InvecchiatIGP: Cantina di Terlano - Alto Adige Lagrein Riserva Doc 1997


di Carlo Macchi

Molti di voi durante le feste saranno o andranno a sciare e così mi è venuto in mente di cercare in cantina una vecchia bottiglia che ricordasse a me e a voi in qualche modo la montagna, “abbinandola” ad una foto di quando il vostro Giovane Promettente era veramente giovane e anche promettente sugli sci.


Ecco quindi la scelta di questo Lagrein Riserva con ben 27 anni sulle spalle, di una cantina che di vini invecchiati se ne intende. Però il Lagrein non era in passato un vino da invecchiamento e proprio in quegli anni subiva una vera e propria metamorfosi, spesso condita con dosi non omeopatiche di legno nuovo.


Avevo sinceramente qualche dubbio sulla tenuta ma appena stappato e visto il colore i dubbi sono svaniti come neve (appunto) al sole. Era un porpora addirittura brillante e appena nel bicchiere mi sono addirittura arrivati al naso profumi di frutta nera e poi liquirizia, sottobosco e la classica nota di terra del Lagrein. Il legno, che in quegli anni imperava, era un ricordo del passato e chiudeva con note balsamiche e un leggero vegetale con ricordo di cassis , quasi volesse far finta di essere un cabernet sauvignon. In bocca non era certo straripante ma bensì elegante, con tannini perfetti e ottima freschezza, nonostante l’annata non certo fredda.
Un buonissimo vino di 27 anni per fare gli auguri a tutti voi, agli altri Giovani Promettenti e anche a quel giovane sciatore che venti anni prima della nascita del vino veniva immortalato ancora in bianco e nero.

Buon 2025, buone sciate e buone bevute!

Cataldi Madonna - Montepulciano d’Abruzzo Doc 2021 "Tonì" 2021


di Carlo Macchi

Il primo Tonì penso di averlo bevuto 25 anni fa. Era molto buono allora è molto buono adesso, ma in più profuma di frutta e macchia mediterranea, è dinamico con tannicità viva ma dolce. 


Luigi e Giulia Cataldi Madonna, centrano sempre il bersaglio. Anche con i libri: leggete il loro “il Vino è rosa.

E se per l’ultimo dell’anno bevessimo solo vini rossi?


di Carlo Macchi

Ormai il fatto che il consumo di vini rossi sia in caduta verticale, che la maggioranza di chi beve vino, specie giovani e donne, preferiscano bianchi e bollicine è ormai un dato acclarato. Dato che questo sarà l’ultimo Garantito IGP del 2024 e volendo sempre andare in controtendenza, noi Giovani Promettenti, amanti da moltissimi anni soprattutto di vini rossi, vogliamo consigliarvi come passare un indimenticabile 31 dicembre brindando solo con vini rossi, per dimostrarvi che dove arriva un bianco, un vino rosa o una bollicina, può arrivare tranquillamente un vino rosso.

Partiamo quindi per questo nostro viaggio tra i rossi “alternativi” alle solite bollicine.

Ormai è regola che l’antipasto specie se di pesce, voglia il bianco o, al limite il vino rosa. Ma avete provato a mettere in fresco un Santa Maddalena, magari del 2023, che tra l’altro è stata, nonostante tutto, un’ottima annata per questo vino?


Il nostro consiglio sicuro è il
Santa Maddalena Classico DOC 2023 di Glögglhof o il Santa Maddalena Classico DOC 100, 2023 di Katharina Martini: due vini che uniscono profumi incredibili di frutta ad una setosa freschezza. Provateli e ci ringrazierete!


Se poi per voi vale il detto “Famolo strano” dirottatevi non su Cuba ma su un
Pelaverga di Verduno, per esempio su quello consigliato la settimana scorsa da Roberto Giuliani o, se il pesce fosse in compagnia di un filo di pomodoro, su una Lacrima di Morro d’Alba, vino dai profumi assolutamente incredibili e dal corpo rotondo e godurioso. In questo caso vi proponiamo la Lacrima di Morro d’Alba Fiore 2023 di Lucchetti, che ha anche il tappo a vite, così il “famolo strano” è completo.


Superato lo scoglio antipasto andremo più spediti perché i primi piatti sono uno dei cavalli di battaglia preferiti dei rossi. Potremmo spaziare da ogni parte d’Italia ma il Babbo Natale che è in me vi propone due vini agli antipodi: da una parte il
Morellino di Scansano e dall’altra un Valtellina Superiore, due modi particolari di coniugare il sangiovese e il nebbiolo. Se il primo è rotondo il secondo è verticale, se il primo va sul frutto il secondo punta tanto su note floreali, insomma sono tanto ma tanto diversi ma quelli che vi proponiamo sono tanto ma tanto buoni e non costano cifre da capogiro. Quello che costa veramente poco è Morellino di Scansano Roggiano (Biologico) 2023 dei Vignaioli del Morellino di Scansano mentre il Valtellina Superiore Il pettirosso 2022 di Ar.Pe.Pe, costerà qualche euro in più ma non molti. La scelta dipende dai piatti.


