il rifacimento di un letto tricliniare su cui ci si può sdraiare per provare a sorseggiare una coppa di vino come gli antichi. Il percorso si conclude con una vera e propria degustazione organolettica del vino”.


Ed eccoci all'assaggio.

Purpureum, bevanda aromatizzata a base di vino, 12,5°

Di colore rubino brillante, caldo, non carico. Al naso rivela subito un intenso sentore mielato (principalmente di castagno) che poi si evolve lungamente in resina, china, rabarbaro, pot pourri di macchia e si chiude con note di nocciola. In bocca è dolce e caldo ma non stucchevole, ben equilibrato, con la melata di castagno e il mirto in evidenza e un lungo ritorno nocciolato al retrogusto.


Aureum, bevanda aromatizzata a base di vino, 12°

Di colore praticamente arancione, brillante. Al naso è intenso e penetrante, con il miele in evidenza su un tappeto melangiato di note macerate, spezie, frutta a polpa gialla matura e un lieve accenno balsamico. Al gusto è appena abboccato e un po' ruffiano, ma preciso, composto non invadente, molto pulito e piacevole. Tutto considerato, è proprio il caso di dirlo alla latina: prosit!

Martin Foradori: questa crisi ci apre le porto al futuro del vino - Delivery IGP


di Luciano Pignataro

Covid e mondo del vino. Abbiamo sentito Martin Foradori, eclettico produttore altoatesino e proprietario di Hofstatter. Ha anche una azienda in Germania e dunque il suo punto di vista può essere più completo.

Si è ormai quasi compiuto un anno, un ciclo intero, dall'inizio della crisi. Quali sono le cose che ti ha insegnato la nuova situazione.  Ossia, c'è qualcosa che hai iniziato a fare, considera, che prima non facevi o che avevi rimandato?

Il mondo vitivinicolo è molto tradizionale. Innovazioni e tecnologie, che in altri settori già presenti ed in uso da anni, non sempre nel mondo del vino vengono adottate con la stessa velocità. La digitalizzazione, indipendentemente se si tratta di online shop aziendali o piattaforme che permettono di comunicare senza filtri da una parte con il consumatore finale e dall’altra parte con il cliente aziendale (grossista, ristoratore, ecc.) sta ora avanzando con passi da gigante anche in questo mondo tradizionale.

Martin Foradori


Sei salito alla ribalta perchè sei andato di persona a prendere personale per la gestione delle viti e la vendemmia. Perchè sei stato costretto a farlo? Qual è la soluzione per quest'anno in cui,  presumibilmente, i termini saranno gli stessi?

Nella primavera del 2020 la pandemia ci ha colto di sorpresa. Tutti noi, in prima linea la politica e chi ci governa, non avevamo punti di riferimento né esperienza su come comportarci in una situazione di emergenza come quella del Covid19. Molte decisioni sono state prese in preda al panico, senza analizzare il peso delle stesse e le conseguenze. Inoltre, in quel periodo l’allora ministra Bellanova era indaffarata con i problemi dei lavoratori agricoli in Puglia che sicuramente andavano messi a posto, ma non si è occupata (così come tutti i rappresentanti di categoria) di comprendere e trovare soluzioni a diverse problematiche di altre zone d’Italia. La mancanza di personale specializzato in viticoltura era ed è un problema rimasto tuttora irrisolto e, finiamola di nasconderci dietro un dito e fare polemica, i nostri connazionali da decenni non vogliono più svolgere lavori manuali in vigna. Inoltre, per soffocare la polemica sul nascere, questi lavori nei vigneti non sono né da “spaccatore di pietre” né da “padrone sfruttatore di manodopera estera a basso costo”.  Per quest’anno, visto che ora un po’ di “esperienza Covid” ce l’abbiamo tutti, non prevedo grandi disagi nel fare arrivare via terra i nostri fidati collaboratori stagionali in Italia dalle loro patrie. Per quanto mi riguarda, la mia squadra prima di partire dalla sua nazione di residenza è tenuta a fare un test e poi, una volta arrivati a destinazione, facciamo fare un ulteriore test. Poi il lavoro in vigna viene suddiviso in più gruppi di piccole dimensioni ed i singoli collaboratori vengono fatti alloggiare in strutture aziendali sempre in gruppi più piccoli che in passato, con i dovuti e necessari distanziamenti.

