Premio letterario "Ezio Affini" su vino o ambiente fluviale

L’associazione Ezio Affini, in collaborazione con Blonk editore, ha indetto un premio letterario nativo digitale in memoria di Ezio Affini, direttore commerciale di Blonk editore, prematuramente scomparso.
Il premio è rivolto a opere di narrativa (non saggi) sotto forma di racconto lungo (15-20 cartelle) che dovranno pervenire in formato digitale all’indirizzo email premioezioaffini@gmail.com entro il 30 giugno 2014. Sono ammesse esclusivamente opere che raccontino di fiume o di vino.

La partecipazione al premio è gratuita.  

Le opere meritevoli verranno pubblicate in formato ebook da Blonk editore e quelle giudicate migliori riceveranno un premio in denaro:
·       Primo premio euro 600
·       Secondo premio euro 300
·       Terzo premio euro 200

I premi saranno ritirati personalmente dai vincitori durante la cerimonia di premiazione che avrà luogo a Pavia nel mese di ottobre (la data verrà comunicata in seguito).
L’esito del Concorso verrà reso noto tramite organi di stampa, emittenti radiotelevisive e sul sito Internet del Premio http://www.premioezioaffini.wordpress.com

Ezio Affini
Tutte le informazioni sono disponibili a questo link http://premioezioaffini.wordpress.com/2014/04/08/le-regole/

Qui il bando completo in formato pdf


Organizzazione

Media partner

Marketingdelvino.it

Giulio Ferrari Riserva del Fondatore 1995

Dopo 2001 e 1997, eccoci arrivati al millesimo 1995 di questo grande spumante figlio di una annata tra le più scarse negli ultimi trenta anni ma che, a Maso Pianizza, ha dato vita ad un'uva tanto rara quanto eccelsa.


Foto:www.italiaatavola.net

Il Giulio Ferrari si presenta di un colore giallo dorato con riflessi ancora paglierino e si propone nel bicchiere con uno spettro aromatico molto ricco e variegato dove, oltre ai "classici" sentori di lievito, predominano note opulente e dolci di miele, pan brioche, anice, nocciola, zenzero. Col passare del tempo si levano dal calice note di pasticceria talmente golose che vorrei mordere quel bicchiere che sa di torroncino, pistacchio e mandorle tostate. Lo scenario minerale in questa annata è un po' sulle retrovie anche se ben presente.

Al palato è di grande impatto, ritornano a cascata le impressioni olfattive per cui la bocca è caratterizzata da un turbinio di sensazioni dolci e salate che, all'interno di una ideale giostra sensoriale, tendono ad equilibrarsi in un contesto di assoluta eleganza. Persistenza da lacrime per un vino di 17 anni. 
Per la famiglia Lunelli questa è stata la migliore annata del secolo scorso e noi non facciamo fatica a credergli. 


Foto: Lettoresommelier.it

Per me, ad oggi, questo metodo classico ha raggiunto il punto di espressione più elevato per cui, se lo avete in cantina, correte a stapparlo.

Giulio Ferrari Riserva del Fondatore 1997

Qualche giorno fa, parlandovi dell'annata 2001, per motivi di spazio avevo parlato solo accidentalmente di uno dei punti di forza di questo grande metodo classico italiano: il vigneto di Maso Pianizza.

Maso Pianizza. Foto: viniesapori.net
Vero e proprio Cru, il Maso Pianizza è costituito da oltre dodici ettari di chardonnay piantati a metà degli anni Sessanta da Mauro Lunelli, l'enologo della famiglia, attorno ad un maso situato tra i 500 e i 600 metri d'altitudine, sulla collina est di Trento.
La vite è allevata a pergola semplice trentina su un terreno esposto a sud-ovest, tendenzialmente sabbioso, con presenza di ghiaia ed argilla. La densità è di 4500 ceppi/ettaro con una resa di circa 2 Kg per ceppo; ciò significa una produzione media di 90 quintali/ettaro. 
A Maso Pianizza la vigna, suddivisa in vari cloni che forniscono al vino anime differenti, è interamente circondata dal bosco che, come facile pensare, crea condizioni microclimatiche assa favorevoli. 
Il vigneto viene periodicamente rinnovato con materiale certificato anche se, è bene sottolineare, i grappoli usati per il Giulio Ferrari Riserva vengono raccolti solo da piante con almeno dieci anni di età.

Terminata questa parte prettamente agronomica, utile per completare il quadro sulla genesi di questo vino, torniamo a bomba sul Giulio Ferrari Riserva del Fondatore 1997 e sulle sue note di degustazione.