E dopo i primi, anche se la fame è calata, arriviamo ai secondi. Magari è calata la fame ma non la sete e soprattutto la voglia di provare un vino che rimarrà impresso nella mente per tutto l’anno a venire. Anche qui la scelta, pur non sconfinando, è infinita ma noi vogliamo cadere sul sicuro e quindi proponiamo due “intensità diverse di tannino”. Da una parte il Gioia del Colle Primitivo DOC 17 Vigneto Montevella 2021 di Polvanera, dove il motore del vino non è certo il tannino e dall’altra il Barolo Ornato 2020 di Palladino, dove il tannino comanda con fermezza e dolcezza.


A questo punto l’eventuale formaggio non può derogare dal continuum enoico temporale di proseguire con una delle due bottiglie suddette (anche tutte e due se volete, basta non dobbiate guidare) e quindi andiamo al dolce, dove vi aspetta la dolcezza leggera e rinfrancante ma una concreta e appagante, come quella del Recioto della Valpolicella Classico Vin del Sette 2015 di Mizzon. Ve ne proponiamo solo uno perché ormai sarete saturi e quindi poco ma buono, anzi buonissimo.

Vino dopo vino vi abbiamo accompagnato fino al nuovo anno, 
quindi BUON 2025 DA PARTE DE I GIOVANI PROMETTENTI!

InvecchiatIGP: Colli di Lapio - Taurasi Vigna Andrea 2007


di Roberto Giuliani

Non vi preoccupate se nella retroetichetta è stampato 2006 e il produttore l’ha sovrascritta a penna con 2007, non era una bottiglia in vendita ma una “donazione” affinché la potessi degustare. Essendo due campioni, uno l’ho conservato in cantina e oggi ho deciso di stapparlo. La fama di Clelia Romano è tale che non mi metterò qui a raccontare la storia dell’azienda nata nel 1994, preferisco immergermi in questo Taurasi di 17 anni, un tempo non lunghissimo ma più che valido per verificare le sue condizioni di salute.


Alla vista non sembra già sulla via del declino, conserva una bella tinta granata con unghia appena velata di arancio; al naso ha indubbiamente un carattere da vino invecchiato, con note di fumo, prugna, legno di cedro, cuoio, ma sono sensazioni che emergono appena versato nel calice. Tempo di prendere un po’ d’aria e già certi slanci terziari vedono sparire la sfumatura ossidativa, restituendo una percezione più sobria e ancora vitale.


Al palato conferma comunque una condizione leggermente in discesa, nei toni di caffè e caramella d’orzo, tabacco da pipa, torba. Vino ancora molto piacevole, con una buona vena acida, ma sicuramente destinato ad essere bevuto ora, non è in grado di reggere ulteriormente.

Fratelli Alessandria - Verduno Pelaverga Speziale 2023


di Roberto Giuliani

Uno spaziale Speziale il Pelaverga dei Fratelli Alessandria di Verduno, un prezioso compagno a tavola in grado di rallegrare l'intera compagnia con i suoi profumi di ciliegia, lampone e pepe. 


Sorso vibrante, che ti riporta le spezie al retrolfatto lasciando una sensazione di assoluto godimento.

L’Amaro Camatti compie 100 anni e noi ce lo beviamo


di Roberto Giuliani

A 99 anni vince il concorso internazionale World Liquers Awars, segno che ancora oggi quella ricetta ideata dal chimico livornese Umberto Briganti, tutt’ora parzialmente segreta, continua a piacere. Tutto ha avuto inizio nel 1924 a Recco, ridente cittadina in provincia di Genova, quando Umberto, con il contributo del fratello Cesare, realizza il liquore dedicato alla moglie, che di cognome faceva Camatti.


La prima fase era la creazione della giusta miscela di ingredienti, selezionando fiori, erbe e radici aromatiche da porre in infusione seguendo una ricetta segreta che viene tramandata da generazioni. Di questa si conoscono solo alcune componenti, come la genziana, il mandorlo, la cinchona officinalis (pianta della china), la menta piperita e l’arancio amaro. Ognuno degli ingredienti viene macerato in base alle caratteristiche botaniche, poi uniti e posti in infusione e il liquido ottenuto viene lasciato decantare in legno o in fusti di acciaio inox.


Dopo il processo di filtrazione, necessario a eliminare le impurità, viene aggiunto uno sciroppo di acqua e zucchero, infine il prodotto viene imbottigliato. La gradazione è contenuta, solo 20% vol. Nel 1935 la ditta guidata da Umberto Briganti viene riconosciuta quale "Fornitore della casa di Sua Altezza Reale il Principe di Piemonte" con la concessione di tenere innalzato sull'insegna dello stabilimento lo Stemma Principesco. Durante la Seconda Guerra Mondiale lo stabilimento di Recco viene requisito dagli Alpini della Monterosa e dai soldati della Wehrmacht, ma appena terminata Umberto Briganti riprende immediatamente l’attività con sempre crescente successo. Muore nel 1964, lasciando il compito di portare avanti l’Amaro Camatti al figlio Cesare.
Nel 1989 il marchio e la ricetta dell’amaro vengono ceduti alla Sangallo Distilleria Cinque Terre di Giovanni Bergamino, che aveva iniziato a lavorare nell’opificio Ballerini di Lavagna, dove si producevano liquori artigianali. Oggi la produzione continua con il figlio Stefano e Marco De Marchi che ne preservano la ricetta segreta. La sede produttiva della Sangallo è a San Colombano Certenoli (GE).