Molte aziende hanno scoperto, o rafforzato, l'e-commerce. Pensi che sia una attività complementare o è destinata a diventare il canale di vendita principale

Mi collego a quello che ho detto poco sopra: la digitalizzazione non si fermerà più nel mondo vitivinicolo. L’e-commerce in futuro sarà onnipresente anche nel nostro settore e darà un sostanziale supporto alle aziende. L’e-commerce, secondo me, sarà complementare ai canali tradizionali, che saranno sempre prioritari come in passato. Sono convinto, che l’e-commerce e la digitalizzazione daranno molte opportunità di fare business a tutti, dall’enotecario fino al ristoratore. È importante non opporsi a priori alle novità, ma riflettere come poter al meglio adattare le nuove tecnologie ed opportunità nel e per il proprio business.


Tanti hanno riconsiderato la partecipazione alle fiere, ai convegni, al world show. Qual strategia pensi per la tua azienda? Confermerai tutto o rinunci a qualcosa?

Sinceramente le fiere ed i grandi incontri mi sono meno mancati dal punto di business, ma più da un punto “umano” di incontro personale con i clienti. Le fiere, e anche questa tematica non è nuova, vanno ripensate: più business e meno festa. Se in futuro sarà di nuovo possibile partecipare alle principali fiere del settore, io sarò il primo ad essere presente. L’aspetto “d’incontro” nel mondo del vino è importante e va curato.


Cosa avrebbe potuto fare lo stato italiano per stare più vicino al mondo del vino che non ha fatto?

Questa tematica è direttamente collegata alle chiusure di ristoranti e alberghi. Questi settori hanno fatto l’impossibile per mettere in sicurezza i loro locali ed alla fine sono rimasti i settori più penalizzati dai vari decreti. Per quel poco che oggi si sa della divulgazione del Covid, i contagi in queste strutture statisticamente sono minimi. Seppur con severe restrizioni e controlli da parte delle autorità, la ristorazione si poteva anche tenere in vita e con ciò tenere in vita tutta la filiera collegata ad essa: dei fornitori di alimentari, bevande, vino, ecc.

Tu lavori anche in Germania: con il passare dei mesi le due situazioni, anche dal punto di vista numerico, sembrano abbastanza simili. Qual è il tuo bilancio: ci sono, e quali, differenze per chi opera nel settore vitivinicolo?

I vini della mia azienda tedesca vengono prevalentemente venduti in Italia. Parlando con i miei colleghi viticoltori tedeschi però vedo molta preoccupazione, poiché una grossa fetta delle loro vendite, così come per la mia azienda altoatesina in Italia, viene generata dal reparto Ho.Re.Ca. . Quello che però differenzia l’Italia e la Germania è che la vendita a clienti privati in e dalla cantina in Germania ha molta più tradizione che in Italia. Questa fascia di clientela è rimasta molto fedele alle sue cantine anche e soprattutto in tempi di lockdown.

Infine: quali programmi per la tua azienda?

Digitalizzazione, digitalizzazione, digitalizzazione, non avere paura del futuro e convincere la propria clientela del settore Ho.Re.Ca. che il futuro ci ha già raggiunti e sorpassati. È ora di prendere questo treno ad alta velocità….

Abate Nero - Trentodoc “Cuvée dell'Abate” Riserva 2008


di Luciano Pignataro

Uno chardonnay trentino al massimo della sua complessità dopo una sosta sui lieviti di 80 mesi. 


Perlage fine ed elegante, grandissima vivacità, naso ricco. Un grande spumante da spendere a tutto pasto.

www.abatenero.it

Cantine Monfort - Monfort Rare Vintage 2008 Trento Doc


di Luciano Pignataro

Fra l'alluvione di metodo classico italiano e Champagne di questi ultimi due mesi il Monfort Rare Vintage è forse la bottiglia che mi ha colpito di più. Non perchè la più buona, ma perchè più caratterizzata e con una lunga storia dietro, che poi nel vino è la stessa cosa quando si sta ad alti livelli. 


