Colombera & Garella, i due enfants prodige dell'Alto Piemonte

Sono in tremendo ritardo, odio far aspettare le persone. Queste parole risuonano in macchina per oltre mezz'ora, il tempo che ci vuole per andare da Cavallirio, zona di Boca DOC, fino a Masserano (località Cascina Cottignano) dove, invece, regna il Bramaterra DOC. Sono le 19 e, nonostante le rassicurazioni al telefono di Giacomo Colombera, non mi resta molto tempo per fare le foto per i vigneti.

Arriviamo e Giacomo, prontamente, scende ad accoglierci e ci conduce all'interno dei vigneti che sono stati piantati appena sotto la sua casa. Gli chiedo un po' della storia famigliare e di come hanno iniziato a produrre vino. 

"Andrea, tutto nasce nel 1992 quando mio papà Carlo, che a breve ci raggiungerà, stufo di lavorare nei campi di riso del vercellese decide di acquistare questa proprietà, che prima era un rudere, con l'intento di produrre vino grazie a questa vigna che vedi qua. Ha avuto bravi maestri visto che in quegli anni, non so se lo sai, ha lavorato per Antoniolo come trattorista. Man mano che si appassionava, e quando c'era possibilità, acquistava altre vigne intorno a queste e così, nel 2001, dopo varie prove casalinghe, ha prodotto il suo primo vino etichettato. Nel 2010, invece, dopo aver studiato enologia ad Alba, sono entrato in azienda io e Cristiano Garella che è stato enologo in passato di Tenute Sella da cui facevo le vendemmie. Il nostro intento era quello di coadiuvare mio papà, maggiormente concentrato sul vigneto, nella gestione della cantina perchè i vini che produceva erano di grande potenzialità ma mancavano, forse, di un minimo di finezza".


Oggi Colombera & Garella possono lavorare uve che provengono da circa otto ettari di vigneto suddivisi in questo modo: 
  • 2 ettari in zona Cascina Cottignano, dove siamo ora, suddivisi a loro volta in più fazzoletti di terra dove risiedono anche piante vecchie 60 anni di nebbiolo, croatina e vespolina. Il terreno in questo caso è argilloso in superficie mentre in profondità troviamo porfido e quarzo. Da questa zona si produce il Bramaterra e il rosato Coste della Sesia

  • 5 ettari a Roasio dove le vigne, di circa 30/35 anni, poggiano su suolo vulcano di colore giallo. Da questa vigna si produce il Coste della Sesia DOC;
  • 1 ettaro a Lessona piantato nel 2006 su suoli ricchi di sabbia.
Mentre scendiamo velocemente in cantina, con Giacomo parliamo della filosofia aziendale in tema di vinificazione. La risposta è molto chiara:"In linea generale non usiamo lieviti selezionati ma, caro Andrea, noi viviamo col vino per cui in annate particolari come è stata la 2003 non potevamo non usare i Saccharomyces altrimenti la fermentazione non partiva. Non potevo mica buttare via un anno di lavoro così?".

Ha le idee chiare il giovane Colombera che mi mostra la sua piccola cantina di vinificazione e affinamento formato da vecchie botti di cemento, usate per il Bramaterra e il Lessona, e 
vasche di acciaio usate per gli altri vini. Qua e là, sparse secondo un ordine ben preciso, vecchie barrique usate per affinamento dei vini più importanti.

Foto: http://gliamicidelbar.blogspot.it/

Se non voglio far mangiare Giacomo a mezzanotte come i vampiri dobbiamo rapidamente tornare su e cominciare a degustare i suoi vini o, meglio, quello che gli è ancora rimasto visto che fortunatamente non ha problemi di vendita. Anzi, l'idea è proprio quella di ampliarsi man mano senza fare passi avventati.

Il primo vino che degustiamo è il Coste della Sesia Rosato 2014  (100% nebbiolo) le cui uve provengono da una parte vigneto di fianco che appartiene ad un clone di nebbiolo che ha acini mediamente grandi che, mi confida Giacomo, sono molto profumati ma non garantiscono la struttura ideale per il Bramaterra. Ha ragione, il vino è intenso nei profumi che ricordano la viola e la terra rossa, vulcanica, da cui proviene. Berlo significa pensare ad un bicchiere d'acqua nel quale sono stati sciolti vari chicchi di sale rosa dell'Himalaya. Non lo consiglierei a chi ha problemi di pressione alta. A parte gli scherzi, sto vino va giù che è un piacere.



Passiamo al Coste della Sesia 2011 (nebbiolo 65%, croatina 20%, vespolina 15%), un vino che si caratterizza per la brillantezza, non solo del colore, ma anche dei profumi che richiamano il blu e il rosso della frutta e dei fiori. Sorso in pieno equilibrio per finezza e corpo. Finale sapido e corroborante. Si trova in giro a circa 10/11 euro. Ecco, se lo trovate fatene dovuta scorta perchè a questo prezzo è davvero un regalo ma, acqua in bocca, non ditelo a Giacomo.


