Il Vinitaly 2019 nel segno dello Schioppettino di Prepotto - Garantito IGP

di Lorenzo Colombo

Era dall’ottobre 2013 che non assaggiavamo un simile numero di Schioppettino di Prepotto.
Quella volta era stato in occasione dell’evento “SCHIOPPETTINO DI PREPOTTO – Unico per natura”, che s’era tenuto nel comune di Prepotto, in provincia di Udine.
In quella circostanza avevamo visitato anche il Vigneto Catalogo”, un appezzamento formato da diciassette filari, i primi otto dei quali composti da vecchie viti (anche centenarie) di Schioppettino, tutte innestate sul medesimo portinnesti.

Questo vigneto, creato nel 2005, e curato da tutti i produttori aderenti all’Associazione Produttori Schioppettino di Prepotto (Associazione nata nel 2002), ha tuttora lo scopo, oltre che salvaguardare la biodiversità genetica del vitigno, di valutare la potenzialità produttiva e qualitativa delle singole piante.
Allora scrivemmo che avevamo notato un notevole miglioramento sia nella qualità che nell’identità dei vini rispetto al passato. Oggi possiamo dire che il miglioramento è proseguito, e, osservando le valutazioni che allora avevamo dato ai vini (vedi) notiamo un ulteriore e generalizzato salto qualitativo.

Credit: Eco della Stampa

Lo Schioppettino di Prepotto in realtà non è una specifica denominazione, ma una sottozona della più ampia Friuli Colli Orientali Doc. All’interno di quest’ultima possiamo poi trovare anche la specificazione del vitigno, ovvero Friuli Colli Orientali Doc Schioppettino.
Il territorio della sottozona è limitato ad una parte del singolo comune di Prepotto, dove si trovano una trentina dei circa ottanta ettari totali che costituiscono l’estensione vitata del vitigno nella Friuli Colli Orientali Doc.

Vigne 

Il disciplinare di produzione prevede un affinamento minimo del vino in botti di legno per almeno dodici mesi, mentre la messa in commercio non può avvenire prime del mese di settembre del secondo anno successivo alla vendemmia (quarto anno per quanto riguarda le “Riserva”). Il quantitativo di Schioppettino di Prepotto prodotto attualmente è di circa 80mila bottiglie.


Ma veniamo alla degustazione odierna, effettuata durante i giorni del Vinitaly, dove, seppure con i ridottissimi tempi che, causa il sovraffollamento d’impegni che la fiera impone, abbiamo potuto assaggiare tredici vini, otto dell’annata 2016 e cinque della 2015, proposti dai produttori appartenenti all’Associazione Produttori Schioppettino di Prepotto.


Si tratta di descrizioni di massima e piuttosto sintetiche, che richiederebbero una degustazione più accurata, cosa non possibile in un ambito come il Vinitaly.

Annata 2016

Vini nel complesso di buona uniformità, caratterizzati da color rubino luminoso e da una nota speziata, freschi, fruttati e dalla piacevole beva.

Pizzulin
Color rubino luminoso. Intenso e pulito al naso, fresco, fruttato, speziato. Fresco anche al palato, succoso e sapido, con un bel frutto rosso ed accenni aromatici, note vanigliate, buona la persistenza.

Vie d’Alt
Rubino luminoso. Discretamente intenso al naso, presenta accenni affumicati. Mediamente strutturato, fresco, succoso, con un bel frutto ed una buona persistenza.

Vigna Lenuzza
Color rubino luminoso. Fresco ed intenso al naso, fruttato, con note balsamiche. Fresco, sapido, fruttato, mediamente strutturato, buona la sua persistenza.

Stanig
Rubino il colore. Balsamico, con accenni di cuoio e di legno dolce. Stessi sentori percepiamo alla bocca dove i tannini ci paiono leggermente asciutti, buona la persistenza.

Grillo Iole
Color rubino luminoso. Buona l’intensità olfattiva, presenta note balsamiche, frutto rosso e spezie dolci. Di buona struttura, fresco, sapido, fruttato, succoso, asciutto, con buona persistenza.

Valerio Marinig
Color rubino luminoso di buona intensità. Intenso al naso, balsamico, legno dolce, leggere note mentolate. Buona la struttura, succoso, legno dolce, accenni spezie piccanti (note pepate), asciutto, tannini importanti, buona la persistenza.

Ronco dei Pini
Color rubino di buona intensità. Balsamico al naso, legno dolce, spezie, leggera nota piccante. Di discreta struttura, succoso, con accenni piccanti e buona persistenza.

Antico Broilo
Color rubino-granato. Intenso al naso, accenni di cuoio e di legno dolce. Buona la struttura, come pure la trama tannica, sapido, asciutto, succoso, speziato, buona la persistenza.

Annata 2015
Annata climaticamente assai diversa rispetto alla 2016, inoltre i vini hanno potuto godere di un maggior affinamento, caratterizzandoli diversamente dal punto di vista organolettico.

Vigna Petrussa
Color granato. Buona l’intensità olfattiva, note balsamiche e vanigliate, frutto rosso macerato. Succoso, morbido, di discreta struttura, con bella trama tannica e lunga persistenza.

Vigna Traverso
Color rubino di buona profondità. Intenso al naso, fruttato, balsamico, con note floreali. Di buona struttura, intenso, frutto rosso, spezie (pepe), ritroviamo la nota floreale, buona la persistenza.

Colli di Poianis
Granato il colore. Balsamico al naso, spezie dolci, vaniglia. Succoso e fresco, di media struttura, presenta leggere note aromatiche, buona la persistenza.

Ronc Soreli
Profondo ed intenso il color granato. Buona l’intensità olfattiva come pure l’eleganza, balsamico, mentolato, con sentori di legno dolce. Fresco, strutturato, con bella trama tannica, note mentolate e legno percepibile, buona la persistenza.