Foto:www.sgaitalia.it

Prima di tutto due note sull'annata che, dal punto di vista meteo, è stata eccezionale per il territorio. La siccità di fine inverno e inizio primavera e le gelate tardive di fine maggio hanno causato notevoli diradi ai vigneti mentre l'estate con temperature sopra la media ha causato una precoce maturazione dell'uva ed un conseguente anticipo di vendemmia che, a Maso Panizza, è iniziata a metà settembre.

Il Giulio Ferrari Riserva che ho nel bicchiere, non solo per la maggiore età ma soprattutto per quanto scritto sopra, è totalmente differente all'annata 2001 che avevo esaminato nel post precendente. La mineralità ora è solo accennata, smussata, prevalgono invece le note tostate di frutta secca, nocciola, Pain d'épices. Già, appena versato sembra un grandissimo spumante adatto per Natale. Poi, col tempo, questa dolcezza passa e tornano le sensazioni più dure che fanno venire in mente il sale e la ghiaia.
La bocca te l'aspetti morbida ed invece ti sorprende per la sua fiera austerità, agilità e freschezza. Dopo averlo degludito, per minuti, lascia in bocca una meravigliosa scia sapida.
Un Giulio Ferrari a due facce che ti conquista per la sua imprevedibilità. Curioso di sapere se avrà la forza di mantenersi in equilibrio nel tempo. Lo riproveremo, sarà un duro lavoro....


Foto: larcante.com


Lo Street View di Google ci porta tra i vigneti e le cantine di Bordeaux

Vigneti, cantine e dimore di Bordeaux e dintorni a portata ci click. Grazie a Street View, il servizio di Google Maps per visitare i luoghi dal livello stradale e con immagini a 360 gradi, gli appassionati di vino, e non solo, possono visitare dalla poltrona di casa il meglio di alcuni 'Chateaux' francesi. In rete i primi otto. 

Prossima tappa per gli eno-turisti online sarà l'Alsazia.

Sul suo blog d'Oltralpe il colosso di Mountain View spiega che con street View è possibile fare una passeggiata virtuale fra strade e vigneti di Bordeaux, tra le regioni vitivinicole più rinomate di Francia. I più curiosi hanno anche la possibilità di intraprendere un tour dentro le prestigiose dimore del territorio. Otto finora quelle che hanno spalancato le porte a Google e che è già possibile visitare: Chateau Lafon-Rochet, Chateau de La Brède, Chateau de Malle, Chateau de Pressac, Chateau d'Agassac, Chateau Coutet, Chateau La Conseillante e Chateau Corbin Michotte. 

Château Lafon-Rochet su Google Street View. Foto: Ansa.it

I ''wine lover'' non potranno fare a meno anche di una capatina 'virtuale' nella città medievale di Saint-Emilion, la 'Montalcino' francese, che tra l'altro è patrimonio Unesco dal 1999. Con Street View si entra anche nel Musée d'Aquitaine per conoscere qualcosa in più della storia di Bordeaux.

Fonte: Ansa.it

Elena Fucci: storia di un amore per l'Aglianico del Vulture

"Alle 11 nonno Generoso, 86 anni, ha finito di lavorare già da un pezzo, si sveglia prestissimo, come tutte le persone della sua età, e solitamente è già per vigne alle 5/6 di mattina. Alla sua età, bontà sua, è ancora operativo e mi dà una grande mano. Senza di lui, oggi, probabilmente non ci sarebbe il Titolo".

Nonno Generoso a lavoro. Foto: Tiberio Fucci

Sono a Barile, in Contrada Solagna del Titolo, e a parlare è Elena Fucci, giovane e bravissima vignaiola del Vulture, che finalmente sono passato a trovare dopo anni che glielo promettevo. Mentre passeggiamo, con orgoglio, mi parla ancora del suo territorio e delle sue vigne a cui ha dedicato la sua vita con un atto d'amore che ha una data ben precisa.

"Sai, Andrea, la mia famiglia per anni era solita vendere le uve, come fanno ancora tanti contadini della zona. Mi ricordo che nonno mi diceva che, quando era lui alla guida della cantina, l'aglianico lo vendeva abbastanza bene a clienti del napoletano. Ben 100.000 lire al quintale. Poi le cose sono cambiate, nel 2000 si era ventilata la possibilità, quasi una necessità, di cedere tutti i vigneti di proprietà. Si stava quasi per fare il "grande passo" ma alla fine non ce l'ho fatta, volevo troppo bene a questa terra e non potevo sopportare che qualcuno mi portasse via i vigneti da sotto lo sguardo (la nostra casa è al centro dei vigneti) e che qualcun altro potesse sfruttare le potenzialità dei miei vecchi vigneti.
Stravolgendo tutti i programmi, decidemmo perciò con la mia famiglia di tenere duro rafforzando ulteriormente l'impegno con la creazione di una vera e propria impresa che prese vita proprio quell'anno con la consulenza enologica di Sergio Paternoster, nostro grande amico. Nel frattempo decisi di andare a studiare enologia a Pisa e nel 2004 affrontai da sola la mia prima vendemmia. Ricordo ancora l'emozione..."