Il Bramaterra 2011 (nebbiolo 70%, croatina 20%, vespolina 10%) ha profumi ricchi e articolati che esprimono sensazioni di rosa, ciliegia, arancia sanguinella, timo, terra rossa e spezie. Grande valore anche al gusto dove la struttura rivela un notevole apporto sapido-tannico che Cristiano e Giacomo sono riusciti a rendere snello e dall'andamento elegante.E' un vino che non smetteresti mai di bere per l'assenza assoluta di pesantezze e piacionerie. Solo territorio al 100% e tanta voglia di stupire. Bravi ragazzi!


Mentre beviamo l'ultimo sorso di Bramaterra arriva Carlo Colombera che, tra una chiacchera e l'altra, tira fuori due bottiglie. La prima riguarda il Lessona 2011 mentre l'altra, non etichettata, è un "vecchio" Bramaterra che produceva prima dell'avvento di Giacomo e Cristiano. "Prima di cenare" - mi dice - "questi vanno provati!".

Il Lessona 2011 ha un naso che si distingue per ricchezza fruttata intrisa di toni ematici e tocchi di erbe medicinali. La bocca è autorevole, salata con tannini levigati ma compatti e una persistenza molto ricca e profonda. Come prima annata non c'è male. Peccato che in azienda sia praticamente finito...



Carlo Colombera ha voluto lasciare il SUO vino per ultimo, non ricordo nemmeno che anno è anche perchè è stata scaraffata da una bottiglia non etichettata. Carlo guarda non solo me e Stefania ma anche suo figlio Giacomo che ha iniziato il suo progetto lavorativo proprio avendo come riferimento proprio questo Bramaterra. Bevendolo non gli si può che dar ragione, è vibrante, spontaneo, puro e, nonostante certe irruenze, di ottima personalità. 


Carlo ha tracciato la strada al futuro che, sono sicuro, sarò di Giacomo e Cristiano. Due stelle in più nel firmamento dei grandi vini dell'Alto Piemonte!

Piedirosso 2014 Colle Rotondella per il VINerdì di Garantito IGP

Non tutta la 2014 è da buttare. Gerardo lo diceva mordicchiando gli acini alla fine di agosto: l’uva sopravvissuta è di grande qualità. 


Nel bicchiere un piccolo grande Piedirosso dei Campi Flegrei, dieci euro sullo scaffale.

Fresco, scattante, geranio al naso, sapidità e freschezza al palato. 

Una meraviglia coltivata nel cuore di Napoli, la metropoli più vitata d’Europa.

Colle Rotondella, la vigna da cui nasce il Piedirosso. Sullo sfondo: Agnano e la collina di Posillipo

Ciro Picariello e il Fiano di Avellino 2013 visto da Garantito IGP


L’euro è sicuramente responsabile del crollo della rendita rurale. Mentre il valore reale della spesa nei bar e nei ristoranti è raddoppiato, in vigna si è dimezzato ed è per questo che tanti piccoli conferitori che usavano coltivare la terra come reddito integrativo hanno pensato di mettersi in proprio.
Il modello irpino non sfugge a questa regola ed è bello passare dalle analisi generali a quelle concrete, alle storie delle persone. Ciro Picariello avviò la prima vinificazione in proprio nel 2004, in piena crisi dovuta al blocca del mercato americano che ha paralizzato per la prima metà dello scorso decennio il vino italiano.
La sua è però una storia di successo mentre quella di molti altri conferitori no. Come mai? La prima risposta che mi viene, bevendo questa eccezionale 2013, annata veramente benedetta per il Fiano di Avellino, è Ciro non ha pensato di scimmiottare le aziende leader proponendo tutte le tipologie di vino secondo il protocollo classico Falanghina (acquistata a Benevento), Greco, Fiano, Aglianico, Taurasi e magari pure spumante. Chi ha scelto questa strada, cioé la non specializzazione, ha dovuto giocare nel campionato del ribasso dei prezzi a prescindere dalla qualità e spesso si è ritrovato la cantina piena dopo i primi omaggi e i primi ordini.


Ciro Picariello, nonostante avesse anche aglianico nella vigna del pasre, ha impostato l’azienda solo sul Fiano.
Il secondo motivo è stato imitare i suoi vicini Marsella e Antoine Gaita, ossia aspettare un anno prima di commercializzare. Un piccolo grande segreto che è stata la chiave di volta perché questa impostazione, solo apparentemente più difficile, è stata la chiave di volta che ha posizionato il suo Fiano fuori dalle decine di proposte concorrenti.
Il resto, che poi è la premessa, lo ha fatto l’incredibile qualità di questo vino, giocata essenzialmente sull’acidità e la mineralità e che gode del passare del tempo come ha dimostrato la prima recente verticale aziendale organizzata ad Avellino.
Ecco perché ogni millesimo ha una sua storia, il Fiano di Ciro e Rita Picariello conserva un sapore artigianale che altre etichette, magari delle stesse dimensioni, non riescono ad avere.
C’è poi un altro elemento: si tratta di uno dei primi vini di successo che si sono affermati prima con il passa parola sui blog specializzati che sulle guide cartacee. E’ dunque stato adottato con piacere da un pubblico sempre più vasto di appassionati stanco di aspettare i responsi di fine anno per decidere il proprio acquisto. Non è da sottovalutarte, infatti, il fenomeno di molto enotecari e ristoranti che per fare i fighi hanni iniziato a snobbare le guide specializzate.