La quarta generazione della famiglia Simoni ha deciso di raccontare i suoi primi 75 anni di storia in un modo davvero speciale: con questo spumante metodo classico realizzato da Chardonnay con un saldo di 20% di pinot nero fermentato in barrique di secondo passaggio, sosta di tre mesi sulle fecce e poi per ben undici anni sui lieviti. E con un giornale per raccontarlo! Chiara Simoni, che si occupa della comunicazione dell’azienda, ha voluto raccontare la storia della famiglia raccogliendo testimonianze, foto, poesie, ricette e aneddoti in un notiziario, nella forma di un quotidiano dove si trovano racconti dall’interno dell’azienda ad interventi esterni, frutto delle numerose collaborazioni che negli anni la cantina ha creato con i diversi attori del territorio.


Insomma, quelle piccole grandi imprese tipiche del mondo del vino quasi oniriche in un Paese depresso dove secondo i dettami bocconiani si cerca la ripresa tagliando i costi invece di creare valore aggiunto. 

La storia della famiglia inizia nel 1945 quando si realizza il sogno di Giovanni e dei suoi tre figli Germano, Guido ed Ermete che danno vita ad una piccola cantina per vinificare le proprie uve, prima a Palù di Giovo, in Trentino, tra i vigneti della Valle di Cembra e poi nel piccolo e affascinante borgo di Lavis, nei pressi del torrente Avisio, a nord della città di Trento. Lorenzo, figlio di Germano, nel 1987 crea “Casata Monfort”, una linea di vini pregiati dal carattere tipicamente trentino come il Müller Thurgau e il Traminer aromatico. 

Sono gli anni delle prime prove di produzione di bollicine trentine: nella cantina di Lavis Lorenzo, tra i primi produttori trentini a intuirne le potenzialità, inizia ad affinare le sue bottiglie di Metodo Classico, quando ancora non è nata ufficialmente la denominazione territoriale Trento Doc. Sotto il carattere mite, Lorenzo Simoni cela un intuito creativo, una grande capacità di anticipare i trend e di innovare la propria attività imprenditoriale, promuovendo la tipicità del vino trentino affiancato da tante famiglie di vignaioli delle colline di Trento, della Valsugana e dei vigneti terrazzati della Val di Cembra, che conferiscono le loro uve alla cantina. Nel 2011 entrano a far parte dell’azienda i figli Federico e Chiara, che rappresentano oggi la quarta generazione della famiglia Simoni.


Nel 2008 si vinifica la prima annata di Monfort Riserva dai vigneti di alta collina. All’epoca vengono prodotte 1800 bottiglie. Lasciate da parte 150, eccole qui dunque a girare per l'Italia per festeggiare il 75 anni.


In questi undici anni di attesa la bottiglia ha acquisito una complessità davvero speciale che la rende utile a tutto pasto, anche alle prese con piatti strutturati. La freschezza, il perlage fine ed elegante oltre che persistente, il naso agrumato con rimandi di pasticceria e di miele, il sorso pieno, di corpo, sapido, non piacione, la chiusura precisa ed autorevole ne fanno davvero un metodo classico da incorniciare e premiano lo sforzo comunicativo in un anno in cui finalmente il mondo del vino, incalzato dalle difficoltà della pandemia, ha iniziato di nuovo a lavorare di fantasia e creatività.

Filippo Antonelli: "Da Montefalco a Torre in Pietra, ecco come il mio vino combatte il virus!!"


di Carlo Macchi

Questa è praticamente un’intervista doppia perché Filippo copre due-tre ruoli: il primo e il secondo sono quelli di produttore di Sagrantino e Presidente del Consorzio Montefalco, il terzo è di produttore/ proprietario del Castello di Torre in Pietra (Roma), che vende soprattutto sul mercato romano, certamente uno dei più colpiti dalla crisi del Covid.



Prima domanda: parliamo di Montefalco: che differenza hai avete visto, come vendite, tra la prima e la seconda ondata?

I mesi di aprile-maggio 2020 sono stati drammatici e sicuramente aprile è stato molto peggio di adesso. Allora avemmo un calo del 70% e a maggio del 50%. Qui mi riferisco ai miei dati, che però, parlando con cantine amiche e associate, hanno confermato praticamente le stesse cifre. Per quanto riguarda la seconda ondata proprio gennaio 2021 è un mese difficilissimo, molto più complicato di dicembre 2020. E’ comunque molto presto per fare un bilancio. Nel complesso l’annata 2020 non è stata così drammatica perché a gennaio era partita bene e in estate abbiamo recuperato molto. Sicuramente si sono vendute più bottiglie di fascia media e bassa che non di fascia alta, però la sensazione generale è che guardando all’anno intero non ci sia stato una drastica diminuzione. 