Vigneti 
Vigneti
Vigneti

Mentre continuiamo la nostra discussione camminando per Contrada Solagna, mi rendo conto che la famiglia Fucci possiede un patrimonio ampelografico di grande bellezza formato da vecchi vigneti di età compresa tra i 50 e i 70 anni impiantati a circa 600 metri s.l.m. su un terreno, ovviamente, di tipo vulcanico e fortemente minerale. Scrutandolo bene è possibile leggere, anche cromaticamente, la storia della territorio caratterizzata da diverse fasi eruttive che hanno creato un substrato composto da colate laviche, lapilli e ceneri intervallati da fasi di stasi composte da strati di argilla.


Tornado verso casa Fucci, vedo stagliarsi la struttura di quella che diventerà entro brevissimo tempo la nuova cantina. La struttura, progettata da Adriana La Bella, sarà al tempo stesso moderna e di basso impatto ambientale grazie all'impiego di materiali di recupero e all'uso di tecnologie atte a ridurre il più possibile i consumi energetici

La struttura della nuova cantina ad Agosto 2013

L'attuale cantina, invece, sorge accanto alla nuova, ed è ricavata dai vecchi locali sotto l'abitazione di famiglia (Torre Titolo) ed è rimasta così come Elena l'ha ereditata: intima, con dimensioni artigianali, trasudante di storia visto che da queste parti nonno Generoso ricoverava le attrezzature agricole e, probabilmente, sperimentava le prime vinificazioni di aglianico. 
Sempre da queste parti, ed è certezza, Elena ha pensato al suo unico vino, un Cru di aglianico del Vulture che, già a partire dal nome in etichetta, Titolo, desse chiari ed indistinguibili riferimenti alla zona di provenienza.
"Un unico vino" - mi spiega Elena - "per motivi oggettivi legati alle rese dei vigneti e la qualità data dalla maturità delle piante; un unico vino per rappresentare al meglio la specificità dell’Aglianico e la territorialità del Vulture, che offre a questo vitigno un espressione unica; un mix di microclima e di terroir che in Contrada Solagna del Titolo regala una delle migliori espressioni possibili"

Vasche d'acciaio in cantina
Titolo è un Aglianico del Vulture moderno ma non modernista, che Elena vinifica in acciaio per circa 10 giorni per poi passare in barrique nuove di rovere francese per circa 12 mesi per poi, una volta imbottigliato, affinare ulteriori 12 mesi.



Il vino, già nel millesimo 2002, la prima annata, è oggetto di culto tanto che la guida del Gambero Rosso gli assegna i 3 Bicchieri. E' solo l'inizio. Elena non si ferma più, diventa sempre più brava, e il successo di critica e di pubblico la ripaga dei tanti sacrifici. Arrivano, a pioggia, ancora i 3 Bicchieri con le annate 2005, 2006, 2007, 2008, 2009 e 2010 e altri grandi riconoscimenti con le guide Bibenda, Espresso e Slow Wine.

Elena ha coltivato un sogno e, a 32 anni, è diventato realtà. 

Fortunatamente la famiglia Fucci cerca, nei limiti, di mantenere sempre uno storico dei vini e così, gentilmente, per finire la visita, ci stappa Titolo 2005, figlio di un'annata fresca, che presenta un naso dall'ottimo apporto speziato a cui si aggiungono, col tempo, fragranti sensazioni di ribes, freisa, amarena, tabacco da pipa. Al sorso, dopo 8 anni, mostra una maggiore morbidezza, rotondità equilibrato da un tannino ancora scalpitante e da una sferzante acidità che ben supportano la dotazione alcolica del vino che da queste parti non è mai irrilevante. Finale durevole e voluttuoso. Insomma, un grande Aglianico per una grande e giovane produttrice.

Brava Elena, avanti così!



Chianti Classico Riserva 1965 Badia a Coltibuono

E'  proprio vero, quando il vino era ancora un alimento indispensabile nella vita quotidiana, la sua qualità era fuori discussione visto che, sempre, veniva fatto con amore e saggezza contadina.