Sia come sia, il Fiano di Ciro resta uno spettacolo, capace di comunicare la qualità anchea chi non è esperto perché si tratta di un bianco che piace, efficace nell’abbinamento.
La 2013 è un po’ tutto questo: un millesimo perfetto in cui tutte le componenti sono al posto giusto, ricca di acidità, nota leggermente fumé, agrumato. Un sorso lungo insieme dolce e amaro, equilibrato e veloce, tagliente. Imperdibile.

Ciro Picariello è a Summonte in località Acqua della Festa Via Marroni – www.ciropicariello.com – info@ciropicariello.com


L'Antico Borgo dei Cavalli di Sergio e Silvia Barbaglia

Ogni promessa è un debito e così, dopo che con suo marito era stata a Roma per la splendida verticale di Boca, siamo andati noi a trovare Silvia Barbaglia e tutta la sua famiglia che, ultimamente, si è ingrandita con la nascita di Margherita.
Cavallirio, piccola frazione vicino a Borgomanero, è un posto dove il tempo scorre lentamente e la vita sembra prendere ritmi decisamente diversi da quelli imposti dalla mia Roma. Mentre aspettiamo Silvia, il silenzio dell'Antico Borgo dei Cavalli è rotto solo dal raglio dei due asini che gironzolano vicino a noi e ci guardano come se fossimo due alieni.
Leggiamo, gironzolando nella sala degustazione, che l'azienda è stata fondata nel 1946, poco dopo la fine della guerra, da Mario Barbaglia che, prima con la bicicletta e poi grazie ai primi camion, ha fatto conoscere i suoi vini in tutto il territorio circostante in anni in cui valorizzare i vini dell'Alto Piemonte, poco conosciuti anche oggi, era un compito da veri "visionari". Mario, Sergio ed infine Silvia, tre generazioni dove il filo conduttore è stato, e sarà, preservare il territorio e le sue tradizioni vinicole che non possono fare a meni di vitigni unici e preziosi come l'erbaluce (greco novarese), la vespolina, la croatina, l'uva rara e, ovviamente, il nebbiolo. 


Silvia sembra leggermi nel pensiero e di colpo mi fa:"Dai Andrea, andiamo a vedere al volo i vigneti prima che Margherita reclami la prossima poppata!". 
Passando tra aspre stradine che si fanno largo tra boschi che negli anni hanno "divorato" vecchi vigneti ormai abbandonati, arriviamo quasi magicamente all'interno di un piccolo spiazzo da dove si apre, quasi come un anfiteatro, il principale vigneto della famiglia Barbaglia (sono quasi quattro gli ettari gestiti) dove nebbiolo, vespolina, uva rara ed erbaluce poggiano le loro radici su quella terra ricca di porfido che, studi recenti, fanno derivare all'attività del supervulcano della Valsesia (290 milioni di anni fa) la cui caldera, sottolinea Silvia, si trova proprio sotto i nostri piedi. Vigne vecchie, giovani piante e, al centro, custode di questo enomondo, una vecchia casa colonica che la nostra giovane amica vignaiola sogna di ristrutturare per viverci con tutta la sua famiglia. 




Respiro l'aria pura di questi luoghi mentre torniamo verso la cantina passando, tra l'altro, accanto al Santuario del SS. Crocifisso di Boca. Silvia, nel mentre, ci confessa che non vuole fermarsi qui e sta già trattando l'acquisto di altri appezzamenti di terreno.
In cantina, dove ci aspetta Sergio Barbaglia, facciamo un rapido giro iniziando dalla sala di fermentazione, dove troviamo solo vasche in acciaio inox, per poi passare per quella di affinamento, dominata da legni di varia grandezza e tipologia, e terminare nella buia saletta dove riposa il metodo classico dei Barbaglia sia a base di Erbaluce, sia a base di Uva Rara. Chicche che, mi promettono, degusterò tra qualche minuto...





Nella piccola ma accogliente sala di degustazione arriviamo dopo aver fatto una rampa di scala. Ci ritroviamo tutti attorno ad un tavolo imbandito dove nei calici già ci stanno versano il primo metodo classico prodotto dall'azienda ovvero il Curticella Caballi Regis Brut. Spumante 100% erbaluce che affina sui lieviti per circa 66 mesi, si apre aromaticamente su sensazioni di agrumi, frutta secca e fieno mentre al sorso è vibrante, sapido e decisamente lungo.


Il Curticella "Dosaggio Zero" è stata un vera sfida lanciata da Silvia visto che, inizialmente, sua papà non era troppo convinto sulle potenzialità di un metodo classico totalmente secco. Erbaluce in purezza che affina 60 mesi sui lieviti, ha un carattere più nervoso e determinato del precedente per via della sua austerità e di una maggiore sensazione minerale che esalta le durezze del vino rendendolo di beva quasi compulsiva. Da riprovare tra qualche anno per verificare la sua evoluzione.


Il Lucino 2013, l'Erbaluce fermo di casa Barbaglia, profuma di agrumi, mela ed erbe aromatiche. Succoso e fruttato in bocca ha un finale decisamente sapido e ricco. Vino dalla grande territorialità che conferma, se ce ne era bisogno, la maestria di Sergio e Silvia nella vinificazione di questo altro storico vitigno piemontese.