LA PROVA DEL NOVE

Premetto che sono di parte, perché non mi piacciono gli amari che sono troppo morbidi, dolci, per me l’amaro deve essere degno del suo nome e fare davvero da digestivo, più zuccheri contiene e più il suo compito è destinato a fallire. D’altronde ogni ditta deve fare dei compromessi per vendere un prodotto apprezzabile da più gente possibile, la bravura, quindi, è nel dosare le componenti in modo da non far prevalere la nota dolce.


Nel calice vediamo un bel colore ambrato-affumicato, i profumi sono intensi e richiamano subito le note amare di china e genziana, accompagnate da arancia amara, menta, sensazioni tostate, fumo da pipa, noce.
Al palato si fa apprezzare per equilibrio dei sapori, la nota cremosa dello sciroppo non sovraccarica il sorso lasciando percepire gli aromi di radici ed erbe in un contesto piacevole e persistente. Si sente l’ottima qualità della materia, io lo avrei preferito un po’ più aggressivo, amaro, ma non posso negare che ha un certo fascino e si beve davvero con gusto.

InvecchiatIGP: Tasca d’Almerita – Contea di Scaflani DOC “Rosso del Conte 2014”


Nata nel 1830 con l'acquisto della Tenuta Regaleali, Tasca d'Almerita è oggi un'icona dell'enologia siciliana, un'azienda che ha saputo, in tempi non sospetti, “guardare oltre” esprimendo al meglio l'anima di un'isola ricca di cultura e di contrasti. La sua storia è un racconto affascinante, intrecciato con quello del territorio e della famiglia che, per generazioni, ha dedicato la propria vita alla viticoltura. Tutto ha inizio con i fratelli Don Lucio e Don Carmelo Mastrogiovanni Tasca che, in tempi non sospetti, intuiscono il potenziale enologico della Tenuta dotata di caratteristiche uniche e situata sulle colline tra Palermo e Caltanissetta. Questi terreni, ricchi di calcare e argilla, sono infatti l'habitat ideale per i vitigni autoctoni siciliani, come il Nero d'Avola e il Perricone, che diventeranno i protagonisti indiscussi della produzione enologica aziendale dove spicca il blasone del Rosso del Conte, non solo un vino ma un vero e proprio simbolo.


La decisione di creare il questo rosso nasce dalla volontà di valorizzare il territorio e di produrre un vino che esprimesse l'essenza moderna della Sicilia. Negli anni '60, infatti, l'enologia italiana era ancora legata a produzioni di massa e a vini poco caratterizzati. Tasca d'Almerita, invece, aveva una visione diversa: voleva creare vini che raccontassero la loro Sicilia, che fossero un'espressione autentica delle uve e del terroir. Il Conte Giuseppe Tasca, figura carismatica e visionaria, fu il promotore di questo progetto ambizioso tanto da individuare nella vigna San Lucio, a Regaleali, il luogo ideale dove vinificare le prime uve di Nero d’Avola e Perricone destinate a diventare il Rosso del Conte. La prima annata risale al 1970 mentre quella degustata per #invecchiatIGP è la 2014, millesimo che in Sicilia risulta molto migliore rispetto ad altre zone d’Italia.


Stappando il vino, da sommelier, posso dire che il vino era ancora assolutamente perfetto, non c’erano segni di cedimento sia del colore che dell’impatto aromatico ancora giocato su intensi profumi di gelso, prugna, viola, tabacco ed erbe mediterranee. Al sorso mantiene tutte le promesse, il bellissimo equilibrio tra ricchezza di frutto, tannini setosi e vibrante freschezza garantisce una bevibilità pazzesca disegnando un potenziale di invecchiamento degno di un grande vino rosso mondiale. Dalle serie #invecchiatopernullaigp!!!

Henry Fuchs - Crémant d'Alsace AOP Extra Brut


Non c’è bisogno di andare sempre in Champagne per bere delle ottime bollicine francesi, prova ne è questo Crémant prodotto in Alsazia dalla famiglia Fuchs che elabora questo metodo classico (uve bio auxerrois e pinot noir) elegante, saporito, dinamico e dall’ottimo rapporto q\p. 


W le bollicine alternative!!

Il Monastero di Cortona è il lusso che tutti ci meritiamo!


Cortona, affascinante borgo arroccato su una collina che domina la Val di Chiana, è una meta imperdibile per chi desidera immergersi nella storia e nella bellezza della Toscana. Il suo centro storico, un labirinto di vicoli e piazze, è un vero e proprio museo a cielo aperto, ricco di palazzi medievali, chiese romaniche e rinascimentali. Perdendosi in questa bellezza, non è difficile imbattersi nel Monastero di Cortona, risalente al XV secolo, che recentemente la famiglia Poli ha coraggiosamente recuperato e trasformato in un moderno hotel a 5 stelle mantenendo intatto il suo fascino originale. 