Scrivo questo dopo aver conosciuto la storia del Chianti Classico Riserva 1965 (Sangiovese 65% Canaiolo e Ciliegiolo 15% Trebbiano e Malvasia 20%) di Badia a Coltibuono, degustato qualche tempo fa a Sangiovese Purosangue, grazie ad una amabile chiaccherata con Roberto Stucchi Prinetti, attuale proprietario, che mi ha sottolineato più volte come le annate storiche in loro possesso sono spesso il frutto del lavoro del fattore e dei mezzadri che una volta lavorano in azienda. La consuetudine era di produrre solo vini di Riserva e di conservare il vino migliore nelle botti delle cantine del “padrone”. 

"Queste Riserve", continua Stucchi Prinetti, "provengono dai vigneti di Montebello e Argenina a Monti in Chianti, piantati negli anni 30 e ripiantati nei primi anni ’80. In quegli anni la superficie totale dei vigneti era di 27 ettari sesto d’impianto 220 x 80 a disposizione di cavalcapoggio e rettochino, lavorati a trazione animali e concimati con stallatico. Solo a partire dal 68 i vigneti hanno iniziato ad essere trattati con trattore a cingoli Fiat 411. L’uva verso i primi di ottobre era ammostata dal mezzadro stesso in tini di legno aperti della capienza di 90 hl e una volta entrato in fermentazione era follata con il bastone per immersione del cappello. I primi tini di cemento sono degli anni 70. L’ammostatura avveniva in presenza di raspi. Dopo 15 giorni circa il mezzadro consegnava in fattoria la parte padronale della svinatura che veniva sottoposta alla pratica del governo nella cantina storica dell’Abbazia.
Alla luna di marzo il vino veniva tolto dalle vasche del governo e messo in botti di legno di castagno nella cantina padronale. Dopo due travasi all'anno e un tempo incalcolabile di permanenza nelle botti delle cantine di Badia a Coltibuono, questi vini sono stati messi in bottiglia".


Chiedo a Stucchi Prinetti maggiori lumi sul vino in degustazione e, con un certo orgoglio, mi dice che "questo Chianti, così come fatto per altre Riserve Storiche sono stati messi in bottiglia nei primi anni '80 in quanto Maurizio Castelli, enologo dell'azienda, aveva deciso di fare spazio in cantina. Ciò significa che questa annata è stata mantenuta in legno grande per quasi venti anni prima di proseguire l'affinamento in bottiglia!!".

Bevendo il vino non puoi ripensare a tutto ciò che ti è stato appena detto, alla sua storia, alla sua valenza sociale e, nonostante la '65 non sia stata una grande annata in Chianti, il sorso lascia davvero esterrefatti perchè tutto, ma proprio tutto in questo vino è ancora vivo, sano, sferzante come l'acidità che picchia ancora sulle papille gustative come un martello pneumatico. Certo, la struttura risente della poca "ciccia" del millesimo ma il senso di dinamismo e progressione non abbandona mai il palato che viene corroborato da una chiusura sapida e dai contorni autunnali.


Il Chianti Classico Riserva 1965 firmato Badia a Coltibuono dopo quasi 50 anni lotta e vive tra noi e, ripensando alla sua genesi, non posso che ringraziare tutti quei contadini che hanno sporcato le loro mani per produrlo e portarlo fino a noi.

Piccola curiosità finale: come vedete l'etichetta del vino è in perfette condizioni. Niente paura! Badia a Coltibuono conserva le bottiglie "nude" e le etichetta poco prima della messa in commercio..


Il Barbera d'Asti Superiore Nizza alla prova del tempo

Sempre interessante per un appassionato come me scoprire l'evoluzione nel tempo del vino soprattutto quando questo risponde al nome di Barbera d'Asti Superiore "Nizza" che, a breve, diventerà Nizza DOCG.
La degustazione è stata organizzata dall'AIS Fiumicino e dall'Associazione Produttori del Nizza che ho avuto il piacere di invitare nel Lazio per permettere loro di raccontare il loro splendido territorio.


Prima di entrare nel particolare della degustazione facciamo un passo indietro per cercare di capire il contesto in cui ci siamo mossi.
La zona di produzione comprende 18 Comuni intorno a Nizza Monferrato all’interno della vasta area di produzione della Barbera d’Asti ci cui Nizza, da disciplinare, è una sottozona.
Altra informazione importante: mentre lo stesso disciplinare prevede che il Barbera d'Asti Superiore "Nizza" debba essere prodotto con almeno il 90% di barbera, l'Associazione dei Produttori del Nizza, capitanata da Gianluca Morino, ha ristretto ancora di più le maglie obbligando gli associati, circa 60, a dotarsi di un codice di autoregolamentazione ancora più severo per far sì che i vini siano di standard qualitativo ancor più elevato. Questo significa, ad esempio, un Nizza prodotto solo ed esclusivamente col 100% di barbera, con rese per ettaro limitate e, cosa da non sottovalutare, senza che sia prevista nessuna forma di arricchimento per l’aumento della gradazione. 

