Trattoria Calino a Scandicci: se ami il pesce gioca a bocce - Garantito IGP

Di Stefano Tesi

Lo ammetto: quando chi me l’ha presentato mi ha detto che il suo ristorante era “alla bocciofila di Scandicci”, popoloso comune alle porte di Firenze urbanisticamente ormai integrato (nonchè collegato dalla celebre tramvia) col capoluogo regionale, ho pensato che fosse uno scherzo. 
La mia diffidenza è cresciuta quando, poi, mi hanno specificato che la sua specialità erano i piatti di pesce. 
Ma poiché il comune amico era degno di fede e la nuova conoscenza mi pareva simpatica, ho deciso di approfondire la questione. 


Come? Andando a provare. 

Risultato: era tutto vero.
  
Lui si chiama Tommaso Cintolesi e, come tanti chef, ha avuto una vita da romanzo (ma nel suo caso, forse, anche di più: fatevi raccontare, tra una portata e l’altra, le rocambolesche esperienze in Russia, ad esempio). Il ristorante è veramente all’interno della società bocciofila di Scandicci e si chiama, per l’appunto, “Calino”, che ho scoperto essere un importante colpo del gioco delle bocce. 
Il locale è semplice, carino e luminoso, con una parete tutta vetro, una grande lavagna col menu, apparecchiatura spartana (ma bicchieri giusti) e una trentina di coperti. E dove ti aspetti di trovare tutto, vista la location, tranne grandi piatti di pesce. Anche perché il nostro ha pensato bene di mettere bene in vista, fuori, il cartello “pizzeria”. Sebbene di pizza ne faccia poca (ma buona!) o punta, e perfino di malavoglia, a chi gliela chiede.


Lui infatti in testa ha solo il pesce. 

Che è davvero ottimo e pure cucinato fuori dalle righe.

Lavorato con maestria e inventiva, crudo o a basse cotture, abbinato creativamente, sperimentato, rivisitato di continuo da un Tommaso che praticamente non smette mai di cucinare e di fare prove. Ci sono stato a cena un paio di volte con degli amici e, su una dozzina di portate, una buona metà si sono rivelate pietanze studiate apposta per l’occasione o novità assolute. 
Più che cuoco, non a caso, lui si definisce infatti artigiano. E un po’ lo è. Mette insieme le cose nel nome del pesce. Scova i più strani e li sposa, ripesca e rielabora vecchie ricette, accozza ingredienti che non diresti mai.
  
Ecco, ad esempio, quello che ho assaggiato nel corso delle due serate passate lì. 

Tajarin (secondo la ricetta classica piemontese con 50 rossi d'uovo) conditi con burro, salvia e pesce castagna; percebes della Galizia; tartara di pesce castagna con Cecina de Leon (la bresaola spagnola, leggermente affumicata) condita con olio, sale, mandorle e fagiolini (in alternativa, con leche de tigre, la base del ceviche peruviano); pane burro e acciuga (“ma lavorata in casa: rappresenta la trasversalità dei miei menu”, dice lui); tartara di gambero rosso carabiniere servito con un’emulsione degli umori della testa e uova di aringhe affumicate; sfoja lorda, specialità romagnola (la servono di norma farcita di squacquerone) trasformata in piatto di pesce con un ripieno di ricotta di pecora e pesce sciabola, in ragù di calamari alla salvia; foie gras mi cuit (“fatto in casa da me”, assicura) servito con sale Maldon; zuppetta di pesce fatta con i cascami di pesce arrostiti e servita con i tajarin spezzati; crostoncino di carpaccio di tonno caldo e foie gras mi cuit; insalata scomposta di tonno sott'olio fatto in casa in tre tagli diversi (testa, ventresca e filetto) e patate al pesto di menta, fagioli borlotti sgranati, cipolle di Tropea; fritto di acciughe, gamberetti rossi e patate biscotto.
  

Scegliendone la metà si spendono, tutto compreso, 50 euro e si esce non solo satolli, ma gastronomicamente assai soddisfatti.


Quanto ai vini, la carta non c’è. In compenso c’è lo scaffale: ti alzi e li scegli. Sono una ventina di etichette che il Cintolesi seleziona di persona tra quelle che gli piacciono, senza star troppo dietro a nomi e mode. Tutte un po’ strambe, fuori passo, rare o inusuali, dal Feldmarschall di Tiefenbrunner al millesimato di Pedrotti, dal Soave di Bertani al Vermentino di Colli di Luni di Terenzuola, dalla Vitovska di Zidarich allo spumante di Nosiola di Bortolotti.

Per motivi a me incomprensibili, Tommaso-Calino ha paura però che il contesto bocciofilo non giovi al prestigio del locale e vagheggia traslochi. Secondo me, sbaglia. Non tanto perché, almeno in inglese, “bowl” vuol dire tanto boccia quanto acquario per i pesci, ma perché un’originalità di situazione come questa è di quelle da cercare col lanternino.
  