In questo luogo incantato, poche settimane fa, mi sono concesso un meritato weekend e, devo ammettere, che varcare la soglia del Monastero di Cortona è stato come fare un viaggio nel tempo. Gli ambienti sono davvero incantevoli e, anche se rinnovati, hanno mantenuto l’antica disposizione della struttura conventuale: soffitti a travi o a volta, imponenti corridoi, loggiati e i magnifici affreschi, alcuni dei quali emersi durante i lavori e riportati alla luce, andando ad arricchire ulteriormente la bellezza del luogo. 


L’hotel attualmente dispone di 36 Camere e Suites, ricavate dalle antiche celle, e per chi desidera concedersi un momento di puro relax, la spa del Monastero di Cortona, situata all’interno di una antica cisterna romana, è il luogo ideale per concedersi, così come ho fatto io, una sauna o un idromassaggio dopo aver percorsi decine di chilometri tra i vigneti di Syrah di Cortona.


Visto che non siamo su una rivista di viaggi ma all’interno delle pagine di Garantito IGP, vorrei sottolineare, cosa non scontata, che il Monastero di Cortona dispone anche di un ottimo ristorante chiamato “Gli Affreschi” dato che in questo ambiente, durante la ristrutturazione, sono stati scoperti sotto l’intonaco affreschi che alcuni esperti dicono riferirsi alla battaglia di Montaperti del 1260 tra Guelfi e Ghibellini. 


La sala, intima e raffinata, conta appena 18 coperti, per seguire al meglio l’ospite. Alla guida della brigata di cucina c’è lo chef Michele Ricci, originario di San Sepolcro, sempre nella provincia di Arezzo. La sua è una passione che nasce in famiglia, poi portata avanti con la scuola alberghiera, con maestri importanti, tra cui Gualtiero Marchesi, Luigi Sartini e Paolo Lopriore, e con esperienze anche in ristoranti stellati.

Chef Michele Ricci

Agli Affreschi porta la sua idea di cucina, ovviamente legata alla stagionalità e al ritmo della natura, fatta di pochi ingredienti nel piatto che vanno a raccontare la tradizione toscana, rivisitata e alleggerita con tecniche moderne con l’obiettivo primario di esaltare la materia prima. Pulizia, freschezza, sincerità: sono queste le parole chiave che descrivono la cucina dello chef Ricci. Aperto tutti i giorni, offre oltre alla Carta due menu degustazione di quattro portate: uno di terra “Sapori Toscani” e uno di pesce “Dal Mare”. Il percorso di pesce, sebbene più insolito per l’entroterra toscano, riscuote il consenso degli ospiti, consolidando piatti come il Calamaro arrosto su crema di piselli e il suo inchiostro.



Ma i cavalli di battaglia dello Chef hanno i sapori delle sue terre, come la pappa al pomodoro servita sia come amuse-bouche che racchiusa all’interno dei plin o i pici (tipica pasta toscana) tirati a mano, o la cacio e pepe su vellutata di zafferano di Cortona e aria di pepe. Ancora sapori regionali nel Patè di fegatini di pollo, albicocche, gel di Vermouth di Cortona e cantuccio salato. Tra i piatti più richiesti, il Controfiletto di manzo con millefoglie di patate e cenere alle erbe, che richiama le vecchie braci; e il Filetto di cervo, spinacino, topinambur e salsa al ginepro. Grande attenzione anche all’elemento vegetale, che oltre ad accompagnare altri ingredienti, in alcuni casi diventa protagonista assoluto: le Verdure dell’orto vengono servite infatti giocando con consistenze e colori. Menzione speciale per i dolci, tra cui spicca il classico tiramisù ma proposto in tre consistenze diverse.


La carta dei vini, recentemente premiata dalla rivista Wine Spectator con Un Calice, è curata dalla Maitre e Sommelier Tiziana Lai. Circa 300 etichette che mettono in luce il meglio di questa parte della Toscana, Cortona, Montalcino, Montepulciano, e poi oltre andando fino al Chianti Classico e Bolgheri. Ben rappresentate anche le altre Regioni di Italia con alcune chicche presenti in carta che faranno felici anche i palati più esigenti.


Verso Pasqua il Monastero di Cortona riaprirà i battenti e il mio consiglio è quello di scappare dalla città e di passare in questa struttura almeno una notte per rigenerarvi nello spirito e….nella pancia. #garantitoigp!

InvecchiatIGP: Cantina Oliena - Cannonau di Sardegna Nepente di Oliena 1998


di Lorenzo Colombo


Il termine Nepente – che nel greco antico ha il significato di “che toglie il dolore- fu coniato da Gabriele D’Annunzio, noto astemio, innamoratosi del profumo che quel vino emanava, durante il suo viaggio in Sardegna nel 1882. Nepente appare però per la prima volta nel 1909, sull’introduzione che D’Annunzio fece per l’edizione italiana del libro “Osteria, guida spirituale delle osterie italiane da Verona a Capri”, di Hans Barth. 