Mi pare di capire che anche la seconda ondata sia stata tremenda ma eravate comunque già più pronti e organizzati. 

Si, perché molti si sono fatti il proprio shop online e magari cercato e trovato qualche altro canale e sistema di vendita. 

A Montefalco sono tutti produttori piccoli o medi, quindi canale HORECA e poco più: hai visto cambiamenti nella commercializzazione?

Sono aumentate molto le vendite tramite internet e inoltre, anche se il nostro canale principale è l’Horeca molti di noi sono nella GDO umbra. Questo settore non è cresciuto moltissimo perché lavorava principalmente col turismo e con gli americani che si riempivano i carrelli, però è servito per diversificare. Ribadisco che sono cresciute molto le vendite online tramite i più grossi distributori nazionali. Inoltre la ristorazione quando ha riaperto a maggio ha funzionato molto bene: in Umbria non si è mai lavorato come l’estate scorsa, con le località più famose piene di turisti e i ristoranti tutti prenotati. In prevalenza erano turisti italiani che però hanno speso quasi come gli americani. Qualche giorno fa ho ricevuto i dati delle fascette e c’è stato un aumento importante delle vendite dei vini bianchi e una diminuzione nei vini rossi di quasi il 15% 

A proposito di rossi: il Sagrantino è vino importante, strutturato, alcolico. Come si vende un vino del genere adesso, covid o non covid , e come il Montefalco Rosso può sopperire e subentrare. 

Partiamo dai bianchi, cioè dal Trebbiano Spoletino e il Grechetto: entrambi mi hanno dato una grande mano, come il Montefalco Rosso, che oramai da tempo è il vino di Montefalco più venduto. Oramai siamo sui 2.5/3 milioni di bottiglie, mentre sul Sagrantino siamo sul 1./1.2 milione di bottiglie. 

Quale è il miglior pregio di un produttore di vino in epoca di covid? 

La diversificazione! Per noi, ad esempio, è stato basilare avere un database con gli indirizzi dei nostri clienti, a cui abbiamo telefonato, quasi coccolandoli. Poi avere clienti sia in Italia che all’estero e fondamentale. Non dobbiamo essere in un solo canale. Quindi essere diversificati come mercati e come clientela è la strada da seguire. 

E il peggior difetto? 

In epoca di Covid è fare vini non serbevoli. 

Quali tipologia di vini pensi potranno superare meglio la crisi del Covid e in quest’ottica come si può inserire Montefalco? 

Non saprei. In periodo di Covid mi viene da dire che si stappino meno bottiglie importanti perché non si possono condividere con gli amici. Per il futuro proprio non saprei. 

Come presidente di Consorzio hai potuto rapportarti direttamente con le autorità, come valuti il loro operato? 

Le misure prese non sono state niente di straordinario ma sono comprensibili. In generale non credo che abbiano agito male, anche il fatto di aver bloccato i mutui e poterli ricontrare con le banche non è stato molto ma a qualcosa è servito. 

Un tema che mi è particolarmente caro, quello delle bottiglie pesanti. Potrebbe il Consorzio di Montefalco, per dare l’esempio, proporre una bottiglia per Sagrantino leggera e poco inquinante? 

Il problema è la forma, cioè trovare bottiglie che all’aspetto sembrano importanti ma pesino poco. Metterla a livello di disciplinare si può fare ma nel contempo vedo non facile renderle obbligatorie. 

Si tratterebbe magari di proporle come opzione, non di renderle obbligatorie. 

Su questo hai ragione, si potrebbe lavorare con una vetreria per trovare una bottiglia importante ma leggera. Come presidente del Consorzio potrei proporre la cosa. 

Veniamo a Torre in Pietra. Come è cambiato il mercato a Roma col Covid? 

Roma ha risentito molto di più dell’Umbria, perché non ha avuto il turismo nazionale che quest’estate non ha frequentato le città d'arte. Per assurdo a Roma hanno funzionato più i locali nei quartieri periferici che quelli nella zona centrale. 

Cosa hai fatto per adattarti alla situazione? 

Per quanto riguarda Torre in Pietra, dato che i nostri clienti sono per il 50% in zona Roma, siamo andati a portargli il vino a casa, gli abbiamo fatto delle offerte interessanti e la cosa ha funzionato. 