Speriamo lo capisca in tempo. 
  
Trattoria Calino, 
via di Scandicci Alto 1, 
Scandicci (FI) 
Tel 347 9046788 
Chiuso lunedì. 

TTIP e Vino: l'allarme della Coldiretti. Vogliamo un falso Chianti o un Marsala made in USA?


​Il TTIP, il trattato transatlantico deve assicurare la tutela dei vini italiani rispetto a un fenomeno, quello del falso Made in Italy a tavola, assai diffuso sul mercato Usa dove ha superato il valore di 20 miliardi di euro. A sottolinearlo è la Coldiretti nell’esprimere preoccupazione per le notizie sull’andamento delle trattative tra Usa e Ue secondo le quali gli americani hanno ribadito la loro intenzione di continuare ad usare le denominazioni "semigeneriche" dei vini europei, come gli italiani Chianti, Marsala, il greco Retzina, il portoghese Madeira e i francesi Chablis e Champagne.

Foto:http://www.finanzaonline.com/


Il risultato – denuncia la Coldiretti – è che oggi il Chianti si produce in California, mentre sempre negli States è possibile acquistare del Marsala Wine. Ma il fenomeno del falso vino “Made in Italy” trova un forte impulso anche dalle opportunità di vendita attraverso la rete dove è possibile acquistare pseudo vino ottenuto da polveri miracolose contenute in wine-kit che promettono in pochi giorni di ottenere le etichette piu’ prestigiose come Chianti, Valpolicella, Frascati, Primitivo, Gewurztraminer, Barolo, Verdicchio, Lambrusco o Montepulciano.
Il Made in Italy tarocco a stelle e strisce non riguarda però – ricorda la Coldiretti - il solo vino ma colpisce tutti i comparti dell’export tricolore, dai pomodori san Marzano all’olio d’oliva fino ai salumi, mentre addirittura il 99 per cento dei formaggi di tipo italiano negli States è fasullo nonostante il nome richiami esplicitamente le specialità casearie piu’ note del Belpaese, dalla Mozzarella alla Ricotta, dal Provolone all’Asiago, dal Pecorino Romano al Grana Padano, fino al Gorgonzola.
La presunzione statunitense di continuare a chiamare con lo stesso nome alimenti del tutto diversi è inaccettabile - sostiene la Coldiretti - perché si tratta di una concorrenza sleale che danneggia i produttori e inganna i consumatori e l’Unione Europea ha il dovere di difendere prodotti che sono l’espressione di una identità territoriale non riproducibile altrove realizzati sulla base di specifici disciplinari di produzione sotto un rigido sistema di controllo. 
“La trattativa sull'accordo di libero scambio tra Unione Europea e Stati Uniti, Tansatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) deve rappresentare un appuntamento determinante per tutelare le produzioni agroalimentari italiane dalla contraffazione alimentare e del cosiddetto fenomeno dell’Italian sounding” spiega il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo nel ricordare che "in gioco c’è un consistente interscambio economico visto che per la prima volta le esportazioni agroalimentari Made in Italy in Usa hanno superato nel 2015 i 3,6 miliardi di euro con un aumento del 20 per cento. E proprio il vino è il prodotto italiano piu’ apprezzato dagli americani con 1,3 miliardi”.
Ma sul tavolo del TTIP ci sono anche altri argomenti “scottanti” su cui l’Europa non deve abbassare la guardia – condlude la Coldiretti – dalla carne agli ormoni al pollo alla varechina che rischiano di finire nel piatto dei cittadini italiani ed europei, fino alla questione degli Ogm.

Fonte: Coldiretti

Liberté, Égalité, Aligotè: Domaine Naudin-Ferrand - Le Clou 34

Un mio amico spesso mi dice:"E basta con sto fighettismo!! Basta con sta Borgogna solo per ricchi che comprano etichette senza capire una mazza di vino!"

Beh, questa persona ha solo in parte ragione perché se è vero che i prezzi di molti Premier Cru e Grand Cru hanno raggiunto cifre da capogiro, è anche vero che in questo angolo di Francia esistono tante perle nascoste al di fuori delle solite rotte commerciali che fanno riferimento ai classici e blasonati comuni della Côte d'Or (Gevrey-Chambertin, Vosne-Romanée, Chassagne-Montrachet, etc..).

Aligotè - Foto:www.gachot-monot.com

Avete, per esempio, mai pensato che in Borgogna, oltre ad un ottimo chardonnay, si possa produrre un delizioso Aligotè? Se la risposta è negativa allora bisogna recuperare il tempo perduto. 
Cominciamo da un presupposto: da sempre l'aligotè, più o meno a ragione, è stato considerato un vitigno "minore" in Borgogna vista la sua minore produttività rispetto allo chardonnay che, tra l'altro, essendo meno esile, regge molto di più l'affinamento in barrique. Conseguentemente sto povero vitigno, a cui nel 1937 è stata riservata una anonima Bourgogne Aligoté AOC,  si trova spesso ad essere piantato nelle zone meno vocate della Borgogna e il vino che se ne ricava, storicamente, viene usato per dar vita ad uno dei più popolari aperitivi francesi ovvero il Kir che non è altro che una bevanda a base di aligotè e crème de cassis..