La Buse del Lôf
Color rubino luminoso di discreta intensità. Fresco e fruttato al naso (ciliegia), accenni balsamici. Buona la struttura, note piccanti (pepe), succoso, legno percepibile, buona la persistenza.

Taste Alto Piemonte 2019: focus sul Gattinara in degustazione




Queste rocce che vedete, raccolte lungo la strada verso la Torre delle Castelle, che dall'alto della collina domina Gattinara, sono porfidi quarziferi del Biellese. Rappresentano, assieme al Monte Rosa e al suo influsso climatico, un tassello importante del terroir di Gattinara, Boca e parte di Bramaterra. La loro presenza si deve al Supervulcano che circa 300 milioni di anni fa, quando sulla Terra esisteva un solo continente chiamato Pangea, è esploso eruttando un'immensa quantità di materiale che 30 milioni di anni fa, a causa della collisione tra la placca africana e quella europea che ha poi formato le Alpi, è stata riportata in superficie formando l’attuale Geoparco Sesia Val Grande. La presenza di questi porfidi caratterizza i vini della zona conferendo loro grande acidità (ph4) e mineralità. 

Nervi – Gattinara 2015: impianto olfattivo fresco con importanti richiami balsamici che col passare del tempo lasciano spazio a note più territoriali dove ritrovo la mineralità rossa associata ad una bella sensazione agrumata di arancia amara. Al sorso è altezzoso, coerente, deciso, con un finale sapido la cui chiusura, leggermente amaricante, richiama le erbe aromatiche.


Franchino – Gattinara 2013: questo nebbiolo dell’Alto Piemonte lo riconoscerei tra mille per il suo vestito d’antan che non è altro che lo specchio di Mauro Franchino, storico vignaiolo di Gattinara, le cui vendemmie alla spalle sono commisurate alle rughe del suo viso. E’ un vino tradizionale, sincero, territoriale e senza fronzoli. Lo ami o lo odi.


Antoniolo – Gattinara “Osso San Grato” 2013: da questo importante Cru di Gattinara nasce sempre un nebbiolo austero ed aristocratico e, se non si ha il palato allenato per certe durezze, accentuate da una acidità decisamente elevata, può essere di difficile definizione. Degustato giovanissimo, come in questo caso, è ancora più enigmatico anche se è impossibile non percepire tutto il potenziale di questo Gattinara che, alla stregua di una supernova, è pronto ad esplodere in tutto il suo splendore. Bisogna solo dargli tempo, l'unico prezzo che dobbiamo pagare per goderci in futuro una bevuta indimenticabile.


Vegis – Gattinara 2013: venire dopo Antoniolo non è mai semplice soprattutto quando il vino, come in questo caso, non gode di grandissima complessità olfattiva rimanendo, anche quando lo bevi, molto schietto ma senza alcun guizzo che ti faccia strabuzzare gli occhi.


Caligaris Luca – Gattinara 2011: bizzarro l’impianto olfattivo dove arrivano forti sensazioni affumicate. Penso sia una bottiglia “problematica” ma poi le note di degustazione di Ernesto Gentili mi fanno capire che questo Gattinara, chissà perché, con l’evoluzione tira fuori queste note empireumatiche che, in maniera decisa, vanno ad oscurare gli altri odori di questo nebbiolo che riportano la mente al sottobosco, ai fiori rossi secchi e alla frutta macerata. Al sorso è decisamente più convincente grazie ad una buona tensione acida e ad un allungo sapido nel finale decisamente dinamico.


Torraccia del Piantavigna – Gattinara 2008: la terziarizzazione del nebbiolo di Gattinara si fa più evidente in questo vino dal fascino indiscutibile anche se con qualche capello bianco in più. L’impatto olfattivo, assolutamente cangiante, è un mix di sensazioni di legno di sandalo, tabacco dolce, rabarbaro, cola, mallo di noce, erbe aromatiche ed agrumi in confettura. Il palato è tutto giocato sul filo dell’ossidazione e su un profilo signorile, mai demodè, che rendono questo Gattinara una sorta di Sean Connery liquido dell’Alto Piemonte.


Cantina Delsignore – Gattinara Riserva “Borgofranco” 2013: dedicato alla città di Gattinara, simbolo di libertà ed autonomia sin dal 1242 quando ricevette la qualifica di Borgo Franco dalla Repubblica Vercellese, questo nebbiolo in purezza, fortunatamente, mantiene tutte le promesse di una Riserva seppure ancora in fasce. Impianto olfattivo estremamente variegato dove i toni di frutta rossa, tra cui spicca l’arancia sanguinella, le sensazioni di viola ammola e la mineralità rossa da porfido sono perfettamente integrate donando profondità ed ampiezza. Al sorso la struttura si delinea precisa anche grazie ad una trama tannica vibrante ben sorretta da una scia acido/sapida di grande impatto che fa preludere ad una vita media di questo vino che andrà oltre la mia. Finale succoso, sapido e lunghissimo.


Cantine Dei - Rosa 2018

di Stefano Tesi

Per l’estate 2019 anche una rossista come Caterina Dei si converte al rosato con questo Sangiovese 100% di un delicato rosa antico, ma che al naso rivela un profumo vigoroso e asciutto e in bocca offre una verticalità acida e salata quasi sorprendente. 


Godibile e niente affatto ovvio. Sembra una ballata (https://www.youtube.com/watch?v=2LXeH0xWBLY) delle Indigo Girls!

Chianina & Syrah: a Cortona tre giorni di festa tra vino e ciccia


Dopo i successi delle passate edizioni, torna Chianina & Syrah l’attesa tre giorni per la valorizzazione di due simboli della Valdichiana nonché icone del buon vivere toscano: la pregiata razza Chianina e il Syrah. 