Cosa prevedi per il futuro del vino su Roma 

Non lo vedo male! Per quanto riguardo Torre in Pietra in particolare lo vedo abbastanza roseo perché negli ultimi anni i vini del Lazio sono ritornati abbastanza appetibili. 

E sull’Italia? 

Cresceranno le vendite online e per questo i produttori dovranno monitorare i prezzi per evitare di vendere a prezzi troppo alti o troppo bassi rispetto alle vendite non online. Ormai questo è un lavoro nuovo che noi stiamo facendo e dovremo continuare a fare.

Tenuta di Carleone - Chianti Classico 2018

di Carlo Macchi

Solo un “semplice” Chianti Classico ma più complesso, sapido, armonico di una sfilza di Gran Selezione o Supertuscan! 


Frutta matura, spezie, freschezza con tannini misurati ma vivi al palato, giovinezza, spensieratezza, con notevoli possibilità d’invecchiamento. Se dovessi scegliere un aggettivo direi “succoso”.

Quando il Chianti Classico era equiparato al grande Bordeaux o alla Borgogna e veniva venduto "en primeur"!

di Carlo Macchi

Quando parli con persone come Nanni Montorselli, vera e propria memoria storica del Chianti Classico, che al lavorato al Consorzio dal 1968 per ben 37 anni, scopri cose incredibili, storie meravigliose, aneddoti succosi. La storia della vendita en primeur del Chianti Classico non posso fare a meno di condividerla con tutti perché è troppo bella e fa pensare. 

Nanni Montorselli

Da un punto di vista enologico il 1970 è lontano secoli: Nel Chianti si stava uscendo definitivamente dalla mezzadria, le aziende che imbottigliavano non superavano la cinquantina ed erano per buona parte imbottigliatori, spesso di vini non certo irreprensibili in fiaschi. Le strade erano quasi tutte bianche e molte cantine avevano il pavimento in terra battuta e neanche la luce elettrica. Eppure, anche se lentamente le cose stavano cambiando, ma ben pochi avevano una visione che andava oltre le belle colline chiantigiane. Ma c’era qualcuno che cercava di andare oltre.

Nel Consorzio del Vino Chianti Classico, che aveva ottenuto la DOC da pochi anni (1967) si pensò di organizzare, addirittura, una vendita en primeur.

Nel 1970, per tre anni, il Consorzio del Chianti Classico organizzò al Castello di Spaltenna una vendita en primeur di Chianti Classico, strutturata più o meno come quella storica dell’Hospices de Beaune. 


Si battevano all’asta non pièces ma o botti da 30- 40-50 quintali o una parte di queste botti. La trance minima era di 1000 bottiglie da 0.75 cl, che venivano consegnate dopo 36 mesi. Il Consorzio garantiva le bottiglie e la loro tenuta fino al momento della consegna. Il primo anno vennero aggiudicate a 600/700 lire l’una mentre negli anni successivi si arrivò anche alle 1000 lire a bottiglia. Dopo tre anni la cosa finì, non certo per mancanza di acquirenti ma, afferma Nanni, per incomprensioni tra produttori e con il mondo politico locale che non dette certe una mano.


Pensate se più o meno un mese fa si fosse svolta la “Cinquantesima vendita en primeur del Chianti Classico” con il ricavato che magari sarebbe stato messo a disposizione per curare i malati di Covid. Non sarebbe stata una bella cosa? Nel tempo avrebbe certamente fatto parlare di questo territorio, e forse avrebbe anche influito sul modo di fare vino, perché vendere del sangiovese appena fatto, specie se con estrazioni accentuate, non è certo come proporre del pinot nero. Inoltre si sarebbe forse posta maggiore attenzione nella diversificazione per vigneti, proprio per proporre dei lotti con caratteristiche particolari e, last but not least, si sarebbe moderato, specie in certi periodi, l’uso del legno. 
Aldilà di questo sarebbe sicuramente servito per innalzare il prezzo del vino e dare maggiore consapevolezza ai produttori, specie nei periodi più critici. 

Purtroppo la cosa è morta sul nascere ed è inutile piangere sul vino versato.