Il Colline Novaresi Croatina Clea 2011, croatina in purezza, si caratterizza per i suoi ricordi di amarena, mora, tabacco, spezie e tocchi di viola. Al gusto conferma struttura, equilibrio e grande generosità sopratutto grazie ad un finale dove persistono sensazioni fruttate martellate da rintocchi di mineralità ferrosa. Una versione molto convincente di un'uva che spesso viene sottovalutata. Affinamento di botti da 500  litri per un anno.


Il Colline Novaresi Vespolina"Ledi" 2011 è molto diretta con le sue "classiche" note di frutta rossa matura, viola e spezie.  Sorso succoso, profondo, nitido e appagante. Finale decisamente speziato. Una Vespolina molto tipica che rappresenta un buon punto di riferimento per chi intendo approcciarsi a questa tipologia di vino.


Boca 2011: Silvia, in anteprima, mi ha voluto far degustare il suo grande rosso del quale sono già invaghito dopo aver saggiato le sue peculiarità olfattive che rimandano alla viola, alla rosa, alle erbe aromatiche e al minerale. Sapore pieno e già gustoso, ha una trama tannica ancora da smussare ed una lunga persistenza sapida. Bisogna aspettarlo per capire quando grande diventerà. Certo che dopo lo splendido 2010 è davvero dura per tutti...


Terminiamo con due ottimi vini dolci. Il primo, chiamato Gocce di Luce (100% erbaluce) è morbido e setoso e, bevendolo, ha il carattere deciso ma equilibrato che ritrovo in tutta la famiglia Barbaglia. Lunghissimo il finale di frutta matura. 


Il Passiolo è ottenuto dall'appassimento delle uve nebbiolo a cui segue una vinificazione e un invecchiamento in legno per circa 3 anni. Ricco, suadente, è un vino dolce "non dolce" come amo chiamarlo e il suo abbinamento ideale è col cioccolato fondente all'80%. Ah, se ci ripenso ora....


Si è fatto tardi, come al solito, Giacomo Colombera mi sta aspettando da un po' e io non so come giustificare il ritardo. E' colpa del vino che mi ha tenuto prigioniero può andare come scusa? 

Vabbè, intanto saluto Silvia e tutta la sua splendida famiglia e mi avvio verso Cascina Cottignano. Il mio #AltoPiemonteWineTour continua...pazienza di Giacomo permettendo.....

Chianti Classico Poggerino 1991 ovvero il VINerdì di Garantito IGP

di Carlo Macchi


1991 annata terribile, fredda” e “un Chianti Classico non può invecchiare più di 10 anni” .
Poi in cantina trovi una delle (per fortuna mia) non poche bottiglie di Chianti Classico Poggerino 1991: in un secondo i luoghi comuni si sciolgono come boiate al sole.
Un grandissimo rosso, finissimo, complesso, incredibile, da urlooooooooo!


Poggerino
Loc. Poggerino 6, 53017 Radda In Chianti
Tel. 0577.738958


Garantito IGP - Una rispettosa e gustosa cucina di pesce FRESCO: Vigna Ilaria a Lucca

Di Carlo Macchi

Volevo iniziare l'articolo con una frase polemica del tipo "Esistono cuochi che stanno in cucina e cuochi che stanno in televisione o da altre parti. Maurizio Marsili, chef di Vigna Ilaria, sta in cucina!" ma poi ho pensato che Maurizio, scuola Paracucchi affinata dalla passione e dall'esperienza, persona schiva e semplice, non avrebbe apprezzato. In effetti le volte che ho mangiato a Vigna Ilaria non sono riuscito a farlo venire una volta che fosse una al tavolo e per parlarci sono dovuto andare in cucina.
Allora mi è venuto in mente di iniziare con una frase a effetto del tipo "Quante volte vi è capitato che al posto del menù vi recitassero il canto XXXIII° dell'Inferno? Con Andrea Maggi, patron del locale e One Man Jazz Band di sala, è successo!" Ma poi ho pensato che di Andrea, uno dei pochi torinisti sfegatati di Toscana, presentavo un'immagine troppo culturale che magari poteva allontanargli qualche cliente. In effetti Andrea è un trottolino mai fermo, gioviale e simpatico, e non ha certo velleità di "tirarsela" recitando versi.
Allora mi sono detto "Ma io come lo inizio 'sto benedetto articolo?" e così ho deciso di partire con una frase semplice e vera del tipo "A Vigna Ilaria ho mangiato proprio bene!" E questo è il vero succo del discorso, che può e deve essere allargato iniziando a dire che Vigna Ilaria vuol dire soprattutto pesce, povero o ricco conta poco (del resto mai vista una cernia con la Diners....battuttona...) conta che sia fresco e pescato in Toscana. 


A Vigna Ilaria ho gustato dei pesci di cui non conoscevo nemmeno l'esistenza, tipo la rètina che io ho subito chiamato retìna facendo, appunto, una figura barbina (non edulcorata dalla rima), o il pesce fico (mio alter ego marino) o altri di cui ho solo sentito dire e visto passare, nel piatto naturalmente, in sala (fresco va bene, ma tutto ha un limite...).
Chi mi conosce sa che quando continuo a scherzare è perché quello di cui scrivo mi è proprio piaciuto e in effetti la cucina di Maurizio mi ha conquistato per un mix di estremo rispetto della materia prima affiancato da una saggia e misurata elaborazione. Così nascono piatti come il tagliolino Nero cotto in brodo di rètina con i suoi bocconcini o il raviolone di cefalo e radicchio in guazzetto.
Questi due piatti sono affiancati però da portate meno definite dal punto di vista del pesce utilizzato, come appunto Il Riso nel mare, il Gran bollito di mare, l'umido di mare. Ricette che forse sono il vero "atout" di questo ristorante poco fuori Lucca: piatti creati e interpretati con quello che quel giorno si trova di fresco al mercato e con la certezza che Maurizio riuscirà sempre a dargli grandi sapori. 