Detto ciò, siete curiosi di sapere come è andata a Fiumicino? 

Malgrà - Barbera d'Asti Superiore Nizza "Mora dei Sassi" 2007: il vino, come si spiega Ezio Chiarle, titolare dell'azienda, deve il nome a un antico muro di contenimento in sassi costruito alla sommità della collina che costituisce una parte importante del Bricco Malgrà: il vigneto, di circa 25 anni, si estende per 3,5 ettari nel comune di Nizza Monferrato a un'altimetria massima di 250 metri e con un'esposizione sud/sudest.
Quella del 2007 è stata una vendemmia molto calda, con bassa acidità ed interessante contenuto zuccherino. La fermentazione in questa vendemmia è stata effettuata in barrique nuove ed in seguito invecchiata nella stessa botte per 14 mesi. Il risultato? Grande sorpresa, non solo mia ma di tutti i presenti, per un Barbera elegante, caldo ma non alcolico, con un'espressione aromatica giocata sull'intensità della frutta matura, solare, che gioca con sensazioni di fiori macerati e grafite. Al sorso è avvolgente, la grande struttura si fa sentire senza appesantire la beva a cui giova la buona progressione acido/sapida che termina con un finale di frutta rossa estiva. Giovanissimo, è solo all'inizio della sua storia!


Azienda Agricola Erede di Chiappone Armando - Barbera d'Asti Superiore Nizza "Ru" 2006: il vino rappresenta una importante selezione di uve proveniente da un vigneto di circa 50 anni posizionato ad un'altezza media di 250 metri s.l.m. in zona Nizza Monferrato. Rispetto al precedente, il "Ru" prevede una fermentazione alcolica e la successiva malolattica in vasca mentre l'affinamento, da sempre, prevede un passaggio in legno per 12-15 mesi in contenitori di varie capacità (botti da 2500 litri e tonneaux da 500 e 650 litri). L'annata più equilibrata e temperata della 2007 ha dato vita ad un Nizza molto fine, raffinato, che veste aromaticamente tratti femminili ricercati che vanno dalle sensazioni di legni nobili alla violetta fino ad arrivare alla frutta di rovo ancora croccante e al muschio. In bocca scorre rotondo, dinamico, vibrante di acidità e mineralità e con un finale, lunghissimo, dove ritrovo sensazioni di fiori secchi da diario e terra. Bellissima versione del "Ru" che conosco e seguo da tempo.


Azienda Agricola Avezza - Barbera d'Asti Superiore Nizza "Sotto la Muda" 2003: nelle annate difficili come questa solo chi ha ottima conoscenza del territorio e della sua vigna può dar vita a vini interessanti come questo. Questo, in sintesi, è stato il mio pensiero dopo aver degustato questo Nizza di oltre dieci anni che mantiene nel suo corpo un calore mediato che si estrinseca con un corredo olfattivo profondo e stratificato di marasca, mirtillo, fiori sotto spirito, grafite, cola. Carnoso, rotondo e avvolgente al sorso che intriga per consistenza fruttata e buona persistenza. Ok, gli manca la ventata fresca dei vini precedenti ma che bello quando un vino sa esprimere al meglio l'annata e il territorio. Fermentazione alcolica e malolattica in acciaio, è stato affinato in piccole botti di rovere francese per circa 12 mesi. 


Cascina Garitina - Barbera d'Asti Superiore Nizza "Neuvsent" 2001: eccolo qua il vino di Gianluca Morino dedicato al periodo storico durante il quale la bisnonna Margherita (da cui in dialetto Garitina) iniziò a produrre vino. Questo Nizza, derivante da tre vecchi vigneti di barbera del 1924-1949 e 1954fermenta per circa 20 giorni in acciaio per poi essere travasato in barrique di rovere francese, sia nuove che usate, dove affina per circa 12-18 mesi. La sorpresa, per molti ma non per tutti, è che questo Neuvsent è ancora perfettamente integro con un naso profondo e di ottima definizione colmo di frutta in confettura, spezie dolci, fiori essiccati e una suadente nota di tabacco e cenere che rende questo barbera molto "autunnale" e "da camino". Bocca importante, densa di strutturata e calore che ben si fondono con uno splendido sviluppo tannico. Finale lungo e sapido. Un Nizza che, come molti, sa invecchiare splendidamente e che fa intravedere per la futura DOCG un futuro davvero terso.