Un evento pieno di appuntamenti culinari, meeting, incontri culturali, musica, masterclass, showcooking, presentazione di attività artigianali e cene con la partecipazione di Chef stellati da tutta Italia.   L’evento, ideato e organizzato da Terretrusche Events e sostenuto dal Comune di Cortona e dai Comuni della Valdichiana aretina, con la preziosa collaborazione del Consorzio Cortona Vini, Strade del Vino, Associazione Amici della Chianina La Valle del Gigante Bianco, Associazione Cuochi Arezzo, ristoranti di Cortona, ha come obiettivo quello di presentare il “Buon Vivere” in Toscana, in una città come Cortona, già sede di tanti eventi di successo legati all'enogastronomia.   “Con questo e altri eventi sul territorio” dichiara Vittorio Camorri, Presidente  di Terretrusche, “vogliamo portare l’attenzione, non solo sulle produzioni locali come la Chianina e il Syrah, ma anche creare dei momenti di contaminazione tra grandi chef e realtà locali e soprattutto diffondere la cultura del Buon Vivere in terra toscana per  incrementare i flussi turistici anche nei periodi di bassa stagione”.

Momenti di incontro che hanno ormai finalità più ampie rispetto alla partecipazione in loco,  e cercano di mediare valori molto importanti legati alla gastronomia come il creare una rete di operatori che condivida la filosofia della tracciabilità e dell’utilizzo di prodotti della filiera corta. Un appuntamento questo di Chianina & Syrah che racconterà tutto questo in un programma ricco di personaggi e incontri come si può vedere dal calendario allegato.  Ami la Toscana,  il Syrah, la Chianina? Sei appassionato di Vino, Cucina e Musica?  Non puoi allora mancare a Cortona dal 12 al 14 Aprile:  celebriamo il Buon Vivere nel più grande evento della Valdichiana.

Programma

Venerdì 12 aprile

Cortona: Chiostro di Sant'Agostino 19:00 - 20:30 APERITIVO SUL CHIOSTRO  I grandi Chef italiani incontrano i grandi vini di Cortona  Cocktail a cura di Tuscher Bar e Aibes,  Special guest: Sabatini Gin   Cortona: Auditorium di Sant'Agostino    20:30   CENA DI GALA STELLATA  Il Gigante Bianco sposa la Principessa Syrah  Gli chef di Cortona ospitano i maestri del gusto:  Paolo Gramaglia - Ristorante President, Pompei, chef 1 Stella Michelin; Silvia Baracchi - Ristorante Il Falconiere, Cortona, chef 1 Stella Michelin; Umberto di Martino - Ristorante Florian Maison, Bergamo, chef 1 Stella Michelin; Filippo Saporito - Ristorante La Leggenda dei Frati, Firenze, chef 1 Stella Michelin; Sergio Mei - Four Seasons, Milano, executive chef; Massimiliano Mandozzi - Casta Diva Resort, Blevio, executive Chef; Emiliano Rossi –Chef Osteria del Teatro Cortona Shady Hasbun, chef ospite della Prova del Cuoco; Emilio Signori - Locanda La Luna, Tirli, chef ospite della Prova del Cuoco; Matteo Donati - Ristorante Donati, Castiglione della Pescaia, chef; Marialuisa Lovari - Resort il Verreno, Ambra, chef dell'Equipe Alta Cucina Toscana; Keoma Franceschi, chef dell'Equipe Alta Cucina Toscana; Paolo Paciaroni - Relais Borgo Lanciano, Lanciano, executive chef; Stefano Lorenzoni - Pasticceria Arte Dolce, Monte San Savino, pastry chef. Sergio Dondoli: Gelatieria Dondoli San Gimignano (SI)   Durante la serata saranno consegnati i premi "Buon Vivere Chianina & Syrah 2019" a grandi nomi che si sono distinti nel 2018 per essersi impegnati nella valorizzazione e comunicazione delle eccellenze di un territorio e serviti da sommelier AIS solo vini Syrah di oltre 20 cantine di Cortona. Ospite d'onore: la cantina siciliana Tasca D'Almerita con i vini Syrah della Tenuta Sallier de la Tour. Ospiti speciali: il sommelier Luca Martini, miglior Sommelier del mondo 2013, gli enologi Umberto Trombelli e Renzo Cotarella.  Musiche di OIDA, orchestra instabile di Arezzo.  Solo su prenotazione euro 65,00 a persona