In questo viene molto aiutato dal fatto che Andrea, oltre a trovare dell'ottimo pesce, ha anche rapporti privilegiati con ortolani notevoli, di quelli con i controc... e quindi la verdura che sempre, in un modo o nell'altro si abbina al pesce, è anch'essa un valore quasi a sé stante; prova ne sia l'incredibile insalata della Lia che mi sono sgranocchiato una sera rimanendo stupefatto dal mix di sapori ritrovati in bocca. Per non parlare del pane, anche qui da farine particolari, che rischia di riempirti prima ancora di iniziare la cena.
Non ho provato, per una mia atavica paura, il loro crudo di pesce, che però è stato molto apprezzato da persone al mio tavolo. In compenso io ho goduto come un riccio con la Carbonara di mare "fusione a freddo" e con una serie di antipasti che, anche questi, possono variare a seconda del pescato.


Insomma dove caschi caschi bene, anche parlando di carta dei vini, selezionata da Andrea con etichette assolutamente non convenzionali, molte delle quali a prezzi veramente da affezione. Alla fine, magari utilizzando la geniale formula del Menù Slow, arriverete a spendere (con 4 portate) 35 euro più i vini, o se vorrete veramente mangiare a crepapelle difficilmente supererete i 60 euro vini esclusi. Dato che stiamo parlando di pesce fresco e di una cucina di assoluto livello, mi sembra quasi il minimo.
Chiudo con alcuni indicazioni per i naviganti: arrivare a Vigna Ilaria, che si trova un chilometro fuori Lucca, non è facilissimo. Quindi prima fate una telefonata, che non vi allungherà la vita ma vi abbrevierà il percorso per arrivare a godere (dal punto di vista gastronomico naturalmente).

Locanda Vigna Ilaria
Via della Pieve Santo Stefano 967c, Lucca
Tel. 0583.332091 cell. 3293872159
Mail: info@locandavignailaria.it
www.locandavignailaria.it 


Odilio e Mattia Antoniotti: umiltà, sudore e grande Bramaterra

Odilio Antoniotti  e suo figlio Mattia li avevo conosciuti pochi mesi fa a Roma durante la premiazione dei Tre Bicchieri del Gambero Rosso. Odilio era dietro al banchetto col suo Bramaterra e, mentre il resto dei produttori era indaffarato nelle pubbliche relazioni, lui smaniava per poter tornare al più presto in cantina perchè, mi diceva, doveva fare i rimontaggi ed era in ansia per quel vino che stava nascendo così bene dopo le fatiche della vendemmia 2014. 

Come fai a non essere conquistato da un uomo così?

Il mio #AltoPiemonteWineTour, infatti, non poteva prescindere da una visita a lui e Mattia che mi aspettano in un luogo incantato che prende il nome di Casa del Bosco, un paesino di poche anime che, come dice bene il nome, sbuca dopo aver percorso qualche chilometro di strada all'interno di splendidi ed isolati boschi che una volta, purtroppo, lasciavano il posto a molti ettari di vigneti ormai abbandonati.

Dopo i classici e calorosi saluti di rito e con l'apprensione, visto il contesto, che prima o poi sbuchi da qualche parte uno gnomo, saliamo sul fuoristrada (utilissimo visto le strade che affronteremo) e andiamo a visitare i vigneti di proprietà che, in totale, si attesta sui cinque ettari divisi in vari fazzoletti di terra localizzate nelle DOC Bramaterra e Coste della Sesia.

Attraversando viuzze sterrate, dove il porfido emerge da ogni lato della strada, arriviamo al primo vigneto di proprietà che prende il nome di Pramartel. Le vite, tutte giovani essendo state reimpiantate circa due anni fa, sono divise in base all'uvaggio tipico del Bramaterra: nebbiolo 80%, croatina 10%, vespolina 7% ed infin 3% di uva rara. Il vigneto, con esposizione sud - sud/ovest è a circa 400 metri di altezza. Girare per questa terra ti fa comprendere come la Natura da queste parti regni incontaminata ed incontrastata.

Odilio in vigna Pramartel

La vigna
I colori del porfido
Cambiamo zona e arriviamo nel vigneto più importante e storico della famiglia Antoniotti. Siamo in località Martinazzi dove Odilio e Mattia gestiscono 3 ettari di vigneto, età media 40 anni circa, coltivato sempre a nebbiolo (70%), croatina (20%), vespolina (7%) e uva rara (3%). Da questo splendido versante nasce il loro premiato Bramaterra la cui produzione futura, probabilmente, verrà ampliata in quanto, appena al di sopra, in zona Cincignone, è stata acquistato poco più di un ettaro di terreno che è talmente vocata che Mattia sta pensando di farci un vero e proprio Cru. Non l'ho scritto in precedenza ma gli Antoniotti in vigna seguono un approccio molto naturale prediligendo solamente trattamenti con rame e zolfo.