Monterotondo: nel Chianti Classico il Covid-19 si affronta così! - Delivery IGP


di Roberto Giuliani

Saverio Basagni è un piccolo produttore di Gaiole in Chianti, che con sua moglie Fabiana Giuliani porta avanti l’azienda vinicola e agrituristica Monterotondo. Come lui stesso ci racconta “l’azienda nasce nel 1959 per volere di mio nonno, rimanendo un hobby di mio padre fino al 1994. Da allora io e mia moglie abbiamo deciso di fare di Monterotondo la nostra vita. Abbiamo ricostruito tutti i vigneti oramai vecchi e non più adatti a produrre vino di qualità. Adesso abbiamo circa 4,5 ettari di Chianti Classico, di cui 3,2 a Sangiovese e la rimanente parte a Canaiolo, Malvasia nera, Colorino, Ciliegiolo, Mammolo e altre uve locali anche a bacca bianca. 

Saverio Basagni

La cantina è stata negli anni rinnovata completamente e attrezzata con vasche e un impianto di imbottigliamento e confezionamento tutto in acciaio inox. La stanza di invecchiamento è stata arredata di botti da 7,5 hl e 10 hl dove i vini trascorrono un periodo di 12 mesi. La nostra filosofia è quella di produrre un ottimo vino senza l’utilizzo di prodotti chimici, infatti la nostra azienda è biologica dal 2003.” 


Saverio, l’arrivo del Sars-cov-2 ha colto tutti di sorpresa, i provvedimenti presi dal governo sono stati subito drastici con il primo lockdown di questo millennio. Che conseguenze ha portato nella vostra azienda e cosa avete potuto fare per ridurre il danno? 

Il lockdown ha fatto chiudere enoteche e ristoranti, che sono il nostro lavoro principale quindi totale azzeramento delle vendite. La distribuzione che si occupa della commercializzazione dei nostri vini in pochi giorni ha annullato tutti gli ordini di Pasqua, facendoci piombare in smarrimento e preoccupazione. Nelle settimane successive sono comparse offerte di siti e-commerce, poteva sembrare una soluzione immediata e di basso costo per le aziende, ma invece quello è un settore molto complicato e che richiede molta competenza per non incorrere in sanzioni e soprattutto per non cadere “incasso subito-con sconto”. Noi non abbiamo ceduto a questa tentazione. Purtroppo non abbiamo potuto fare quasi niente, siamo stai contattati da clienti fedeli che si sono fatti spedire a casa il vino, una piccola cosa ma in quel momento molto importante.

Il periodo estivo sembrava consentisse una seppur lenta ripartenza delle attività, ma in autunno siamo precipitati in una seconda fase altrettanto difficile. Nel frattempo tu e Fabiana avete affrontato la nuova vendemmia. Siete riusciti a trovare gli spazi sufficienti per poter vinificare la nuova annata?

Sì apparentemente c’era stata una timida ripresa con un po’ di lavoro di turismo tutto italiano, i ristoranti lavorando con meno della metà della capienza ci hanno fatto poco più del 20% del lavoro annuale. Purtroppo per poter arrivare alla vendemmia abbiamo dovuto con notevole sacrificio comprare un serbatoio grande per poter stoccare il vino non ancora imbottigliato. Comunque una vendemmia di qualità ma con grandi problemi. Certo è che un anno questa situazione la si può cercare di arginare, due no!

Da parte dello Stato che tipo di sostegno avete avuto? E il Consorzio del Chianti Classico quali azioni ha intrapreso per supportare i propri soci? 

Lo Stato ci ha dato due volte 300 euro. Purtroppo non siamo rientrati nel contributo a fondo perduto perché hanno calcolato il fatturato del solo mese di aprile dell’anno precedente; purtroppo questo calcolo è stato molto inadeguato per la situazione economica, le aziende agricola hanno sempre spese di gestione ogni mese, non si può fermarle come altre attività. Il Consorzio ci ha sostenuto nella prima fase con webinar su come lavorare sui social (quindi più una sponsorizzazione delle società di marketing! Perché sarebbe un investimento molto alto economicamente parlando) Successivamente ha reso operativo “il pegno rotativo”. Niente altro.

Ora siamo nel 2021, ma si da già per certa una terza fase con zone rosse, arancioni e gialle, sembra che il cappio continui a stringersi, pochi spiragli per essere ottimisti. Per voi che siete una piccola azienda a conduzione familiare e non potete contare sui grandi numeri, qual è l’impatto di un periodo così lungo di difficoltà e quali strategie pensate di adottare per portare avanti l’attività? 