Sabato 13 aprile

10:30 - 19:00   MOSTRA DEGUSTAZIONE  Cortona Auditorium Sant'Agostino  Il vino Syrah, la razza Chianina, il buon vivere Degustazioni di oltre 24 cantine produttrici del territorio di Cortona, abbinate a piatti proposti da ristoranti locali e chef aderenti. Ingresso € 15 con 3 degustazioni di Chianina e degustazioni vini libere.   08:30 - 12:00   Camucia Piazza Chateauh Chinon Camucia 66° MOSTRA DEL VITELLONE BIANCO DELL'APPENIMO CENTRALE   Esposizione di oltre 100 bovini di razza chianina, animali da selezione iscritti al libro genealogico nazionale, vitelloni da macello e femmine da carne pregiata, degli allevamenti delle province di Arezzo e Siena. La manifestazione coinvolge infatti gli allevamenti di tutte le vallate vicine: Valdichiana aretina e senese, Casentino e Valtiberina.  Cortona Auditorium Sant'Agostino  11:00 COOKING SHOW  Dimostrazione di cucina dello chef Sergio Mei dal 1969 Executive Chef del Four Season di Milano    La Chianina secondo Sergio Mei. “Reinvento E Reinterpreto Ricette Tradizionali. La Perfezione Non Esiste; Ma Esistono Ricette Straordinarie” Sergio Mei   12:00 – 12:30 TALK Presentazione del libro: La Fiorentina Osti, macellai e vini della vera bistecca. Di Aldo Fiordelli, giornalista e critico enogastronomico dell’Espresso e del Corriere della Sera, con la speciale partecipazione di macellai del territorio, Aldo Iacomoni, Macelleria da Aldo Monte San Savino, Franco neri, macelleria del Consorzio Agrario di Siena sede di Bettolle   12:30 - 14:30 DEGUSTAZIONE Chianina & Syrah Experience Pranzo sul Chiostro con Masterclass "Com'è la vera Fiorentina" secondo il critico enogastronomico Aldo Fiordelli, con dimostrazione di cottura della pregiata bistecca di razza Chianina con i grandi macellai della Valdichiana.  Cottura a vista della pregiata bistecca di razza chianina. Possibilità di degustare una bistecca da 1 kg con abbinati 3 vini del territorio di Cortona e 1 vino della cantina siciliana ospite Tasca d'Almerita.   12:00 - 14:30    SHADY'S BURGER for Chianina & Syrah.Direttamente dalla prova del cuoco lo Chef aretino ha creato uno speciale burger per la manifestazione. In anteprima per Chianina e Syrah lo Shady's  Burger    panino al sesamo chutney alle cipolle e Syrah pomodoro hamburger di Chianina IGP valeriana maionese all'Aglione   15:00 - 16:00 MASTERCLASS Masterclass del wine blogger Francesco Saverio Russo La poliedricità della Syrah di Cortona  Degustazione di 6 diverse espressioni del vino simbolo dell'areale cortonese.  16:00 - 17:00 TALK Tavola Rotonda con l'esperta Roberta Garibaldi. Modera Luca Managlia di Identità Golose Scopriamo insieme la ricetta del Turismo enogastronomico. La Chianina e il Syrah due eccellenze della Valdichiana. Per il Rapporto sul Turismo Enogastronomico Italiano 2019 redatto da Roberta Garibaldi, la Toscana è anche la prima regione per numero di agriturismi (4.568), per numero di Strade del Vino e dei Sapori (22) e per numero di tour operator stranieri che la offrono al primo posto tra le proposte (il 72%), nonché la più prenotata su TripAdvisor per “tour gastronomici” e “tour enologici & degustazione vini”.  18:00 - 19:00 MASTERCLASS Masterclass del wine blogger Francesco Saverio Russo Cortona in Rosa - Sfida impossibile o scommessa vincente? - Degustazione di 6 vini rosati fermi da uve Syrah. Durante tutta la giornata degustazioni sensoriale di musica e vino con OIDA - orchestra instabile di Arezzo.

Domenica 14 aprile

10:30 - 19:00 MOSTRA Il vino Syrah, la razza Chianina, il buon vivere Degustazioni di oltre 24 cantine produttrici del territorio di Cortona, abbinate a piatti proposti da ristoranti locali e chef aderenti.  Ingresso € 15 con 3 degustazioni di Chianina e degustazioni vini libere.  12:00 - 13:00 COOKING SHOW Dimostrazione di cucina della chef Silvia Baracchi, 1 stella Michelin, ristorante Il Falconiere, Cortona  Cosa cresce sotto il Sole della Toscana  I grandi piatti del relais chateaux Il Falconiere abbinati ai grandi vini della Baracchi winery  13:00 - 15:00 DEGUSTAZIONE Chianina & Syrah Experience Pranzo sul Chiostro con il critico enogastronomico Leonardo Romanelli, con dimostrazione di cottura della pregiata bistecca di razza Chianina con i grandi macellai della Valdichiana e Andrea Berti delle coltellerie Berti che presenterà il famoso coltello Valdichiana. Al taglio della Bistecca il Macellaio Claudio Lunghini Cottura a vista della pregiata bistecca di razza chianina. Possibilità di degustare una bistecca da 1 kg con abbinati 3 vini del territorio di Cortona e 1 vino della cantina siciliana ospite Tasca d'Almerita.   15:00 - 16:00 MASTERCLASS   Masterclass del critico enogastronomico e sommelier Leonardo Romanelli  Il Syrah di Cortona negli anni: la potenzialità di un vitigno espressa attraverso la sua longevità attraverso la degustazione di un’annata uguale per tutti i produttori prescelti: il 2010 , insieme al vino della tenuta Sallier de La Tour, azienda siciliana che aiuterà a capire quando incida la differenza del Terroir nell’espressione del Syrah 16:00 – 17:00 COOKING SHOW Dimostrazione di cucina dello chef Emiliano Rossi, Osteria del Teatro, Cortona La Chianina secondo lo Chef Emiliano Rossi: tra tradizione e innovazione 17:00 - 17:30 TALK   Presentazione del marchio Chianina&Aglione Il marchio che unisce due grandi eccellenze della Valdichiana per raccontare un territorio attraverso due grandi prodotti.  Durante tutta la giornata degustazioni sensoriale di musica e vino con OIDA - orchestra instabile di Arezzo.

Mangiare bene nel Chianti Classico: Osteria Le Panzanelle

di Stefano Tesi

Sarà anche vero che, traboccanti il vaso e il business della cucina stellata e gourmet - o ancor di più del baraccone di stardom comunicativo che un certo sistema si porta appresso, fate voi - le trattorie stanno tornando un po' strumentalmente di moda. Ma, almeno per quanto mi riguarda, l'amore verso i locali defilati e campagnoli non c'entra coi trend, bensì con la nostalgia. O meglio con odori, sapori e atmosfere di quando, da bambino del tutto estraneo alla dialettica del palato e attento solo ai messaggi diretti della gola, la domenica andavi a pranzo con la famiglia nei ristoranti rustici un po' fuori mano che solo il tuo babbo (pensavi tu) poteva conoscere. E non capivi come.