Foto: bolop.over-blog.com

Tra i tanti vigneronnes borgognoni che credono che l'aligotè non sia solo un vino da taglio usato per cocktail o per produrre Crémant de Bourgogne c'è Claire Naudin (Domaine Naudin-Ferrand) da Magny Les Villers (Hautes-Cotes de Nuits) che dopo un passato di ricerca e sperimentazione, da tempo ha sposato un approccio, sia in vigna che in cantina, fedele alla tradizione e alla naturalità.

Claire Naudin

Degli otto vini bianchi prodotti la metà sono a base aligotè e, tra i vari, ho scelto di parlare del Bourgogne Aligoté "Le Clou 34", un vino che storicamente è sempre stato un punto di riferimento per questa tipologia visto che proviene da due parcelle separate molto vecchie di cui una piantata nel 1934 presso il comune di Corgoloin (classificazione Côte de Nuits Villages) mentre l'altra, risalente al 1902, si trova a Magny les Villers. 




Ragazzi parliamo di vitigni, piantati su suolo argilloso-calcareo, con quasi 100 anni di media!!

Le uve, raccolte manualmente, vengono vinificate con l'ausilio di lieviti indigeni (o come si vuole chiamarli) e con pochissima solforosa aggiunta. Dopo una lunga permanenza sulle fecce il vino viene imbottigliato senza filtrazione.


foto: www.vins-etonnants.com

Del "Le Clou 34" ho degustato l'annata 2014 che ho trovato semplicemente travolgente per verticalità e sapidità, che in questo caso si avvicina al concetto di salinità, che rappresenta degnamente la spina dorsale di questo vino la cui forza gustativa viene corroborata da un gradevole e rinfrescante sentore di agrumi. 

Il Bourgogne Aligoté, come in questo caso, è un vino puro, vivace, che non ha bisogno di legno, anche perchè non si sopportano, per autodefinirsi complesso ed intrigante. I

n Italia costa circa 18 euro, un rapporto q/p davvero interessante se pensate che dietro di sé porta tutta la storia della Borgogna che fu e che, forse, non troveremo più. Pure la rima, tiè!

Santari 2009 Fiano di Avellino DOCG Filadoro - Il VINerdì di Garantito IGP


Acciaio o legno? Questo il dilemma, ma neanche tanto se si riuscirà a capire bene come usare il Fiano di Avellino. Il bianco irpino che ama lo scorrere del tempo perché migliora. Come questo Santari 2009 di Filadoro passato in legno, vigne a Lapio. Frutta, sapidità, lunghezza e tanta, tanta, tanta frreschezza.

www.filadoro.it


Fiano 2008 Sannio Doc Fattoria La Rivolta - Garantito igp

Tanti vini resistono al tempo, ma, come si sa, pochi migliorano. Tra questi il Fiano e gli ultimi studi scientifici dell’equipe coordinata da Luigi Moio è giunta alla conclusione che si tratta di un vitigno capace di sviluppare sentori sempre più interessanti.
Il punto vero è che sinora nessuno ha ragionato davvero per fare dei Fiano sui tempi lunghi, anzi, la stragrande maggioranza delle etichette è stata pensata per essere consumata nell’arco di un anno. In Irpinia una pattuglia di produttori sempre più robusta ha avviato un discorso di attesa di almeno un anno, Marsella arriva a due, anche se le pressioni del mercato per il consumo sono incredibili.


Prove sempre più inconfutabili dimostrano invece che un progetto di lungo termine potrebbe dare luogo a risultati straordinari. Ci spostiamo di una trentina di chilometri, di questo si tratta, dall’areale docg del Fiano alla Sannio doc del Taburno dove i bianchi in più di una occasione hanno dato prova di longevità, dalla Falanghina di LiberoRillo ai vini di Ocone dimenticati in cantina e ripescati per puro caso.

Lo stesso avviene con questo Fiano di Fattoria La Rivolta di Paolo Cotroneo di cui abbiamo sempre molto amato i suoi bianchi, sia quelli che hanno la mano di Angelo Pizzi, che quelli di Vincenzo Mercurio che gli è subentrato. La potenza di questo areale, il Taburno è un complesso che separa la valle Caudina da quella Telesina, è nel suolo vulcanico e nelle forti escursioni termiche molto simili all’Irpinia anche se  si tratta di una zona meno umida e più calda. Rispetto alle altre zone del Sannio ha visto specializzarsi prima in Aglianico e Falanghina togliendo altri vitigni nazionali come il trebbiano, il Montepulciano e il sangiovese. Ma anche Fiano, Greco e Coda di Volpe sono abbastanza diffusi. Fu anzi proprio la cantina del Taburno a rilanciarli sul mercato ormai un quarto di secolo fa.