Pregare!!!!! A parte gli scherzi, essere una piccola azienda da un lato in questo momento ci aiuta, parlando di non avere dipendenti e personale da stipendiare. Cerchiamo di fare tutto in casa senza aiuti esterni, limitando così le spese. Cerchiamo di mantenere i contatti con i nostri clienti e speriamo in una piccola ripartenza almeno in primavera. Fermo restando che nulla sarà come prima e nessuno può sapere come ripartiremo, sicuro che la strada è tutta in salita.

Casa Setaro - Vesuvio Caprettone "Aryete" 2019


di Roberto Giuliani

Uno dei vitigni a bacca bianca più interessanti della regione campana, concentrato in area vesuviana. 


L’Aryete 2019 proposto da Massimo Setaro è un eccellente esempio a piede franco, dai profumi intensi di ginestra, gelsomino, cedro e pesca; bocca sapidissima e succosa, minerale, da non perdere. 

www.casasetaro.it

La grandezza del Barolo Bussia 2016 di Giacomo Fenocchio

di Roberto Giuliani

Chi conosce Claudio Fenocchio sa bene che la sua azienda di Monforte d’Alba è sempre stata annoverata fra quelle fortemente legate alla tradizione. Questo fatto, però, non significa staticità, mancanza di visione, resistenza a qualsiasi cambiamento, che certamente non riguardano il noto produttore langhetto, che ha sempre cercato di migliorarsi e ha trovato un eccellente “consigliere” nell’enologo Emiliano Falsini, con il quale ha portato avanti un lavoro profondo di ricerca e sperimentazione, che ha portato ad esempio al fantastico Barolo Bussia 90 Dì, il cui numero rappresenta i giorni in cui il nebbiolo è rimasto a macerare con le bucce, frutto di anni di prove con lo scopo di ottenere la migliore estrazione possibile, senza componenti indesiderate, per un grande vino che ha rimpiazzato il Barolo Riserva. L’arrivo di questo cavallo di razza non deve farci però dimenticare l’importanza dei quattro cru aziendali Bussia, Villero, Cannubi e Castellero. 

Giacomo Fenocchio . Foto: James Magazine

Oggi ho scelto di raccontarvi del Barolo Bussia 2016, figlio di un’annata che è già stata considerata fra le migliori del terzo millennio, di quelle che saresti disposto a pagare oro per averne almeno una così ogni 4-5 anni. È andata alla grande un po’ in tutta la Langa, regalando un clima quasi sempre equilibrato, senza picchi caldi o freddi, piogge giuste nei momenti giusti, vendemmie perfette, con un’unica interruzione piovosa il 14 e 15 ottobre, ma senza conseguenze per la raccolta, che è ripresa subito nei giorni seguenti. 


Bussia è sicuramente la Menzione Geografica Aggiuntiva (MGA) più nota e desiderata, ma anche la più ampia ed eterogenea, i vigneti di proprietà di Fenocchio sono distribuiti nelle sottozone Munie e Sottana per un totale di circa 5 ettari. Il vino subisce una macerazione di 40 giorni e sosta per 30 mesi in botti di rovere di Slavonia da 35 a 50 ettolitri. 


Il colore granata caldo è già un chiaro segnale dello stile rispettoso di Claudio; quando si ha a che fare con un Barolo, una volta versato nel calice, la fretta va accantonata, non ha alcun senso guardare l’orologio, tanto più il vino è grande, tanto più si aprirà con il passare dei minuti. 
Non si fatica comunque a percepire nei primi istanti un netto profumo di rosa e liquirizia, seguito da ciliegia matura, emergono spezie dolci e la sensazione generale è di una bella maturità, si coglie anche una curiosa sfumatura di lavanda, poi mentolo, terra umida e sottobosco. 


Al palato mostra tutto il suo carattere, tannino ben presente ma di grana finissima che si integra subito nella trama fruttata e speziata, si arricchisce poi di riflessi pepati; colpisce per l’ottima freschezza e per una notevole profondità nonostante la sua giovane età. Bevetene almeno una bottiglia ora, poi mettetelo in cantina senza paura di possibili cedimenti per un decennio, se avete tutta sta pazienza di aspettare…