Castel Schwanburg 1996, il Cabernet Sauvignon dell'Alto Adige come piace a me!

Nalles, piccolo paesino a pochi chilometri da Merano è famoso sia per essere situato sulla famosa strada romana Via Claudia Augusta, sia per il bellissimo e storico Castel Schwanburg o Castel del Cigno (schwan in tedesco significa cigno) citato già nel 1286 in un documento della Parrocchia di Bolzano come “Haus in der Gaul” (“casa nella stretta”) e appartenuto fin dal  dal XIV secolo al nobile casato dei Boymont-Payersberg.


Foto: www.burgen-adi.at
E il vino, in tutto questo, cosa c'entra?

Beh, forse non tutti sanno che il castello, oltre ad essere tuttora sede dell'omonima azienda agricola appartenente ai discendenti di Rudolf Carli, ha prodotto per vari anni uno dei migliori Cabernet Sauvignon italiani e la bottiglia aperta poco tempo fa con amici ne è una conferma.

Prima di incensare il vino come merita, vorrei subito tarpare le ali a chi sta già esultando per la notizia: è un vino che probabilmente non c'è più perchè il suo papà, Dieter Rudolph, è morto ben sette anni fa durante una immersione alle Maldive.

Personaggio appassionatissimo di vino e, per certi versi, visionario, Rudolph dopo gli studi in enologia ed una serie di esperienze lavorative a Bordeaux tornò nella sua Nalles con le idee ben precise: fare di Castel Schwanburg una sorta di Château bordolese in salsa sudtirolese.
Rudolph, perciò, modernizzò tutti i vigneti aziendale creando impianti molto più fitti allevati a Guyot e non con la classica pergola trentina, costruì nei primi anni '70 il primo impianto in di vinificazione in acciaio e termocontrollato in Alto Adige e, ovviamente, diede una sterzata anche ai criteri di affinamento del vino grazie all'introduzione delle barrique.



Il frutto di quel lavoro incentrato sulla ricerca dell'eleganza e che, ai tempi, contrastava con l'idea di produzione enologica dell'Alto Adige, l'ho potuto ammirare poco tempo fa quando ho aperto una bottiglia di Cabernet Schloss Schwanburg 1996 durante una cena al Salotto Culinario di Dino De Bellis.

Beh, lo ammetto, nella mia insensata avversione verso ogni tipologia di cabernet in purezza proveniente dall'Italia, ho ritrovato in questa versione il sorriso che mi mancava  legittimato da pirazine accuratamente addomesticate e slegate dall'immagine della peperonata classica che, spesso e volentieri, fa somigliare i vini di questa tipologia ad una confezione de I Grigliati Saclà!

Non solo. 

L'anima bordolese, avidamente ricercata da Rudolph, ritengo sia perfettamente evocata quando al naso, col passare del tempo, il cabernet sauvignon amplia il suo quadro aromatico temprandosi con un susseguirsi di note che vanno dal cuoio al cassis fino ad arrivare alla terra e al tabacco mentolato. Tutto questo senza spingere ed urlare.

La bocca, penso, sia il tocco di classe di questo vino, straordinaria per equilibrio composto da sapidità, tensione acida e, perchè no, muscoli definiti senza iniettarsi steroidi.

E', ad oggi, un vino sospeso tra la ragione e la follia, da bere tutto di un fiato. Mi domando perchè nessuno più abbia intrapreso questa strada, la via Maestra del Cabernet Sauvignon.

Un vino di Creta: Domaine Lyrarakis - Dafni 2012

Ogni tanto il mio amico Costas Linardos di Ellenika mi invita a degustare qualche bottiglia della sua Grecia e, come in passato, accetto sempre di buon grado visto che la sua selezione rompe spesso gli schemi del classico prodotto per turisti in vacanza.

Stavolta è il turno di un vino di Creta, un'isola che adoro e della quale ho già scritto in passato recensendo un paio di cantine locali.

Cercando un pò di notizie nei vari wine blog greci e, parlando con lo stesso Costas, ho scoperto che la produzione vinicola dell'isola è pari circa al 20% del totale nazionale e, storicamente, Creta è stata sempre vista come il gigante addormentato del paese. Infatti, da sempre, si è sempre puntato più sulla quantità che sulla qualità grazie anche alla presenza di numerose e grandi cantine cooperative che sfornavano tanto vino per il consumo locale e continentale. 
A Creta solo negli ultimi 30/40 anni si è cercato di invertire la tendenza puntando sulle numerose varietà autoctone anche se, purtroppo, chi ha cercato di lavorare bene ha dovuto fare i conti con un focolaio di fillossera che nel 1970 ha creato solo problemi a chi cercava di migliorare la viticoltura cretese.