Vigneto Martinazzi
 
quello che diventerà il nuovo vigneto..
Scendendo verso valle per andare in cantina passiamo vicino l'altro vigneto (circa un ettaro) da dove, assieme al Pramartel, Antoniotti produce il suo Coste delle Sesia. 

Siamo tornati a Casa del Bosco, al punto di partenza, e di gnomi ancora nessuna traccia. Di reale, invece, c'è vecchia cantina di vinificazione degli Antoniotti che, mi confessa Odilio, hanno una storia centenaria che parte dal 1700 quando un suo avo comincia a seguire le terre del parroco della zona. Prima di scendere giù, Mattia mi fa vedere l'ultima botte dismessa costruita interamente con legno locale.


Pochi scalini e ci ritroviamo in un luogo dove ogni centimetro trasuda storia e territorio. Questa vecchia cantina per me è diventata una sorta di luogo di culto e spero che le foto rendano giustizia. Pochi metri quadri dove, da un lato, troviamo due vasche di cemento costruite interamente nella roccia e rivestite di sola vernice epossidica alimentare mentre, dall'altro, sono situate tre vecchie e grandi botti da 14,5 HL da 10 HL dove affina il Bramaterra per almeno 30 mesi.

notare scritta 1901



Qualche metro più sopra, invece, accanto alla sala degustazione, la nuova cantina dove, oltre botti di piccola e media capacità, troviamo qualche fermentatore in acciaio.




Come al solito ho fatto tardi e abbiamo poco tempo per degustare i vini di Odilio e Mattia Antoniotti che mi fanno degustare le loro ultime uscite: il Pramartel e il Bramaterra 2011.

Il primo, il Pramartel, è un blend di nebbiolo (70%), croatina (205), vespolina (7%) e uva rara (3%) e possiamo tranquillamente chiamarlo un piccolo Bramaterra vi sto che l'uvaggio è proprio quello ma le uve, come detto in precedenza, provengono dalle vigne più giovani. E' un vino succoso, nervoso, vibrante, a tratti dotato di elegante rusticità che conquista il palato con la sua anima fruttata e floreale. E' un vino da tavola, in tutti i sensi, non solo legislativi, e grazie al suo fantastico rapporto q/p (siamo a meno di 10 euro) non dovrebbe mancare nella cantina di ogni appassionato che si sta avvicinando all'Alto Piemonte.


Il Bramaterra 2011, stesso uvaggio e stesse percentuali del precedente vino, è un vino di una complessità davvero emozionante con un profumo ampio e fitto di viola, lampone, mora, sottobosco, spezie orientali e, soprattutto, una fervida nota minerale che ricorda tanto i sassi di porfido visti nelle vigne. Bocca piena, equilibrata da vivace freschezza e vellutati tannini. Finale lungo e, soprattutto, sapidissimo. Bottiglia finita in un amen. Grande vino a un costo piccolo piccolo: 15 euro in cantina. Che altro volere di più?



Lascio Casa del Bosco e la famiglia Antoniotti con molto rammarico, la mattinata è stata davvero intensa di emozioni e sensazioni che difficilmente usciranno dalla mia mente che ha già in programma di portarli a Roma per il prossimo premio che spero prenderanno. Chissà se lo gnomo, stavolta, apparirà e verrà con loro....

Il VINerdì di Garantito IGP: Vallée d’Aoste Pinot Noir 2013 – Ottin

di Roberto Giuliani


Perché nasce in Valle d’Aosta, regione di viticoltura eroica.
Perché in questa regione il pinot nero trova una delle sue migliori espressioni.
Perché i cloni arrivano dalla Borgogna e hanno superato i 25 anni di età media.
Perché Elio Ottin è un eccellente viticoltore, uno dei riferimenti, provate il suo Torrette.
Perché profuma di fiori, gelso bianco, fragolina di bosco e ha un gusto puro, fresco, godibilissimo.
Perché costa poco più di dieci euro e li vale tutti, ma sono solo 8.000 bottiglie, affrettatevi…


OTTIN
Frazione Porossant Neyves, 209 – 11100 Aosta (AO)
+39 347 4071331



Verticale completa del Ghemme di Tiziano Mazzoni: 2001-2011. Garantito IGP!

I mezzi cono cui si dipinge non possono mai essere abbastanza semplici. Mi sono sempre sforzato di diventare più semplice. Ma la massima semplicità coincide con la massima pienezza. Il mezzo più semplice libera al massimo della chiarezza lo sguardo della visione. E alla lunga. Solo il mezzo più semplice è convincente.
Ma da sempre c’è voluto coraggio per essere semplici. Credo che non ci sia al mondo niente di più difficile. Chi lavora con mezzi semplici non deve aver paura di diventare apparentemente banale”
.
Henry Matisse.