Nella sua lunga introduzione, a proposito di un vino che lui unicamente annusò ma del quale i suoi due compagni di viaggio approfittarono copiosamente così scrive: “Non conoscete il Nepente d’Oliena nemmeno per fama? Ahi, lazo!” “Io non lo conosco se non all’odore; e l’odore, indicibile, bastò a inebriarmi”.
Oliena (o Nepente di Oliena) è una delle tre sottozone - le altre due sono Jerzu e Capo Ferrato - nelle quali può essere declinata la Doc Cannonau di Sardegna.
La sottozona Nepente di Oliena è limitata al solo territorio del comune di Oliena e ad una parte di quello di Orgosolo, in provincia di Nuoro.


La Cantina Oliena è stata fondata nel 1950 da un piccolo gruppo di viticoltori con lo scopo di valorizzare il Cannonau. Attualmente la produzione della cantina è suddivisa su nove etichette di vino, tre delle quali riportano in etichetta il nome Nepente: Nepente di Oliena, Nepente di Oliena Classico e Nepente di Oliena Riserva Corrasi.


Il vino degustato è prodotto con uve Cannonau in purezza provenienti da vigneti situati nel comune di Oliena, il principale sistema d’allevamento è ad Alberello e la resa massima per ettaro è di 60 q.li. Dopo un’accurata selezione delle uve viene svolta la fermentazione in vasche d’acciaio con una macerazione sulle bucce di 10-12 giorni, il vino s’affina quindi in vasche di cemento e d’acciaio. I presupposti alla degustazione di questo vino non sono stati molto favorevoli, la bottiglia presentava decisi segni di muffa sulla capsula e il livello del vino era sotto la soglia cilindrica del collo della bottiglia, segno di perdita evidente di liquido.


Tolta la parte superiore della capsula si è avuta la conferma di quanto si prevedeva, ovvero la parte superiore del tappo era per quasi la metà incrostata. Il tappo è però uscito senza sforzo alcuno anche se si presentava completamente intriso di vino e annusandolo dava segni di evidente evoluzione.


Versato però un piccolo quantitativo di vino nel bicchiere non abbiamo riscontrato anomalie particolari, se non un’iniziale chiusura ed un colore decisamente evoluto, tendente al mattonato non molto intenso ed alla prugna cotta, con un’unghia ormai aranciata. Decantato il vino, temendo notevoli residui, che in realtà non ci sono stati, si è notato all’interno della bottiglia ormai vuota il colore depositato nella parte inferiore della stessa (la bottiglia è rimasta per tutti questi anni in posizione orizzontale).

Ma passiamo all’assaggio.

Del colore abbiamo già scritto, per il resto il vino si presentava limpido. Discreta la sua intensità olfattiva, ovviamente i sentori percepiti sono di natura terziaria, sottobosco con foglie umide, radici, prugna in confettura, spezie dolci, fighi secchi, accenni di polvere di caffè. Mediamente strutturato, ancora fresco (buona la sua vena acida) e sapido, sentori di radici, china, chiodi di garofano, prugne secche, leggeri accenni piccanti e note di frutta dolce, lunghissima infine la sua persistenza.

Feliciana - Lugana Doc Riserva “Sercè” 2021


di Lorenzo Colombo

Dodici camere, sette suites, un ristorante con 160 coperti e 12 etichette di vino prodotte. 


Questo è l’Agriturismo Feliciana, azienda situata a Pozzolengo della quale abbiamo apprezzato il Sercè, un Lugana Riserva prodotto con uve leggermente appassite ed affinato parte in acciaio e parte in barrique.


I vitigni autoctoni dell’Italia meno conosciuta


di Lorenzo Colombo

Oltre 200 le aziende presenti alla seconda edizione della Fiera dei Vini svoltasi a Piacenza da sabato 16 a lunedì 18 novembre, evento nell’ambito del quale erano previste anche quattro masterclass dedicate al vino ed una all’olio. Noi ci siamo stati sabato pomeriggio ed abbiamo partecipato a quella dedicata ai vini prodotti da vitigni autoctoni a bacca rossa, degustazione assai interessante durante la quale si sono potuti assaggiare vini prodotti da vitigni rari e spesso difficilmente reperibili.


Sette i vini degustati, eccoli in ordine di servizio con nostri sintetici commenti.

Calosso Gamba di Pernice Doc 2022 – Cascina Comina

Sono tre i comuni del basso astigiano dove sussiste questa minuscola e recente denominazione nata nel 2011: Calosso che le dà il nome, Costigliole d’Asti e Castagnole delle Lanze, il disciplinare di produzione, approvato nel 2011, prevede tre tipologie di vino: Calosso, Calosso Riserva (anche con la menzione di Vigna) e Calosso Passarà (da uve appassite), dove il vitigno Gamba Rossa dev’essere presente per almeno il 90%. Gli ettolitri imbottigliati nel 2020 sono stati 295, ovvero meno di 40.000 bottiglie. L’utilizzo del vitigno, registrato col nome di Gamba Rossa (o Imperatrice della Gamba Rossa), ha un’estensione vitata limitatissima -si parla di 15 ettari suddivisi tra 14 produttori- ed è autorizzato unicamente nella Doc Calosso.


Vinificazione in vasche d’acciaio ed affinamento in botti per 20 mesi. Color rubino di media intensità. Intenso al naso dove cogliamo un sentore di ciliegia selvatica e leggere note floreali, note balsamiche e speziate, cannella, leggeri sentori di legno.
Mediamente strutturato, succoso, sapido, con bella vena acida, sentori piccanti di pepe bianco, lunga la sua persistenza. Un vino curioso, interessante e decisamente particolare. Ci è piaciuto assai.