Dalla cantina prendiamo la 2008 di questo Fiano con la certezza che ci paicerà. Ma non potevamo immaginare tanto. La materia è molto piena, un vino quasi cicciotto, molto più vicino a Lapio che a Montefredane per intenderci, ma alcungata dalla sapidià e dai toni amari. Stupisce di questo bianco lavorato solo in acciaio la freschezza assoluta e il tempo segnato dal un colore giallo paglierino carico ancora vino e brillante.
Non ci sono toni piacioni. L’ennesima prova, insomma della longevità dei bianchi campani e di una potenzialità ancora inespressa.
Sede a Torrecuso, Contrada Rivolta
Tel. 0824.872921 www.fattorialarivolta.it Ettari: 29 di proprietà Bottiglie prodotte: 150.000
Enologo: Vincenzo Mercurio
Prezzo: sotto i 10 euro. Vitigni: aglianico, fiano, greco, falanghina



Il maltempo distrugge parte dei vigneti in Abruzzo e in altre zone vitivinicole d'Europa

Non ci vuole una laurea in agronomia per capire che il maltempo di questi giorni, soprattutto le gelate fuori stagione, abbia provocato serie danni all'agricoltura italiana, viticoltura in primis. In Abruzzo, soprattutto, nella Valle Peligna, ci sono stati forti danni dovuti alle temperature rigide e alla neve che ha messo in ginocchio molti agricoltori che hanno subito ingenti danni alle colture. 

Foto: Rete Abruzzo

A lanciare un appello per superare questa crisi è stata, come riporta il portale Rete AbruzzoAlice Pietrantonji, che ha spiegato che nonostante il danneggiamento causato da una gelata “che verrà ricordata come la più forte in vent’anni”, la pianta della vite è comunque molto reattiva, quindi è possibile sperare in una ripresa.  Con una lettera inviata alla Regione, nello specifico alla Direzione delle Politiche Agricole e all’assessore al ramo, Dino Pepe, il sindaco di Pratola Peligna Antonio De Crescentiis ha chiesto il riconoscimento dei danni alle aziende ed agli operatori del settore agricolo. “Una situazione che ci ha spinto a chiedere subito alla Regione di attivare tutte le procedure utili al riconoscimento dei danni ed al conseguente ristoro degli stessi in favore delle numerose attività coinvolte” ha affermato De Crescentiis “Abbiamo ritenuto necessario farci portavoce delle esigenze di questo importante settore ed auspichiamo una pronta collaborazione della Regione per consentire ai tanti operatori impegnati nel comparto agricolo di ottenere al più presto quanto dovuto”.

Ma l'Abruzzo, ovviamente, non è la sola Regione colpita dal maltempo. Girando per Facebook, infatti, molti amici vignaioli stanno lanciando un grido di allarme pubblicndo foto abbastanza significative dei danni. 

Eugenio Rosi, viticoltore artigiano di Rovereto,  ad esempio ha pubblicato queste foto con il seguente commento:"Stagione iniziata alla grande....prima notte di gelo e già si contano i danni. Purtroppo sono previste altre gelate nei prossimi giorni....."


Paolo Cianferoni, da Radda in Chianti, ha fortunatamente scritto che:"Abbiamo sfiorato gravi conseguenze questa mattina alle 6:00: 1,6 gradi; se andava sotto 0 la produzione vinicola 2016 era compromessa. Guardando il lato positivo, la peronospora con queste temperature non puó "lavorare", con buona pace per molti agronomi che hanno fatto fare già i trattamenti... Giusto per non rischiare. Mai. Loro"

Paolo Cianferoni
In realtà questa forte ondata di maltempo e freddo fuori stagione sta colpendo un po' tutta l'Europa e lo sanno bene anche in Francia per combattere le gelate notturne alcuni vignaioli sono corsi ai ripari accendendo fuochi nei vigneti al fine di evitare che la temperatura vada sotto lo zero.


Spero sia l'ultimo post in tal senso per questo 2016 anche se, da più parti, sento che probabilmente la situazione rischia di peggiorare visto che è previsto maltempo fino al primo maggio. Incrociamo le dita..


Vinix Grassroots Market sbarca a Roma

Si terrà domenica 8 maggio alla Città dell’Altra Economia (Largo Dino Frisullo snc, Roma), la prossima presentazione del catalogo #vgm con banco d’assaggio dei produttori della piattaforma di social commerce Vinix Grassroots Market. Un evento rivolto ai gruppi di acquisto e a tutti gli appassionati che desiderino conoscere questa nuova modalità di acquisto “sociale”, dal basso. Dalle ore 12 alle ore 20 nello spazio Sala Convegni di CAE sarà possibile accedere al banco d’assaggio (ingresso 10,00 euro).