Ho una particolare affezione per l’Alto Piemonte, questo è merito anche delle persone splendide che ho conosciuto, alcune davvero straordinarie come il mitico Alfonso Rinaldi di Suno (NO), che alleva la sua vigna Costa di Sera dei Tabacchei come fosse suo figlio, e da cui nasce quello stupendo bianco da erbaluce che ho più volte recensito. O come le sorelle ElenaPaola ed Anna Conti, donne immerse fra vino e arte in quel di Maggiora, con le quali ho vissuto la mia prima esperienza enoica nelle terre del Boca, insieme a personaggi fondamentali come lo svizzero Christoph Künzli (Le Piane), o Sergio e Silvia Barbaglia (Antico Borgo dei Cavalli) nel vicino comune di Cavallirio. E a Gattinara quella donna di grande carattere che è Lorella Zoppis Antoniolo con il fratello Alberto e i loro mitici Osso S.Grato e San Francesco.

Tiziano Mazzoni
Persone e vini che hanno qualcosa di unico da raccontare, come il bravo Tiziano Mazzoni di Cavaglio d’Agogna, persona modesta, semplice, e allo stesso tempo meticolosa nel suo lavoro di vitivinicoltore, che nel suo Ghemme è riuscito a concentrare tutto il meglio che il nebbiolo può dare in queste terre: eleganza, profondità, longevità, bevibilità. Da tempo sentivo l’esigenza di fare un resoconto dell’evoluzione di questo vino, l’occasione è arrivata a gennaio, quando Tiziano Mazzoni e Alfonso Rinaldi mi hanno proposto di festeggiare il mio sessantesimo compleanno con loro. A sorpresa Tiziano ha preparato una parziale verticale del suo Ghemme, ne sono rimasto talmente entusiasta che ho voluto riunire tutte le annate esistenti per farne una completa e raccontarvela. Unica mancante la 2000, di cui neanche Tiziano ha più una sola bottiglia.