Purtoppo il dilagante mangificio toscano e la retorica del tipico hanno, anche e soprattutto nella mia regione, ridotto al minimo l'esistenza delle trattorie rispondenti ai tre, soli, veri requisiti che dovrebbero connotare questa benemerita categoria. Primo: una cucina solida, saporita, casereccia, subito riconoscibile e tuttavia mai caricaturale ad usum turistarum. Secondo: a dispetto del punto uno, una leggerezza finale dettata dalla qualità delle materie prime e dalla mano esperta della cuoca (già, perchè in trattoria i cuochi sono più spesso donne, come da antico retaggio rurale). Terzo: un conto accettabilmente in linea con la semplicità del locale, perchè di trattorie care come gli stellati ne abbiamo piene ciò che sapete.


Ebbene, in questa prospettiva, da qualche anno, ogni volta che passo da Lucarelli - frazione di Radda in Chianti e a occhio un centinaio di anime proprio, a ridosso del confine tra le provincie di Siena e Firenze - mi fermo a mangiare un boccone a Le Panzanelle.
Per i miei pranzi-nostalgia ha tutto: l'uscio proprio sulla strada, la classica saletta a travi e correnti al pianterreno e una più vasta sala al piano di sopra, cui si accede con l'immancabile stretta scala dall'ingresso. Arredo sobrio quanto basta ad evitare l'effetto cartolina e una clientela variopinta che spazia dallo straniero residente alla famigliola locale che porta il nonno a pranzo nel giorno di festa, da qualche produttore chiantigiano alle personalità locali. E tanta gente normale.
Sarà per questo che ogni volta che ci vado incontro qualcuno che conosco. Ma a darmi conforto sono il cibo e il vino.


L'ultima volta (il menu cambia unas volta al mese) gli antipasti erano ovviamente quelli nostrani, ma i crostini erano veraci, i salumi più che buoni e gli involtini caldi di malanzane una piacevole sorpresa. Coi primi si va sul sostanzioso: gli spaghetti di Pesticcia (funghi, pomodoro e salsiccia) sono assai saporiti ma per stomaci robusti, non da meno le pappardelle sulla nana, mentre più accessibili risultano le lasagne di zucca gialla e porri. Tra i secondi, per gli amanti del genere è consigliata la cotoletta di trippa, altrimenti il peposo di guancia o l'immancabile bistecca, anche se i miei commensali consigliano pure l'ossobuco. Contorni classici e sapidi, dolci pochi ma buoni, pane buonissimo che infatti finisce subito e te lo devono riportare.


A questo punto il conto è sui 35 euro, che potrebbero apparire non economicissimi (ma neppure troppi, considerato lo standard chiantigiano).
Il bello arriva con la carta dei vini che, in contrasto col menu scarno, non solo spazia con una certa originalità, abbondanza (circa 300 "referenze", perdonate l'abominevole espressione) ed acume in Italia e all'estero (oltre a sguazzare per i Gallo Nero e in Toscana, si capisce), ma propone le bottiglie a ricarichi, come si usa dire, "onestissimi". Io direi anche di più, perchè con meno di venti euro si bevono dei vini da fare le capriole e ci si toglie pure lo sfizio di provare quello che non si conosce. Ah, d'estate si mangia pure all'aperto.

Osteria Le Panzanelle
Località Lucarelli, 29 53017 
Radda in Chianti, Siena - Italia
Tel./Fax. +39 0577 733511
Chiuso il Lunedì.

Salvatore Murana - Moscato di Pantelleria "Mueggen"


Nasce da quella che è definita "l'isola dell'isola", la zona più lontana dal mare e più nascosta. Dopo 21 anni questa bottiglia del mitico.


Salvatore Murana lascia la strepitosa cantina della Taverna del Capitano per presentarsi al pubblico: fresca, giovane, datteri, fichi, note balsamiche. Stupendo.

News dalla Campania: la Barbera del Sannio diventa Camaiola


di Luciano Pignataro

Da Barbera del Sannio a Camaiola, ecco il cambio all’anagrafe di uno dei vini più moderni, allegri, bevibili, tipici della nostra amata regione. L’areale di cui parliamo è Castelvenere, piccolo paese appollaiato sulla Valle Telesina che ha una caratteristica, quella di essere il centro più vitato della Regione.
Questo vino rosso è il vino della festa, si abbina alla Scarpella, tipica lasagna di Carnevale di cui ogni casa conserva il suo prezioso ingrediente segreto. E’ moderno perché leggero, profumato, abbinabile al cibo, immediatamente riconoscibile anche se non si è esperti di vino. Per anni i produttori hanno dovuto spiegare ai loro interlocutori che non era la Barbera del Piemonte anche se portava lo stesso nome. Come Chiamarsi Maradona e spiegare prima ancora di farsi conoscere, che non sei parente del famoso calciatore e che addirittura non hai mai tirato un calcio a un pallone.


L’operazione è partita da Castelvenere, il «paese più vitato del Sud», dove recenti ricerche hanno portato alla luce la coltivazione, agli inizi del ‘900, di una varietà chiamata camaiola, il cui nome scompare proprio quando prende ad affermarsi – a partire dallo stesso paese – quello di barbera. La storia è lunga, si intreccia con l’emigrazione temporanea nel Nord America di quelli che poi diventarono i primi produttori-imbottigliatori castelveneresi, che Oltreoceano conobbero la grande notorietà del nome barbera, allora il vino più famoso al mondo. Si intreccia con vicende religiose, considerato che proprio in quei decenni era forte l’attivismo in questo paese del Sannio di una cellula valdese (con un forte scambio con il Piemonte). E si intreccia – vuole il caso – con la necessità di quei vignaioli di distinguere il proprio prodotto rispetto al «vino Solopaca», che in quei decenni andava affermandosi con forza, anche grazie al fatto che quella di Solopaca era la stazione ferroviaria da cui partivano i vini diretti al Nord e Oltralpe, dove la fillossera aveva infierito sulle vigne.