Vinix Grassroots Market (https://www.vinix.com/shop) è un modo alternativo di concepire l'acquisto e la vendita diretta online da un catalogo di eccellenza. Le persone sono parte attiva nel processo distributivo. Non un comune e-commerce quindi ma un sistema di vendita sociale - leale, diretto, dal basso - con prezzi decrescenti all'aumentare delle quantità ordinate e della relativa mole di lavoro per il gruppo, fortemente orientato alla disintermediazione e alla filiera corta.

Pensato per favorire l’incontro e le relazioni tra produttori e gruppi di acquisto nati e gestiti direttamente su Vinix, l’evento è aperto anche a gruppi di acquisto “offline” che vogliano conoscerne il funzionamento e a tutti coloro che vogliano scoprire questo nuovo modo di fare mercato in rete sfruttando la tecnologia messa a disposizione da questa innovativa piattaforma.

Durante la giornata, alla presenza dei produttori, sarà possibile degustare i prodotti in degustazione di alcune delle aziende del market e incontrare i gestori dei maggiori gruppi di acquisto. Sarà inoltre possibile iscriversi ad uno o più gruppi di già esistenti e naturalmente lanciare cordate in diretta con sorprese per i capi cordata.

Dettagli dell’evento dell’8 maggio 2016

Luogo dell’evento: Città dell’Altra Economia (CAE), Largo dino Frisullo snc, Testaccio
Orari: dalle 12 alle 20, orario continuato
Ingresso: 10,00 euro comprensivi di calice da degustazione (a perdere)
Sarà fornita: tracolla, calice degustazione, lista espositori cartacea, depliant #vgm
Hashtag ufficiali: #vinix #vgm, #vgmroma


Per conoscere la lista espositori e tutti i dettagli:

Per informazioni generali su Vinix Grassroots Market:

Il catalogo #vgm completo:

Per conoscere in dettaglio il funzionamento del market:


Per informazioni e contatti:

Vinix Social Commerce

VINerdì IGP: Frascati Superiore DOC Luna Mater 2009 Fontana Candida

Di Carlo Macchi

In cantina “Ma guarda, un Frascati 2009!”
Con un mentale sorrisino di sufficienza (chissà se sarà sempre vivo) lo porto in tavola, apro, assaggio e…altro che morto, stupendo! Potente, corposo, profondo, godibile ora e in futuro.


Se il Frascati è questo (visto anche il prezzo) non ce n’è per nessuno.

Assaggiando la storia di Giulio Gambelli - Garantito IGP

di Carlo Macchi

Una degustazione (forse) irripetibile, da Villarosa 1969 a Soldera Riserva 1999
Una delle tanti frasi prima di iniziare l’assaggio è stata “Se vendessimo queste bottiglie probabilmente ci si comprerebbe una Panda”.


In effetti la ventina abbondante di bottiglie che per “Assaggiando la storia di Giulio Gambelli” sono scese in campo avevano un valore commerciale veramente alto. Ma questo a noi non interessava, eravamo attratti da altri valori: emotivo, emozionale, qualitativo, storico, simbolico, degustativo e così via.
Ma cosa è stata “Assaggiando la storia di Giulio Gambelli”? Una (forse) irripetibile degustazione nata grazie ad una grande idea di Gianni Fabrizio e messa in pratica con la disponibilità di Martino Manetti.


In breve: durante le anteprime toscane Gianni Fabrizio mi dice “Si parla tanto dei vini di Gambelli, ma una degustazione tra colleghi dei suoi vini, magari non giovanissimi, non è mai stata fatta”.
Così è nata l’idea che ha coinvolto subito Martino Manetti sia come padrone di casa che come fornitore di alcune vecchie annate targate Montevertine.
A parte i vini di Montevertine la regola era chiara: chi partecipava doveva portare con sé almeno una vecchia bottiglia di Giulio Gambelli. Così abbiamo iniziato non solo a cercare nelle nostre cantine ma anche a chiedere a qualche cantina di Gambelli se poteva darci una vecchia annata. Alla fine questa “recherce” ha dato frutti non solo abbondanti ma eccezionali.
Prima dei vini i partecipanti, naturalmente in numero ristretto perché di ogni vino era molto difficile ipotizzare di trovarne più di una bottiglia. Assieme al sottoscritto, a Martino Manetti e a Gianni Fabrizio hanno partecipato Fabio Pracchia, Antonio Boco, Davide Bonucci, Paolo Salvi, Liviana Midollini e Giovanni Livi. Come vedete non eravamo tutti assaggiatori seriali, per esempio c’era anche Giovanni Livi, che ha sempre accompagnato Giulio Gambelli per cantine nei suoi ultimi 7-8 anni di vita.