Sardegna Alghero Cagnulari Doc “Ultimastella” 2022 – Gavino Delogu

Il Cagnulari è un vitigno presente soprattutto in una ristretta area sitata a Nord-Ovest della provincia di Sassari, predilige i terreni calcareo-argillosi, sciolti e ben soleggiati dove è spesso allevato ad alberello sardo o con basse controspalliere.
E’ uno dei vini da monovitigno della Doc Alghero e può inoltre essere utilizzato in una quindicina di vini ad Igt sardi. Nel 2022 se ne contavano 384 ettari, 363 dei quali in provincia di Sassari.


Le uve provengono da un singolo vigneto situato ad Usini esposto a Sud su suoli argillosi. Fermentazione ed affinamento si svolgono in vasche d’acciaio dove il vino sosta per sei mesi. Rubino profondissimo e luminoso il colore. Intenso al naso dove spiccano sentori di frutta rossa matura, nota alcolica importante, accenni di spezie leggermente pungenti. Strutturato, asciutto, piccante (pepe e peperoncino), frutta a bacca scura, trama tannica decisa ma ben fusa nell’insieme, buona la vena acida e lunga la persistenza. Altro vino decisamente interessante.

Toscana Igt Rosso “Le Voliere” 2022 – Tenuta di Forci

L’azienda, situata a Lucca, dispone di quattro ettari di vigne - condotte secondo i dettami della biodinamica - che presto diventeranno sette.


Blend di vitigni classici toscani, ovvero 80% Sangiovese, 10% Canaiolo e 10% Colorino, allevati su suoli ricchi d’argilla ma con presenza di sassi, limo e sabbia.
La pigiatura avviene con i piedi e la fermentazione s’effettua in piccole vasche, l’affinamento del vino si svolge per l’80% della massa in vasche d’acciaio e per la parte rimanente in piccole botti di rovere usate dove sosta per 10 mesi, dopo l’assemblaggio viene imbottigliato senz’alcuna filtrazione. Granato di discreta intensità. Bel naso, fresco, floreale, speziato, buon frutto rosso, balsamico ed elegante. Discretamente strutturato, fresco, asciutto e sapido, bel frutto, bella trama tannica e buona persistenza.

Sannio Dop Sciascinoso “Voscu” 2021 – Fosso degli Angeli

Lo Sciascinoso è un vitigno coltivato soprattutto in Campania ed in parte del Lazio, viene utilizzato nella produzione di cinque Doc campane ed in 13 vini ad Igt delle due sopracitate regioni. La sua superficie vitata s’è drasticamente ridotta negli anni, dal censimento agricolo del 1970 ne risultavano 2.600 ettari che quarant’anni dopo erano diventati unicamente 50.


Il vigneto, messo a dimora nel 2014, è situato a Castelvenere, a 200 metri d’altitudine su suolo argilloso calcareo, l’esposizione è Sud-Est, condotto a Guyot con densità di 3.500 ceppi/ha dà una resa di 60 q.li/ha. Sia la fermentazione-con lieviti indigeni- che l’affinamento si svolgono in vasche d’acciaio dove il vino sosta per circa sei mesi ai quali ne seguono altrettanti di riposo in bottiglia.
Sono circa 1.300 le bottiglie prodotte annualmente. Color ciliegia luminoso di media intensità. Discreta la sua intensità olfattiva, pulito, presenta sentori d’erbe aromatiche, timo essiccato, note floreali ed accenni balsamici. Fresco, asciutto, sapido, verticale, di media struttura, con buona trama tannica e bella vena acida, buona la sua persistenza.

Igt Toscana Mammolo “Il Legato” 2020 – Cincinelli Marco

Il Mammolo è un vitigno che non ha mai vissuto una grande diffusione -anche se viene citato sin dal 1622 dal Soderini-, la sua massima superficie vitata (147 ettari) è stata riscontrata nel censimento agricolo del 2000, ma già in quello successivo (2010) gli ettari vitati erano scesi a 52. Viene utilizzato in una decina di vini ad Igt tra Toscana e Umbria praticamente mai in purezza, è inoltre a volte impiegato, in piccole percentuali nella composizione del Vino Nobile di Montepulciano.


Le uve provengono da un vigneto di un ettaro d’estensione con età media di 15 anni, dopo la fermentazione il vino s’affina in botti grandi ed in barrique usate. Color granato poco intenso. Buona l’intensità olfattiva, note balsamiche e accenni floreali.
Fresco, succoso e asciutto, mediamente strutturato, sentori di radici, bella trama tannica e discreta persistenza.

Vallée d’Aoste Dop Cornalin 2018 – La Source

Vitigno raro il Cornalin, diffuso unicamente in Valle d’Aosta -nel Vallese svizzero è conosciuto come Humagne Rouge- dove nel 2010 se ne contavano unicamente 11 ettari. Il vitigno, che pare provenire dalla Borgogna, era molto diffuso in Valle d’Asta prima dell’avvento delle fillossera, alla fine degli anni ’80, l’Institut Agricole Régional di Aosta si è fatto promotore del recupero delle varietà autoctone minori, tra cui anche il Cornalin. Pare che attualmente in Valle gli ettari vitati siano poco meno di un trentina.