Foto: sidedish.dmagazine.com
Vigneti. Foto: sito aziendale
E' proprio in quel periodo di fervore, siamo alla fine degli anni '60, che nasce il Domaine Lyrarakis un'azienda vinicola famigliare che fin da subito ha posto l'attenzione sulle varietà locali coltivate nei vigneti, 14 ettari in tutto piantati su terreno ghiaioso, che sorgono nel villaggio montano di Alagni (440m) che si trova a sud della città di Heraklion all'interno dell'AOC Peza.
Dalla fine degli anni Ottanta la loro attenzione si è concentrata sulla varietà rare ed autoctone di Creta: Dafni e Plyto per i vini bianchi (chiamati aziendalmente I Tesori di Creta) mentre a bacca rossa troviamo uve chiamate Kotsifali e Mandilari.  Presenti, come è facile pensare, anche alcuni vitigni internazionali come Syrah, Cabernet e Merlot che vengono usati esclusivamente come uve da taglio.

La nuova cantina (2004). Foto: sito aziendale
Il vino portato da Costas è un Dafni 2012. Sono particolarmente affascinato da questo vitigno, il cui nome significa alloro, perchè probabilmente stiamo parlando di uno dei vitigni più antichi del mondo visto che nel museo di Chania, a Creta, esiste un vaso di rame risalente all'età del bronzo con la scritta "Dafnitos Oinos" ovvero questo "vino da uve Dafni". 

Al naso, dove un breve inizio su uno stile agrumato/esotico che mi aveva lasciato un pò indifferente, si apre evocando quelle sensazioni di erbe aromatiche da cui trae il nome e dando una scossa mediterranea a tutto il complesso olfattivo che si arricchisce col tempo di aromi di fiori di arancio, lavanda e fervida mineralità.

In bocca esplode il carattere isolano del Dafni che muta la sua anima trasfigurandosi in un chicco di puro salgemma che rende la beva sapida e fresca grazie all'azione di un ritorno mentolato che spinge la persistenza fino a mete inaspettate. Teso, chiude austero e molto pulito. 

Che dire? Beh, un vino bianco non convenzionale che per circa 10 euro vi darà tante soddisfazioni. Potere dei vini della Grecia!


Sir Alex Ferguson mette all'asta i vini della sua cantina!

Inizialmente, erano una sorta di rito post partita coi colleghi allenatori, a cui lui offriva una bevuta in compagnia per dimenticare la partita appena disputata e loro, in cambio, lo omaggiavano con una bottiglia piena. E visto che tutto si può dire degli italiani tranne che non capiscano di vini, i preferiti di sir Alex Ferguson quando si trattava di alzare i calici erano non a caso Carlo Ancelotti (che ha raccontato di un’insospettabile passione scozzese per l’italianissimo Masseto) e Roberto Mancini (che era solito portargli del Sassicaia di eccezionale qualità). Poi nel 1991, complice un viaggio in Francia, sir Alex cominciò anche a collezionarle, quelle bottiglie così pregiate, giudicandolo un valido antidoto alle pressioni a cui era quotidianamente sottoposto facendo l’allenatore. Ma ora che in panchina non ci va più, ha deciso che è arrivato il momento di liberare la cantina e così il prossimo 24 maggio verranno messe all’asta le circa 5mila bottiglie di vino pregiato raccolte da Ferguson fra il 1986 e il 2013 e che comprendono anche quelle del 1999 (anno glorioso non solo per la vendemmia ma anche per il Manchester United, che conquistò uno storico – e per ora irripetuto – treble).

Bottiglia di Petrus 1988 - Foto:http://www.thestar.com.my/

UNA COLLEZIONE DA 3 MILIONI DI STERLINE — E per far contenta la signora Cathy, lo scozzese ha voluto svuotare pure la soffitta, aggiungendo così al lotto affidato a Christie’s anche numerosi cimeli autografati. Valutata dagli esperti 3 milioni di sterline in prevendita, la collezione Fergie è composta per il 75% dal Domaine de la Ronanee-Conti, un borgogna francese che a sentire il responsabile della casa d’aste per il settore vini, David Elswood “è probabilmente il vino più in voga del mondo e per questo potrebbe attirare l’attenzione non solo dei tifosi di sir Alex ma anche di tutti gli intenditori, in particolar modo sul mercato asiatico”. Ecco perché l’asta si terrà ad Hong Kong, dove verrà battuto però solo il 60% delle bottiglie, mentre un terzo sarà venduto a Londra a giugno e il restante 10% finirà online.