Camaiola, riferendosi ad un termine provenzale (la lingua ufficiale dei Valdesi), identificherebbe una varietà capace di «macchiare di nero», un’uva dall’alto potere colorante, proprio come questa barbera che barbera non è, utilizzata nei decenni scorsi per «colorare» i vini, proprietà esaltata anche con tecniche di concentrazione (sul fuoco o infornata secondo l’antica tecnica detta «acinata»). Quest’uva, fino a quando la maggior parte del prodotto dell’area (la «cantina della Campania») veniva smerciato sotto forma di frutto, veniva trasformata esclusivamente in loco, a causa delle caratteristiche della sua buccia che ne rendevano praticamente impossibile il trasporto.


Nel corso del XX secolo c’è stata molta confusione su nomi dei vini, il brutale passaggio dalla civiltà rurale a quella urbana maturato nel corso di due guerre mondiali ha portato ad una sorta di perdita di memoria collettiva sulle cose e sui luoghi. Spesso i nomi venivano dati per vendere più facilmente l’uva quando ancora si ragionava sulla quantità, con i produttori sanniti che esponevano il raccolto nei punti vendita lungo la valle.Ma la viticoltura di qualità e di precisione ha ricostruito lentamente questa storia, quasi un lavoro da archeologici. Dare un nome preciso al vino, magari orecchiabile e facilmente memorizzabile, è il primo passo del suo successo commerciale e per realizzare una operazione simpatia tra gli appassionati. Pensateci bene: non ha più chic dire che “ho bevuto un bicchiere di Camaiola” invece di Barbera del Sannio? Non fosse altro per non sentire la risposta: “e perché non quella del Piemonte, è diversa? E tu lì a spiegare che non si tratta solo di un clone, ma di un vitigno completamente diverso da quello del Nord.
Dunque la svolta è davvero importante anche se realizzata con anni e anni di ritardo, tale da rendere impossibile cogliere l’attimo del grande boom del vino negli anni ’90. Ma tutto sommato, a pensarci bene, non tutto il male viene per nuocere per questa operazione del vino si realizza in un momento in cui tutti cercano la verità nel bicchiere. E in un contesto in cui la maggioranza delle persone che bevono sono stanche di vini pesanti, troppo strutturati ed eccessivamente alcolici e cercano più semplicità in primo luogo perché sono cambiati gli stili di vita, poi perché è profondamente mutato anche il nostro approccio al cibo, decisamente alleggerito e diretto verso l’orto-mare tipicamente campano e mediterraneo.Ben venga allora un operazione verità su un vino tipico, ben circoscritto in un’area di produzione, che corrisponde perfettamente alle nuove esigenze dei consumatori più acculturati e attenti alle novità. Le parole sono importanti urla Nanni Moretti in Palommella Rossa. Sì, soprattutto in un momento storico in cui l’estetica sembra essere tutto e il contenuto niente. Qui l’operazione che si è realizzata grazie all’intelligenza dei produttori è esattamente opposta: si dà un nome giusto ad una storia vera, non inventata. Quella dei bravi viticultori di Castelvenere che hanno tenacemente conservato questa uva nel corso degli ultimi decenni.


I PRODUTTORI

La storia in bottiglia inizia nel 1974, per volontà del castelvenerese Salvatore Venditti, anima di Anna Bosco, azienda oggi curata dai figli Filippo e Mario, che presenta le etichette Don Bosco, Armonico e Ororosso e un rosato.Barbarosa è invece il nome del rosato di Simone Giacomo, una delle ultime cantine nate a Castelvenere, che produce anche la versione rosso.

Vendemmia 2017 in commercio per la Dop Sannio di storici produttori castelveneresi: Barbetta di Venditti, anche nella versione Assenza (senza solfiti, lieviti e tannini aggiunti); Castelle, Torre Venere, Vigne Sannite; Petrare; Foresta; Scompiglio; Mario Pacelli; Thelemako di Fontana delle Selve; Anima Vennerese, prima versione Dop alla Vinicola del Sannio. Igp è Radici di Di Santo, Neropiana e Costa delle viole delle cantine guardiesi Morone e Iannucci e Vianova della paupisana Torre del Pagus. Poi le Dop Sabba della guardiese Grotta delle Janare, de La Vinicola Del Vecchio (Telese) e della Cantina di Solopaca; a La Guardiense le uve vengono utilizzate per il Quid in versione rossa. Non d’annata le etichette Dop di Fattoria Ciabrelli (Rapha’el è 2015) e della Vinicola del Titerno dei fratelli Alfredo e Talio Di Leone attiva a Massa di Faicchio. Lasta but not least, Grotta di Futa de ‘a Cancellera

Di Prisco - Greco di Tufo 2014


Tra qualche giorno parte Campania Stories e allora  parliamo di Irpinia e Greco di Tufo. Annata difficile, vino adesso STRATOSFERICO per austera freschezza, profondità, pienezza gustativa. 


Da genuflessione di fronte a Pasqualino Di Prisco, anche perché sarà costato meno di 5 euro. Vale il viaggio anche a piedi.

www.cantinadiprisco.com

Fulin, ovvero come godere della grande Cucina Cinese a Firenze

C’era un italiano un cinese di Pechino e uno di Hong Kong. Non è l’inizio di una barzelletta ma di una storia vera, che dura da tre anni, si svolge a Firenze e si chiama Fulin.
La mia ignoranza della cucina e della cultura cinese è abissale e a ben poco sono serviti alcuni libri sulla vita dell’ Imperatrice Cixi (che tempra di donna!) per farmi un quadro minimamente sufficiente.