Alla fine in effetti, oltre ad assaggiare i vini, abbiamo soprattutto parlato di Giulio, del suo modo di vedere il vino e la vita e ogni bottiglia è stata la scusa per un ricordo, un aneddoto, una piccolo racconto.
Ma mano a mano che andavamo avanti nell’assaggio l’eccezionale giovinezza, complessità, freschezza, profondità di praticamente tutti i vini degustati, non solo ha fatto risaltare a tutto tondo la figura di Gambelli come assoluto maestro del sangiovese, ma ci ha portato a capire che stavamo partecipando ad un evento unico, che ognuno dei partecipanti ricorderà per sempre.
Non per niente Un’ altra frase emblematica è stata “Già con quattro di questi vini presi a caso si sarebbe potuto organizzare una grande degustazione, figuriamoci tutti assieme”.


Ma quali erano questi vini. Erano 20, ma altri di annate successive sono rimasti in “stand by” per essere degustati magari in una prossima degustazione. 

Di seguito ve li presenterò senza commentarli singolarmente per il semplice motivo che ognuno di essi meriterebbe un lungo articolo.

Chianti Classico Riserva 1969 Villarosa
Chianti Classico Riserva 1971 VIllarosa
Chianti Classico Riserva 1977 Montevertine
Brunello di Montalcino Riserva 1978 il Colle
Chianti Classico Riserva 1981 Pagliarese
Chianti Classico Riserva 1981 Montevertine
Brunello di Montalcino Riserva 1981 Il Colle
Brunello di Montalcino 1983 Case Basse- Soldera
Vino da Tavola Sodaccio 1986 Montevertine
Chianti Classico Millennio Riserva 1988 Cacchiano
Vino da Tavola Concerto 1988, Fonterutoli
Vino da Tavola Monna Claudia 1988 Fattoria di Rodano
Colli della toscana centrale Anagallis 1988 , Lilliano
Chianti Classico Riserva Vigna del capannino 1990 Bibbiano
Vino da Tavola Torrione 1991, Petrolo
Brunello di Montalcino Poggio di Sotto 1993
Chianti Classico 1996 Rencine
Chianti Classico Riserva 1997 Ormanni
Brunello di Montlacino 1998 Poggio di Sotto
Brunello di Montalcino Riserva 1999 Case Basse- Soldera


 Vi rendete conto adesso che cosa è stato assaggiato?

Aldilà del valore venale delle bottiglie ci è passata davanti in poche ore la storia di trent’anni del vino toscano. Trent’anni importantissimi, forse i più importanti del secolo scorso, segnati da profonde innovazioni e sostanziali cambiamenti.
In realtà, se vogliamo essere onesti, questi grandi cambiamenti nei vini di Gambelli non li abbiamo riscontrati: la mano è rimasta la stessa, solo le annate cambiavano il risultato finale, che comunque era sempre quello di un vino di assoluta longevità, con nerbo e profondità aromatica e gustativa quasi sempre incredibile.

In alcuni casi abbiamo avuto davanti vini che forse non si potranno più fare, con acidità marcate, alcol basso (12.5°) e caratteristiche di finezza, eleganza e serbevolezza che non è proprio scontato immaginare in tanti prodotti di questi anni. Magari allora erano ruvidi e, specie quelli nati negli anni novanta, non seguivano il gusto imperante, ma queste bottiglie sono state la dimostrazione che Giulio Gambelli ha avuto sempre e comunque ragione.
Sono convinto che alla fine, quasi di nascosto, ognuno di noi, in silenzio, dentro di sé, ha mormorato “Grazie Giulio”.


Graham's, la leggenda del Porto

Vila Nova de Gaia, appena di fronte alla città di Porto, in inverno ha lo stesso fascino dimesso e un po’ retrò dei barcos rabelo (tipiche imbarcazioni con le quali in passato si trasportava il famoso vino locale) tirati in secca sulle sponde del Duoro. Percorrendo il fiume, una dopo l’altra, si incontrano cantine storiche come Cálem, Noval, Sandeman, Taylor’s, Offley, Ramos Pinto, Cockburn's e, in ultimo, Graham’s. È questa la nostra destinazione finale. Rispetto alle altre cantine si trova su un piccolo promontorio da cui si gode un panorama mozzafiato sul quartiere della Ribeira e sul ponte Dom Luis I, nonostante lo sciame di pullman carichi di enoturisti che girano come trottole tra i vari “Lodges” scaricando ogni anno circa 60.000 persone.

La cantina Graham’s
Graham’s nasce nel lontano 1820 quando i fratelli William e John Graham, scozzesi commercianti tessili, iniziano la produzione di vino nella Valle del Douro dopo esser stati pagati, per un debito insoluto, con 27 barili di Porto. La passione e la loro capacità manageriale fa che nel corso dei decenni e grazie a importanti acquisizioni come Quinta Dos Malvedos (1890), la Graham’s diventi un punto di riferimento assoluto. Al punto che Sir Winston Churchill diventa il loro cliente più affezionato. Dopo 150 anni, nel 1970, la società passa di mano e viene acquisita dalla Symington Family Estates; oggi è condotta da cinque cugini (Paul, Johnny, Rupert, Dominic e Charles) che oltre a Graham’s gestiscono altri marchi storici del Porto come Warre'sDow's,Cockburn's e Quinta do Vesuvio sviluppando, tra i primi, anche alcuni importanti marchi del Douro DOC in collaborazione con la famiglia Pratz di Bordeaux.