Imperiale di Sassicaia 2005 - Foto:http://www.thestar.com.my/

IL 1999 LA MIA ANNATA MIGLIORE — “Quando la gente mi chiede quale sia stata l’annata migliore della mia carriera da allenatore - ha spiegato Ferguson nell’unica intervista concessa alla casa d’aste per promuovere la vendita - rispondo che è stata senz’altro quella del 1999, che ha coinciso con un vino altrettanto speciale, un Romanee-Conti ’99. Collezionare vino mi ha permesso di avere un interesse al di fuori del calcio, che mi distraesse dalle pressioni a cui ero sottoposto, ma solo due o tre anni fa mi sono reso conto di quante bottiglie avessi raccolto e così, una volta andato in pensione, ho pensato fosse arrivato il momento buono per venderle”. E chissà che nel lotto non ci siano anche quelle sette casse di Chianti (una per ogni gol rifilato alla Roma nei quarti di Champions del 2007 all’Old Trafford) che gli spedirono degli anonimi tifosi laziali per celebrare l’evento o la bottiglia di Brunello che gli regalò Ancelotti nel 2005 dopo che il Milan eliminò lo United e che lui disse avrebbero aperto insieme una volta vinta la finale dai rossoneri contro i rivali di sempre del Liverpool: ricordate tutti come andò ad Istanbul, mentre della famosa bottiglia non se ne è più saputo nulla. In fondo, si beve (anche) per dimenticare.

Collezione di Petrus - Foto:http://www.thestar.com.my/
Articolo tratto integralmente da Gazzetta.it

Giulio Ferrari Riserva del Fondatore 2001

Premetto, a mio modo di vedere, che parliamo di uno dei pochi spumanti italiani metodo classico in grado di dare filo da torcere agli champagne dei nostri "cuginetti" francesi.
Il Giulio Ferrari Riserva del Fondatore è un cru, un blanc de blanc, di solo chardonnay, espressione di un vigneto di proprietà a Maso Pianizza, vicino a Trento, considerato unico per il particolar microclima che rende uniche le sue uve.


Maso Pianizza - Foto:http://www.viniesapori.net

La storia di questo spumante è affascinante. Convinto, per gli studi fatti in Francia, che un grande metodo classico può durare nel tempo come un grande rosso, nel 1972 Mauro Lunelli nascose, temendo di essere rimproverato dai fratelli Franco e Gino che guidavano l'azienda, alcune migliaia di bottiglie di Ferrari. Otto anni dopo, quelle stesse bottiglie, seguite giorno dopo giorno sempre di nascosto, vennero fatte degustare a tutta la famiglia. I giudizi furono talmente entusiastici che Mauro Lunelli fu costretto a scoprirsi con grande sorpresa e ammirazione da parte di tutti. Da allora, quelle bollicine furono chiamate con il nome del fondatore della casa e proposte sul mercato. Era il 1980. Il mito aveva inizio.



Il Giulio Ferrari Riserva del Fondatore 2001 nasce da un'annata di grande potenzialità, caratterizzata da un andamento climatico regolare che ha garantito, soprattutto in estate, elevate escursioni termiche nel vigneto con conseguente evoluzione ottimale dello chardonnay. A Maso Pianizza la vendemmia è iniziata il 22 settembre, oltre un mese dopo l'inizio negli altri masi di proprietà, a dimostrazione di quanto diverso ed unico sia questo cru aziendale dove l'uva ha tempi di maturazione più lunghi.

Lo spumante ha un perlage elegante e, una volta messo il naso nel bicchiere, la prima cosa che ti viene in mente è che questo grande metodo classico italiano ha una mineralità talmente definita ed irruenta che qualcuna la definisce come "sfacciata". Non solo. Il terroir di Maso Pianizza viene talmente fuori che, dopo qualche minuto, emergono note salmastre, saline, a cui seguono toni di agrumi, ghiaia e castagna oltre alla classica crosta di pane che, dopo tanti anni, è davvero quasi un ricordo.
In bocca è sapido, quasi salino, la mineralità si fonde poi con gli aromi agrumati, freschi e vellutati in un matrimonio dagli esiti sorprendenti. Finale equilibrato, elegante, lunghissimo. 
Lunelli punta molto su questa annata e non facciamo fatica a credergli.


Fonte: L'Arcante