Le vigne si trovano a Saint Pierre dove Stefano Celi dispone di 6,5 ettari vitati. Vinificazione e affinamento si svolgono in vasche d’acciaio, segue quindi una sosta in bottiglia di sei mesi prima della commercializzazione. Profondo il colore, unghia violacea. Intenso al naso, balsamico, speziato, frutta a bacca scura, legno dolce, leggere note piccanti. Discretamente strutturato, asciutto, succoso, note piccanti, frutta a bacca scura, erbe aromatiche di montagna. Un vino di notevole qualità. L’azienda di Stefano Celi si trova a Saint Pierre, pochi chilometri dopo Aosta.

Provincia di Verona Igp Oseleta 2016 – Az. Agr. Zymè (non ancora in commercio)

Il vitigno, diffuso esclusivamente in provincia di Verona viene utilizzato in tre vini ad Igt del Veneto oltre ad entrare a far parte di un numero seppur limitato di vini della Valpolicella. Quasi scomparso è stato riscoperto negli anni Settanta del secolo scorso ed è stato ammesso nel Registro Nazionale delle Varietà di Uva nel 2000, se ne contavano, secondo il censimento agricolo del 2010, solamente 15 ettari.


Le uve provengono da vigneti situati nei comuni di Illasi, Lavagno e Parona allevati su suoli calcarei, argillosi e alluvionali. La fermentazione si svolge con lieviti indigeni e l’affinamento del vino viene effettuato in barrique per un periodo di sei/sette anni ai quali segue almeno un altro anno di riposo in bottiglia. Molto bello il colore, profondissimo e luminoso. Molto intenso al naso, alcolico, pulito, balsamico, prugna matura, quasi in confettura. Decisamente intenso e strutturato, con tannino importante che rimanda alla pellicina di castagne, frutta a bacca scura, note piccanti, legno percepibile, lunghissima la persistenza.

InvecchiatIGP: IGT Toscana Monteverro 2008


di Stefano Tesi

Ciò che normalmente, in una qualunque azienda non necessariamente vinicola, si chiamano i tempi eroici, sono quelli degli esordi, pieni di entusiasmo, incognite, errori, aspettative e ingenuità. Ai quali, passato qualche decennio, si guarda di norma con nostalgia e qualche sorriso.
Nel caso del vino, le bottiglie dei tempi eroici svolgono invece una doppia funzione: quella di punto di riferimento per quanto riguarda il mutare degli stili e delle mani intercorsi nel frattempo e di parametro per valutare i progressi fatti nello sviluppo del “progetto” iniziale.


L’assaggio di questo Monteverro 2008, frutto della prima vendemmia della tenuta creata dal nulla nella macchia mediterranea della Maremma a cavallo tra Lazio e Toscana, anno 2005, dal bavarese Georg Weber e l’allora fidanzata Julia, mi pare assolva però anche una terza funzione: quella di restituire fedelmente, nel bicchiere, la natura selvatica dei suoli originari e lo sforzo di adattamento ad essi compiuto dalle viti messe a dimora ex abrupto laddove, per memoria condivisa, allignavano bene solo la macchia e i cinghiali. 
Cabernet sauvignon, Cabernet franc, Merlot e Petit verdot convivono insomma in questa bottiglia, a suo modo storica, e lì si fondono in modo quasi riottoso, come costretti a convivere dal giovane, anzi allora giovanissimo enologo francese Matthieu Taunay che, come le vigne, ha poi messo radici stabili da queste parti.


L’assaggio è affascinante: molto lontano dall’odierno Monteverro – un vino levigato, equilibrato, senza dubbio territoriale ma frutto di una lenta plasmatura e di una lunga messa a punto – questo 2008 vive invece di una toscanità maremmana, esplicita, un po’ ispida e un po’ burbera, e irradia la saggezza grave di certi anziani accigliati.


Così, all’occhio, tradisce un rubino caldo che non ti aspetti del tutto ed anche al naso toscaneggia assai, in bilico tra il maturo e l’evoluto, tra il brusco e il profondo, con accenni ipermaturi, lampi di calore, cuoio grasso, terra bagnata e un filo di resina che ricordano, chissà come, i Sangiovesi canuti e robusti. Tutta roba che si ritrova al palato, con un alcool importante, una struttura solenne, accenni dolciastri e un irresistibile richiamo ai vecchi di casa nostra. 
A me è parsa una bevuta intrigante, fuori passo. E mi è piaciuto moltissimo col sontuoso piccione alla brace laccato alle more fermentate ed aglio nero ammannitoci dalla sempre sorprendente Valeria Piccini di Caino, una che di Maremma se ne intende.

Collemattoni - Brunello di Montalcino Docg 2020


di Stefano Tesi

I buoni Brunello si assaggiano anche senza andare al “Benvenuto”: questo, sentito in anteprima, è di un bel rubino fitto, ha il naso elegante e appena caldo, la nota matura e la bocca gentile e equilibrata del vino pronto.