Per questo quando sono entrato da Fulin a Firenze non sapevo proprio cosa aspettarmi, oltre quello che mi era stato detto e cioè che si trattava di un ristorante di cucina cinese di alto livello. Il basso livello lo conoscevo da tempo ma sull’alto potevo riandare con la memoria solo al bellissimo film “Mangiare bere uomo donna” di cui mi ricordavo le lunghissime preparazioni del protagonista, tra cui quella infinita o quasi dell’anatra laccata.
Così entro da Fulin e ad aspettarmi c’è l’italiano, fiorentino purosangue, che si chiama Gianni Ugolini ed è un famoso fotografo ( e stato gentilissimo a far finta di niente mentre provavo a fotografare piatti e locale col cellulare). I due cinesi invece (in realtà uno, l’altro era assente), uno di Pechino e l’altro di Hong Kong erano in una pulitissima e organizzata cucina , dove tra l’altro  facevano bella mostra di sé una serie di anatre pronte per iniziare “il rito” della laccatura.
Io invece, dopo un giro panoramico per il bel locale, arredato con cura e gusto, soprattutto senza eccedere in “cineserie” e dando anche spazi importanti alla voglia di privacy, mi accingo al rito del pranzo, che inizia nel modo più italiano possibile, grazie ad un calice di ottimo sauvignon altoatesino.
Infatti da Fulin si pasteggia col vino e devo dire che quel bianco ha accompagnato perfettamente tutti i piatti.


Piatti, vi garantisco, uno meglio dell’altro, che mi hanno fatto capire in un baleno  cosa voglia dire  cucina cinese di alto livello.
In realtà  è un po’ l’uovo di Colombo: basta utilizzare ottime  materie prime, lavorarle il più possibile sul momento e non vergognarsi assolutamente di “contaminare” la cucina cinese con qualche ingrediente  prettamente italico.
La prima contaminazione è il raviolone al tartufo, cioè  (così recita il menù) un raviolo di pasta di fecola di patate e  amido di frumento di mais, ripieno di carne di fassona piemontese, tofu marinato su una base di crema di zucca profumata al tartufo. Un piatto meraviglioso per gusto e equilibrio, che ti fa scordare in un lampo tutte le precedenti esperienze di cucina pseudocinese e aspettare con gioiosa apprensione i piatti che verranno.


E ne verranno molti altri, perché il menu è ampio e articolato. Non mi metterò a riportarvi per intero tutte le presentazioni dalla carta  di cosa o mangiato altrimenti faremmo notte, però permettetemi di consigliarvi  il godurioso raviolo ripieno di gamberi con brodino al ginseng e  gli imperdibili involtini fritti con ripieno di gamberi, zenzero, erba cipollina e castagna d’acqua ma-ti  e le gustose palline di gamberi fritti con spaghetti cinesi in salsa agrodolce che mi permettono di toccare l’argomento fritture.


Purtroppo nei normali ristoranti cinesi la frittura è un qualcosa che alleggia nell’aria prima di attaccarsi ai tuoi vestiti e di penetrare le difese del tuo stomaco e del tuo fegato. Da Fulin, dove naturalmente si usano solo wok, l’olio viene cambiato 4-5 volte al giorno, in pratica ad ogni frittura, e così il risultato NON si sente nell’aria ma si gusta in quell’involtino meraviglioso e in quella pallina croccante, che resiste anche ad una doverosa immersione nella salsa agrodolce.
Veramente superbi gli spaghetti di riso con carne di maiale, funghi, erba cipollina e germogli di soia, dove la parte del leone la facevano proprio la consistenza e il sapore degli spaghetti stessi, a dimostrazione  del fatto che gli spaghetti non sono figli  solo  del “bel paese là dove 'l sì suona”.


Il suono della forchetta invece (gli altri commensali usavano le tradizionali bacchette, per me impossibili da utilizzare se non voglio trasformare un pranzo in una dieta ferrea ) era attutito dalla  fassona saltata con porro e zenzero, equilibratissima nel gusto piccante, consistente ma soave  al palato. Molto buono anche  il pollo saltato in salsa agro-piccante con peperoni, cipolla e arachidi, che ha rischiato di essere conteso a suon di bacchettine e forchettate.
L’agnello piccante invece era un po’ troppo piccante ma, come si direbbe tra produttori di vino, era una “prova di botte” , cioè un piatto fatto sul momento e  che stavano iniziando a calibrare in vista della  Pasqua.


Sul versante dolci ho purtroppo giocato il jolly, cioè la mia allergia alla fragola non mi ha permesso di gustare il gelato alla fragola  fritto, dirottandomi su un discreto gelato al pistacchio.
Anche il conto sarà “discreto” nel senso che  con 4-5 portate  non spenderete più di 40/45 euro vini esclusi. Un’esperienza che consiglio, soprattutto a me stesso, visto che ho già messo in conto di ritornarci con mia moglie nei prossimi giorni.

Fulin, Via Giampaolo Orsini, 113r,Firenze
Telefono: 055 684931

Tenuta Montagnani - Co’i Botto 2017

di Roberto Giuliani

Il nonno di Federico Montagnani aveva del verdacchio in vigna, ma non lo sapeva. Macerato per 12 ore con il verdicchio e rifermentato in bottiglia, fa davvero il botto per le note di pesca bianca, albicocca, uva pizzutello, agrumi, bergamotto, erbe aromatiche e mandorla. 


Va giù che è una meraviglia.