Le cantine e i loro tesori
Nonostante Graham’s Lodge, datato 1890, sia stato recentemente ristrutturato, varcare l’interno delle cantine, circondate da muri di granito da mezzo metro che garantiscono temperature costanti, è come calarsi in un universo spazio temporale che porta dietro nel tempo, ci si ritrova a passeggiare tra una quarantina di toneis (botti da 1000 litri) e balseiros (grandi tini di rovere che possono contenere fino a 10.000 di vino) e tra cataste di vecchie pipes(i barili da Porto, se ne contano fino a 2000) che ancora coccolano vini della fine del 19° secolo. La struttura offre una bella esperienza gastronomica con il Vinum, spettacolare ristorate nelle storiche cantine, visibili dietro il vetro. Una cucina studiata per valorizzare al massimo la cantina e forse la migliore vista sulla città.
Dopo essere passati attraverso le cantine private della famiglia Symington, si arriva nella piccola ma deliziosa sala di degustazione privata dove Emiliano Di Renzo, market manager della Graham’s, ci propone una imperdibile degustazione dei loro migliori Porto che per l’occasione ripercorreranno un arco temporale di decine di anni.




La degustazione

Se volete sapere tutto dei Porto degustati andate sul sito del Gambero Rosso e scoprite la bellezza che ci può essere in un bicchiere

Collio Studio di Bianco 2010 - Borgo del Tiglio: l’invenzione del cru - Il VINerdì di Garantito IGP

E’ così, lo dice Nicola Manferrari stesso, lo Studio di Bianco è un vino working progress, poco importa, la versione 2010 è semplicemente splendida, non le manca nulla, tre vitigni che hanno imparato ad amarsi e a dare il meglio, insieme, completandosi perfettamente. 



E poi dicono che in tre…

Pizza Mater, Irish Mater Pub e Fiano Romano fa un salto di qualità - Garantito IGP


Di Roberto Giuliani

Chiunque almeno una volta nella vita abbia percorso l'A1 per Milano partendo da Roma, sa perfettamente che il casello d'ingresso si chiama Roma Nord, che è anche lo svincolo per uscire a Fiano Romano, a soli 26 chilometri partendo dal GRA. Un grande vantaggio per chi ha scelto di comprare casa in questo Comune, che prima della crisi ha visto nascere in pochi anni interi quartieri di villette e piccole palazzine, tanto da arrivare quasi a raddoppiare la sua popolazione, che oggi supera i 15mila abitanti.

Le ragioni per cui vale la pena fare una gita fuori porta sono molte, il centro storico è decisamente caratteristico e piacevole da percorrere a piedi, vanta fra le sue bellezze architettoniche il Castello Ducale Orsini, le Chiese di Santo Stefano Nuovo e di Santa Maria ad Pontem con annesso monastero.

Qui la tradizione gastronomica è rimasta più o meno la stessa, la classica cucina casareccia con i piatti tipici del territorio, senza infamia e senza lode, mancava il locale che puntasse alla massima qualità delle materie prime, accettando anche il rischio di un non facile inserimento in un contesto dove il prezzo basso e la quantità nel piatto sono sempre stati prioritari.


Ci è riuscita Amalia Costantini, fianese doc che, pur provenendo da anni di lavoro in un'azienda tessile, ha sempre avuto il pallino per la buona cucina, una vera e propria passione "rubata" alla nonna paterna, di cui porta il nome, che fin dall'infanzia le preparava leccornie e manicaretti. Ovviamente nessuna improvvisazione, ma ha iniziato a frequentare corsi riconosciuti per diventare chef e pasticciera e, finalmente, grazie al sostegno e all'aiuto economico di sua cognata Michela, il 26 agosto 2015 ha realizzato il suo sogno con Pizza Mater, un locale dove nessuna parola è scritta per caso, ma esprime tutto il vissuto e l'amore di Amalia per la buona cucina, a partire dal nome.

Tutto inizia infatti dal lievito madre, che Amalia custodisce come un figlio, ottenuto semplicemente da tre ingredienti: mela, acqua e farina. Con questa madre ci fa tutto, dalle pizze ai diversi tipi di pane, fino ai cornetti mattinieri rigorosamente con burro (la margarina è bandita). Uno dei principi basilari della sua cucina è quello di sprecare il meno possibile, così con ciò che avanza dalle forme delle pizze si fanno altri prodotti da forno, anche perché fra lievito madre e farine altamente selezionate sarebbe un peccato mortale non farlo.