Ideale sui sedani di pasta all’uovo col ragù di faraona che ci siamo pappati.

Graziano Prà vince la sfida del tappo a vite


di Stefano Tesi

La querelle sul tappo di sughero contro il tappo a vite è probabilmente destinata a non chiudersi mai. Per il vostro e il nostro divertimento visto che, alla fine, è anche o forse soprattutto una questione di scelte, gusti, filosofie personali.
Negli ultimi anni la vita di chi assaggia spesso il vino è stata costellata del resto di ricorrenti degustazioni afferenti all’una o all’altra opzione, con risultati evidenti sotto il profilo della percezione della differenza ma anch’essi fatalmente soggettivi sotto quello della qualità finale.
E’ per questo che ho partecipato volentieri alla presentazione fiorentina dei vini di Graziano Prà, dal 2010 uno dei pasdaran del tappo stelvin (non a caso affianca Franz Haas, Jermann, Pojer e Sandri e Walter Massa nell’ormai celebre gruppo degli “Svitati”), con il quale, oggi, il nostro chiude tutte le bottiglie di sua produzione sia in Soave che in Valpolicella. Con l‘eccezione, ma solo per mere ragioni di disciplinare, dell’Amarone, del Ripasso e del Passito Igt.


L’occasione era però resa ulteriormente ghiotta dal fatto che fosse previsto un assaggio parallelo di due bottiglie dell’annata 2017 del Soave Classico Doc Monte Grande (Garganega 70 % e Trebbiano di Soave), il cru aziendale prodotto a Monteforte d’Alpone: l’una chiusa col sughero e una col tappo a vite. Lo scopo era sì dimostrare le differenze evolutive determinate nel vino dalle diverse chiusure, ma anche la più generale vocazione del Soave all’invecchiamento. 

Graziano Prà

Un invecchiamento che, a giudizio del produttore, il tappo a vite rende più lineare e costante, consentendo anche in verticale l’apprezzamento del prodotto in sé, al netto di influenze potenzialmente volubili. “Lo stelvin supporta la longevità, permette al vino di evolvere correttamente e garantisce una chiusura perfetta”, ha sottolineato Prà. “Abbiamo preso questa decisione dopo tredici anni di osservazioni e degustazioni comparate di vecchie annate e oggi siamo certi che sia la scelta migliore”.

A bicchieri svuotati dobbiamo dire che, come previsto, la diversità è risultata marcata. 

Il campione “sugherato” si contraddistingue già all’occhio per un colore dorato più carico e cupo, molto intenso e un po’ tendente al rosso. Al naso, dopo un’iniziale idea di anice, rilascia note di idrocarburi, olio minerale, pietra focaia e una coda appena melata, dolciastra. In bocca è gentile, molto composto, maturo, molto elegante e certamente non deludente.

Differenze

Altra musica col campione “avvitato”: il colore è più giallo e brillante, l’olfatto è più acuto e vivo, quasi giovanile e vibrante, con la pietra focaia che emerge netta sul resto tutto con piacevoli punte di freschezza. Anche in bocca il vino è giovanile, molto gradevole, con un retrogusto cangiante e un intrigante finale amarognolo.
Difficile, tuttavia, esprimere una preferenza tra i due. Si tratta di “bevute diverse”, come si diceva tra commensali. Il tappo in sughero restituisce il Soave 2017 che ti aspetti, piuttosto evoluto ma non certo decrepito, in qualche misura rassicurante. Il tappo stelvin ti dà un Soave che, considerando il millesimo, trovi molto diverso dalle aspettative, coinvolgente, in piena forma e quasi esuberante.

Resta poi da dire degli altri vini (tutti, con le eccezioni dette, “svitati”). Assai godibile il Morandina Valpolicella doc 2023, un vino di Corvina, Corvinone, Rondinella e Oseleta coltivate a quasi 500 metri di altitudine: affinato in botti grandi, ha un bel naso fruttato, asciutto, vinoso, scalpitante ma senza esagerare, con un palato molto sapido e una sensazione dissetante.


Più a metà del proprio cammino, a nostro parere, il Morandina Valpolicella superiore doc 2020, un vino dal naso profondo, compatto, intenso, con un frutto screziati e potenti che in bocca si traducono in tannini ancora importanti e una vena acida che richiedono più tempo per essere ammansiti.


Decisamente bene l’Amarone docg 2017 la Morandina, che non rinuncia alla propria identità tipologica ma evita le facili e purtroppo ricorrenti caricature con un bouquet tipico di frutti maturi e un palato solenne, pulito, perfino beverino nella sua importanza.


La sorpresa della giornata è però stato il Passito Bianco delle Fontane 2021 Veneto Igt: una bevuta piacevolissima, leggera, ricca, senza alcuna stucchevolezza, assai fine e screziato all’olfatto, assolutamente godibile in bocca, quasi un vino da fuori pasto.


Nota di merito finale al ristorante Konnubio, che ha ospitato la degustazione: molto riuscita la mezzamanica con crema di zucca, cinta senese e nocciole tostate abbinata al Soave e assai azzeccato anche il matrimonio tra l’Amarone e il saporito peposo di manzo con cime di rapa ripassate. Bravi.