Scialo Passito 2012 Dionigi: un grande vino passito di Montefalco

La storia del sagrantino viaggia indietro nel tempo fino a quasi mille anni fa. Certo, non esistono documenti di quel periodo che attestino la presenza di questo vitigno a bacca rossa nel territorio di Montefalco, la “Ringhiera dell’Umbria”, ma già nel 1088 ci sono testimonianze scritte che raccontano di terre coltivate a vigneto e nel ‘200 numerosi documenti confermano lo sviluppo della viticoltura in questo lembo di terra. Già allora molte aree erano occupate da viti, persino nel piccolo centro storico, testimoniato ancora oggi dal circuito di viti secolari che si possono osservare percorrendo i numerosi vialetti che digradano dalla piazza del Comune. Sicuramente il sagrantino veniva coltivato dai frati, infatti con tutta probabilità il nome trova origine nei Sacramenti, e furono proprio i frati a utilizzare quest’uva per produrre un passito destinato ai riti religiosi.
Oggi si racconta, come elemento di certezza, che la tradizione di fare il passito dall’uva sagrantino era dovuta alla sua strepitosa mole tannica, un’impalcatura in grado di impallidire qualunque altra varietà esistente e rendere impossibile farne un vino secco apprezzabile. Chiacchierando con un produttore locale, in realtà, mi viene rivelato che negli anni ’20 esisteva già una versione secca, ma con tutta probabilità non aveva avuto diffusione per le ragioni appena spiegate

foto: http://www.riparelais.com

Se, però, il sagrantino avesse continuato nella sua tradizione di vino passito, probabilmente sarebbe rimasto un fenomeno locale assai poco conosciuto.
La ricerca e la sperimentazione, ad opera soprattutto di Marco Caprai, figlio di Arnaldo, attraverso indagini approfondite, selezioni clonali, metodi di allevamento e di vinificazione, hanno portato negli anni ’90 a ottenere una versione secca imponente ma ben lavorata, in grado di smussare quei tanto vituperati tannini.
Come spesso accade, per moda, per cambiamenti sociali e culturali, un fenomeno prende il posto di un altro e, manco a farlo apposta, oggi è più facile che si dimentichi l’esistenza del Sagrantino Passito, o quanto meno che se ne faccia sempre meno uso, anche perché tutti i vini dolci hanno il preciso limite di non poter accompagnare gran parte della nostra cucina.
Per fortuna ci sono ancora moltissime aziende, storiche e non, che continuano a produrlo, una di queste è quella di Roberto Dionigi, situata a Bevagna, l’altro comune coinvolto nella produzione del Sagrantino.

uva sagrantino

A questo punto immagino vi aspettiate che parli del Sagrantino Passito di Roberto, peraltro buonissimo, e invece no! Non sarebbe divertente. Preferisco spiazzarvi, cogliervi di sorpresa con un vino che da queste parti se non è unico poco ci manca. Non vedo perché, essendo rimasto io per primo sconvolto da questo passito, non dovrei parlarvene in barba a quanto raccontato fino ad ora…
Del resto il bello di questo mondo è che ancora oggi ci possono essere sorprese, situazioni imprevedibili che stravolgono il regolare processo della storia.
Insomma, in barba al fondamentale sagrantino, in casa Dionigi c’è una vera chicca, si chiama Scialo ed è ottenuto, indovinate un po’, da uva moscato bianco, che è prevista dal disciplinare IGT Umbria, ma sono in pochi ad allevarla e a investirci tempo e denaro, non essendo questa la zona privilegiata per la sua produzione.
Eppure lo Scialo è un esempio straordinario delle sorprese che può riservare questo territorio, del resto lo stesso sangiovese meriterebbe maggiore entusiasmo di quanto ne suscita da queste parti, ma non è questo il contesto in cui aprire un ulteriore spunto di riflessione.


Per produrre lo Scialo Passito 2012, le uve sono state raccolte a fine agosto e poste sui graticci ad appassire per un paio di mesi. Dopo la diraspatura e la pressatura subisce la fermentazione in acciaio a temperatura controllata di 15 °C, dopodiché permane in vasca per circa 6 mesi, il processo si completa con altri 6 mesi di bottiglia. Le bottiglie prodotte sono un migliaio da 375 ml, del resto si tratta di una chicca, una ciliegina sulla torta, non è che il mercato sia lì ad aspettare un vino del genere, ma localmente funziona molto bene, nonostante il prezzo di ben 50 euro.
Comunque il vino è già conosciuto ben oltre la regione, tanto che l’annata precedente ha ottenuto la corona di Vini Buoni d’Italia. A mio avviso la 2012 è ancora più convincente, ha un colore oro intenso e caldo, un bouquet che richiama i caratteri dell’uva aromatica espandendosi su note di arancia e albicocca candite, pesca sciroppata, uva passa, miele di zagara, croccantino, nocciola tostata.


Ma è all’assaggio che fa sobbalzare dalla sedia, perché nonostante sia un vino dolce ha un’acidità perfetta che lo solleva da qualsiasi stucchevolezza, le sensazioni scorrono lasciando una scia agrumata piacevolissima e sfumature tostate leggere che trovano ulteriore forza espressiva nella base sapida.
Veramente un eccellente vino passito, da apprezzare sia da solo che a fianco di biscotteria alle mandorle e nocciole, di crostate di albicocche, ma anche di formaggi importanti, dal gorgonzola al bettelmatt di almeno 36 mesi.

Langhe Nebbiolo D.O.C. Autin 'd Madama 2007 – Simone Scaletta


Una bottiglia, un ricordo, il mio primo viaggio nella Langhe. Autin 'd Madama 2007 ha subito tre traslochi, è rimasto in cantina per anni, senza troppe coccole. 


Lo apro, a sorpresa è ancora splendido nei suoi terziari appena accennati, puro succo di Monforte d’Alba, la terra dove vive Simone Scaletta, vignaiolo vero, verace e lontano da ogni tipo di sensazionalismi.