Ghemme dei Mazzoni 2001
13%
E’ la seconda annata prodotta da Tiziano e la prima da me degustata nove anni fa, in occasione di un evento espressamente dedicato al Ghemme nella cittadina omonima. Ne rimasi subito impressionato, nonostante la presenza della maggior parte dei produttori di Ghemme, quello di Mazzoni spiccava per eleganza, finezza, purezza espressiva. Non volli assegnargli la quinta chiocciola solo perché era il primo vino che assaggiavo di questa azienda, preferii attendere le annate successive per poter inquadrare bene le sue potenzialità e non lasciare nulla al caso fortuito di una grande annata come la 2001.
Oggi posso dire in tutta sicurezza che è uno dei migliori mai usciti da questa piccola cantina, tutt’ora in forma perfetta, granato luminoso con un bouquet complesso e articolato, da vino di alto rango. Ed è straordinario notare come, dopo quasi dieci anni dalla sua uscita, sia ancora vivissimo, con le sensazioni terziarie appena accennate, segno di un’evoluzione molto lenta, addirittura si percepiscono venature agrumate, tanta mineralità, liquirizia.
Il sorso esprime tutta l’essenzialità del Ghemme, un corpo snello, vibrante, con un tannino ormai perfettamente integrato, è sempre l’eleganza il filo conduttore, davvero un gran bel vino.
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Ghemme dei Mazzoni 2003
14%
I grandi vini si vedono da come affrontano le annate difficili, la 2003 è stata indubbiamente dura per il caldo torrido che ha abbracciato senza pietà tutta l’estate, ma decisamente migliore della 2002, per la quale Tiziano ha pensato bene di non produrre il Ghemme.
Il limite di questo millesimo è dato da un’alcolicità più elevata, un grado in più rispetto al 2001, e da toni indubbiamente più maturi, meno eleganti. Eppure, nonostante questo, il vino fa una gran bella figura, mostrando un granato compatto e un corredo di profumi per nulla appesantito: qui svettano la prugna e la ciliegia sotto spirito, la liquirizia, le note eteree sono molto contenute e si coglie ancora qualche spunto floreale, poi sottobosco, humus, ginepro, sandalo e una non trascurabile vena balsamica.
Al palato rivela una buona freschezza e un corpo affatto stanco, c’è sapidità e il frutto non è minimamente cotto, anzi, stupisce per l’ottimo equilibrio espressivo, solo l’alcol sottrae qualcosa all’eleganza e alla piacevolezza di beva, ma è davvero un piccolo neo per un’annata come questa.
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Ghemme dei Mazzoni 2004
14%
Con questo millesimo torniamo ai livelli del 2001, con la sola differenza che la 2004 è più corposa, più “piena”, quindi leggermente diversa nello stile. Lo si capisce già dalla diversa tavolozza di profumi, improntati più sulle spezie e su toni già di goudron, cuoio e tabacco, segno comunque di un’evoluzione diversa, che sulla distanza potrebbe rivelare qualche limite di tenuta rispetto alla 2001. Del resto i vini che nascono più pronti ed equilibrati, non sempre hanno nel dna le caratteristiche per una lunga vecchiaia, anche se per ora non c’è alcun segno di cedimento.
Al gusto è assolutamente riconoscibile nella rotondità e nella corposità della materia, morbida, con tannino vellutato, piacevolissima. Insomma buonissimo ma forse un po’ meno elegante, di carattere.
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Ghemme dei Mazzoni 2005
13,5%
Annata da molti sottovalutata in Langa, schiacciata fra le più sontuose 2004 e 2006, in realtà per me è un perfetto esempio di nebbiolo d’antan, austero, con meno ciccia, ma con una squisita energia che ti conquista poco a poco. Per certi aspetti un po’ altalenanti mi ricorda la ’96, ma qui c’è maggiore equilibrio, meno sobbalzi fra un anno e l’altro (anzi, con la ’96 si potrebbe dire fra un mese e l’altro) e forse anche un tannino migliore.
Certo, qui non siamo in Langa, ma questo Ghemme non si esime dal mostrare un profilo analogo, e lo trovo ogni anno più convincente, fra l’altro con un tannino misurato e una freschezza che lo sostiene magnificamente. Non mi stupirei se continuasse a crescere per un bel po’ di anni.
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Ghemme dei Mazzoni 2006
13,5%
Basta accostarlo al naso per rendersi subito conto che è un grande vino, quando senti la viola che si fonde con la ciliegia, la liquirizia e la mineralità stai in grazia di Dio. E’ impressionante come le sensazioni olfattive arrivino in perfetta fusione, non c’è nulla fuori posto, l’alcol perfettamente nascosto, davvero una trama affascinante, dove poi echeggiano versi speziati di china e cardamomo.
Ecco, al palato si percepisce l’annata importante, c’è succo, materia, tannino ricco ma finissimo, tanta freschezza e una pulizia espressiva da manuale; devo riconoscere di non aver mai sentito nei vini di Tiziano Mazzoni una sbavatura, un’imprecisione. Questo è un magnifico esemplare, non gli manca nulla, da non perdere.
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Ghemme dei Mazzoni 2007
13,5%
Annata calda, certo, ma non come la 2003 e con il senno di poi forse migliore anche della ’97, molto pompata e rivelatasi poi ben al di sotto delle attese. Sicuramente per Tiziano è stata molto buona, tanto che ha scelto di fare anche la “riserva” Ai Livelli, recensita quattro anni fa, davvero ottima. Accostato al naso questo 2007 sprigiona sentori boschivi, un frutto delicato e moderatamente maturo, ancora l’immancabile liquirizia e sfumature di ginepro. Al palato se la cava molto bene, mostrando il consueto tannino misurato, appena meno fine e vellutato del 2006, una buona freschezza e una bella risposta fruttata, contornata sempre da quella vena di liquirizia che sembra caratterizzarlo in modo particolare.
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Ghemme dei Mazzoni 2008
13%
Non è trascurabile il fatto che i Ghemme di Tiziano si mantengano sempre su una gradazione mai esagerata, il cui limite massimo è testimoniato dalla caldissima 2003 dove l’asticella ha raggiunto, e forse di poco superato i 14 gradi. Nella 2008, invece, ci attestiamo sui 13, gradazione che ormai in Langa possono solo sognare, neanche i Barbaresco annata ce l’hanno più. E non è cosa di poco conto, soprattutto quando il vino è buono e si ha voglia di berne. Questo poi ti invoglia molto, già dal profumo originale e variegato, con note di viola, rosa, finocchietto selvatico, lamponi e menta, poi felce, anice e nuovamente una sottile mineralità.
Anche all’assaggio regala emozioni, grazie ad un tessuto fresco e ben bilanciato, con un ritorno di frutto vivo e carnoso, accompagnato da quella speziatura fine che solo in parte arriva dal legno. Vino dalle ottime prospettive evolutive.
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Ghemme dei Mazzoni 2009
13,5%
Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un bell’esemplare di Ghemme, raffinato e di buona complessità, con un apporto floreale che richiama la rosa canina, l’iris, seguito da bei rintocchi di prugna, tabacco, noce moscata, china e l’immancabile liquirizia, ma non basta, completano il già notevole bagaglio di profumi piacevoli sfumature agrumate. In bocca evidenzia come questa tipologia di vino riesca a farsi apprezzare anche in gioventù, grazie al tannino sempre misurato e poco aggressivo e a un corredo aromatico elegante e persistente che lascia una sensazione piacevole e complessa, con finale delicatamente amarognolo.
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Ghemme dei Mazzoni 2010
13,5%
Del Ghemme di Tiziano adoro anche il colore, che ha una tonalità granata calda davvero affascinante, questo 2010 la evidenzia benissimo, scalda il cuore questo colore, che solo i grandi nebbiolo sanno dare. Il bouquet è finissimo, con note di rosa e viola, agrumi, ciliegine di bosco, leggere prugna e menta, chiodo di garofano. Al palato è appena agli inizi di un percorso entusiasmante, ha trama setosa, finissima, esemplare per pulizia e raffinatezza di frutto e spezie, uno dei più affascinanti mai usciti da questa cantina, è fortissima la spinta a chiudere gli occhi e concentrarsi solo sui sensi, per percepire tutto il meglio che questo nebbiolo sa dare, davvero emozionante.
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Ghemme dei Mazzoni 2011
14%
Ed eccoci all’ultima annata prodotta, caratterizzata da un manto odoroso che richiama la viola, la ciliegia sotto spirito, nuovamente la liquirizia, quelle sfumature agrumate e minerali che spesso affiorano in questo Ghemme, poi ginepro e leggero chiodo di garofano. Ha bocca fresca che non nasconde, però, un 2011 calorico, rivelando un cuore caldo con una presenza alcolica importante che non disturba, anche se di poco sottrae qualcosa alla sua consueta eleganza. Molto particolare la nota di cacao che affiora dopo il sorso, vino ovviamente giovanissimo ma dal profilo già ben delineato.
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