Pizza Mater è rigorosamente a gestione familiare: con Amalia c'è il marito che si occupa del vino, mentre in sala ci sono figlia e nipote, ma anche ragazzi ben preparati che sanno come far sentire la clientela a proprio agio, mentre in cucina c'è il fondamentale supporto di Ivano, insostituibile alter ego di Amalia. Il principio fondamentale su cui si basa il lavoro di Amalia è la ricerca delle migliori materie prime, a partire dalle farine semi integrali all'uso di olio extravergine di qualità proveniente da aziende della Sabina selezionate, le sue pizze contengono tutti prodotti eccellenti, molti dei quali sono anche presidi Slow Food: il fior di Agerola, il pomodoro Miracolo di San Gennaro, i pomodori Piennolo e di San Marzano, i capperi di Salina, le alici di Cetara, la cipolla di Montoro, il tonno di Locullo, il lardo di Patanegra affinato a Camaiore, le olive taggiasche, il parmigiano reggiano Vacche Rosse, il capocollo di Martina Franca e tante altre specialità.

Amalia sa bene che per fare delle pietanze di questo tipo mantenere i prezzi moderati non è facile, per questa ragione ha impostato il menu in modo da offrire un'ampia scelta con diverse fasce di prezzo. Ad esempio fra gli antipasti potrete scegliere i classici supplì (con ragù e fior di Agerola) a 1,5 euro, se salite a 2 euro potrete provare i supplì Mater, con gusti del tutto particolari a fantasia dello chef, io ho trovato fantastici quelli con ripieno di zucca e speck.

Ci sono anche chicche come la "Patatwister", ovvero uno spiedino con una patata fresca di Avezzano o di Leonessa tagliata a spirale sottile e delicatamente fritta, oppure il classico filetto di baccalà in pastella, le bruschette miste e gli affettati. Per le pizze si può spaziare dalla "Pizza Mater" (fatta con pomodoro San Marzano Dop, cipolla di Montoro e basilico fresco) a soli 5 euro, fino alla stupenda pizza gourmet "La Martina" (il nome è un omaggio all'ingrediente principale ma anche a sua figlia), composta da fior di Agerola, burrata pugliese, capocollo di Martina Franca e olive taggiasche a 17 euro, decisamente ben spesi ve lo assicuro.


A richiesta si fanno anche le pizze con farina integrale (io ne ho provata una pochi giorni fa e l'ho trovata strepitosa), oppure senza glutine.

E ancora: a 6,5 euro si può mangiare la pizza fritta con verdure di stagione o un bel calzone ripieno di cicoria, broccoli, bieta, scarola o quant'altro offre il periodo. Ci sono anche le alternative per vegetariani e vegani: insalatine di stagione con pomodorini, seitan alla piastra scaloppato, mais e noci.

Non vi va la pizza e non siete vegetariani? Nessun problema, arrivano gli hamburger di carne fresca selezionata, oppure il "Patalocco", wurstel di puro suino con patate fritte, altrimenti potete puntare sulla costata o sull'entrecôte. Non manca lo spazio per i dolci, dai tiramisù a vari gusti, alla zuppa inglese e agli straccetti fritti con nutella. Ah, le pizze sono fatte nello stile napoletano, ovvero con il bordo grosso. E da bere? Potete scegliere se puntare alle birre alla spina (spalter pils e winkler) o a qualche buona bottiglia di vino.


E se una sera avete voglia di fare qualcosa di diverso, a fianco c'è l'Irish Mater Pub, ambiente classico e accogliente, dove ovviamente il repertorio di birre si allarga e potrete gustare hamburger e panini vari, sempre preparati con lo stesso lievito madre delle pizze.

Ah! Cosa tutt'altro che secondaria: quando arrivano le opportune ricorrenze, Amalia e Ivano preparano eccellenti colombe pasquali e panettoni, anche in questo caso ho avuto modo di fare una prova con la colomba che vedete in foto, semplicemente superba, con mandorle e canditi di ottima qualità. Fra l'altro all'ingresso trovate il bar con saletta per le colazioni mattutine (provate il loro cornetto integrale, è una bomba!), mentre il pomeriggio potrete sorseggiare tè, tisane o cioccolate calde, accompagnati a biscotti, crostate e dolci tutti fatti in casa; ma un semplice e buon caffè non lo si nega mai!


Per me che ormai a Fiano ci vivo da ben 13 anni, Pizza Mater è stata una felice scoperta, un punto di riferimento anche per i romani che hanno voglia di fare una breve gita fuori porta per mangiare bene in un ambiente confortevole e allegro.
 
Pizza Mater


Via Pier Paolo Pasolini 1 - Fiano Romano (RM)
Tel. 0765-480785
Aperto tutte le sere fino a mezzanotte.
info@pizzamater.it
www.materpizza.it